BMPT

Stefano Perrini

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Come promesso/minacciato nella discussione su Supports/Surfaces, dove sono stato stimolato da Davy81, ecco che apro un thread dedicato al gruppo BMPT.

La sigla, non ufficialmente riconosciuta dagli artisti e attribuita al critico francese d’origine viennese Otto Hahn, deriva dalle iniziali dei cognomi dei quattro membri: Daniel Buren, Olivier Mosset, Michel Parmentier e Niele Toroni. Il gruppo, per metà francese (BP) e per metà svizzero (MT), si è formato a Parigi nel dicembre del 1966 e si è sciolto appena un anno dopo. Nonostante abbia avuto vita breve, ha lasciato un segno incisivo nella storia dell’arte.

Secondo lo storico dell'arte Benjamin Buchloh, quella del gruppo rappresenta “la proposta più ambiziosa ed epistemologicamente impegnativa emersa da Parigi in quel decennio, se non nel dopoguerra nel suo insieme".

I quattro artisti decidono di sottostare ognuno ad un rigido principio di ripetizione, negando l’importanza e i presupposti stessi della creatività, dell’ispirazione, dell’originalità, dell’autorialità, della soggettività, ecc.

Daniel Buren: su tessuti commerciali per tende da sole con strisce verticali bianche e colorate di spessore 8,7 cm, l’artista ricopre di bianco le due fasce estreme del tessuto.

Olivier Mosset: su tele bianche l’artista dipinge, al centro, un cerchio nero (diametro interno: 4,5 cm, diametro esterno: 7,8 cm).

Michel Parmentier: su tele bianche, l’artista dipinge a spruzzo delle fasce orizzontali, alternate in grigio e bianco, il bianco essendo ottenuto piegando orizzontalmente la tela prima che venga dipinta.

Niele Toroni: su tele bianche, l’artista applica l’impronta di un pennello n. 50 a intervalli regolari di 30 cm su tutta la superficie.

Nei post che seguono, ho provato a ricostruire la storia delle “manifestazioni” del gruppo. Le fonti sono spesso in disaccordo o di parte. Spero di riuscire ad approssimare bene i fatti, ma correggetemi se riporto cose inesatte.
 
Manifestation 1

Si svolge nell'ambito del diciottesimo Salon de la Jeune Peinture organizzato presso il Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris. Si tratta di una mostra organizzata annualmente sin dal 1950 per presentare le opere dei giovani artisti francesi. Con il passare degli anni si assiste ad una progressiva politicizzazione della manifestazione, fino agli esiti del Maggio 1968.

La cosiddetta manifestazione 1 si svolge il 3 gennaio 1967, preceduta da una lettera di invito che funge da autopresentazione degli artisti e che alcuni testi indicano come “Manifestazione 0” del gruppo. Nell'arco di otto ore, il gruppo dipinge presso il Salone una serie di grandi tele adagiate a terra o appoggiate al muro, sotto uno striscione recante i nomi degli artisti. Mentre eseguono queste operazioni ripetitive tra gli spettatori (probabilmente parodiando le performance di Georges Mathieu), una registrazione su nastro diffusa in loop attraverso la galleria dichiara in francese, inglese e spagnolo: "Buren, Mosset, Parmentier e Toroni, vi consigliano di diventare intelligenti'. Allo stesso tempo, viene distribuito un volantino scritto collettivamente che dice:

Dal momento che dipingere è un gioco.
Dal momento che dipingere è mettere d’accordo o in disaccordo dei colori.
Dal momento che dipingere è applicare (consapevolmente o meno) delle regole di composizione.
Dal momento che dipingere è valorizzare il gesto.
Dal momento che dipingere è rappresentare il mondo esterno (o interpretarlo, o appropriarsene, o contestarlo, o presentarlo).
Dal momento che dipingere è offrire un trampolino di lancio per l'immaginazione.
Dal momento che dipingere è illustrare l'interiorità.
Dal momento che dipingere è una giustificazione.
Dal momento che dipingere serve a qualcosa.
Dal momento che dipingere è dipingere in funzione dell’estetismo, dei fiori, delle donne, dell’erotismo, dell’ambiente quotidiano, dell’arte, di dada, della psicoanalisi, della guerra in Vietnam.
NOI NON SIAMO PITTORI



Nelle testimonianze fotografiche di Bernard Boyer:


BMPT1.jpg



BMPT2.jpg
 
Manifestation 2

Alla fine della stessa giornata, alle 6 del pomeriggio, gli artisti portano via le proprie opere, installando un secondo striscione, in modo che i due insieme si leggano: "Buren, Mosset, Parmentier e Toroni non espongono".

