proseguo con la provocazione della domanda
Il denaro non è (un) valore. È solo uno strumento, una convenzione, se non addirittura una metafora.
Come ricordato, fino all’inizio del secolo scorso la moneta non era altro che la garanzia, da parte di uno Stato o di un’altra organizzazione ritenuta “affidabile”, che una moneta coniata rappresentasse un preciso peso di argento, oro o rame, o che un pezzo di carta (biglietto di banca o titolo di credito) assicurasse l’equivalenza a un certo valore in oro.
Già anche in quei termini l’equivalenza fra l’oro e uno specifico bene era tutt’altro che certa e lineare; i prezzi potevano variare smisuratamente secondo la situazione, la disponibilità del bene, i fattori di potere e i rapporti negoziali.
Dopo varie crisi, oscillazioni e turbolenze nel ventesimo secolo, ogni riferimento alla “parità aurea” è stato abbandonato nel 1971.
Il valore del denaro, da allora, è diventato ancora più astratto.
Ci sono collezioni filateliche in cui compaiono francobolli tedeschi con un “valore” di miliardi di marchi. Non è uno scherzo: è accaduto davvero, durante la crisi economica che ha preceduto (e in parte assecondato) la nascita del nazismo. Anche in tempi più recenti abbiamo visto situazioni in cui l’inflazione ha praticamente azzerato il valore di alcune monete; e le oscillazioni delle valute sono ancora oggi basate su un’infinità di fattori non necessariamente connessi all’effettiva capacità di acquistare qualcosa.
Insomma il denaro e il valore sono due mondi separati, tangenti in alcuni punti ma non sistematicamente e organicamente connessi.
Fin che ci limitiamo a esperienze semplici (tanto guadagno dal mio lavoro, tanto spendo per comprare oggetti e servizi) sembra che denaro e valore siano la stessa cosa. Ma basta uscire un po’ dall’abituale seminato, od osservare i fenomeni in una prospettiva meno ristretta, per capire che non è vero.
In varie situazioni, anche recenti, si è parlato di ritorno all’economia del baratto.
Ma la sostanza del problema è un’altra.
Ci sono precise e rilevanti attività economiche che non si basano su scambi di denaro. Ci sono sempre state, continuano a esserci e possono in alcuni tipi di relazione assumere un’importanza maggiore che in passato.
L’economista Peter Drucker, più di dieci anni fa, ha analizzato nel suo Paese il valore del “volontariato”, e in generale delle attività non legate a pagamento in denaro.
Ne ha dedotto che il complesso di queste attività, se si proietta in “equivalenza monetaria”, pesa quanto tutto il bilancio pubblico e tutta l’economia privata negli Stati Uniti. E spesso ha livelli superiori di efficienza.
Tutti gli analisti concordano sul fatto che il “prodotto interno lordo” non misura con precisione l’economia perché tiene conto solo delle transazioni monetarie e non di infinite altre attività che producono valore senza muovere denaro (l’esteso “autoconsumo” nelle economie agricole è uno degli esempi più evidenti, ma non certo l’unico).
Insomma il denaro è una convenzione, una metafora, un’interpretazione simbolica del valore.
In sé non ha valore alcuno.
Una persona può avere molto denaro e morire di sete se si trova in un posto dove non c’è acqua, o dove chi ha l’acqua non è interessato a scambiarla con il tipo di “valuta” di cui quella persona dispone.
Oppure può non avere denaro ma ottenere ciò che cerca se è in grado di offrire qualcosa che qualcun altro apprezzi.
Sarebbe lungo entrare nei dettagli, o definire in modo più rigoroso le conseguenze di questo concetto.
Ma mi sembra chiaro che “il denaro non è tutto” e che ci possono essere, e infatti ci sono, importanti scambi di autentico valore (anche economico) che non coinvolgono passaggio di denaro. Cosa continuamente confermata dai fatti ma che tende a sfuggire a chi considera “verità rivelata” che la realtà dell’economia (e più in generale dei rapporti umani) sia tutta e sempre spiegabile e gestibile in termini monetari.
Dato che sono un profano, cosa mi dicono gli economisti del Fol di queste considerazioni dissacranti?
un saluto
mario