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15 dicembre 2003
Quei bond hanno licenza di rischiare
Chi controlla che cosa? Per obbligazioni come quelle Cirio non sono previsti esami preventivi. Né da parte di Bankitalia né da parte di Consob
Ha detto John Kenneth Galbraith, alludendo al cinismo del mercato: «E’ bene che di tanto in tanto il denaro si separi dagli imbecilli». Anche se è davvero difficile considerare proprio tutti «imbecilli» i 35 mila risparmiatori che si sono inguaiati con i Cirio bond o le molte migliaia che adesso rischiano di fare analoga sorte con le obbligazioni Parmalat. «Da queste cose - sentenzia l’ex commissario della Consob, Salvatore Bragantini - non c’è difesa». Possibile? Sembra assurdo ma è proprio così. E in questo la situazione italiana non è poi molto diversa da quella degli altri Paesi europei: la differenza è, semmai, nella cultura del risparmiatore e nella sua dimestichezza con i prodotti finanziari più sofisticati.
La normativa non prevede infatti controlli preventivi su questo genere di obbligazioni. Né da parte della Consob, a cui spettano comunque la verifica ex post, né tantomeno da parte della Banca d’Italia, che il ministro del Tesoro Giulio Tremonti considera invece oggettivamente responsabile della vicenda Cirio, per il fatto che i titoli incriminati sono stati venduti agli sportelli delle banche indebitate con il gruppo di Sergio Cragnotti. E neppure, in questa circostanza, si può chiamare in causa la confusione di competenze fra Consob e Banca d’Italia che in molti campi è all’origine di incomprensioni e inefficienze. Al punto che il caso Cirio è servito a rilanciare i progetti di chi vorrebbe sostituire l’attuale sistema «bipolare» con una sola autorità di Vigilanza. Come lo stesso Tremonti, che tifa per il modello inglese (vedi l’articolo a pagina 2) .
E’ vero che palazzo Koch deve dare il via libera, con il meccanismo del silenzio assenso, alle emissioni di titoli sul mercato italiano. Ma le può vietare solo per ragioni di stabilità del mercato, non perché certe obbligazioni puzzino di bruciato e altre invece no. Almeno formalmente, la Banca d’Italia non è tenuta ad annusare i titoli prima che vadano sul mercato. E’ pure vero che la Consob ha il dovere di controllare il prospetto informativo che deve accompagnare tutte le offerte rivolte al pubblico risparmio. Ma si dà il caso che il prospetto non sia richiesto per le obbligazioni, come per esempio quelle Cirio, destinate esclusivamente agli investitori istituzionali e non emesse in Italia. Che poi però finiscono inevitabilmente dagli investitori istituzionali alle banche e da queste, senza alcun filtro, nelle tasche dei risparmiatori.
Non a caso il 94% delle obbligazioni italiane sono state emesse a Lussemburgo. Fin qui nulla di male, visto che quel Paese fa comunque parte dell’Unione europea. E che non soltanto le imprese private, ma persino le aziende pubbliche e lo stesso Stato italiano ricorrono a questo meccanismo, anche se per ragioni diverse. Il problema sorge nel momento in cui questo canale di finanziamento viene utilizzato, per importi rilevanti, da aziende in difficoltà finanziaria a cui talvolta il sistema bancario ha già chiuso i rubinetti. Il risparmiatore, allettato dagli alti rendimenti di quei titoli, non dispone di strumenti (a parte, forse, le notizie di stampa), per conoscere la reale situazione dell’impresa e non gli resta quindi che fidarsi di chi gli vende l’obbligazione.