Ai giornalisti viene poi distribuito il seguente testo:

“Questa seconda manifestazione, sebbene apparentemente diretta contro questo Salone, definisce nondimeno, in modo irreversibile, il nostro atteggiamento verso tutti i Saloni, qualunque essi siano… Perché questi Saloni sono il retaggio dei Saloni dell'Ottocento... Perché questi Saloni aggravano la pigrizia del pubblico... Perché, soprattutto, questi Saloni mostrano la Pittura e la Pittura, fino a prova contraria, è per vocazione oggettivamente reazionaria.”



Nelle testimonianze fotografiche di Bernard Boyer:


BMPT21.jpg


BMPT22.jpg
 
Manifestation 3

La terza manifestazione si svolge il 2 giugno 1967, in un teatro. I dipinti del gruppo sembrano servire da sfondo decorativo, da ambientazione per una performance che non si verifica mai: il pubblico aspetta 45 minuti, fissando le quattro tele. Dopodiché, agli spettatori impazienti viene comunicato che non ci sarebbe stato alcun happening, ma che si voleva solo che essi osservassero i quattro lavori.

Il poster di lancio, dal sito del MoMA


BMPT3.jpg



Un'immagine dell'evento:


BMPT32.jpg
 
Manifestation 4

Nella quarta e ultima manifestazione del gruppo, svoltasi dal 29 settembre al 5 novembre 1967, sulle opere dei quattro artisti vengono proiettate diapositive di soggetti pittorici tradizionali - paesaggi, nudi, ecc. Queste proiezioni sono anche accompagnate da una traccia audio che avverte il pubblico che: "L'arte è un'illusione", "L'arte è un sogno", e così via.
 
Manifestation 5

Il gruppo si scioglie per divergenze di vedute riguardanti questa, che comunque in letteratura qualcuno indica ancora come quinta manifestazione. Ha luogo negli spazi della Galleria J., che era stata la galleria dei Nouveaux Réalistes, ma senza la presenza di Parmentier.

L’idea, probabilmente lanciata da Buren, è che ogni artista svolga il lavoro degli altri tre. Si vuole dimostrare che ogni artista è in grado di realizzare le opere degli altri e quindi può firmarle con il proprio nome. Parmentier si rifuita e il gruppo si scioglie.
I tre superstiti rivendicano la paternità dei dipinti tipici degli altri due (per esempio: Mosset rivendica la paternità di opere con le strisce di Buren e le tracce di Toroni, e così a loro volta fanno gli altri). I dipinti sono esposti in tre gruppi di tre (strisce verticali, cerchio, tracce di pennello), ciascuno attribuito ad uno solo degli artisti.

Parmentier rimane convinto assertore del fatto che l’autorialità sia legata indissolubilmente con l’idea e che quindi i suoi colleghi stiano realizzando dei falsi. Lui, al contrario, avrebbe voluto attribuire a ciascun artista le opere con il tratto distintivo caratterizzante, indipendentemente dall’esecutore materiale (per esempio: tutte le opere con tracce di pennello attribuite a Toroni, anche se fatte da Buren e Mosset).

La mostra è accompagnata da un testo di Michel Claura, che spiega agli spettatori il senso dell’operazione.
 
Manifestation 6

Qualche testo si riferisce con quest’espressione alla mostra dei soli Buren e Toroni che si svolge a Lugano nel dicembre del 1967. In essa, vengono forniti agli spettatori delle istruzioni su come realizzare loro stessi le opere: chiunque esegua un lavoro con le strisce verticali o l’impronta di pennello n°50 può poi dire che sia opera propria. La mostra prende posizione nell’ambito della distinzione che proprio in quel periodo è in corso di codificazione da parte del filosofo Nelson Goodman tra arti autografiche e allografiche.
 
