Articolo panorama su Consob e CW (ci siamo anche noi)

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da Panorama
Anche i risparmiatori, nel loro piccolo...


Una sentenza della Cassazione apre la strada a cause per risarcimenti miliardari nei confronti della Consob. E le associazioni degli investitori sono pronte a chiedere i danni anche a banche, borsa e broker online. Senza fare sconti, neppure una lira.


di
ANGELO PERGOLINI 23/3/2001






La letterina è partita venerdì 16 marzo. Destinatario: la «onorevole Commissione nazionale per le società e la borsa». Mittente: l'avvocato Alberto Ledda di Milano. Sono sei paginette in tutto, in cui il legale riassume la battaglia giudiziaria ingaggiata tre anni fa contro il Banco di Napoli per conto di un suo cliente che nel lontano 1991, quando il Banco si trasformò in società per azioni e varò un imponente aumento di capitale, comprò 200 mila azioni. Rimettendoci quasi 1 miliardo. Un esposto come tanti altri? Niente affatto. Perché la lettera si conclude così: «L'esponente chiarisce di ritenere responsabile solidale la Consob per la falsità del prospetto informativo di cui avrebbe dovuto vagliare la veridicità». E quella parolina, «veridicità», ha fatto scattare l'allarme rosso in via Isonzo a Roma, dove ha sede la commissione di controllo guidata da Luigi Spaventa.

Già, perché è proprio attorno alla veridicità dei documenti sui quali la Consob appone il proprio timbro che ruota una sentenza della Cassazione dello scorso 7 marzo. Che potrebbe trasformarsi in un'arma micidiale in mano ai risparmiatori e agli investitori angariati e talvolta truffati. Il passaggio chiave delle 44 pagine della sentenza emessa dalla Prima sezione presieduta da Corrado Carnevale, su ricorso di 890 risparmiatori spennati dal finanziere d'assalto Giovanni Cultrera, è questo: la Consob ha «il dovere di verificare e assicurare la veridicità di dati e notizie». Altrimenti paga. E non in senso metaforico, ma in solido con il truffatore.

Dalla sede della Commissione non vengono commenti ufficiali. A prendere posizione sarà il presidente Spaventa, il prossimo 5 aprile quando leggerà l'annuale relazione sull'attività svolta. Ma la preoccupazione è palpabile. Dice un funzionario: «Lasciamo perdere il caso Cultrera, è una storia del 1983 che riguarda il Far West dei cosiddetti titoli atipici. Era un'altra epoca. Guardiamo piuttosto a oggi, alle ipo, alla new economy. Pensiamo a un caso come quello della Freedomland. Nel prospetto c'era scritto che aveva 60 mila clienti. Poi è saltato fuori che, secondo la procura della Repubblica di Milano, non era vero. Ma come avremmo potuto fare, noi, ad appurare la veridicità di quella affermazione? Dovevamo farci dare l'elenco dei clienti, attrezzare un call center per chiamarli a uno a uno e chiedergli: "Scusi signor Rossi, qui è la Consob: lei è abbonato a Freedomland?". Capisce che è una pazzia?».
Forse sì. E il timore della Consob è che l'ultima trovata di Carnevale, bollato in passato come giudice «ammazzasentenze», da un lato paralizzi la sua attività (quale funzionario si azzarderà d'ora in poi ad approvare un prospetto?) e dall'altro inneschi una valanga di ricorsi, cause e richieste di risarcimento. La lettera prontamente inviata dall'avvocato Ledda potrebbe essere solo la spia del terremoto in arrivo. L'Adusbef, un'agguerrita associazione che difende gli utenti dei servizi finanziari, ha già fatto quattro conti: fra truffe, crac e giochi di prestigio vari, negli ultimi anni i risparmiatori italiani sono stati scippati di circa 6 mila miliardi. E non è finita. Perché se la Consob rischia di finire nella bufera, nel mirino ci sono anche banche, borsa, società di intermediazione, e consulenti finanziari.

Secondo il sondaggio condotto dalla Ipr per conto di «Panorama», un terzo dei risparmiatori pensa di essere stato defraudato dai gestori dei suoi risparmi. Finora le cause legali sono state pochissime. Quelle vinte una rarità perché, dice l'avvocato Ledda «il singolo cittadino che si mette contro l'establishment finanziario rischia di essere stritolato. E poi i tempi di una causa sono lunghi, i costi alti. Ora però, mi sembra che la mentalità dei risparmiatori stia cambiando anche grazie all'attività delle associazioni».

