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Non può infatti essere condiviso l'unico, articolato motivo d'appello qui prospettato dall'ente elettrico, poiché deve ricordarsi che in materia di imposizione coattiva di servitù di elettrodotto, il provvedimento della pubblica amministrazione autorizzante la costruzione della linea oppure della cabina elettrica, costituisce (anche qualora contenga una dichiarazione di pubblica utilità) soltanto un atto del più complesso procedimento di costituzione del vincolo reale, senza essere peraltro produttivo dell'effetto costitutivo conseguente, al contrario riconducibile solo al provvedimento finale dello stesso procedimento e cioè al decreto espropriativo (ovviamente, nel caso non si sia scelta la strada della costituzione per via negoziale o giudiziaria).
Conseguentemente, l'illegittimità dell'occupazione di un immobile all'esito dell'installazione di una cabina elettrica (nella fattispecie, si tratta di circa 4.000 mq. di suolo occupati) per decorso del termine fissato nel provvedimento autorizzatorio non può considerarsi sanata dalla semplice emissione del provvedimento finale (decreto espropriativo) ed il comportamento dell'ente elettrico, che non abbia provveduto alla restituzione del bene occupato prima che l'occupazione medesima divenisse illegittima, si estrinseca in un'attività semplicemente materiale, oltre che illecita e quindi abusiva, di fronte alla quale si potrebbe addirittura ipotizzare una doppia forma di tutela sia reintegratoria che risarcitoria, alla luce anche della recente legge n. 205/2000.
A ciò si aggiunga che l'apprensione senza titolo di un fondo appartenente a privati per la realizzazione di un elettrodotto non può determinare la costituzione della corrispondente servitù secondo il principio della cosidetta occupazione acquisitiva, estranea alla materia dei diritti reali su beni altrui, ma si configura piuttosto come un permanente illecito, il quale continua a perdurare sino a quando non venga rimosso l'impianto di cui si tratti, o se ne interrompa l'esercizio, oppure ancora non risulti costituita la servitù anche per usucapione, con la correlativa estinzione sia della tutela reale che di quella aquiliana o in termini più ampi obbligatoria, con l'inevitabile conseguenza, che, acquisita per effetto dell'intervenuta usucapione, da parte della pubblica amministrazione, la servitù di elettrodotto, il proprietario del fondo interessato non avrebbe più titolo né per reclamare la rimozione dell'impianto in questione né per pretendere il risarcimento dei danni oppure un'indennità per l'imposizione della servitù stessa, in base all'art. 123 del regio decreto 11 dicembre 1933 n. 1775, inapplicabile al caso di costituzione di servitù per effetto di usucapione.
A questo punto, in relazione alle considerazioni che precedono, si ricorda come la costruzione di un elettrodotto finalizzato alla fornitura di energia elettrica debba considerarsi, in relazione al connesso interesse collettivo, indubbiamente come un'opera di carattere pubblico che legittima l'utilizzazione delle necessarie procedure ablatorie, tanto più che il richiamo, operato dall'art. 116 del testo unico sulle acque alla legge fondamentale del 1865 in materia espropriativa relativa all'impianto di linee elettriche, non potrebbe non valere anche per la costituzione della cosiddetta servitù di elettrodotto su base espropriativa, come nella fattispecie.
Orbene, alla luce delle considerazioni che precedono, le censure dedotte in questa sede con il presente appello non possono essere condivise, poiché la violazione di legge considerata in rapporto alla mancata indicazione dei termini d'inizio e fine dei lavori dell'espropriazione, oltre che costituire vizio diretto dei decreti autorizzanti provvisoriamente la costruzione di una cabina elettrica, e correlativamente vizio derivato del decreto di occupazione d'urgenza e della nota di fissazione della data di presa di possesso, si configura anche come vizio diretto del decreto ultimo citato, privo anch' esso dei necessari termini, oltre che intervenuto a distanza di oltre tre anni dalla data di adozione dei precedenti decreti del presidente della Regione Abruzzo, approvanti il progetto di realizzazione della cabina elettrica ed autorizzanti in via provvisoria l'esecuzione dei relativi lavori, dai quali decreti discendeva l'implicita dichiarazione di pubblica utilità, nonché urgenza ed indifferibilità dell'opera.
Inoltre, il medesimo decreto di occupazione risulta essere stato adottato, oltre che in mancanza di una formale dichiarazione di pubblica utilità, nonché indifferibilità ed urgenza, anche in assenza di qualsivoglia presupposto di urgenza, se si considera che quella prospettata con la domanda del giugno 1994, dopo ben cinque anni non avrebbe potuto che ritenersi superata, né risulta che ne sia stata dedotta una qualche configurazione d'altro genere.
2)- Le considerazioni che precedono inducono a respingere anche il secondo dei tre appelli qui riuniti, prospettante le medesime doglianze di cui al precedente gravame.
In realtà, malgrado un precedente diffuso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale in materia di costruzione di elettrodotti, l'autorizzazione provvisoria prevista dall'art. 113, regio decreto 11 dicembre 1933 n. 1775, non costituirebbe dichiarazione di pubblica utilità preordinata alla servitù coattiva perpetua, ma semplice dichiarazione anticipata d'indifferibilità ed urgenza dei lavori (art. 9, comma 9, d.p.r. 18 marzo 1965 n. 342), ritiene il collegio che un simile modo di argomentare non possa essere condiviso, poiché il procedimento di occupazione del fondo, basato sulla dichiarazione d'indifferibilità ed urgenza dei lavori, ed il procedimento espropriativo fondato sulla dichiarazione pubblica utilità dell'opera, sono due procedimenti distinti che s'inseriscono nell'ambito del più ampio procedimento ablatorio, costituendo due subprocedimenti, talvolta previsti dalla legge (art. 1, legge 1/1978).
Concretamente, la dichiarazione di pubblica utilità costituisce senza dubbio la base comune su cui poggiano sia il procedimento espropriativo sia quello di occupazione d'urgenza, dovendo essa necessariamente sussistere e preesistere perché possa aversi in senso giuridico un'opera pubblica, quale bene alla cui realizzazione risultano preordinati sia il procedimento espropriativo sia quello di occupazione d'urgenza: senza di essa difetterebbe, infatti, ogni possibile valutazione da parte degli organi preposti all'individuazione ed alla cura degli interessi pubblici in ordine all'attitudine dell'opera progettata a soddisfarli.
Al contrario, la presenza della dichiarazione di pubblica utilità qualifica il tutto come opera pubblica, dando rilevanza all'accertamento compiuto dalla pubblica amministrazione, per cui detta dichiarazione deve necessariamente precedere quella d'indifferibilità e d'urgenza, che diversamente non avrebbe senso attribuire ad un'opera che, in termini formali, non sia stata prima di tutto ritenuta utile per il soddisfacimento di esigenze pubbliche (argomentazioni in tal senso si rintracciano anche nella dec. n. 6 del 1986 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato).
Correlativamente, tali principi devono guidare l'interpretazione del nono comma dell'art. 9 del d.p.r. n. 342 del 1965, leggendolo nel senso che i decreti di autorizzazione provvisoria hanno anche, essi, efficacia di dichiarazione d'indifferibilità ed urgenza (in aggiunta a quella di dichiarazione di pubblica utilità, esplicitamente riscontrabile quanto ai decreti di autorizzazione definitiva di cui al precedente ottavo comma), essendo questa
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