Analisi degli Usa

esperanza

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Riporto questa analisi di Jim Puplava per chiedere se la realtà
dei mercati finanzuari è davvero questa:

<Una volta gli americani risparmiavano tra il 10-12 per cento del loro reddito. Il debito è esploso negli ultimi venti anni e accelerato negli ultimi dieci. Non ha importanza se si tratta di debito del governo, debito dei consumatori o debito delle società; il debito ha raggiunto dei livelli mai visti prima. L’ammontare dei debiti americani in essere è pari a $34 trilioni o $119,442 per uomo, donna e bambino. Secondo Michael Hodges, del Grandfather Report, il 61% di questo debito, o $21 trilioni, è stato creato dal 1990 in poi. Contrariamente ai miti popolari, gli anni 90 non sono stati anni di risparmi e investimenti. Al posto dei risparmi e degli investimenti, gli americani hanno tagliato i risparmi sostituendoli con i debiti e i consumi.

Solvibilità dello Stato in dubbio
Il debito sta aumentando ad un tasso che supera di molto le entrate dello Stato. Questo problema solleva la questione della solvibilità dello Stato.

L’espansione del debito e dei consumi ci riporta a considerare la teoria economia classica, che si basava sul concetto di prosperità e collegava la prosperità ai risparmi e agli investimenti. Non si risparmia e non si investe più in questo paese. Abbiamo sostituito il concetto di risparmio e investimento con quello di debito e consumo.

L’enfasi che si dà alle politiche monetarie governative serve per consentire ai consumatori americani di prendere a prestito e spendere sempre di più in modo da far crescere l’economia. Negli ultimi cinquant’anni si è cercato continuamente di espandere credito e debito e di aumentare i consumi. Il risultato è che oggi noi americani risparmiamo poco, investiamo poco e consumiamo molto. In effetti, stiamo consumando tutta la nostra ricchezza.

Tutta la nostra attività industriale si sta trasferendo oltreoceano e il settore dei servizi si stanno trasferendo in India e Asia. Non siamo più autosufficienti per quanto riguarda l’energia, l’attività industriale o i capitali. Per finanziare il disavanzo della bilancia commerciale, gli Stati Uniti hanno bisogno di prendere a prestito e consumare l’80% per cento dei risparmi mondiali. Il risultato è che in cambio dei nostri consumi diamo agli straniere dei dollari che vengono poi usati per comprare i nostri asset come i Titoli del Tesoro, le obbligazioni delle società, le azioni e i beni immobili. E’ solo una questione di tempo prima che gli stranieri rifiutino di concederci a prestito i loro capitali. Non si può far funzionare un’economia, e neppure creare prosperità, sul debito. Gli Stati Uniti sono diventati una economia che si regge sulla carta. Pare che siamo molto bravi a creare carta, scambiare carta ed esportare carta.

Presto, questa politica cesserà di funzionare. Nei report economici, quando si mettono in evidenza i motivi della ripresa, si parla solo di un aumento della spesa dei consumi e, se siamo fortunati, di quello della spesa per gli investimenti di capitale. Cosa porterà questa spesa? Sarà prodotta da profitti maggiori? Non si possono spendere profitti pro-forma. La spesa per gli investimenti di capitale è il risultato ed è sostenuta da profitti reali e flussi di capitale, non da numeri fittizi redatti da contabili creativi. Il consumatore continuerà ad indebitarsi per sostenere spese ulteriori? >

Grazie.
 
beh, ti racconto un aneddoto reale.

Non mi ricordo il giorno esatto, ma era l'aprile del 2000. Tutti continuavano ad osannare al "ciclo infinito" con investimenti in azioni e GUAI a dire parole meno che acconsenzienti.

Beh, quel giorno il Nasdaq scese fino a -13% in intraday, e NON SI FERMAVA. Poi, ad un tratto, con volumi "notevoli", la discesa si fermò. Qualcuno ha vociferato di un intervento "governativo", perchè la crisi conseguente sarebbe stata peggiore di quella del 1929.

Orbene, eccomi al dunque.

1) Tutti, ma proprio tutti i mercati orso finiscono con volumi in aumento, ed in Usa questo non c'è stato.

2) La crisi economica è stata soprattutto in Usa, ma loro sono adesso ( 8900 ca nel momento in cui scrivo ), al 76% dei massimi, mentre la povera Europa sta galleggiando fra percentuali del 38% ( Germania) e del 50% ( Italia).

3) il CRB index è adesso a 236 ca, contro i 170-180 dei momenti di massima auge. Il Petrolio ha ripreso a salire dopo la sbornia del dopo-Iraq, già oltre i 30 Dollari/barile. L'Oro è quasi a 370. Il Dollar Index sta concedendosi una tregua, ma è in caduta libera...

4) Dopo un "notevole" recupero, l'ISM manufatturiero è ancora su "recessione" ( < 50 , da non dimenticare )

5) Il Caso IBM sta facendo vacillare la fiducia degli investitori americani nelle grandi società...

