Bagnai
Bagnai si definisce economista postkeynesiano e aderisce alla visione ortodossa espressa da economisti come James Meade, Anthony Thirlwall, Martin Feldstein, secondo la quale non esistono i presupposti strutturali perché l'Europa possa dotarsi di una moneta unica. In questo contesto e in forte polemica con altri economisti, sostiene che il principio della convergenza verso parametri rigidi, sancito dal Trattato di Maastricht, successivamente ripreso dal Patto di stabilità e crescita (PSC) nel 1997, sottoscritto dai paesi membri dell'Unione europea e ulteriormente ribadito nel 2012 con il Patto di bilancio europeo (noto anche come "fiscal compact"), è logicamente incompatibile con la condivisione di un progetto politico comune e quindi di un'Europa federale, presupposto per l'effettiva sostenibilità di una moneta unica europea, l'euro, in sostituzione delle rispettive valute nazionali. Ritiene, sulla base di questo, che gli squilibri macroeconomici affermatisi nella Zona euro negli ultimi quindici anni, siano non tanto derivanti da un problema di insostenibilità del debito pubblico, che negli anni antecedenti la crisi del 2008 era tenuto sotto controllo dai policy makers, quanto da ricercare nell'eccessivo indebitamento estero da parte di famiglie e imprese, così come sostenuto dal vice governatore della Banca centrale europea in un suo celebre intervento[5].
Sul tema delle unioni valutarie Bagnai in particolare ha portato avanti in Italia il lavoro dell'economista argentino Roberto Frenkel. Quest'ultimo ha proposto, con riferimento alle dinamiche indotte dalla dollarizzazione dell'Argentina e al successivo sganciamento di quest'ultima dall'unione valutaria con il dollaro nel 2001, un modello in sette passi per spiegare quello che accade ai paesi più deboli quando, in mancanza di compensazione degli squilibri ed in presenza di una forte liberalizzazione del mercato dei capitali, àncorano la loro valuta a una valuta più forte.[6]
Rifacendosi al pensiero di Nicholas Kaldor, Bagnai afferma che l'adesione all'euro, comprimendo le esportazioni dell'Italia, ha inciso negativamente sulla produttività dell'economia italiana. Questa visione è contestata da economisti come Francesco Daveri, che invece vede la causa del declino della produttività italiana nelle modalità imperfette d'attuazione delle riforme del mercato del lavoro (un'ipotesi inizialmente avanzata da Robert J. Gordon[7]). È contestato anche da altri economisti, fra i quali Michele Boldrin, che invece ritiene che il declino dell'economia italiana sia attribuibile più in generale agli errori della classe politica,[8] e da Emiliano Brancaccio, che contesta la validità dei modelli d'analisi e delle teorie di riferimento adottate da Bagnai, e dissente sulle previsioni positive circa la dinamica delle variabili monetarie in caso d'abbandono della moneta unica.[9]
Nel 2013 Bagnai ha firmato con altri economisti europei quali Stefan Kawalec[10], Luigi Zingales[11], Frits Bolkestein, Hans-Olaf Henkel, Costas Lapavitsas, Jacques Sapir, il Manifesto di Solidarietà Europea[12], che partendo dall'assunto dell'impossibilità di proseguire con il progetto di integrazione monetaria, ne suggerisce lo smantellamento partendo dalla secessione dei paesi più competitivi.