LE AZIENDE LEADER Parla il timoniere di BasicNet - «Lo sport è sempre un buon affare» |
Il Secolo XIX 03/02/2003 pagina 8
Parla il timoniere di BasicNet, il gruppo che ”veste” dalla Roma al Tottenham, dagli azzurri del rugby a quelli del golf.
Franco Spalla (Robe di Kappa): la Nazionale ci ha fatto decuplicare i ricavi
Pentiti? «Assolutamente no». Anche se avete investito tanto, tantissimo? «Certo sono stati investimenti molto onerosi, ma azzeccati. Gli ”azzurri” ci hanno dato delle soddisfazioni».
Franco Spalla, amministratore delegato dall’aprile 2001 di
BasicNet (marchi Kappa, Robe di Kappa e Jesus Jeans), leader nella produzione e commercializzazione di abbigliamento informale e per lo sport, non recita l’atto di dolore. Non si pente della sponsorizzazione della Nazionale italiana di calcio, malgrado la disastrosa trasferta coreana per i mondiali del 2002. Gli unici ”fastidi” li ha avuti casomai il titolo
BasicNet in Piazza Affari che in quelle giornate di supertifo è salito sulle montagne russe. Così,
Spalla, 50 anni, torinese, sposato, una figlia, laurea in amministrazione industriale e specializzazione in marketing e pubblicità alla scuola del ”guru” Giampaolo Fabris, se ha un rammarico è che lo sponsor degli azzurri non sia più la sua
Kappa, ma la tedesca Puma.
Come è andata, dottor Spalla?
«C’è stata un’offerta dei tedeschi considerevole. Superiore alla nostra, che pure era migliorativa rispetto al precedente contratto. Tenga conto che decidendo i nostri investimenti dobbiamo avere una visione molto ampia: debbono andare a beneficio non solo dell’azienda in Italia ma di tutti i nostri licenziatari nel mondo».
La Nazionale da una robusta spinta alle vendite dello sponsor?
«Premessa: tra Nazionale di calcio e sponsor il “collegamento” riguarda il brand, cioè il marchio. Non i prodotti in sè».
Quindi lo sponsor non vende una montagna di magliette in più se sono indossate dalla più importante formazione sportiva di un Paese calciofilo come l’Italia: è così?
«La sponsorizzazione di grandi team non è attivata sul singolo prodotto, ma sull’immagine del marchio. In modo tale che il ragazzino che vede un brand sulla maglia di Totti desideri possedere un indumento sportivo con la stessa ”etichetta”. Le aggiungo che la Nazionale si ”vede” poche volte in un anno e molto in due momenti particolari: agli europei e ai mondiali. Per questo il contratto di sponsorizzazione ha una durata di quattro o otto anni».
Lei si dichiara, comunque, molto soddisfatto del legame con la Nazionale. Ergo: la sponsorizzazione sportiva è un volano per i ricavi di un’azienda?
«Noi investiamo tutti gli anni nella comunicazione circa il 4,5-5% del fatturato globale di tutti i nostri licenziatari che a loro volta spendono almeno altrettanto per obbligo contrattuale. Tirando le somme, il gruppo sborsa a livello mondiale almeno il 10% del suo fatturato per le sponsorizzazioni. Bene. Nell’arco di sette anni i ricavi di
BasicNet sono cresciuti di più di dieci volte, cioè molto di più del livello degli investimenti. Questa è la prova provata che c’è una correlazione, eccome, tra vendite e sponsorizzazioni con le seconde che fanno da traino alle prime».
I successi della squadra sponsorizzata spingono le vendite dello sponsor?
«Sicuramente. Quando le nostre squadre hanno successo, vanno ad esempio in Champions League, ne risentiamo positivamente.
BasicNet deve la sua notorietà soprattutto al calcio e ci sono state in passato alcune sponsorizzazioni molto importanti per il nostro processo di crescita: cito la Juventus, il Monaco o il Barcellona».
A volte essere sponsor, quando si è quotati in Borsa, gioca, però, brutti scherzi. Il vostro titolo durante i mondiali andava in orbita ogni volta che gli azzurri vincevano eppoi è precipitato quando il team di Trapattoni è stato eliminato. Non credo abbiate gradito quell’esperienza sull’altalena di Piazza Affari.
«Certo che no. All’epoca ci fu un nostro comunicato molto chiaro al mercato per affermare che non c’era nessun collegamento tra il titolo e i risultati della squadra. Però quel fenomeno speculativo perverso si è verificato solo per la Nazionale italiana ai mondiali. Non ci è successo, ad esempio, con il Tottenham, con la Roma, con la Nazionale del Galles o con l’Auxerre in Francia».
