Armi da fuoco, bianche, contundenti, di difesa, etc. Etc....

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'Dominguin, l' ultimo torero'

Andava a sfidare la morte senza pregare nessun santo. Senza paura, senza portafortuna o amuleti. Lucia Bosè ricorda gli anni di fuoco vissuti da moglie del torero. Ricorda l' angoscia, la grandezza, il cuore in tumulto. Ma anche la lievità con cui Dominguin scendeva nell' arena a condurre il suo ballo stretto, geometrico, sprezzante attorno al toro ipnotizzato.

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«Non c' era nessuna liturgia speciale prima della corrida. Lui non era superstizioso, non aveva nessun portafortuna. Non pregava mai, e per questo fu molto criticato. Era l' unico torero al mondo che non avesse il suo santo protettore, un' immagine sacra, una statuina da mettere sul comò nella stanza in cui il mozzo di spada procedeva alla sua vestizione...la corrida per lui era una cosa normalissima. Come ci salutavamo quando lui usciva per andare alla plaza de toros? Ciao, ciao. Tutto qui. Come se fosse un operaio che andava a lavorare in fabbrica, la cosa più normale del mondo. Come un atleta che va a fare i suoi allenamenti, o come un attore che va a girare un film, o a recitare in teatro... I toreri non parlano alle mogli del loro lavoro e le mogli non osano chiedere...Era di una bellezza che colpiva dritto al cuore, una bellezza molto maschile, molto virile...Direi: il carisma di una persona che tutti i giorni si gioca la vita...La sua fu una corte spietata. E un giorno, senza neanche darmi un bacio, mi disse: ci sposiamo».

Per lui rinuncia alla carriera, al successo, al suo Paese, agli amici. Per lui vive reclusa in una villa da miliardari con quattordici persone di servizio e senza il permesso di uscire da sola neppure per andare dal parrucchiere. Durano tredici anni le loro nozze prima che nel 1968 la paziente moglie italiana decida di chiudere. Sul suo corpo elegante e nodoso Dominguin aveva 143 cicatrici. «Ogni ferita del mio corpo porta il nome di una donna: i tori lo sapevano ed erano gelosi», dirà.

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L’usanza di lottare coi tori, conosciuta in Spagna come “corrida de toros” che significa “corsa dei tori”, risale al tempo degli antichi giochi greci, etruschi e romani. In genere in ogni corrida si alternano 3 toreri e 6 tori per circa 2 ore.
Lo “scontro” inizia con il “matador” (torero) che spinge il toro verso il “picador” (torero a cavallo). Quest’ultimo, colpisce ripetutamente con un’asta – la “pica” – dietro il collo dell’animale per impedirgli di muovere la testa. Dopo giunge il turno dei “banderilleros“, che conficcano nel corpo dell’animale già stremato e sanguinante una serie di banderillas, dei piccoli arpioni di legno coperti di carta colorata dotati di un rampone per attaccarsi al dorso del toro.

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Infine arriva il momento dello show del matador, che istiga il toro con la famosa muleta (il telo rosso). Il gioco continua finché il toro non si inginocchia a terra, sfinito e in preda ad un’atroce sofferenza. Per finire il matador conficca l’estoque (spada) tra le scapole dell’animale, uccidendolo tra gli applausi concitati della folla.


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In uso da parte dei patrioti ucraini: gli Stinger

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Si tratta di un sistema missilistico di difesa contraerea di tipo leggero, portatile: può essere impiegato appoggiandolo su una spalla.
Quest'arma destinata all'attacco terra-aria consente di combattere gli elicotteri degli aggressori che volano a bassa quota.

Il missile lanciato è equipaggiato di una testa di ricerca IR/UV passiva e lavora secondo il principio dei missili DCA con ricerca automatica dell’obiettivo («fire and forget»).