6) Least, but not Last, si ricordino le perdite enormi della Bank Of Japan per sostenere lo Yen contro mercato ... alla fine ha dovuto capitolare...


Il tutto lascia pensare che ESISTE LA POSSIBILITA' che il mercato Orso stia per finire CON UNA SPALLATA FINALE ...
 
Sarebbe importante capire quanto sarà grande la "spallata
finale" e quanto tempo ci vorrà poi per ritornare a salire.
E penso sia condivisibile da tutti che l'economia Usa
potrà tornare forte quando le persone avranno accumulato di
nuovo dei risparmi da poter spendere.
Non mi sembra che si possa parlare di economia sana se a girare
sono solo carte che coprono debiti.
La mia domanda in definitiva era questa:
Quanto è grande è il debito Usa,è tale da essere facilmente
riassorbito o è preoccupante?
 
per quanto riguarda l'ampiezza della spallata, a mio avviso potrebbe essere realistico pensare ad un atterraggio in orbita 6500-7000, e da lì ripartire.

Per quanto riguarda l'indebitamento, ha effettivamente raggiunto livelli preoccupanti. a tre anni fa le famiglie erano mediamente indebitate per l'80% del reddito annuo, se non vado errato.
 
La Fed taglia ed i mercati scendono
di Michele Pezzinga
26 giugno 2003 12.59

La FED taglia i tassi solo di un quarto di punto, e i mercati reagiscono negativamente. Ma forse qualcosa di simile sarebbe accaduto anche nell'ipotesi di quel taglio più aggressivo che molti auspicavano, o, peggio ancora, a fronte di un nulla di fatto. Non è dunque il caso di dare troppo peso ai movimenti a breve dei mercati, che comunque giungono dopo una lunga ed eccezionale galoppata nel caso dell'obbligazionario e un forte rimbalzo per quanto riguarda i listini azionari: i pretesti per una pausa e per fisiologiche prese di profitto in questa fase sono infiniti e spesso coincidono proprio con le più attese decisioni delle Banche Centrali.
Quella americana ieri ha voluto tenere la porta aperta ad almeno un ulteriore intervento prima di ricorrere alle cosiddette "misure non convenzionali" da accompagnare alle eventuali nuove riduzioni dei tassi. Forse è prevalsa l'idea di non voler bruciare troppo in fretta le ultime cartucce rimaste, o creare eccessivi allarmi sul quadro congiunturale, sospetti che il mezzo punto di taglio avrebbe sicuramente alimentato (da qui l'idea che la reazione dei mercati sarebbe stata ugualmente negativa, almeno a caldo). Quanto al messaggio contenuto nel solito breve comunicato che accompagna le decisioni del FOM C, si è sostanzialmente avuta una replica di quanto già detto all'inizio di maggio; solo la diagnosi era un po' diversa, allora si parlava di un quadro congiunturale deludente, incapace di riprendersi come previsto al termine del conflitto iracheno, stavolta di un'economia che "deve ancora mostrare una crescita sostenibile", ma come allora questa dovrebbe alla lunga riemergere, grazie anche ad una politica monetaria "leggermente più espansiva" (a maggio era definita "espansiva"). Ma a parte queste differenz e iniziali, il messaggio
finale è il medesimo: "La probabilità, anche se piccola, di un dannoso e sostanziale calo nell'inflazione eccede quella di un suo rilancio dai già bassi livelli attuali. In definitiva, il Comitato ritiene che quest'ultima preoccupazione sia destinata a prevalere nell'immediato futuro", un concetto analogo a quello espresso in maggio, sebbene allora si parlasse ancora in termini di "un bilancio di rischi ancora esposto verso quello della debolezza".
· Quanto ai dati economici resi noti ieri, trovano conferma le indicazioni giunte nelle ultime settimane: l'effetto tassi sostiene, anzi addirittura rilancia su livelli record l'investimento delle famiglie nel comparto residenziale, ma non riesce invece a smuovere l'attività delle imprese, visto che gli ordini di beni durevoli , al contrario di quanto atteso, sono continuati a calare anche in maggio. Analizzando nel dettaglio proprio questo dato, ad un –2,4% in aprile è seguito un altro –0,3% in maggio, una dinamica sfavorevole confermata anche nel caso dei beni d'investimento esclusi difesa e trasporti aerei (-0,5%, dopo un –2,6% in aprile); stavolta non ha nemmeno pesato il comparto auto (-0,1% soltanto, dopo il –3,5% di aprile) e il calo, relativamente generalizzato, non lascia affatto ben sperare per l'attività industriale del mese in corso. Le vendite di nuove case sono invece balzate ad un nuovo record storico, 1,157 mln di unità annualizzate, pari ad un +12,5% sul mese precedente e a un impressionante +18% rispetto ai livelli di un anno fa. Quanto alle vendite di case esistenti, sono anch'esse salite, ma di un ben più modesto +1,2% nel mese e +4,4% su base annua, battendo comunque le attese degli economisti. I prezzi medi di vendita sono lievitati del 2,2% nel mese, ma su base annua siamo su un tutt'altro che allarmante +7,1% che non giustifica affatto le psicosi di bolla speculativa. La discesa dei tassi finora ha favorito il settore, grazie al parallelo calo del costo dei mutui ipotecari e al boom delle domande di rifinanziamento (sebbene nell'ultima settimana queste siano calate di oltre il 10% dai livelli precedenti, sono ancora su livelli record, pari a 3.3 volte quelle registrate un anno fa), ma se i rendimenti obbligazionari a più lunga scadenza cominceranno a far fatica a scendere ancora, il meccanismo dei rifinanziamenti e del collegato beneficio sui consumi tenderà ad esaurirsi. Urge quindi un immediato riavvio dell'industria, con tanto di relativi investimenti e creazione di nuovi posti di lavoro; in caso contrario, il quadro rimarrà ancora precario e incapace di portare ad un rilancio uniforme e convincente dell'economia USA. Più che alla FED, che sta egregiamente facendo il suo dovere, l'attenzione andrebbe posta anche su variabili esogene quali il prezzo del petrolio, che per una scusa o un'altra non scende come auspicato (stavolta sono state le scorte USA, in improvviso calo, a provocare l'ulteriore risalita delle quotazioni), o la "geopolitica", che torna a creare qualche legittima apprensione vista la piega che sta prendendo (dal nostro punto di vista era comunque scontata) la gestione angloamericana dell'Iraq post Saddam Hussein. Per Bush e soprattutto Blair si preannunciano tempi duri sotto il profilo del consenso.