Con l’aiuto di artprice, dedico ancora un post di sintesi ad ognuno di questi artisti, in modo da avere un’idea del loro mercato secondario.
 
Daniel Buren

Classe: 1938

Lotti in asta: 392

Record d’asta: € 1,606,590 (2019)

Tra i più importanti artisti viventi. Alessandro Celli aveva già aperto una discussione dedicata a lui qui:

Daniel Buren

Direi che nel suo caso potremmo continuare ad aggiornare tale discussione, limitandoci in questa alle informazioni più legate ai suoi esordi nel gruppo.
 
Olivier Mosset

Classe: 1944

Lotti in asta: 348

Record d’asta: € 120,000 (2022)
 
Michel Parmentier

(1938 – 2000)

Lotti in asta: 15

Record d’asta: € 85,000 (2013)
 
Niele Toroni

Classe: 1937

Lotti in asta: 85

Record d’asta: € 250,500 (2019)

L’artista è ticinese e italofono, quindi il suo nome ed il suo cognome vanno pronunciati tranquillamente all’italiana (anche se si sente spesso la pronuncia alla francese).
 
Per ora mi fermo qua. Buona lettura e buona giornata a tutti!
 
Grazie, non conoscevo la storia del gruppo.
Ho letto con molto interesse!
 
Ho recuperato alcune immagini dal bellissimo libro su Parmentier curato da Guy Massaux.

Questa è la lettera d’invito alla prima manifestazione (la cosiddetta, secondo alcuni, “Manifestation 0”), che segna l’inizio ufficiale del gruppo, il 23 dicembre 1966:


Man0.jpg


Questo è il foglio distribuito alla fine della “Manifestation 3”, dove si dice “Ovviamente si trattava solo di guardare le tele di B M P T…”:



Man3.jpg


Queste sono alcune delle diapositive proiettate sulle opere del gruppo, nel corso della “Manifestation 4”:



Man4.jpg
 
Grazie mille Stefano per l'approfondimento!! Purtroppo, causa periodo lavorativo intenso, non riesco a contribuire come vorrei, ma leggo sempre con molto piacere e attenzione.
 
Correggimi se sbaglio Stefano, approfondendo questo gruppo ho da sempre avuto l'impressione che si trattasse della risposta europea al minimalismo americano,ovviamente con peculiarità diverse tra cui l'utilizzo del mezzo puttorico, nonché il precursore delle istanze analitiche degli anni '70. Che ne pensi? Sicuramente la mia è una semplificazione, ma credo che sia stato uno snodo abbastanza importante del dopoguerra.
 
Correggimi se sbaglio Stefano, approfondendo questo gruppo ho da sempre avuto l'impressione che si trattasse della risposta europea al minimalismo americano,ovviamente con peculiarità diverse tra cui l'utilizzo del mezzo puttorico, nonché il precursore delle istanze analitiche degli anni '70. Che ne pensi? Sicuramente la mia è una semplificazione, ma credo che sia stato uno snodo abbastanza importante del dopoguerra.


Ciao Davy81 e grazie per la domanda.

Ritengo il Minimalismo americano uno fra i fenomeni più complessi dell'arte del XX secolo, quindi ho sempre molto timore a maneggiarlo. Tra l’altro, purché ci si metta d’accordo sui suoi confini, l’utilizzo del mezzo pittorico c’è, eccome (Jo Baer, Robert Ryman, Agnes Martin, ecc.). Qui dobbiamo per forza di cosa semplificare. Provo ad esprimere la mia visione, senza pretendere che sia condivisa da altri.