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Nel 2001 è stato introdotto il dispositivo di puntamento a immagine termica che consente una maggiore flessibilità durante l’impiego anche in condizioni di cattiva visibilità (di notte, o con il maltempo). Con l’acquisizione di un sistema d’allarme (ALERT) è stata realizzata l’ultima fase di sviluppo per una capacità d’impiego 24 ore su 24.
Fabbricante: Raytheon, USA


L'efficacia dei missili Stinger ucraini contro la flotta aera russa: cosi riescono ad abbattere un cacciabombardiere e un elicottero - La Stampa
 
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Manolete è diventato un torero professionista all'età di 17 anni.

Per un decennio Manolete è stato un eroe culturale spagnolo, guadagnando 4 milioni di dollari in otto anni negli anni '40. Il suo culto era favorito da bambole che portavano la sua immagine, canzoni in suo onore, un liquore chiamato Anís Manolete e testimonianze. Era così prezioso dal punto di vista finanziario per agenti, promotori, allevatori di tori e inserzionisti che nessuno voleva che venisse incornato o ferito in alcun modo. Per questo motivo, molti dei tori che ha affrontato erano arreglados ("arrangiati" o alterati con le corna accorciate - le corna rasate danno un evidente vantaggio al matador). Nonostante questa pratica (illegale sebbene comune nella corrida all'epoca), la maestria e l'abilità di Manolete erano fuori discussione e si colloca tra i più grandi toreri della storia.

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Manolete si è esibito fino a 100 volte l'anno e 11 volte è stato incornato male. Quando ha annunciato la sua intenzione di ritirarsi, è stato spinto a una stagione finale, combattendo i tori più grandi. In una corrida a Linares ha fatto coppia con il suo giovane rivale Dominguín , che si è comportato bene con il primo toro. Il secondo toro di Manolete era Islero, del ceppo Miura. Al momento dell'uccisione, mentre Manolete affondava la spada nel toro, fu incornato a morte. La sua morte ha causato lutto nazionale. I titoli dei giornali annunciavano: "È morto uccidendo e ha ucciso morendo!"


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"...L'amore ci si parò dinanzi come un assassino sbuca fuori in un vicolo, quasi uscisse dalla terra, e ci colpì subito entrambi.
Così colpisce il fulmine, così colpisce un coltello a serramanico!"

(Michail Bulgakov, n. 1891 a Kiev, da Il Maestro e Margherita)


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Ucraina

La Šaška (in russo: Шашка[SUP]?[/SUP], traslitterato anche Shashka) è un tipo particolare di sciabola originaria della zona del Caucaso. È una spada monofilare molto solida, priva di guardia e con impugnatura ad una mano. Nella forma, la šaška è a mezza via tra una vera sciabola ed una spada a lama diritta. La lama, presente sia nella versione scanalata che non, ha una curvatura poco accentuata, così l'arma può offendere sia di punta che di taglio con buona efficacia. L'elsa era genericamente molto decorata. Il fodero, in legno, racchiudeva parte dell'elsa. A differenza della sciabola, la šaška veniva portata con il taglio rivolto verso il posteriore.



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La šaška iniziò ad essere prodotta tra le tribù del Caucaso tra il XII ed il XIII secolo[SUP][1][/SUP]. Si trattò quasi certamente dell'opera di fabbri della tribù Adighè della Circassia: Shashkwa (Шашькуэ) significa appunto "lungo coltello" nella lingua adighè. Successivamente, l'arma si diffuse tra i cosacchi dell'Ucraina.
L'esercito russo incontrò la šaška durante le campagne per la conquista del Caucaso. Ritenendola migliore rispetto alle sciabole d'ordinanza, i soldati dello Tsar iniziarono a servirsene. La šaška entrò in uso presso i corpi russi di stanza nel Caucaso a partire dagli Anni '30 del XIX secolo. Nel 1882, quando la cavalleria dell'esercito russo venne riorganizzata, la šaška diventò l'arma d'ordinanza per i corpi dei dragoni. Ancora in uso nel XX secolo (la cavalleria dell'Unione Sovietica era armata di šaška durante la seconda guerra mondiale), la šaška era divenuta arma d'ordinanza per tutti i corpi di cavalleria russi: filmati dell'epoca riportano gli esercizi dello zar Nicola II di Russia (1868-1918) mentre carica armato di šaška un palo per allenare il fendente di decapitazione da cavallo. Arma d'etichetta per i generali russi a partire dal 1940, tale rimase fino al 1968.


