FaGal
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2 aprile 2004
"Assicurazioni a rischio class action"
Intervista / Parla il presidente dei Lloyd's Lord Levene
MILANO • Le class action stanno diventando la nuova emergenza dell’industria assicurativa mondiale. Mentre il parlamento italiano sta discutendo se seguire l’esempio americano delle "cause collettive" per fornire di nuovi strumenti gli investitori danneggiati dalle malversazioni di manager ed intermediari finanziari, dal mercato delle polizze giunge un grido d’allarme. A lanciarlo è Lord Levene of Portsoke da poco più di un anno presidente dei Lloyd’s di Londra, il più antico e blasonato mercato assicurativo del mondo. «La filosofia della class action è terribile e la deformazione che si è creata sul mercato è aberrante». Il problema non è il diritto degli investitori ad essere risarciti quanto, piuttosto, la dilatazione continua della spesa e degli oneri legali delle cause. «Se continua così i costi dei conflitti in Usa saranno di 300 mld di dollari nel 2005, ciò che equivale ad una tassa del 5% sui redditi dei lavoratori americani, 500 dollari a testa». Ed ora l’onda d’urto della class action sta arrivando anche in Europa assieme ai grandi studi legali americani che stanno aprendo le loro succursali nelle capitali del vecchio continente. «Occorre fare un barriera — dice Levene — solo in Gran Bretagna il costo cresce al ritmo del 15% l’anno». Con i dissesti di Cirio e, soprattutto, Parmalat il tema è divenuto d’attualità anche in Italia. «La mala gestio dei manager (misconduct) è un problema molto serio, bisogna sempre distinguere tra errori e frodi. Se è stato commesso un reato l’assicuratore, ovviamente, non paga. Tutto quindi dipende dalle conclusioni dei processi e, in relazione alla loro lunghezza, la situazione può rimanere indefinita per anni». Una vera emergenza, nelle polizze di responsabilità civile degli intermediari finanziari, si sta manifestando per le società di certificazione. «Il prezzo delle coperture è già altissimo e continua a crescere. Occorre mettere un limite alla responsabilità, diversamente andiamo fuori controllo». I Lloyd’s stanno per chiudere il secondo anno anno in utile dopo un lungo periodo di perdite (5 miliardi di euro soltanto nel 2001). Nel 2002 il mercato londinese ha registrato profitti per 1,3 miliardi di euro e la prossima settimana saranno resi noti i consuntivi del 2003 che — anticipa Levene — «sono anche migliori». Ciononostante il presidente dei Lloyd’s continua a rimanere seduto su una polveriera. Negli ultimi 25 anni il mercato mondiale delle assicurazioni danni ha perso centinaia di miliardi di dollari. Soltanto negli Stati Uniti sono stati più di 500. La parola d’ordine è quella di "ridurre la volatilità", sottoscrivere "buoni" rischi. Non vi sono grandi alternative. Le incertezze dei mercati finanziari hanno negli ultimi anni privato gli assicuratori di quel comodo paracadute che consentiva di coprire con i proventi finanziari le perdite tecniche. I Lloyd’s, tra l’altro, hanno una politica tradizionalmente conservativa. Al mercato fanno capo, nel complesso, risorse finanziarie per 40 miliardi di euro investite in azioni solo per il 5 per cento. «Il resto spiega Levene — sono titoli di stato e liquidità». Il mercato londinese è strutturato in gruppi di investitori (syndacate) che sottoscrivono i rischi — attualmente la capacità assicurativa è di circa 21 miliardi di euro — e pagano i sinistri. Se non fossero in grado di assolvere alle loro obligazioni interverrebbe il fondo centrale del mercato. «I syndacate hanno la massima autonomia nella definizione del business plan che noi approviamo perché, se va male, siamo noi che paghiamo». La struttura patrimoniale di queste "mini compagnie" è stata progressivamente rafforzata con un processo di concentrazione. Il numero dei syndacate da 400 è passato agli attuali 67. Un consolidamento che proseguirà, non soltanto ai Lloyd’s. «Nel settore bancario abbiamo assistito a fusioni e acquisizioni. Lo stesso deve avvenire anche nel settore assicurativo per avere un sistema più forte». Compagnie patrimonialmente più robuste saranno anche più in grado di sopportare i costi sempre maggiori, e più incerti, del servizio assicurativo. «Il problema principale resta quello dei disastri naturali, connessi ai cambiamenti climatici ed all’urbanizzazione delle coste che moltiplica le conseguenze di cicloni e maremoti». Da un punto di vista geografico gli Stati Uniti, benché il più ricco, rappresentano anche il mercato più rischioso al mondo. Fattori ambientali, terrorismo, i risarcimenti per l’amianto, «ed ora anche quelli per la muffa degli edifici» tengono molti assicuratori al mondo lontani dal mercato Usa. I Lloyd’s hanno il 40% del proprio business in quell’area e per il futuro si propongono una maggiore diversificazione. A favore soprattutto dell’Europa che attualmente pesa per il 23% del loro portafoglio. In Italia, i loro affari si sono triplicati in tre anni (a 500 milioni) ed ora il bel paese ha, per dimensione, la stessa importanza di Francia e Germania. Un ruolo che è cresciuto anche a livello manageriale dove Enrico Bertagna, country manager per l’Italia, è divenuto responsabile del business per l’intera Europa.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole020404as.html