Del resto è sufficiente scorrere l’elenco delle 45 imprese private che negli ultimi cinque anni hanno rastrellato sul mercato 78,6 miliardi di euro passando da Lussemburgo, per rendersi conto della situazione. Accanto a società in salute, ce ne sono anche molte che hanno avuto (e alcune hanno ancora) seri problemi finanziari. Al secondo posto nella classifica degli emittenti, dopo il gruppo Pirelli-Telecom, c’è la Fiat, seguita dalla Parmalat. Qualche posizione più in basso si trova la Cirio, quindi Telepiù (recentemente assorbita da Sky di Rupert Murdoch). E quasi in fondo alla lista c’è il gruppo Giacomelli sport, finito in stato di insolvenza, che con obbligazioni emesse a Lussemburgo ha raccolto 100 milioni di euro.
Diversamente dal Tesoro, la Banca d’Italia non considera allarmante la situazione. Lo stesso governatore Antonio Fazio ha sottolineato che nel 2002, a fronte di 34 casi di default verificatisi in tutta Europa, in Italia ce n’è stato solo uno, quello delle obbligazioni Cirio Finanziaria per 175 milioni di euro, contro i 15 del Regno Unito e gli 8 dei Paesi Bassi. Dati significativi, che vanno però letti anche alla luce del diverso peso del mercato italiano rispetto a quello anglosassone, dove le obbligazioni sono uno strumento molto più familiare. E dove «non suscita scandalo», afferma un operatore della City, «il fatto che le banche scarichino sugli investitori istituzionali parte della loro esposizione verso le imprese, quando questa risulta eccessiva». L’importante è che questa esposizione poi non si riversi, a cascata, sui risparmiatori inconsapevoli. Proprio quello che, si sospetta, sarebbe successo nel caso dei Cirio bond.
Secondo l’economista Alessandro Penati nessun controllo potrebbe prevenire completamente i danni per i piccoli investitori. Bisognerebbe piuttosto autorizzare azioni risarcitorie collettive nei confronti degli intermediari, come possibile deterrente per chi volesse trasferire crediti a rischio sui risparmiatori. Bragantini è del parere che vietare la vendita al dettaglio delle obbligazioni sia sbagliato. «Non si può impedire a un risparmiatore consapevole di rischiare», dice l’ex commissario della Consob. «Piuttosto - aggiunge - si potrebbero costringere gli investitori istituzionali a tenere quei titoli in portafoglio almeno un anno prima di metterli sul mercato», come avviene negli Stati Uniti. «Un’altra possibilità», secondo Bragantini, «è quella di rendere obbligatorio il rating». Chi compra i bond emessi dalle imprese avrebbe almeno un punto di riferimento concreto, oltre alla buona fede di chi gli vende i titoli.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/ce151203bo.html
15 dicembre 2003
Danovi: «Servono controlli e obblighi»
Il vincitore della sentenza Cultrera: «Imporre a chi fa emissioni estere il prospetto per le autorità italiane»
Remo Danovi è presidente del Consiglio nazionale forense. Ma è anche l’avvocato che due mesi fa - e dopo vent’anni di battaglie - ha fatto condannare la Consob, oltre che il ministero dell’Economia, a rimborsare 6,3 milioni di euro ai risparmiatori coinvolti in una delle operazioni del crac Cultrera. La causa? Non aver esercitato i controlli ai quali era tenuta. Nonostante siano passati vent’anni dai fatti a cui si riferisce la sentenza della Corte d’Appello di Milano, secondo Danovi però la situazione riguardo le autorità di vigilanza ancora oggi non è in fondo cambiata granché. Stiamo passando da uno scandalo all’altro, da quelli americani di Enron e Worldcom ai bond argentini, da Cirio a Parmalat. C’è un filo che li accomuna?
«Non c’è dubbio che vi siano delle somiglianze: in tutti questi casi sono mancati controlli che avrebbero dovuto esserci e i danneggiati sono i soggetti più deboli, risparmiatori o azionisti, che non hanno potuto avere alcun elemento attendibile di giudizio. Ma devo dire che vedo anche profonde differenze tra gli scandali degli Stati Uniti e i nostri».
E cioè?