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I cosacchi (in polacco kozacy; in russo: казаки?, traslitterato: kazaki; in ucraino: козаки?, traslitterato: kozaky; forse dalla parola turco-tatara qazaq', nomade o uomo libero) sono un'antica comunità militare che vive nell'Europa orientale, in maggioranza nella steppa ubicata tra Ucraina e gli zarati del nord est.
Inizialmente con tale termine furono individuate le popolazioni nomadi tatare delle steppe del sud-est della Russia. Tuttavia, a partire dal XV secolo, il nome fu attribuito a gruppi di slavi (per lo più slavi e slavi ucraini)[non chiaro] che popolavano i territori che si estendevano lungo il basso corso dei fiumi Don e Dnepr (questi ultimi erano noti come cosacchi dello Zaporož'e); in questo senso, i cosacchi non costituiscono un gruppo etnico vero e proprio. Altre zone di colonizzazionesuccessiva furono la pianura ciscaucasica (bacini dei fiumi Kuban' e Terek), il basso Volga, la steppa del bacino dell'Ural e alcune zone della Siberia orientale nel bacino del fiume Amur.
Il termine "cosacco" apparirebbe per la prima volta nel 1395, nelle Cronache della Repubblica di Novgorod, oppure secondo altri storici solo nel 1444 in un manoscritto russo, per designare soldati mercenari nomadi e liberi (ovverosia non soggetti agli obblighi feudali) che spesso offrivano i loro servigi ai vari principi.
Durante la guerra civile russa (1918-1922) i cosacchi, che inizialmente avevano appoggiato la rivoluzione contro lo Zar, si schierarono in gran parte con le Armate Bianche in opposizione ai bolscevichi, mentre nella seconda guerra mondialelottarono invece sia per gli Alleati sia per l'Asse.
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Carta della «Tartaria d'Europa» del 1684, contenente «le due Ukraine, una abitata da Cossachi Tanaiti soggetti al Moscouita, l'altra da Cossachi di Zaporowa, ora liberi e già dipendenti dalla Polonia»
 


Ah sì, ben mio, coll'essere io tuo
Tu mia consorte
Avrò più l'alma intrepida
Il braccio avrò più forte
Ma pur, se nella pagina
De' miei destini è scritto
Ch'io resti fra le vittime
Dal ferro ostil trafitto
Fra quegli estremi aneliti
A te il pensier verrà, verrà

Il Trovatore -Ah sì, ben mio

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Un chicco d’uva passeggia allegro: “Sono un chicco d’uva, sono un chicco d’uva!!!”.
Incontra una mela, e le chiede: “Mela, mi fai passare?” e lei: “Sì, sì, prego, passa pure!”
Poco più in là incontra una pera: “Pera, mi fai passare?” e lei: “Certo, certo, vai pure!”
Poi incontra un fico: “Fico, mi fai passare?” e lui: “No, torna indietro!”
E il povero chicco d’uva si deprime e torna indietro.
Il giorno dopo e per molti giorni a venire, la solita solfa, il chicco d’uva contento passeggia,
incontra la mela e la pera che lo fanno sempre passare, lo fanno passare, e invece il fico lo manda sempre via.
Allora un giorno il chicco d’uva parte, incontra la mela e lo fa passare, incontra la pera e lo fa passare….
poi arriva davanti al fico, che gli dice: “No, qui tu non passi”.
Il chicco d’uva allora estrae un fucile enorme e spara al fico e urla: “Fico secco, uva passa!”.