"Assicurazioni a rischio class action"
Intervista / Parla il presidente dei Lloyd's Lord Levene
MILANO • Le class action stanno diventando la nuova emergenza dell’industria assicurativa mondiale. Mentre il parlamento italiano sta discutendo se seguire l’esempio americano delle "cause collettive" per fornire di nuovi strumenti gli investitori danneggiati dalle malversazioni di manager ed intermediari finanziari, dal mercato delle polizze giunge un grido d’allarme. A lanciarlo è Lord Levene of Portsoke da poco più di un anno presidente dei Lloyd’s di Londra, il più antico e blasonato mercato assicurativo del mondo. «La filosofia della class action è terribile e la deformazione che si è creata sul mercato è aberrante». Il problema non è il diritto degli investitori ad essere risarciti quanto, piuttosto, la dilatazione continua della spesa e degli oneri legali delle cause. «Se continua così i costi dei conflitti in Usa saranno di 300 mld di dollari nel 2005, ciò che equivale ad una tassa del 5% sui redditi dei lavoratori americani, 500 dollari a testa». Ed ora l’onda d’urto della class action sta arrivando anche in Europa assieme ai grandi studi legali americani che stanno aprendo le loro succursali nelle capitali del vecchio continente. «Occorre fare un barriera — dice Levene — solo in Gran Bretagna il costo cresce al ritmo del 15% l’anno». Con i dissesti di Cirio e, soprattutto, Parmalat il tema è divenuto d’attualità anche in Italia. «La mala gestio dei manager (misconduct) è un problema molto serio, bisogna sempre distinguere tra errori e frodi. Se è stato commesso un reato l’assicuratore, ovviamente, non paga. Tutto quindi dipende dalle conclusioni dei processi e, in relazione alla loro lunghezza, la situazione può rimanere indefinita per anni». Una vera emergenza, nelle polizze di responsabilità civile degli intermediari finanziari, si sta manifestando per le società di certificazione. «Il prezzo delle coperture è già altissimo e continua a crescere. Occorre mettere un limite alla responsabilità, diversamente andiamo fuori controllo». I Lloyd’s stanno per chiudere il secondo anno anno in utile dopo un lungo periodo di perdite (5 miliardi di euro soltanto nel 2001). Nel 2002 il mercato londinese ha registrato profitti per 1,3 miliardi di euro e la prossima settimana saranno resi noti i consuntivi del 2003 che — anticipa Levene — «sono anche migliori». Ciononostante il presidente dei Lloyd’s continua a rimanere seduto su una polveriera. Negli ultimi 25 anni il mercato mondiale delle assicurazioni danni ha perso centinaia di miliardi di dollari. Soltanto negli Stati Uniti sono stati più di 500. La parola d’ordine è quella di "ridurre la volatilità", sottoscrivere "buoni" rischi. Non vi sono grandi alternative. Le incertezze dei mercati finanziari hanno negli ultimi anni privato gli assicuratori di quel comodo paracadute che consentiva di coprire con i proventi finanziari le perdite tecniche. I Lloyd’s, tra l’altro, hanno una politica tradizionalmente conservativa. Al mercato fanno capo, nel complesso, risorse finanziarie per 40 miliardi di euro investite in azioni solo per il 5 per cento. «Il resto spiega Levene — sono titoli di stato e liquidità». Il mercato londinese è strutturato in gruppi di investitori (syndacate) che sottoscrivono i rischi — attualmente la capacità assicurativa è di circa 21 miliardi di euro — e pagano i sinistri. Se non fossero in grado di assolvere alle loro obligazioni interverrebbe il fondo centrale del mercato. «I syndacate hanno la massima autonomia nella definizione del business plan che noi approviamo perché, se va male, siamo noi che paghiamo». La struttura patrimoniale di queste "mini compagnie" è stata progressivamente rafforzata con un processo di concentrazione. Il numero dei syndacate da 400 è passato agli attuali 67. Un consolidamento che proseguirà, non soltanto ai Lloyd’s. «Nel settore bancario abbiamo assistito a fusioni e acquisizioni. Lo stesso deve avvenire anche nel settore assicurativo per avere un sistema più forte». Compagnie patrimonialmente più robuste saranno anche più in grado di sopportare i costi sempre maggiori, e più incerti, del servizio assicurativo. «Il problema principale resta quello dei disastri naturali, connessi ai cambiamenti climatici ed all’urbanizzazione delle coste che moltiplica le conseguenze di cicloni e maremoti». Da un punto di vista geografico gli Stati Uniti, benché il più ricco, rappresentano anche il mercato più rischioso al mondo. Fattori ambientali, terrorismo, i risarcimenti per l’amianto, «ed ora anche quelli per la muffa degli edifici» tengono molti assicuratori al mondo lontani dal mercato Usa. I Lloyd’s hanno il 40% del proprio business in quell’area e per il futuro si propongono una maggiore diversificazione. A favore soprattutto dell’Europa che attualmente pesa per il 23% del loro portafoglio. In Italia, i loro affari si sono triplicati in tre anni (a 500 milioni) ed ora il bel paese ha, per dimensione, la stessa importanza di Francia e Germania. Un ruolo che è cresciuto anche a livello manageriale dove Enrico Bertagna, country manager per l’Italia, è divenuto responsabile del business per l’intera Europa.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole020404as.html