Bersani lost in translation, due lingue due versioni

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Il leader Pd: Monti «meglio se resta fuori». Lui aspetta l'ok alla finanziaria per dire se si candida. Fino ad allora i centristi litigiosi restano sulla graticola. «La legge Fornero va bene. Vendola? L'ascolterò su ambiente e diritti civili: ha il 6 per cento, noi il 30. Siamo aperti all'Udc e a Cordero». Bersani parla al Wsj. E dice cose diverse da quelle in italiano

DANIELA PREZIOSI - 11.12.2012
Un'intervista sul Wall street Journal non è cosa da tutti giorni, e ottenerla, per il candidato del centrosinistra italiano, è un segnale del disgelo degli ambienti finanziari internazionali nei confronti di Pier Luigi Bersani e dei «figli di un dio minore» (copyright D'Alema, 1998, a proposito degli ex comunisti). La stampa internazionale, sbigottita dalla resurrezione di Berlusconi, annusa il nuovo leader. Con caute aperture di credito, a proprio modo. La settimana scorsa l'inglese Financial Times ha assicurare alla City che Bersani «non è un comunista». Ieri invece il sito della prestigiosa testata di Rupert Murdoc ha invitato gli investitori al «niente panico» per il voto anticipato nostrano, «i bond e i titoli italiani saranno volatili durante quella che si annuncia una campagna elettorale calda. C'è una buona chance che le elezioni si traducano in un'ampia continuità delle riforme che rassicurano gli investitori». Invece la prima pagina dell'edizione europea del quotidiano apriva sul candidato italiano. «Bersani promette mano ferma». A pagina 5 si scopre un Bersani versione Wsj che dice cose un po' diverse da quelle che dice quando parla in italiano. Per esempio alla domanda «Come risponde a chi teme che, data l'alleanza con la sinistra estrema di Sel, un governo da lei condotto potrebbe mettere in discussione gli impegni presi con l'Europa?», Bersani risponde che «Vendola viene usato come strumento di propaganda. Eppure è il governatore di una delle più grandi e dinamiche regioni italiane. Non farò a meno del suo contributo su questioni come l'ambiente e i diritti civili». Quanto al resto, «il mio partito è stimato attorno al 30 per cento; Sel attorno al 5-6. Abbiamo firmato un accordo nel quale c'è scritto che, in caso di disaccordo, votiamo e la maggioranza vince». Una maniera un po' ruvida di descrivere la fedeltà dell'alleato. Ma va anche peggio sul nuovo art. 18, «uno sfregio»per Vendola, che Sel vuole cancellare con un referendum (la raccolta di firme è al rush finale). Qui Bersani è categorico: «La riforma Fornero ha aumentato la flessibilità del mercato e ha fatto qualche passo nella direzione di regolare i contratti a termine. Non ne do un giudizio negativo. Vorrei riuscire a rendere più convenienti per le imprese le assunzioni a tempo indeterminato». In realtà nella campagna per le primarie Bersani ha detto che sull'art.18 qualche modifica in parlamento è immaginabile, a partire dalla verifica del suo reale funzionamento. Anzi una volta a Padova si è persino spinto a dire che la posizione del Pd «non è antitetica» a quella dei referendari.
Va meglio invece a Stefano Fassina: le croniste del Wsj gli chiedono conto di un consigliere economico (in realtà è il responsabile economico del Pd) che suggerisce di rivedere l'impegno italiano per il fiscal compact. «Fassina non pensa affatto che l'Italia debba abbandonare il fiscal compact. Ha sottolineato un problema, e io lo condivido: la politica economica dell'Unione non può essere concentrata solo sull'austerità. Rispetteremo gli impegni dell'Italia con la Ue» ma «sono abbastanza sicuro che l'anno prossimo la situazione in Europa spingerà a una rivisitazione delle politiche economiche e fiscali, non nel senso che andranno rovesciate ma corrette con una maggiore flessibilità». Se sul fiscal compact è il Bersani di sempre, su Sel e sull'articolo 18 è un Bersani con la mano più ferma che nella sua traduzione italiana.
Stranamente però l'intervista non viene rilanciata dai media italiani e le agenzie ne fanno una traduzione sommaria.
E dalla sinistra della coalizione non arriva nessun commento.
Ma la situazione per Sel è complicata, a distanza di una sola settimana dall'entusiasmo delle primarie. I segnali di avvicinamento fra Pd e Udc si infittiscono. Un'alleanza con Casini, addirittura da prima del voto, anche solo per il senato - ipotesi che circola nel Pd - sarebbe un boccone indigeribile per Vendola. Come indigeribile sarebbe un'eventuale alleanza con Monti, se il professore decidesse di candidarsi a leader dei dei centristi , dopo aver portato a buon fine la legge di stabilità. «Proprio perché Monti può essere ancora utile, sarebbe meglio che restasse fuori dalla contesa», ha detto Bersani ieri, convinto com'è che il premier alla fine non si butterà nella mischia elettorale. Ma questo si aprirebbe un altra falla: «Senza Monti il centro non prende voti, e neanche senatori: e se non con il centro, con chi dovremmo allearci dopo il voto per avere la garanzia di un governo stabile?», ragiona il professor Stefano Ceccanti, e conclude: «Meglio che Monti si candidi, anche per il Pd».

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