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„Il cinema: una donna nuda e un uomo con la pistola.
Qualcosa a metà tra l'orologeria di precisione e la tratta delle bianche.
I cinematografi: supermercati che vendono amore e paura.“

Dino Risi
 

Allegati

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Con una grossa pipa da marinaio in bocca, gli stivali ai piedi, e un setter che gli correva avanti,
l’uomo calpestava il terreno ghiacciato salendo lento un sentiero erboso sul monte Amagi, all’inizio
d’inverno. Venticinque cartucce nella cintura, una giacca di pelle marrone bruciato, e un fucile, un fucile da caccia,
un Churchill a doppia canna. Cos’era a fare di lui un freddo guerriero, armato d’acciaio bianco e splendente
per uccidere le creature? In quel rapido incontro qualcosa nell’alta figura del cacciatore di spalle mi attrasse
con forza inspiegabile.
Da quel giorno all’improvviso mi accade nelle stazioni delle città, nelle strade affollate di notte,
di pensare: Ah, potessi camminare anch’io come lui! Con quel passo così lento, calmo, freddo.
E ogni volta nei miei occhi chiusi a fargli da sfondo non è il ghiacciato paesaggio del monte Amagi all’inizio d’inverno
ma il bianco alveo di un fiume desolato, chissà dove.
Il suo fucile da caccia, lucido e splendente, gli preme sul fianco scavando nello spirito solitario, nella carne solitaria
di quell’uomo di mezza età.
E una strana bellezza, umida di sangue, emana da lui in quei momenti, invisibile mentre punta il fucile sulle sue
prede.


Inoue Yasushi, Il fucile da caccia



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Cosacche: fiere e libere. Vanno a cavallo e usano la spada

Le cosacche, nate schiave e sottomesse al marito, vanno a cavallo e usano la spada come gli uomini.
Anche se nella steppa non è rimasto più spazio per il galoppo. Le cosacche sono fiere, indomabili,
libere (la parola kazak tradotta dal turco significa "uomo libero") e pronte a dar la vita, come quelle
del "Battaglione della Morte", che morirono per lo zar durante la guerra civile russa.

Dal 2006, a Belaja Kalitva, nella regione di Rostov, che dal 1991 è il cuore della rinascita cosacca in
Russia, per la prima volta un collegio per cadetti militari ospita 80 ragazze a tempo pieno.
Il colonnello Jurij Leonov, direttore della scuola, confessa che sono più brave dei maschi nello studio,
e alla pari negli sport. Per cadetti e cadette sono previste stesse materie di addestramento fisico:
equitazione, alpinismo, parapendio, immersioni, combattimento corpo a corpo, judo, corsi di sopravvivenza
e addestramento tattico, gare di lancio di coltelli e tuffi.
Nel collegio militare si formano delle autentiche cosacche.


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Con la sua arma, un Savash calibro 300, cerca di abbattere gli aggressori centrandoli da distanze anche di tre chilometri.

E' una donna, Julia, la più famosa cecchina ucraina, detta Bilka (scoiattolo).
Mamma di tre figli, il marito è in prima linea, al suo fianco. "I ragazzi sono con mia madre e il bancomat. Li sento, hanno paura, ma sanno che lo stiamo facendo per loro. Sono orgogliosi".

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Riferisce che i soldati russi sono tantissimi, paragonabili "agli orchi dei videogiochi dei miei figli. Più ne eliminiamo e più ne arrivano". E' la lotta di Davide contro Golia, ma il popolo ucraino si è ribellato a chi ha invaso la sua terra, le sue case. E non molla di un metro.

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"Si mettono in colonna, con i tank e la logistica. Una coda lunga chilometri. Se li attacchi da terra mentre sono in formazione sei morto. Quando invece passano all’attacco, allora si dividono in unità più piccole e a quel punto sono più aggredibili"
 