ora Bush dovrà smettere di spendere i $ americani (ne ha già spesi e stampati troppi) per gli investimenti militari dove la sua famiglia è ben esposta finanziariamente.......
fra un anno ci saranno le elezioni ... speriamo che gli americani questa volta possano eleggere democraticamente il loro Presidente che poi diventerà il re del mondo
 
Ultima modifica:
<Chi pensa che il rialzo attuale dei rendimenti di lungo termine sia anticipatore, coerentemente al rialzo del mercato azionario, di una ripresa economica, molto probabilmente sta commettendo un grossolano errore. Il rialzo corrente dei tassi infatti, a nostro avviso sta finalmente segnalando un aumento del rischio implicito nei titoli di stato americano riconducibile all’elevato deficit pubblico (siamo a 455B di dollari stimati per il 2003) e all’elevato deficit delle partite correnti (quasi 500B). Esso potrebbe anche essere indicatore di ulteriore inflazione, sia quella che da diversi anni è chiaramente riscontrabile nell’aumento degli aggregati monetari e creditizi, ma anche quella, comunemente intesa come aumento generico dei prezzi al consumo, che da qualche tempo si è tornati a riscontrare nella vita di tutti i giorni, nonostante gli indici dei prezzi al consumo riescano molto abilmente a riportare il contrario.

Non solo, in un ambiente altamente speculativo, dove l’economia si mantiene in un delicato equilibrio tra recessione e crescita anemica proprio grazie all’enorme liquidità disponibile sui mercati finanziari, un rialzo dei tassi di lungo termine rischia di prosciugare parte di quella liquidità e far precipitare velocemente l’economia dalla parte della recessione. Il primo settore ad essere colpito da un rialzo dei tassi è infatti proprio quello immobiliare. Negli ultimi tre anni l'apprezzamento del valore della casa ha rappresentato per gli americani un bancomat dal quale prelevare denaro a volontà, ovviamente a fronte di nuovo debito, al fine di sostenere i propri consumi e il proprio insostenibile tenore di vita, quello standard of living che Greenspan in replica al congressman Bernard Sanders ha tenuto a sottolineare, dimenticandosi purtroppo di definirne con adeguata cura le vere fonti, ovvero l’eccessivo ricorso al debito che da un paio di decadi caratterizza pesantemente il bilancio del cittadino americano medio.

L’entità dei prossimi movimenti dei rendimenti e le ripercussioni degli stessi nel settore immobiliare saranno quindi molto interessanti da seguire. Quanto accaduto nell’ultimo mese potrebbe rivelarsi lo scoppio irreversibile della bolla del mercato obbligazionario al quale potranno facilmente seguire sia lo scoppio della bolla immobiliare che, quindi, lo scoppio della echo-bubble del mercato azionario rigonfiatasi in questi ultimi mesi. Tale evento metterà alla prova decisiva i vari inflazionisti che guidano le economie di oggi e che alla sbornia di credito degli anni novanta hanno prescritto negli ultimi tre anni una cura basata sugli stessi ingredienti (sempre eccesso di credito e di moneta). Nonostante l'euforia finanziaria degli ultimi mesi dal punto di vista economico viviamo indubbiamente in tempi sempre più interessanti benché, purtroppo, sempre più pericolosi. >


Ho riportato quanto letto a proposito del rialzo dei tassi di interesse a lungo termine dei titoli di stato.
Ho bisogno dell'aiuto di qualcuno più esperto di me in economia per capirne il significato.
Grazie.
 
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