Le "Chine del 1965" sono opere veramente singolari, arriverei a dire misteriose.
Hanno un carattere ed una personalità uniche nel panorama artistico di quegli anni.
Intendo dire che con quelle opere Boetti aveva già creato un suo stile personale e distintivo, per quanto durò essenzialmente solo pochi mesi. Ma oggi guardando a quelle opere, si vede subito che non sono confindibili con il lavoro di nessun altro artista.
Rimangono come una traccia piuttosto fondamentale in quanto testimoniano inequivocabilmente le capacità ed il talento anche pittorico di Boetti in ambito "figurativo" e con una tecnica che non concede il minimo errore: una sola sbavatura avrebbe reso l'opera è irrecuperabile.
Questo linguaggio, composto da strumenti di registrazione o di osservazione - macchine fotografiche, microfoni, cannocchiali -tutti privi di colore e dipinti in scala di grigi, ha una sorta dimensione metafisica e teatrale, è un po' come se Boetti mettesse in scena delle nature morte del tutto innovative.
Non so dire cosa Boetti intendesse comunicare esattamente queste opere o come le abbiano nel tempo interpretate i critici, ma per certi versi ho sempre avvicinato questo ciclo di opere agli inizi delle opere specchianti di Pistoletto, in cui venivano dipinte le carte veline per poi essere incollate sulle superfici specchianti, oppure anche a certe opere di Domenico Gnoli, che realizzava nei medesimi anni degli ingrandimenti/ingigantimenti di particolari di bottoni, colletti di camicia, acconciature.
Ecco, forse, si può ipotizzare in qualche modo una minima tangenza con il mondo "pop", ovviamente in una visione del tutto personale e anche con un coesistente distacco.