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"E chi? Chi, signori della corte? Chi, in questa frettolosa disamina dei fatti potrebbe oggi
baldamente rievocare l'orrore da cui fu invasa la vista dell'imputato a quello spettacolo?
I due amanti giacevano lì, immondamente abbracciati, nell'espressione più turpe del
loro peccato, lì sul divano della sua casa onorata. Egli restò impietrito. Egli cercava, sì,
cercava una spiegazione, forse cercava addirittura un miracolo che cancellasse quella
terribile visione ai suoi occhi. O forse cercava le parole... le parole che potessero
esprimere il suo pianto, il suo dolore. E invece trovò un'arma, una vecchia pistola
dimenticata chissà da quanto tempo in un vecchio mobiletto..
. [Ferdinando cambia
idea sul luogo dove nascondere la pistola] E invece trovò un'arma, una vecchia pistola
dimenticata chissà da quanto tempo in una vecchia console rococò, Settecento napoletano,
forse rifatto nell'Ottocento."

(Avvocato De Marzi) [voce fuori campo]Divorzio all'italiana, film italiano del 1961


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«È la prima volta che mia moglie mi tradisce con il cuore, ma sono sicuro che le passerà»

Sono le 4 del mattino del 30 agosto 1970, quando il marchese Camillo Casati Stampa, conclusa una battuta di caccia presso la tenuta di Valdagno, in Veneto, telefona alla propria abitazione romana per parlare con la bella moglie Anna Fallarino. L’ora è insolita, ma il marchese ha buone ragioni per essere irrequieto. Dall’altro capo del filo gli risponde Massimo Minorenti, uno studente di 25 anni che conosce bene, benché questa familiarità non gli dia il diritto di stare con sua moglie condividendone il letto matrimoniale. Almeno quando lui è assente.
Appende il telefono e richiama, stavolta è Anna a degnarsi di rispondere. Dopo averla inondata di minacce, il marchese riattacca di nuovo il telefono e si precipita a Roma. Arriva di sera al suo superattico in via Puccini, nell’elegante quartiere Parioli. Spiega ai cinque domestici che si chiuderà in salotto con la moglie e il giovane Massimo: qualunque cosa accada, nessuno lo dovrà disturbare.
Da una stanzetta adibita ad armeria prende una carabina Browning calibro 12, va infine nel salotto per sparare tre colpi alla moglie e due all’amante. Usa l’ultimo proiettile in canna per suicidarsi.

“Amore mio, vita mia, perdonami, ma quello che farò lo debbo fare. Addio, mia unica gioia passata”.


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Milano, 26 giugno 1984. Terry Broome, un’aspirante modella americana ventiseienne, uccide con una pistola Smith & Wesson calibro 38 il playboy Francesco D’Alessio, di 40 anni.

Questo delitto segna un’epoca, perché siamo negli anni del boom del made in Italy, proprio nella capitale della moda, in quella che, con lo slogan di una famosa pubblicità dell’epoca, ancora oggi viene ricordata come la “Milano da bere”.

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La ragazza inizia una relazione con Giorgio Rotti, trentunenne proprietario di una famosa gioielleria milanese. È un tipo grassoccio che va sempre in giro con una pistola Smith & Wesson infilata nella cintura.
I due passano le serate nelle ville della Brianza, dove incontrano gli amici per fare sesso. La si potrebbe definire una coppia aperta.

Una sera, il noto playboy quarantenne Francesco D’Alessio vede Terry e ci fa un pensierino. Francesco è alto un metro e novanta, bello, biondo e, soprattutto, molto ricco. Nato a Roma, è figlio dell’avvocato Carlo D’Alessio, il più importante allevatore italiano di cavalli purosangue. Francesco D’Alessio assilla Terry Broome con decine di telefonate e approcci volgari.
Lei, però, a trasgredire con quel personaggio ossessivo non ci pensa proprio.



Francesco D’Alessio, sempre più offeso nell’amor proprio, si sfoga raccontando in giro cose assurde dell’“americana”.
La sera prima del delitto, fa il consueto giro dei locali, partendo da uno dei più noti, il Nepentha. Ubriaco, inciampa proprio sul tavolo di Terry e Giorgio, minacciando quest’ultimo di spaccargli la faccia.