Non credo si possa dire che questo gruppo sia “la risposta europea” alla Minimal Art: se non altro perché gli americani erano venuti dopo Castellani e Azimuth, o dopo che il francese Klein aveva portato avanti i suoi monocromi almeno dal 1954. Possiamo forse dire che tanto Minimal Art quanto BMPT prendono le mosse come “reazione” a certa pittura astratta che era stata prodotta a partire dagli anni ’50 e che, per dirla “alla Barilli”, si stava progressivamente “raffreddando”. Se il punto di partenza è simile, lo è anche l’approdo: Arte Concettuale (che è proprio una figliazione della Minimal Art, ma ha già forti elementi in BMPT) e Critica Istituzionale (Buren ne diventa uno dei massimi interpreti europei). In mezzo, ci sono profonde differenze, la principale delle quali mi sembra l’esplicita, forte e militante connotazione politica e ideologica di BMPT (di nuovo, sto semplificando: in molta produzione minimalista c’è, ad esempio, l’idea della superiorità del modello culturale e della perfezione industriale americana; il discorso sarebbe molto complesso).

Quanto al fatto che il gruppo BMPT sia precursore della nostra Analitica, non gli darei un peso eccessivo. Può essere stata una miccia, ma nel 1967 Griffa stava già sperimentando con il suo stile.
Personalmente vedo qualche affinità col gruppo BMPT, anche rispetto ai contenuti politici, magari per la vicinanza geografica di Torino e per l’influenza dell’Arte Povera, solo in Griffa e Gastini. Per il resto (in quella che una volta in Italia si chiamava anche “Nuova Pittura”), vedo molto poco in comune con i quattro franco-svizzeri.

Forse all’origine di tutti questi movimenti possiamo mettere la già citata mostra di Céret del luglio 1966 e darne il merito a Claude Viallat, che l’ha ideata e organizzata. Oltre all’embrione di Supports/Surfaces, vi parteciparono tre membri su quattro di BMPT (mancava Mosset), ma anche artisti provenienti dai Nouveaux Réalistes (Arman) e da Fluxus (Ben, Bernar Venet). Cosa che dimostra ancora una volta come negli anni ’60 la storia dell’arte proceda con la compresenza, nello stesso momento e in un terreno comune molto fertile, di espressioni anche molto diverse.
 
Ciao Davy81 e grazie per la domanda.

Ritengo il Minimalismo americano uno fra i fenomeni più complessi dell'arte del XX secolo, quindi ho sempre molto timore a maneggiarlo. Tra l’altro, purché ci si metta d’accordo sui suoi confini, l’utilizzo del mezzo pittorico c’è, eccome (Jo Baer, Robert Ryman, Agnes Martin, ecc.). Qui dobbiamo per forza di cosa semplificare. Provo ad esprimere la mia visione, senza pretendere che sia condivisa da altri.

Non credo si possa dire che questo gruppo sia “la risposta europea” alla Minimal Art: se non altro perché gli americani erano venuti dopo Castellani e Azimuth, o dopo che il francese Klein aveva portato avanti i suoi monocromi almeno dal 1954. Possiamo forse dire che tanto Minimal Art quanto BMPT prendono le mosse come “reazione” a certa pittura astratta che era stata prodotta a partire dagli anni ’50 e che, per dirla “alla Barilli”, si stava progressivamente “raffreddando”. Se il punto di partenza è simile, lo è anche l’approdo: Arte Concettuale (che è proprio una figliazione della Minimal Art, ma ha già forti elementi in BMPT) e Critica Istituzionale (Buren ne diventa uno dei massimi interpreti europei). In mezzo, ci sono profonde differenze, la principale delle quali mi sembra l’esplicita, forte e militante connotazione politica e ideologica di BMPT (di nuovo, sto semplificando: in molta produzione minimalista c’è, ad esempio, l’idea della superiorità del modello culturale e della perfezione industriale americana; il discorso sarebbe molto complesso).

Quanto al fatto che il gruppo BMPT sia precursore della nostra Analitica, non gli darei un peso eccessivo. Può essere stata una miccia, ma nel 1967 Griffa stava già sperimentando con il suo stile.
Personalmente vedo qualche affinità col gruppo BMPT, anche rispetto ai contenuti politici, magari per la vicinanza geografica di Torino e per l’influenza dell’Arte Povera, solo in Griffa e Gastini. Per il resto (in quella che una volta in Italia si chiamava anche “Nuova Pittura”), vedo molto poco in comune con i quattro franco-svizzeri.

