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watson

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Scrive B. Russel: "Averroè è più importante per la filosofia cristiana che per quella maomettana. Nella seconda rappresentò un punto morto; nella prima un inizio" (Storia della filosofia occidentale, cap. IV)

Scrive H. Courbin: "In Oriente l'opera di Averroè passò pressoché inosservata. Né Nasir Tusi, né Mir Damad, né Molla Sandra, né Hadi Sabzavari hanno certo mai sospettato l'importanza e il significato che i nostri manuali avrebbero attribuito alla polemica Averroè-Ghazali. E se questo fosse stato spiegato loro, avrebbe certamente suscitato il loro stupore, come oggi suscita lo stupore dei loro successori" (Storia della filosofia islamica, cap. VI)
 
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Ibn Rushd non si occupò solo di medicina o dei commenti all'opera di Aristotele scrisse anche molti libri di filosofia. In particolare ricordiamo un trattato sulla non contraddizione tra filosofia e religione che lo pone al vertice della riflessione filosofica del suo tempo e non solo. Ibn Rushd sosteneva che i testi sacri sono legittimamente interpretati in modo diverso dal filosofo dal teologo o dal profano. La " verità " può quindi essere interpretata in modo diverso secondo la formazione intellettuale dell'individuo. Questo approccio critico poteva suscitare le reazioni di molti, era in un certo senso " rivoluzionario " e lo sarebbe ancora oggi. Se i Musulmani che vennero dopo di lui non approfittarono dei suoi insegnamenti e ebbero verso le sue opere un approccio superficiale ( molte erano diffuse in latino ed ebraico), non fu così per i Cristiani e gli Ebrei dai quali fu considerato una personalità ineguagliabile.
 
Le sue dottrine verranno insegnate in Europa fino al XVIII secolo, in particolare il trattato del De anima nella traduzione in latino di Micael Scott del 1230 e ciò nonostante le condanne dell'Inquisizione e del Concilio di Trento che consideravano eretiche e blasfeme le teorie di Averroè, anche se l'averroismo professato in Europa è solo un pallido riflesso della sua cosmologia. Molti filosofi e teologi europei devono molto a Ibn Rushd, tra questi citiamo i più conosciuti: San Tomaso d'Aquino, Bacone, Spinoza, Leibnitz.
 
Nella dolcissima Andalusia di ottocento anni fa, a Cordoba nacque e visse per settant'anni Ibn Rushd, Averroè per i latini, il più famoso filosofo musulmano. Forse anche il più incompreso, sia dai suoi che in Occidente: razionalista ostinato, inventore di un doppio linguaggio, negatore dell'immortalità dell'anima, promotore di idee dannose per l'etica religiosa. Così ripeteranno i suoi molti nemici.Dopo anni d'intesa e collaborazione con il sovrano di Cordoba, il figlio di questi lo manderà in esilio: Ibn Rushd sarà riabilitato nel 1198 poco prima di morire.

Ma ritorniamo a Cordoba, nel XII secolo dell'era cristiana, il VI di quella islamica, dove gli Almohadi, dinastia di guerrieri berberi, avevano sconfitto il regime precedente.L'avvento degli Almohadi avversi allo stile di vita, all'arte, alla musica, all'etica, alla teologia e alla giurisprudenza dei predecessori - fu un evento importante su tutti i fronti: la rivoluzione culturale fu profonda, anche se non sempre positiva. L'intolleranza religiosa dei califfi perseguitò gli ebrei e i cristiani che vivevano in quella terra musulmana. Molti di loro, costretti si convertirono, altri partirono per l'esilio in Africa del Nord.

Eppure fu in quegli anni che fiorì la grande filosofia con Ibn Tufayl e Averroè, per merito di un sovrano sapiente e colto; Abu Ya'kub Yusuf. Ibn Rushd, giudice alla Grande Moschea come il padre e il nonno, divenne anche medico di corte. Racconta una cronaca che."Un giorno Ibn Tufayl chiamò Ibn Rushd e gli riferì di aver ascoltato il califfo lamentarsi della oscurità degli scritti di Aristotele esprimendo il desiderio che qualcuno commentasse quei testi per spiegasse il senso. Ibn Tufayl, che conosceva l'intelligenza, la penetrante lucidità e l'impegno negli studi dì Averroè, pensò che egli fosse il più adatto all'impresa". Cosi "Averroè che il Gran Comento feo" - come scriverà Dante - iniziò la sua carriera di maestro aristotelico, famoso anche fra i cristiani. Ma a procurargli la lunga "fama sulfurea" (De Libera) fu soprattutto la pretesa e tanto vituperata dottrina della doppia verità che sarebbe contenuta anche nella Incoerenza della Incoerenza (Tahafutal-Tahafut), l'opera al centro dell'analisi del recente e ampio studio di Maiza Ozcoidi.

