Andy WARHOL

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Andy Warhol è colpevole di plagio, secondo una discussa sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti. Il caso riguarda una serie di serigrafie che raffigurano il musicista Prince create utilizzando una fotografia scattata da Lynn Goldsmith, che a distanza di 38 anni ha deciso di sporgere denuncia per violazione di copyright e di “fair use”. La Radio della Svizzera Italiana ha dedicato a questa vicenda una trasmissione, parlandone con Andrea Raschèr, giurista specializzato in diritto d’arte svizzero e internazionale, che ho avuto il piacere e l’onore di avere tra i miei professori a Zurigo.

Al link si può ascoltare l’interessante trasmissione:

Andy Warhol colpevole di plagio
È uscita un'analisi davvero notevole su questo tema:

Andy Warhol Foundation v. Goldsmith: Commercialism v. Transformativeness
 
Entrambi i post sono molto interessanti 👍
Da quanto si legge, la questione riguarda l’utilizzo della fotografia di Prince (poi rielaborata) per lavori successivi a quello per cui era stato chiesto (e ottenuto) il permesso.
l’aspetto del four step test è stato considerato, ma non era oggetto del contendere. Almeno così l’ho capito io.

L’aspetto della appropriazione e trasformazione di immagini è alla base di tutta la poetica di Warhol.
Rappresentare la società, il quotidiano, il “pop”, attraverso l’utilizzo di immagini già conosciute dalla massa presuppone l’utilizzo di quelle immagini. Prese dalla pubblicità, dai magazine, dai giornali, dal cinema.
soprattutto agli inizi, negli anni ‘60, Warhol attinse sistematicamente a queste immagini perchè costituivano la base di partenza per fare la sua arte.
Già agli inizi venne citato per violazione del copyright: dalla fotografa dei Flowers (l’immagine che Warhol utilizzò proveniva da una rivista di giardinaggio), dal fotografo/reporter dei Birmingham Race Riots, dal fotografo dei funerali di JFK (dalle cui foto Warhol impostò tutto il ciclo delle Jackie.
In questi casi, e in molti altri, la questione si risolse con una transazione extragiudiziale.
Dopo gli anni ‘60, Warhol cominciò a prodursi da solo le immagini di partenza fotografando personalmente i suoi soggetti a cominciare da Mick Jagger.

La fotografia di Prince è degli anni ‘80 e in quegli anni Warhol era già ben conscio dei rischi associati al copyright. Infatti chiese il permesso, ottenendolo. Ma per UNA solo opera. L’errore fu produrre un’altra decina di tele senza chiedere l’estensione del permesso.
 
Il New York Times di oggi non è d'accordo con la decisione della Corte Suprema, o almeno non lo è Richard Meyer, professore di storia dell'arte alla Stanford University e autore dell'articolo, che ho fatto tradurre da Google:

La Suprema Corte ha sbagliato.

In una recente decisione 7 a 2, il tribunale ha stabilito che Andy Warhol ha violato il copyright di Lynn Goldsmith quando, nel 1984, ha usato la sua fotografia della pop star Prince come immagine di partenza per una serie di ritratti serigrafici. Da un punto di vista legale, la sentenza era relativamente ristretta: si concentrava sul fatto che la Warhol Foundation aveva concesso in licenza il "Principe arancione" di Warhol per la riproduzione su una rivista, lo stesso scopo che Goldsmith si prefisse per la fotografia originale. Le era quindi dovuta una parte di tale diritto di licenza.

Come storico dell'arte e studioso di Warhol, mi è stato chiesto di scrivere un amicus brief per conto della Fondazione. Ho sostenuto che i ritratti di Warhol hanno trasformato la fotografia di Goldsmith (in scala, composizione, mezzo, colore ed effetto visivo complessivo) a tal punto da qualificarli come "fair use", una dottrina che, in nome della libertà di espressione, consente l'adattamento di materiali protetti da copyright in condizioni particolari.

C'è molto di Warhol e della questione dell'originalità, tuttavia, che ho lasciato fuori dal mio brief. Ora che il caso è stato deciso, posso condividere ciò che non ho detto alla Corte Suprema. In modo più evidente, non ho detto che il fair use, sebbene necessario come dottrina legale, non fa nulla per aiutarci a comprendere l'arte di Warhol.