Non è solo un'impressione. Se l'Adusbef ha intenzione di seguire la strada già imboccata dall'avvocato Ledda, e di denunciare la Consob per il caso Banco di Napoli, il Codacons vuole portare in tribunale l'Autorità delle telecomunicazioni. Motivo: le presunte «omissioni» nell'istruttoria che ha consentito l'ultimo aumento delle tariffe telefoniche. E sempre l'Adusbef ha nel mirino le banche associate all'Abi, reduci da una mazzata da 5 mila miliardi per i mutui a tassi usurari, che accusa di avere realizzato un «indebito lucro» di 35 mila miliardi grazie al rimborso anticipato di obbligazioni, e di taglieggiare i correntisti con «pratiche anatocistiche» (che, è bene chiarire, non sono abitudini sessuali di tipo particolare: si tratta della capitalizzazione degli interessi trimestrali, vietata dal Codice civile ma abitualmente applicata dagli istituti di credito).

Se poi si naviga un po' su Internet, si scopre un universo di investitori che dire infuriati è poco. Tutti decisi non solo a lamentarsi ma a passare alle vie di fatto: quelle legali. Sul sito http://www.3ding-on-line.it, per esempio, si sfogano i daytrader, quelli che comprano e vendono titoli per via telematica. «I contratti con i broker» spiega Fernando Giammei, un pensionato internettiano che è fra gli animatori del sito «contengono delle clausole capestro, che di fatto rendono impossibile chiedere qualsiasi risarcimento: per esempio, se il mio ordine non viene eseguito, o viene eseguito tardi come capita molto spesso, posso chiedere i danni solo se sono in grado di dimostrare che il broker ha agito per dolo o se vi è stata una sua colpa grave. E come faccio?».

In altri tempi i daytrader si limitavano a mugugnare. Oggi le cose sono cambiate. Sul sito è apparso un esposto che in pochi giorni ha raccolto 300 adesioni, destinato alla Consob e alla Borsa italiana, dove questa clausola viene definita una «mostruosità giuridica». Conclusione: «Se voi signori non attuerete al più presto una radicale modifica della norma, saremo costretti a verificare con il magistrato se questa clausola debba essere modificata». In soldoni: «Abbiamo già lo statuto e il notaio per costituire un'associazione dei daytrader. E l'avvocato per fare causa» dice Giammei.

Ma se i daytrader si preparano ad andare in tribunale per pochi spiccioli di commissioni, c'è chi è prontissimo a farlo anche per una lira. Vedere, per credere, il forum del sito finanzaonline.com. Qui a sfogarsi sono gli acquirenti di covered warrant (cw). E il loro bersaglio è un'istituzione finanziaria come l'Unicredit guidato da Alessandro Profumo. Per capire serve una breve spiegazione: i covered sono delle opzioni emesse su titoli quotati. Consentono di comprare o vendere azioni a prezzi predeterminati a una certa scadenza. Ma se il mio cw, per esempio, consente di comprare il titolo Alfa a mille lire, e l'azione ne vale appena 900, allora quel covered è solo un pezzo di carta. In gergo: «out of the money». Tuttavia, il regolamento di borsa stabilisce che la banca emittente si impegna comunque a «fare mercato», garantendo un prezzo minimo di 0,0005 euro. Una lira appunto.

«E noi ci siamo sempre attenuti agli obblighi, esponendo prezzi in denaro (acquisto, ndr) pari al quantitativo minimo con conseguente esecuzione di contratti» replicano piccati all'Unicredit. Peccato, rilevano quelli del forum, che il quantitativo minimo sia pari a 50 mila cw, con esborso di 50 mila lire da parte della banca, mentre ogni giorno l'offerta è di circa 300 milioni (per un totale stimato di 15 miliardi). Risultato, una sequela di contumelie telematiche (nella maggior parte irriferibili) e una proposta: «Inviamo tutti una e-mail alla Consob, e facciamo una bella denuncia».

Per una lira? Sì, perché, parafrasando il titolo del fortunato libro dei comici Gino & Michele, nell'Italia del Terzo millennio anche i risparmiatori, nel loro piccolo, s'incazzano.
 
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