«Negli Stati Uniti le autorità governative sono intervenute immediatamente per correggere le norme che si erano rivelate inadeguate (la Sec con l’applicazione della legge Sarbanes-Oxley). Si sono studiate nuove regole perfino per gli avvocati che assistono le imprese e gli amministratori nella loro gestione aziendale: i nuovi Standards of Professional Conduct per avvocati, ad esempio, hanno riempito centinaia di pagine e sono stati oggetto di profondo dibattito. Una seconda differenza nasce dal fatto che l’opinione pubblica ha espresso un sentimento di riprovazione, al punto che le due persone che hanno permesso di rivelare gli scandali sono state indicate come personaggi dell’anno sulla rivista Time . E’ la risposta etica che contrassegna la riprovazione dei fatti compiuti».
Mentre in Italia questo non succede?
«In Italia non avremo certamente né leggi immediate né sdegno o disprezzo per quanto accaduto. L’esperienza, infatti, insegna che molti funzionari che hanno svelato scandali sono stati alla fine rimossi, non premiati!».
Cosa ha determinato i casi Cirio e Parmalat, secondo lei? I mancati controlli di chi avrebbe dovuto farli, o un atteggiamento, diciamo «spericolato», degli amministratori?
«L’una e l’altra cosa insieme. Al di là dei casi specifici, però, va detto che le iniziative degli amministratori spesso si contraddistinguono per "interessate convergenze", da cui restano esclusi i piccoli azionisti, e ovviamente i risparmiatori. Né si può consentire un capitalismo made in Italy senza capitali. Ma molto dipende anche dal mancato controllo delle autorità di vigilanza, la Consob o la Banca d’Italia secondo i casi. Talvolta, comunque, i bilanci celano l’effettiva realtà dei fatti (con ovvie imputabilità degli amministratori): può accadere così che le agenzie di rating assegnino un elevato punteggio alle società e poi, nel giro di pochi giorni, la solidità finanziaria sia relegata al rango dei titoli spazzatura. Qui sono davvero l’informazione scorretta e l'azione illegale che provocano i grandi disastri».
Come si può imporre che un bilancio rispecchi la realtà dell’azienda?
«Questo, purtroppo, mi sembra ancora oggi un risultato difficile da raggiungere. Almeno, finché non saranno instaurate una etica della responsabilità e una consuetudine di trasparenza generalizzata, che costituisce un valore in sé. E’ la trasparenza infatti che consente al mercato di operare la corretta selezione fra le imprese.
Le autorità di controllo sono solite dire che mancano i poteri.
«In verità, alcuni poteri esistono. E sono i poteri di vigilanza e controllo, nonché i poteri ispettivi. Per di più, fino alla presentazione dei prospetti, la Consob può chiedere informazioni e precisazioni senza particolari limiti. I loro poteri devono, dunque, certamente essere rafforzati (e applicati), ma, ad oggi, non possono dirsi del tutto inadeguati. In ogni caso dovrebbe essere fermamente vietata la promiscuità di iniziative che consentono, ad esempio, alla banca finanziatrice di collocare gli stessi titoli di debito sul mercato. Fondamentale poi dovrebbe essere il ruolo dei revisori».
Nel caso dei bond emessi da società estere e destinati a investitori istituzionali - come nei casi Cirio e Parmalat - non c’è, però, obbligo di prospetto informativo, e quindi la Consob non ha potere di intervento.
«E’ vero. Ma dovrebbe, comunque, imporsi alle imprese italiane che emettono bond attraverso società straniere strumentali l’obbligo di sottoporre i prospetti anche alle autorità italiane».
Ma davvero i risparmiatori non hanno alcuna responsabilità? Com’è possibile che siano sempre ignari?
«Il risparmiatore deve godere della tranquillità garantita dal sistema dei controlli e dalle leggi che regolano il mercato. Di per sé eviterei di colpevolizzare perfino le persone che sono prive degli strumenti culturali o tecnici per valutare compiutamente il mercato e la convenienza dell’investimento. Diversamente, dovremmo tornare alle origini e imporre alla maggior parte dei risparmiatori l’uscita dai mercati mobiliari».
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/ce151203bo2.html