Pentito di qualche sponsorizzazione?
«Di nessuna. Tutte hanno dato i loro risultati. Mi piace ricordare che noi siamo stati dei precursori in questo campo. Così come lo siamo stati nell’inventare un prodotto di successo come la maglia ”
Kombat” per il calcio, molto elastica che evidenzia le trattenute. Gli altri gruppi ci hanno seguito».
Il calcio ”sporco” vi dà qualche problema di immagine?
«Lo dà. Come lo da qualsiasi sport attraversato da fenomeni negativi. Ricorderà in proposito l’emblematica reazione degli sponsor del ciclismo agli scandali che colpirono quello sport. Nel calcio, però, gli effetti sono minori. Tenga presente che il football ha un tasso di crescita talmente alto nella pratica e nell’interesse che conquista nell’opinione pubblica mondiale – pensi al successo che sta ottenendo in Cina o negli Stati Uniti – che la sua immagine risente meno degli scandali».
Che graduatoria stilate delle varie discipline per la forza delle sponsorizzazioni?
«Calcio al primo posto. Poi, il basket, il volley e il rugby».
Ciclismo, tennis....
«Sono molto distanziati». State puntando su qualche nuovo sport?
«Lo sci, dove abbiamo lanciato tre anni fa una nuova linea».
Chi sceglierebbe come testimonial per il vostro gruppo?
«Noi finora abbiamo fatto prevalere il valore del team su quello del singolo nelle nostre scelte di politica dell’immagine. Ma l’interrogativo che mi ha rivolto ce lo stiamo ponendo. Non abbiamo ancora un nome in tasca. Abbiamo solo alcune attenzioni per la campagna di lancio dei nostri nuovi negozi».
Date la caccia a uno sportivo?
«Abbiamo due marchi,
Kappa per l’abbigliamento sportivo e
Robe di Kappa per l’informale. E per il casual la nostra scelta potrebbe non cadere su uno sportivo».
Faccia finta di essere in una giuria. Dia un voto dall’uno al dieci come testimonial di prodotti sportivi a Totti.
«Per il nostro tipo di prodotto e per il mercato di riferimento è un testimonial significativo».
Del Piero?
«Altrettanto. Come Vieri. Vede, ci sono cinque, sei grandi nomi che in Italia funzionano bene».
Ronaldo?
«Funziona meno che in passato, secondo noi. Anche se è indiscutibile: gode di un grande prestigio mediatico».
Trapattoni?
«Lo abbiamo avuto in passato come testimonial».
Funziona meno anche lui?
«C’è stato un momento in cui funzionava meno. Oggi, invece, secondo me è un’immagine positiva».
Marcello Lippi?
«Va bene anche Lippi».
E gli arbitri, tipo Collina, che sono diventati testimonial funzionano come gli sportivi?
«Un po’ meno».
un’azienda con 36 Griffe
Da sponsor storico della Juventus a inventori della maglia ”Kombat”
Grandi sponsorizzazioni. Borsa. Globalizzazione. Internet. E un sistema di 36 licenziatari dei marchi che distribuiscono i prodotti in 71 mercati del mondo. Agitare bene questi ingredienti e viene fuori
BasicNet, l’azienda torinese proprietaria dei marchi
Kappa, Robe di Kappa e Jesus Jeans, leader nella produzione e commercializzazione di abbigliamento sportivo e informale, calzature comprese. Ma nota, soprattutto, per essere stato lo sponsor ufficiale della Nazionale di calcio.