Nel corso della sua carriera, l'artista non si è preoccupato del diritto d'autore ma del diritto alla copia, che vedeva sia come un metodo creativo che come un progetto per vivere. In un'intervista del 1963, Warhol osservò: i miei dipinti per me. Sebbene non esternalizzasse tutti i suoi dipinti, spesso si rivolgeva ad amici e assistenti per realizzare una parte del processo artistico, che si trattasse di stampare, ritagliare, intitolare o persino concepire il suo lavoro. "Non sono mai stato imbarazzato", ha commentato una volta, "di chiedere a qualcuno, letteralmente, 'Cosa dovrei dipingere?' perché il pop viene dall'esterno" - nel senso che nasce da idee e immagini esterne piuttosto che dalla visione unica dell'artista. "E in che modo chiedere idee a qualcuno è diverso dal cercarle su una rivista", ha detto Warhol.

La sua dipendenza da fonti esterne si estendeva ben oltre la sua arte. Quando era stanco di essere se stesso, a volte Warhol chiedeva ad altri di entrare nel ruolo. Nel 1967 assunse l'attore Allen Midgette per interpretare Warhol in un tour nazionale di conferenze. Quando, dopo le prime lezioni, lo stratagemma fu smascherato, Warhol rispose: "Era più bravo di me". Dal punto di vista dell'artista, Midgette non era solo più brava a fare commenti e rispondere alle domande di un pubblico. Era più bravo a essere Warhol.

La copia che supera l'originale era una componente centrale della sensibilità di Warhol. Ha ripetuto e rifatto le fotografie trovate in dipinti e stampe vibranti che sono stati a loro volta ripetuti con vari gradi di differenza visiva. Quando emerse sulla scena delle gallerie negli anni '50, la riproduzione di immagini popolari e di consumo nelle belle arti era ritenuta indicibilmente volgare. Nel giro di pochi anni, però, sia il mondo dell'arte che la sfera commerciale riconobbero il valore del Pop.

Un aneddoto che racconto spesso ai miei studenti è rilevante qui: nel 1967, la Campbell's Soup Company inviò una lettera a Random House, che presto avrebbe pubblicato un libro su Warhol che includeva diverse riproduzioni dei suoi famosi dipinti di lattine di zuppa. Secondo la lettera, la società non ha visto alcun conflitto di copyright tra il logo di Campbell e il suo riutilizzo da parte dell'artista. (In effetti, i suoi dipinti erano stati utili per gli affari.) Tuttavia, fu specificato un avvertimento importante: Warhol non poteva dipingere copie del logo su veri barattoli di zuppa, poiché ciò lo avrebbe messo in diretta concorrenza con l'azienda. Warhol fu felice di obbedire. Dopotutto, stava facendo arte, non zuppa.

I fan delle apparizioni pubbliche di Warhol iniziarono a portargli veri e propri barattoli di zuppa Campbell da fargli firmare, poiché gli oggetti erano diventati così strettamente associati a Warhol da fungere da surrogati già pronti per il suo lavoro. Il materiale originale e le opere d'arte avevano, per così dire, scambiato di posto.

Verso la fine della sua carriera, Warhol si concentrò sui ritratti serigrafati di celebrità, persone mondane, magnati dell'industria e chiunque altro avesse il compenso richiesto: $ 25.000 per il ritratto e $ 15.000 per ogni pannello aggiuntivo in colori contrastanti, in genere visualizzato accanto al primo. Essere interpretato dall'artista doveva essere trasformato in un "Warhol". Un metodo artistico basato sulla ripetizione e l'appropriazione è diventato, paradossalmente, il suo stile distintivo.

Warhol prevedeva un futuro in cui gli artisti non partissero dall'idea di una tabula rasa ma da una società traboccante di immagini e informazioni. Quel futuro è il momento in cui viviamo ora, quando gli artisti contemporanei attingono liberamente da fotografie preesistenti e oggetti materiali, inclusi, ovviamente, rendering digitali. I nostri doppi warholiani non sono attori che si presentano come versioni migliori di noi: abbiamo profili su Instagram e Twitter per soddisfare tale scopo.

Persistono controversie legali sull'appropriazione visiva, comprese le azioni legali contro gli artisti Barbara Kruger, Jeff Koons e Richard Prince, l'ultimo dei quali è attualmente coinvolto in due casi di violazione del copyright riguardanti il suo uso non autorizzato delle foto di Instagram. Queste controversie non hanno quasi inibito la pratica dell'appropriazione creativa di cui Warhol è stato il pioniere. Al contrario, è diventato più diffuso solo dopo la sua morte nel 1987.

