bibop - paura ...in vista del festival

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28 febbraio 2004
Bufera su Capitalia, la fusione Bipop-BdR finisce in tribunale


Sotto accusa è ora il piano elaborato da Arpe I legali parlano di valutazioni arbitrarie e concambi «virtuali» a vantaggio della controparte romana

Mentre ancora si attende l’inizio del processo per l’affaire Bipop, un altro procedimento giudiziario si è abbattuto sull’istituto bresciano che fu di Bruno Sonzogni. Questa volta, però, si tratta di una causa civile: azionisti contro Finecogroup. Oggetto della disputa - attraverso la quale un gruppo di soci storici dell’istituto punta a ottenere un risarcimento di quasi 11 milioni - sono le complesse operazioni di scissione, conferimenti e fusioni che portarono all’integrazione tra la Bipop-Carire e la Banca di Roma (BdR). È noto che, dopo lo scoppio della crisi in cui precipitò il gruppo bresciano, emerse la necessità di trovare un compratore-alleato. Tra le varie opportunità che si presentarono all’orizzonte, la scelta finale cadde sull’istituto romano guidato da Cesare Geronzi, che propose un piano d’integrazione elaborato dall’allora amministratore delegato di Mcc, Matteo Arpe (oggi ad di Capitalia). Gli sportelli di Bipop furono scissi e conferiti in Banca di Roma, che come contropartita emise nuove azioni assegnate agli azionisti Bipop. Contemporaneamente Banca di Roma incorporò il Banco di Sicilia, da una parte, e conferì le attività non tradizionali (risparmio gestito, bancassicurazione, etc.) alla vecchia Bipop. Quest’ultima dal 1° luglio 2002 ha assunto il nome di Finecogroup. La tesi sostenuta dagli azionisti in causa, rappresentati dall’avvocato Giorgio Alpeggiani e dal professor Gustavo Visentini, è che «la complessa operazione è stata articolata in modo tale da corrispondere agli azionisti Bipop azioni BdR sulla base di un rapporto di cambio che oltre a essere virtuale è stato frutto di una preordinata svalutazione di Bipop e di una ingiustificata sopravvalutazione di Bancaroma». Il concambio in questione (0,345 azioni BdR per ogni azione Bipop) era «virtuale» - sostengono gli attori della causa - perché se fosse stato realistico, i soci Bipop avrebbero avuto circa il 33% del capitale di Bancaroma, mentre in realtà ebbero il 30 per cento. Questo accadde perché, contemporaneamente, BdR incorporò il Banco di Sicilia. La fusione era a tre, insomma, ma l’assemblea Bipop del 16 maggio 2002 deliberò una fusione a due: dunque, qualcosa che non avvenne. Per questo motivo, Alpeggiani e Visentini chiedono che il tribunale di Brescia dichiari l’inesistenza della delibera assembleare e, in subordine, accerti l’illegittimità del concambio, determinato secondo metodologie «immotivate e arbitrarie». Secondo gli azionisti che hanno fatto causa a Finecogroup, le anomalie riscontrate nelle modalità e nei tempi dell’aggregazione confermano «il sospetto della soggezione a un disegno eterodiretto», mirante a imporre un «concambio predeterminato che poi si è cercato di giustificare attraverso il ricorso congiunto a più metodi di valutazione». Dal documento informativo emerge per esempio che sono stati utilizzate ben cinque diverse metodologie di valutazione o che il metodo delle quotazioni di mercato è stato ritenuto applicabile nel conferimento degli sportelli Bipop in Bancaroma, ma non quello contestuale BdR-Banco di Sicilia. La giustificazione è che in quest’ultima operazione solo una società (la BdR) era quotata. Ma lo stesso si potrebbe dire della prima fusione, visto che neanche gli sportelli Bipop erano quotati separatamente. A sostegno delle loro argomentazioni, i legali degli azionisti denunciano l’assenza di una due diligence indipendente sui conti della Banca di Roma. E infine parlano di «sudditanza psicologica» degli amministratori che trattarono la fusione, tra cui l’ad Maurizio Cozzolini, nei confronti della controparte romana, notoriamente appoggiata dalla Banca d’Italia. Gli argomenti per discutere non mancano, insomma.
Finecogroup e la controllante Capitalia si sono dotati di una squadra di legali all’altezza della sfida: il professor Francesco Carbonetti e lo studio Nctm di Milano. Il prossimo appuntamento è per il 29 giugno, quando il presidente della terza sezione civile del tribunale di Brescia, il giudice Geo Orlandini, dovrà decidere sull’ammissione delle prove e la nomina di un consulente d’ufficio.