E' bene dire che per un aristotelico e un credente come Ibn Rushd la verità non poteva essere che unica e che il voluto fraintendimento aveva radici ideologiche. La questione della verità si deve invece spostare per Averroè sul piano del linguaggio umano: "Esiste una sola verità che la varietà dei linguaggi indica con una congruenza di esiti semantici" (M. Campanini). Gli uomini sono infatti di- tre tipi - i filosofi, i teologi e il volgo e le differenze, lontane da essere discriminanti, sono segno dell'amore misericordioso di Dio per loro: in tal modo la religione può essere intesa da tutti, anche dai semplici, e divenire universale. Il volgo ha una conoscenza inferiore a quella dei teologi, e questi inferiore a quella dei filosofi.

La filosofia è dunque il tipo di conoscenza preferibile per l'uomo? A questo punto si apre fra gli interpreti del pensiero di Ibn Rushd il problema del suo "razionalismo", rispetto al quale l'autrice di questo studio sceglie una posizìone mediana: Averroè non ha mai negato che esista un sapere al di là di quello filosofico ma ha sottolineato la certezza delle dimostrazioni razionali aristoteliche. Religione e filosofia erano per lui due vie parallele per arrivare all'unica verità. Posizione, quella della Maiza, a mio parere valida anche se non originale, che ha il solo torto di non mettere in luce il ruolo del linguaggio in questo problema. Nota la Maiza a proposito di un tema teologico centrale come quello della creazione: "Averroè conserva il dato rivelato della creazione del mondo pur allontanandosi dalla soluzione offerta dalla ortodossia musulmana, ma la dottrina teologica è inaccettabile filosoficamente e incompatibile con gli insegnamenti di Aristotele riguardo all'origine dell'essere. Il credente può arrestarsi all'idea dell'inizio temporale del mondo, però chi, oltre che credente, è anche uomo di scienza, sa che è molto più probabile l'idea di un mondo eterno, senza principio nè fine".

Il tema è connesso al fatto che l'Incoerenza della incoerenza è comprensibile soltanto se si tiene presente che questa opera è la risposta filosofica alle accuse di al-Gazali o meglio al suo scritto l'Incoerenza dei filosofi. Lì il teologo criticava le pretese della filosofia incapace, a suo parere, di rispondere ai problemi ontologici e logici fondamentali: uno di questi era appunto l'affermazione dell'eternità del mondo.

Nell'Occidente cristiano l'influenza di Averroè fu grande e duratura: oggi l'interpretazione più condivisa è che anche i seguaci cristiani di Averroè, i cosiddetti "averroisti", maestri della facoltà universitaria delle Arti nel Duecento, non abbiano mai affermato una "doppia verità", ma si siano riferiti a due livelli cognitivi differenti. "Il mondo è eterno" è, ad esempio, una proposizione probabile sul piano della filosofia naturale, "il mondo è creato" è una verità di fede confermata dalla Rivelazione (ebraica, cristiana e islamica).

"La nobiltà della conoscenza - leggiamo nella Incoerenza della incoerenza e nei commenti ad Aristotele - non è superata da nessun altro atto umano: "L'intelletto sente piacere in se stesso", Sono queste le basi aristoteliche e averroiste della teoria della "felicità mentale" (M. Corti) che ritroveremo nei filosofi Boezio di Dacia e Sigieri di Brabante e nei poeti Guido Cavalcanti e Dante che conoscevano altri testi di Averroè ma non la sua Incoerenza dell'Incoerenza (tradotta in latino soltanto più tardi, nel 1328). La massima felicità possibile per l'uomo va dunque ricercata nell'attività intellettuale, nella vita terrena: il filosofo non si occupa della beatitudine futura, che è invece cura dei teologi. Era naturale che il sospetto delle autorità ecclesiastiche colpisse affermazioni del genere come accadrà Parigi alla fine del XIII secolo, quando mosso da preoccupazioni pastorali Etienne Tempier condannò 219 tesi di area averroista "erronee e pericolose" per la cristianità.
 
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