Dato il desiderio di Warhol di andare oltre i limiti dell'autoespressione, si può solo immaginare la gioia che avrebbe provato nell'applicare l'IA generativa. all'art. Il suo famoso desiderio espresso - "Voglio essere una macchina" - non è mai stato più vicino alla realizzazione di quanto lo sia oggi. Nuove tecnologie e software come ChatGPT rendono sempre più difficile distinguere i prodotti dell'intelligenza umana da quelli della simulazione artificiale. Warhol avrebbe assaporato un problema del genere (in un modo in cui i professori universitari che valutano i compiti degli studenti non lo fanno).

Warhol è stato molto originale nel modo in cui ha smantellato l'idea di originalità. Non ho incluso questa formulazione nel mio brief per paura che fosse troppo astrusa. Come si è scoperto, c'era qualcuno molto più centrale nel procedimento che ha capito abbastanza chiaramente il punto. Nel suo appassionato dissenso, il giudice Elena Kagan scrive: “Warhol è una figura imponente nell'arte moderna non nonostante ma a causa del suo uso di materiali originali. Il suo lavoro - che si tratti di Soup Cans e Brillo Boxes o Marilyn and Prince - ha trasformato qualcosa che non era suo in qualcosa di tutto suo. Solo che è diventato anche tutto nostro, perché la sua opera oggi occupa un posto significativo non solo nei nostri musei ma nella nostra più ampia cultura artistica».

Warhol non frega né trascende le sue fonti. Li conserva come immagini residue tremolanti e ripetibili mentre cambia drasticamente il loro aspetto ed effetto pittorico. Questo è ciò che trasforma "qualcosa che non è suo in qualcosa di tutto suo". Le immagini brillanti di Warhol leggermente fuori posto, Day-Glo, cambiano il modo in cui guardiamo alle celebrità e alla cultura del consumo. Il suo lavoro, al suo meglio, ci trasforma.

Quando la dottrina del fair use fu codificata nel 1976, Warhol era l'artista vivente più famoso al mondo e aveva realizzato i suoi dipinti serigrafici più famosi. Se avesse saputo del fair use, l'artista probabilmente non si sarebbe preoccupato delle ripercussioni legali. La sua opera, come tutta la buona arte, non è stata creata per rispettare la legge.

© The New York Times
 
Non riguarda Warhol, ma questioni di copyright. La notizia è ripresa più o meno ovunque quindi di certo l'avete già letto, sulla "banana" di Cattelan.
Dal sole 24 ore online

Il Tribunale federale di Miami, in Florida, si è pronunciato a favore di Maurizio Cattelan, riconoscendo all’artista padovano il diritto d’autore sulla sua opera Comedian, la discussa banana attaccata al muro con il nastro adesivo, venduta nel 2019 alla fiera Art Basel Miami Beach per 120mila dollari. Joe Morford, artista statunitense che sostiene di essere stato il pioniere dell’atto di attaccare la frutta alle pareti con il nastro adesivo nel 2000, aveva promosso una causa civile contro Cattelan, sostenendo che quest’ultimo si sarebbe ispirato per Comedian alla sua opera Orange and Banana, in cui versioni in plastica di questi frutti erano state attaccate a pannelli su una parete con il nastro adesivo.

La decisione del giudice distrettuale Robert Scola sottolinea che non c’erano prove sufficienti che Cattelan avesse visto la composizione di frutta di Morford. In ogni caso, secondo il giudice Scola, il concetto condiviso dalle opere, «l’apposizione di una banana su un piano verticale utilizzando del nastro adesivo», non è protetto dalla legge sul copyright. Il giudice ha notato le differenze significative tra le opere, soprattutto «l’angolo in cui la banana è stata collocata» e «gli standard esigenti che Cattelan ha sviluppato per l’esposizione di Comedian.
Se si decidesse altrimenti, si limiterebbe ulteriormente il numero già limitato di modi in cui una banana può essere legalmente attaccata a un muro senza violare l’opera di Morford», ha dichiarato Scola a proposito della sua decisione. La decisione di Scola è arrivata alcune settimane dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che la serie Prince di Art Andy Warhol ha violato il diritto d’autore detenuto dal fotografo Lynn Goldsmith, che aveva scattato la foto alla popstar di Minneapolis su cui si basava la serigrafia del maestro della Pop Art.

aggiungo io: insomma è tutta questione di come l'attacchi al muro :D:wall:
Ma poi mi chiedo, in quella fiera che cosa hanno venduto?
 
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