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/bf280204ba.html
 
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28 febbraio 2004
Era lunga la lista dei pretendenti di Bipop Ma lo sposo era stato già «indicato»


A sostegno delle loro pretese, gli azionisti in causa contro Finecogroup sottolineano la situazione di «sudditanza psicologica» degli amministratori Bipop nei confronti della Banca d’Italia. Da ottobre 2001 era in corso un’ispezione della Vigilanza bancaria, che accompagnò tutta la fase delle trattative Bipop-Banca di Roma. Il cda era insomma sotto scacco, il che rendeva i consiglieri deboli verso la controparte negoziale. Il 7 marzo 2002, inoltre, Antonio Fazio si era dichiarato pubblicamente a favore del progetto Capitalia: «Un’ottima operazione sia per la Banca di Roma ma anche e soprattutto per gli azionisti di Bipop - disse il governatore - Se non andasse in porto, potrebbero perdere molto». Di fronte a queste prese di posizione, fu difficile dire no. Di recente, Geronzi ha sostenuto che Bipop era una banca «che nessuno voleva». In realtà le proposte c’erano, ma erano state stoppate da Via Nazionale. Il primo diniego fu quello rivolto al gruppo francese Axa, disponibile a rilevare la quota dell’imprenditore Mauro Ardesi (quasi l’11% del capitale). Da Bankitalia arrivò il via libera solo per una quota del 5 per cento, al che i francesi fecero dietro front. Ma la lista dei pretendenti è lunga: tra gli istitituti italiani c’erano Popolare di Milano, Unicredito, Banca Lombarda e Popolare di Lodi. Persino il Monte dei Paschi si fece avanti. Ma nessuno ottenne l’ok di Fazio. Nessuno tranne la Banca di Roma. Che con Bipop intavolò una trattativa esclusiva, conclusa in tempi record, prima che arrivasse il rapporto dell’ispezione Bankitalia.

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/bf280204ba2.html
 
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3 marzo 2004
Bianchi: «Erano tre le offerte per Bipop»


«I soggetti interessati a Bipop erano tre». Parola di Bruno Bianchi, ex capo della Vigilanza della Banca d’Italia, di recente «pensionato» in esecuzione di una sentenza del giudice del lavoro. Arriva dunque da uno degli uomini più fidati del governatore Antonio Fazio la smentita alla sbrigativa versione fornita al Parlamento dal presidente di Capitalia, Cesare Geronzi, secondo cui Bipop era «una banca che nessuno voleva». Il 22 maggio 2002 Bianchi fu interrogato dalla procura di Brescia come «persona informata sui fatti» nell’ambito dell’inchiesta sulla banca bresciana. Finanza & Mercati è in grado di rivelare la ricostruzione che Bianchi fornì ai pm bresciani in merito agli eventi che portarono all’operazione Capitalia, nata dall’aggregazione tra Bipop e Banca di Roma. A partire dall’ottobre 2001, in concomitanza con lo scandalo delle gestioni garantite «iniziò a porsi il problema di una sostanziale acquisizione della Bipop da parte di un altro polo bancario». «Da un lato - dichiarava l’allora capo della Vigilanza - c’era la Popolare di Lodi», il cui progetto «venne valutato in modo interlocutorio in quanto invitammo questo istituto a sviluppare meglio la sua proposta». In lizza c’era anche la Bpm, la cui proposta era legata al pegno sulla quota del 10% dell’imprenditore Mauro Ardesi. Il progetto dell’istituto milanese prevedeva «un intervento finanziario di alcune banche popolari nonché di una banca estera collocata in Italia». Per questi motivi e per il fatto che «la banca era ancora sottoposta a un impegno patrimoniale per circa 1.900 miliardi legato all’acquisto della Banca di Legnano», nonché per la presenza di «un organo sindacale che influisce sulle decisioni del cda», il piano Bpm non venne ritenuto adeguato. Al contrario, «il piano presentato dalla Banca di Roma venne valutato positivamente sia per il tipo e le dimensioni dei due istituti, sia perché consistendo in uno scambio di azioni non comportava un grande impegno finanziario da parte della Banca di Roma». Non è tutto, però. Prima ancora che si cercasse un «sostanziale» compratore per l’istituto bresciano, approssimativamente tra l’aprile e l’agosto del 2001, si era parlato di intermediari disponibili a entrare nell’azionariato Bipop. «In particolare - è sempre Bianchi a parlare - posso riferire dell’iniziativa condotta dalla Ras che però si bloccò per incomprensioni fra le controparti». Su questo punto, tuttavia, la versione di Bianchi diverge da quella fornita da Fabrizio Tedeschi, interrogato dai pm bresciano il giorno prima. L’11 aprile 2001, l’allora capo della Divisione intermediari della Consob si era recato in Banca d’Italia con tre consiglieri Bipop: Luca Ferrarini, Roberto Silva e Alessandro Spaggiari. «Bianchi - fece mettere a verbale Tedeschi - disse che questa società (la Ras, ndr) non era tutta a partecipazione italiana e quindi era meglio trovare un altro acquirente. Fu così che io li misi in contatto con il dottor Profumo dell’Unicredito: preciso che l’indicazione di tale istituto venne fatta proprio da Bianchi che insisteva per l’acquirente italiano».
Alla fine, il compratore fu individuato in un istituto «romano de Roma», Banca di Roma appunto. Così italiano che il principale azionista attuale, con una quota del 9%, è Abn Amro, una banca olandese. Forse era meglio lasciar fare al mercato.