Forse all’origine di tutti questi movimenti possiamo mettere la già citata mostra di Céret del luglio 1966 e darne il merito a Claude Viallat, che l’ha ideata e organizzata. Oltre all’embrione di Supports/Surfaces, vi parteciparono tre membri su quattro di BMPT (mancava Mosset), ma anche artisti provenienti dai Nouveaux Réalistes (Arman) e da Fluxus (Ben, Bernar Venet). Cosa che dimostra ancora una volta come negli anni ’60 la storia dell’arte proceda con la compresenza, nello stesso momento e in un terreno comune molto fertile, di espressioni anche molto diverse.
Chiarissimo!! Grazie.
 
Per riprendere il racconto dopo lo scioglimento del gruppo, volendo lasciare Buren alla discussione a lui dedicata, riparto da Olivier Mosset.

Fin dal 1968 è tentato dall’efficienza e dalla neutralità delle strisce verticali di Buren, che gli sembrano un passo avanti rispetto al suo cerchio, che Parmentier peraltro gli aveva criticato, accusandolo di individualismo, visto che si può interpretare anche come una lettera “O”, cioè l’iniziale del suo nome.

Mosset realizza un po’ di quadri a strisce, li distrugge, ma entra lo stesso in polemica con Ben Vautier, che li considera dei “pastiche” e bolla l’artista svizzero come “ipocrita”, “geloso”, “in perenne confusione” ed “indeciso”.

Nonostante tutto, nell’aprile del 1974 Mosset presenta alla Galleria Daniel Templon una serie di dipinti a strisce grigie e bianche. A differenza dei lavori di Buren, le strisce sono tutte dipinte e sono leggermente più larghe, 10 centimetri. Scoppia comunque una polemica, a partire da un falso invito che viene fatto circolare dove la mostra è indicata come un “omaggio a Daniel Buren”. A ciò fa seguito una falsa lettera nella quale un sedicente Buren si lamenta di essere stato plagiato. Interviene nella polemica il vero Buren, che accusa la galleria e Mosset stesso di aver fomentato apposta la polemica. Giancarlo Politi, su Flash Art International, prende decisamente posizione, accusando Mosset di cercare pubblicità sfruttando il più noto membro del gruppo BMPT.

Due anni dopo, nel 1976, quando ormai la polemica è sopita, Mosset ripete pedissequamente la stessa mostra nella medesima galleria. Il tono di colore è leggermente più pallido, ma per il resto opta per tele delle medesime dimensioni, collocate esattamente nelle stesse posizioni. Siamo non solo alla ripetizione del motivo dei quadri, ma addirittura alla ripetizione di un’intera mostra.

Per il suo coinvolgimento nel Maggio ’68, le autorità francesi non gli rinnovano il passaporto. Nel 1977, Mosset si trasferisce dunque a New York, dove condivide per un po’ uno studio con il connazionale Grégoire Müller, artista minore oggi non molto quotato.
Si avvicina a Marcia Hafif (1929-2018, record d’asta attorno ai 50,000 euro stabilito nel 2020), che lo introduce agli altri membri del gruppo “Radical Painting”. Mosset si dedica, da allora e fino al 1986, alla produzione di monocromi.

Negli anni ’80 si avvicina a Sherrie Levine e espone da Collins & Milazzo e Bob Nickas, che stanno promuovendo la nuova generazione di artisti, che ha così modo di frequentare (Koons, Halley, Taaffe, ecc.). Spesso esibito in queste gallerie all’interno di collettive Neo-Geo, Mosset finisce con l’abbandonare il monocromo puro per dipingere motivi geometrici.

Negli ultimi anni, a partire dalla partecipazione alla Biennale di Venezia del 1990 per rappresentare la Svizzera, l’artista si è dedicato a dimensioni monumentali e alla sperimentazione sui materiali.

La pratica di Mosset è vicina a quella dell’Appropration Art: ha sempre aggiustato la propria arte in relazione al contesto artistico e sociale in cui si trovava.
 
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