capital asset pricing model

Oskar_WB

Nuovo Utente
Registrato
22/10/18
Messaggi
160
Punti reazioni
2
Sto leggendo A random walk down wall street di Burton Malkiel. In esso c'è scritto come la teoria del capital asset pricing model prevede che il rendimento di un'asset aumenti all'aumentare del beta. Riguardo alle azioni, si nota che la relazione tra beta e rendimento è circa piatta. Si menziona però il fatto che due ricercatori, Jagannathan e Wang, hanno notato che, quando nell'indice di mercato (rispetto al quale si misura il beta) si include il rendimento di altre forme di capitale, incluso il capitale umano, e assumendo che il beta vari durante i cicli di mercato, si trova che la relazione tra beta e rendimento esiste. Nel libro però non viene detto di più.
Qualcuno mi può dire di più su questo studio di Jagannathan e Wang. Che metodo hanno usato? Dove posso trovare questo studio?
Beninteso, si tratta più di curiosità che di utilità pratica a fini di investimento.
 
L'articolo del 96 è di facile reperibilità on line, The Conditional CAPM and the Cross-Section of Expected Returns.

La pseudo teoria del CAPM è una congettura sostanzialmente priva di valore scientifico e conoscitivo. Serve per fini ideologici e per costruire una sorta di giustificazione ad hoc per tutti coloro che come diceva il grande JMK non sanno molto ma si muovono insieme e si affidano alle stesse credenze.

I due autori si muovono sui binari della versione di Conditional CAPM che è un (fallito) tentativo di estendere lo pseudo modello dalla situazione statica uniperiodale a un supposto dinamismo multiperiodale da cui la definizione di conditional a esprimere la dipendenza o condizionalità dalle riviste informazioni di ogni periodo. In tal modo i beta e i premi sul rischio varierebbero nel tempo.

Per la parte statica di ogni periodo il rendimento del portafoglio di mercato viene integrato con il ritorno del capitale umano (introdotto in modo articioso e apparentemente un poco ad hoc) in modo da avere un migliore ritorno della ricchezza aggregata. Come effetto i calcoli statistici di covarianze e varianze produrrebbero un risultato migliore.

Nel complesso una pseudoteoria che non dovrebbe più essere insegnata.
 
L'articolo del 96 è di facile reperibilità on line, The Conditional CAPM and the Cross-Section of Expected Returns.

La pseudo teoria del CAPM è una congettura sostanzialmente priva di valore scientifico e conoscitivo. Serve per fini ideologici e per costruire una sorta di giustificazione ad hoc per tutti coloro che come diceva il grande JMK non sanno molto ma si muovono insieme e si affidano alle stesse credenze.

I due autori si muovono sui binari della versione di Conditional CAPM che è un (fallito) tentativo di estendere lo pseudo modello dalla situazione statica uniperiodale a un supposto dinamismo multiperiodale da cui la definizione di conditional a esprimere la dipendenza o condizionalità dalle riviste informazioni di ogni periodo. In tal modo i beta e i premi sul rischio varierebbero nel tempo.

Per la parte statica di ogni periodo il rendimento del portafoglio di mercato viene integrato con il ritorno del capitale umano (introdotto in modo articioso e apparentemente un poco ad hoc) in modo da avere un migliore ritorno della ricchezza aggregata. Come effetto i calcoli statistici di covarianze e varianze produrrebbero un risultato migliore.

Nel complesso una pseudoteoria che non dovrebbe più essere insegnata.

Grazie mille, è proprio l'articolo che stavo cercando.
Secondo me il problema principale nel tentativo di razionalizzare le quotazioni dei titoli di borsa basandosi sulla volatilità è che essa non rappresenta una misura molto efficace del rischio, se non nel caso in cui si tratti di un investimento di breve termine. Contando che gli investitori istituzionali, che sono quelli che muovono il 90% del mercato, hanno in genere un orizzonte temporale lungo, se le azioni più volatili offrissero rendimenti molto più alti di quelle più stabili probabilmente sarebbero, in una certa misura, un free lunch.
 