Per non assistere alla scenata, Terry va in bagno, ma Francesco la segue e, lì dentro, le fa ancora proposte oscene. È la goccia che fa traboccare il vaso, come dirà lei al processo. Non avrebbe accettato altre umiliazioni.

Quella notte, a sorpresa, Terry Broome telefona a Francesco D’Alessio dicendogli che andrà a trovarlo
nella casa di Carlo Cabassi, titolare di un’agenzia di modelle, nella quale lui è ospite.
Prima di uscire, Terry prende di nascosto la pistola di Giorgio e se la mette in borsetta. Alle 6.30 del mattino, nella casa milanese di Cabassi in corso Magenta, Terry si unisce alle bevute di bourbon di Francesco e Laurie, un'altra modella. Poi i tre sniffano coca: per Terry è la quinta tirata in quella giornata.

Infine Terry e Francesco si appartano in camera da letto, mentre l’altra modella rimane in salotto e poi va in bagno: non vedrà niente di quello che sta per accadere.
Nella camera, a un certo punto, Terry esplode due colpi di pistola, che finiscono contro il muro. Secondo le ricostruzioni, comunque prive di testimonianze oculari, Francesco scappa nell’atrio mentre lei lo insegue con la Smith & Wesson in pugno.

Quando lui si volta di scatto, Terry gli spara al petto. L’uomo, benché ferito, riesce ad afferrarle il polso nel disperato tentativo di toglierle l’arma, allora lei spara un colpo a vuoto e poi un altro che lo colpisce alla tempia.

Lo scrittore Umberto Simonetta aveva commentato: “L’ambiente dei playboy, delle modelle, dei ragazzi che non sono più tanto ragazzi, viziati e pieni di soldi, esiste ancora. È il male della Milano bene. Più che il male è l’*********tà, la vicenda di Terry Broome è popolata da gente *********”.

Terry viene condanna a 14 anni di carcere per omicidio volontario, ma non premeditato. Quando nel 1992 ottiene la libertà completa non ha più niente della ragazza sbandata di quasi otto anni prima.
«Sono risorta grazie al carcere, adesso torno dai miei genitori negli Stati Uniti. Mi è andata bene, in patria mi avrebbero condannata a morte».


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Il pioniere del rock Jerry Lee Lewis ha esibito un modo di vivere semialienato nel corso della sua lunga carriera.
Egli sposò la cugina tredicenne Myra Gale Brown mentre era ancora sposato con un'altra donna, sparò per sbaglio
colpendo al torace un membro della sua band, e venne spesso rinchiuso in ospedali psichiatrici
per aver estratto
la pistola quando era ubriaco, per avere aggredito i suoi fans e per aver fracassato macchine costose.


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Alexander «Skip» Spence (1946-1999), batterista originale dei Jefferson Airplane, ha fatto centinaia di viaggi con
l'LSD e alla fine divenne pazzo. Egli tentò di colpire con un'ascia un suo collega e venne rinchiuso in un manicomio
per un certo periodo di tempo.

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Quando non è ricoverato nell'ospedale psichiatrico di San Jose, Spence passa le sue notti al Maas Hotel.
Qualche volta parla a Giovanna d'Arco. Una volta ha ricevuto una visita da parte di Clark Kent che Spence ha definito
"cortese, decoroso e un genio".
Dice Spence nella sua autobiografia: "Sono un derelitto. Sono un redentore del mondo. Sono un tossico. Sono il rock"»


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JACK KEROUAC, Hitchhiker (Autostoppista).