BasicNet, dopo la pesante crisi che ha colpito il settore nel 2000 e portato in rosso i suoi conti, ha lanciato un piano triennale di sviluppo 2001-2003, firmato dall’amministratore delegato
Franco Spalla. Assi portanti del programma: un’ulteriore espansione nei mercati internazionali con il mirino orientato su Spagna, Olanda, Stati Uniti e Cina; lo sviluppo del comparto calzature (l’obiettivo è di far crescere il suo peso sul totale delle vendite di almeno un 10% rispetto all’attuale 30%); e l’apertura di una catena di punti vendita in franchising con le insegne ”
Kappa” e ”Robe di Kappa”. I primi due ”negozi” inaugurati sono il
Gigastore Kappa di Torino e il
Robe di Kappa di Portofino. «Stiamo rispettando gli obiettivi del piano. Una terapia per garantire al gruppo il suo trend di crescita era necessaria di fronte a un mercato come quello dell’abbigliamento sportivo con ampie potenzialità, ma che ha subito gli effetti della flessione dei consumi in Occidente e della diversificazione della spese dei giovani consumatori verso i computer, l’elettronica, i telefonini, eccetera», spiega
Spalla. Finora l’azienda torinese ha avuto un buon ruolino di marcia nel suo rilancio dopo le difficoltà di inizio millennio. Nei primi nove mesi del 2002 le vendite dei licenziatari nel mondo sono arrivate a 186,8 milioni di euro. Il fatturato diretto ha toccato i 75,5 milioni, con una crescita della redditività operativa sul corrispondente periodo del 2001 del 73%. Il risultato prima delle imposte è stato positivo per 1,3 milioni di euro in aumento del 216% rispetto alla perdita di 1,1 milioni dei primi nove mesi dell’esercizio precedente. «Nel 2000 abbiamo pagato il conto – è l’analisi di
Spalla – di un investimento diretto in un’azienda americana che si è rivelata una fonte di perdite, di previsioni sballate che hanno fatto saltare l’equilibrio costi-ricavi, soprattutto per il rialzo del dollaro, e dei problemi legati a una nostra crescita troppo tumultuosa negli otto anni precedenti». Sull’andamento tormentato del titolo ha pesato anche l’equivoco sulla natura dell’azienda spesso considerata una dot-com. In realtà
BasicNet ha una ragione sociale che evoca il web perché utilizza per la comunicazione interattiva con il network internazionale di imprenditori e licenziatari una tecnologia informatica assimilabile a un sistema nervoso capace di trasmettere in tempo reale a tutta l’organizzazione gli impulsi decisionali e organizzativi. Tramite società dedicate, i Sourcing Centers,
BasicNet fornisce ai licenziatari le strategie, i servizi di marketing, di ricerca e sviluppo, di logistica e di approvvigionamento dei prodotti garantendo stessi standard qualitativi, unicità e riconoscibilità dello stile. Costituita nel 1983 con la denominazione di
Football Sport Merchandise quella che sarebbe diventata
BasicNet è stata la prima società italiana ad ottenere dalle principali squadre di calcio, fra cui la Juventus, la licenza per produrre e distribuire abbigliamento per il tempo libero contrassegnato dai loro marchi e segni distintivi. Nel 1994 ha rilevato dal curatore fallimentare i marchi
Kappa, Robe e Jesus, il magazzino e l’immobile del
Maglificio Calzificio Torinese, un tempo della
Famiglia Vitale. Due anni dopo il gruppo, che conta oggi in Italia 320 dipendenti, si e ribattezzato
Basic. Nel 1999 lo sbarco in Borsa sul mercato telematico. La società oggi fa capo per circa il 31% a
Basic World (85% di
Marco Boglione, che è anche presidente e fondatore del gruppo torinese, e 15% della Ventuno Investimenti di Alessandro Benetton), per il 3,7% al colosso bancario svizzero Ubs. Il resto è flottante. A sostenere la marcia di
BasicNet in questi anni sono state in gran parte le sponsorizzazioni. L’azienda ha ”sotto contratto” la Roma, il Feyenoord in Olanda, l’Auxerre in Francia, il Werder Brema in Germania, il Betis Siviglia in Spagna e il Tottenham in Inghilterra In più, ha siglato accordi nel mondo dello sci, del tennis, del rugby (la nazionale italiana e lo Stade Français il più prestigioso team transalpino), del golf (Federgolf italiana) e del fitness. Ma
BasicNet, gruppo globalizzato per ”filosofia” quasi congenita, come la mette con le ragioni dei no-global che reclamano rispetto nel trattamento dei lavoratori dei Paesi in via di sviluppo? «Siamo rigorosi. Non a caso abbiamo un accordo con il colosso
Li-Ning di Honk Kong, la più grossa trade company del mondo la quale intermedia 4 miliardi e 800 milioni di dollari che ci garantisce, attraverso rigidi controlli, che in tutte le nostre fonti produttive siano rispettate una serie di norme che vietano l’impiego di lavoro minorile, impongono un corretto trattamento dei lavoratori e tutelano l’ambiente».
Accadeva oggi del basic press, è di 20 anni fa ma sembra scritto domani...
L'A.D Spalla che poi è andato alla Culti, quella che quota 24 euro, e la ban fedele alla tradizione sempre a 5 euri...