Grazie mille, è proprio l'articolo che stavo cercando.
Secondo me il problema principale nel tentativo di razionalizzare le quotazioni dei titoli di borsa basandosi sulla volatilità è che essa non rappresenta una misura molto efficace del rischio, se non nel caso in cui si tratti di un investimento di breve termine. Contando che gli investitori istituzionali, che sono quelli che muovono il 90% del mercato, hanno in genere un orizzonte temporale lungo, se le azioni più volatili offrissero rendimenti molto più alti di quelle più stabili probabilmente sarebbero, in una certa misura, un free lunch.
Infatti una delle critiche più robuste fatte al beta e supportata pure da W Buffet è di essere una statistica abbastanza arbitrariamente identificata con il concetto di rischio. Sul piano pratico si è fatto il tentativo di introdurre qualche minimale correttivo con i modellini multifattoriali.
Sul piano teorico trascendentale dove domina la mistificazione pseudometafisica antiscientifica neoclassica si è invece in generale preferito assumere un atteggiamento fideistico: se infatti si assume valida l'ipotesi emh di mercati efficienti, che fa il corrispettivo dei mercati perfettamente concorrenziali neoclassici a evitare il confronto cpn AS e il capitalismo, quella statistica effettivamente rappresenta il rischio.
 
Si anche io nutro dei dubbi, però come al solito mi faccio guidare dai casi concreti.

Supponiamo per un istante io sia un fondo pensione americano e devo allocare 1 mld di $ di capitale e posso decidere di allocarlo o sul NASDAQ o sul Bund Tedesco, nel primo caso avrò una statistica che mi dice che a fronte di una volatilità x (alta) avrò un rendimento y(alto) nel secondo caso avrò rischio zero ma rendimento negativo, insomma alla fine il concetto del CAPM.

Io penso invece che il fattore CAPM vada rettificato per il peso specifico del paese in cui si investe. Per esempio supponiamo sempre che io sia un investitore italiano e devo allocare sempre il mio miliardo di dollari la scelta è però tra SP500, Bund Tedesco e BTP Italiano adesso supponiamo che vi sia un evento come quello del 2008 in tal caso il modello CAPM funziona ancora per tra SP500 e Bund ma non funziona più tra SP500 e BTP, supponiamo adesso che vi sia un evento come la II Guerra Mondiale il modello CAPM non funziona più in quanto l'SP500 batterebbe il Bund. I rendimenti dei titoli di stato come Germania, Giappone sono tali se tali rimangono le condizioni al contorno, in caso di crisi, parlo di guerra, un bund potrebbe essere in linea teorica meno sicuro di un titolo di stato russo. Infatti la Germania è già fallita 2 volte in un secolo. Ed è stata graziata 2 volte dagli Stati Uniti.
 
Il CAPM, nel bene o nel male, è una teoria accademica, ma gli accademici non sono complottisti da bar in quanto, dopo un costrutto matematico, richiedono evidenze empiriche, che ci sono (apri solo la pagina di wikipedia e vedi già una rappresentazione della frontiera efficiente). Se vuoi approfondire l'argomento consiglio il testo
di Bodie Kane Marcus - Investments - disponibile liberamente in pdf (sono 1000 pagine). Già al suo interno ci sono le critiche, ma non si può parlare di teorica parascientifica campata per aria.
Di fatto ha dimostrato:
- la correlazione diretta tra rischio / rendimento
- il fatto che inserendo più titoli in portafoglio (come diceva lo zio Warren, si diversifica quando non si sa cosa si compra, e spesso è davvero così) il rischio complessivo tende sempre a diminuire e non ad aumentare o ad essere la semplice somma dei singoli titoli, da cui
- la frontiera efficiente, o come molte la chiamano, la frontiera delle "possiiblità":di fatto rappresenta un limite insormontabile, quando investi in più di 1 titolo.

Poi del resto l'utilità pratica è pressochè terminata: io non investirei mai in un titolo considerando solo il fattore di rischio volatilità.
 
Indietro