"Vorrei tanto arrivare a vedere il sole californiano" -
Bum. Forse è quest'orrendo impermeabile
che mi fa assomigliare tanto ad un perdente immaginario
gangster suicida, ad un ****** in un
soprabito pietoso, come fa la gente a capire
i miei zaini umidi - i miei zaini infangati -
"Guarda, Joh, un autostoppista"
"Ha l'aria di nascondere una pistola sotto
quel soprabito della Sant'Antonio"
"Guarda, Fred, quel tale sul ciglio della strada"
"E' un assatanato la cui foto è stata pubblicata
su un numero di Sex Magazine del 1938" -
"Sei stato tu a trovare il suo cadavere blu in una
edizione sottobanco, con macchie d'ascia"



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Jim Morrison e Pamela Courson: uno dei grandi amori maledetti del rock. La rossa per eccellenza, bellissima, appassionata di pistole, figlia anche lei di un militare di carriera come Jim, l'unica che sapeva tenergli testa.
Dai Doors all'addio di Jim nella vasca da bagno a Parigi che lei seguirà due anni dopo morendo di overdose.
“A meno che non si tratti di un omicidio, poco importa come sia morto – un’overdose di qualcosa, un infarto, o semplicemente si sia ubriacato a morte (come in molti dapprima sospettarono). La questione di fondo resta quella del ‘suicidio’.
In un modo o nell’altro, Jim è morto per autodistruzione, e scoprire in quale maniera è solo questione di determinare il calibro della metaforica pistola che lui stesso si è puntato alla tempia”.


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A cosa vi serve una rivoltella? [...]
Per imparare ad avere fiducia negli uomini.

(Paulo Coelho)
 

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LEV E ZAMBULAT

Inutilmente ci cercate, cari.
Non è rimasto niente di noi due.


Stavamo insieme, Zambulat e io.
Quelli urlavano, con il mitra in mano.
«Le mani alzate! Vi uccidiamo tutti!...»
E ammazzarono Andrei, perché piangeva,
e l’Ivanovna, che copriva il figlio,
e il padre del mio amico, che calmava le donne.

Per il terrore ci pisciammo addosso.
Ci vergognammo, allora.
Cosa fare?
C’era una donna col vestito nero,
velata fino agli occhi,
vicino alla sua amica.
Son più buone, le donne.
Son come mamme, quando c’è un bambino.
«Se stiamo accanto a lei,
ci salveremo...».

Quando tutto scoppiò,
si squarciò il tetto,
e la gente correva, come pazza,
la donna in nero si rivolse a noi.
Ci strinse forte a sé, in un gesto amico.
Noi l’abbracciammo.
Ci tenne stretti, come se ci amasse,
Poi strappò qualche cosa, alla cintura,
e sparimmo con lei,
in un lampo bianco,
troppo veloce, per aver dolore.


Inutilmente ci cercate, cari:
di me è rimasta solo più una scarpa,
di Zambulat
la medaglia che vinse nella corsa.

ANNA MARIA BERMOND

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Il 1° settembre del 2004 la scuola Numero 1 di Beslan, città dell’Ossezia del Nord, fu assaltata da un gruppo di oltre 30 terroristi in prevalenza ceceni che occuparono tutto l’edificio e sequestrarono circa mille tra bambini, insegnanti e genitori che si trovavano nei locali della scuola per l’inaugurazione dell’anno scolastico. I terroristi chiedevano il ritiro delle truppe russe dal territorio ceceno e il riconoscimento della Repubblica di Cecenia. Gli ostaggi vennero ammassati nella palestra per tre giorni e costretti ad assistere alle esecuzioni di molti tra loro; l’irruzione delle forze russe il 3 settembre mise fine al sequestro, ma durante l’azione rimasero uccisi oltre 330 ostaggi, più della metà bambini. La disorganizzazione nella conduzione del blitz, il presidente Putin parlò di irruzione non deliberata ma provocata dal precipitarsi degli eventi, fu oggetto di polemiche anche per il ricorso da parte delle forze dell’ordine ai lanciafiamme e alle granate e per la scarsa considerazione delle misure di sicurezza degli ostaggi. Durante il blitz tutti i sequestratori furono uccisi, alcuni si fecero saltare in aria insieme agli ostaggi provocando forse l’incendio e il crollo del tetto della palestra, a eccezione di un unico membro del commando che fu catturato e condannato all’ergastolo. Alcuni giorni più tardi rivendicò la paternità dell’azione il terrorista ceceno Shamil Basaev (v.), responsabile di numerosi attentati in Russia e in Cecenia.


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