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/fm030304ra.html
 
16 settembre 2004
«Consiglio-ombra dietro lo scandalo Bipop»

Tra i reati contestati anche associazione per delinquere e false comunicazioni sociali

MILANO — Il consiglio di amministrazione della Bipop era specializzato soprattutto in due attività: avallare e dormire. Avallava quello che gli metteva sotto il naso un consiglio-ombra, un ristretto comitato d'affari trasversale dominato dall'ex amministratore delegato Bruno Sonzogni. Era il vero governo dell'azienda con «affiliati» in tutti i crocevia del potere interno. È questa doppia anima della Bipop, una dolosamente o colposamente addormentata e l'altra fin troppo sveglia, che emerge dalle richieste di rinvio a giudizio che la Procura bresciana ha depositato per una quarantina di indagati tra cui, ovviamente, tutto il vertice gestionale e operativo dell'ex regina di Piazza Affari. Vengono contestati a vario titolo reati come l'associazione per delinquere (ma solo per una parte degli indagati), le false comunicazioni sociali, l'infedeltà patrimoniale, ostacolo alle funzioni della Consob e della Banca d'Italia, false comunicazioni dei revisori e aggiotaggio. L'impianto accusatorio, secondo fonti legali di alcuni indagati, «è debole», «è facilmente smontabile», «rischia di indebolirsi ulteriormente in caso di prescrizione di alcuni reati contestati». Gli avvocati di Dario Caselli, ex presidente della Fondazione Manodori (all'epoca primo azionista di Bipop), hanno diffuso una nota per dire che Caselli, quando sarà interrogato, ribadirà di essersi sempre comportato correttamente e in piena sintonia con l'organo amministrativo della Manodori. Il quadro che emerge dalle richieste di rinvio a giudizio è sostanzialmente quello già delineato undici mesi fa quando vennero chiuse le indagini. Esisteva all'interno della banca «una struttura associativa finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di reati societari». Il processo dirà se era davvero così e se ci sono state responsabilità. Per ora resta il ricordo delle famose gestioni patrimoniali a rendimento garantito che, in realtà, erano solo la punta dell'iceberg perché il vero buco si creò da una parte con l'acquisto di Entrium ai prezzi folli della new economy e dall'altra con il circolo vizioso dei crediti erogati per comprare azioni (vedi il caso Ardesi) e tenere su le quotazioni. Il crollo dei titoli accentuò la crisi. A quel punto (estate 2001), con la guerra aperta tra la componente reggiana e quella bresciana, la banca era alla deriva. Ma tutto sommato era intrinsecamente sana, anche se da ripulire nei conti e nel management. Così avvenne (bilancio 2001) e subito dopo (primavera 2002) fu acquisita da Capitalia che non era l'unica ad essersi fatta avanti. M. Ger.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/cor160904bi.html
 
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