FaGal
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12 febbraio 2004
Cirio, Monza «chiude » con 33 nomi
MILANO - Trentatré iscritti nel registro degli indagati e 27 banche o istituzioni finanziarie sotto inchiesta. L'indagine condotta dal sostituto procuratore di Monza Walter Mapelli sulle obbligazioni Cirio si è chiusa ieri con il deposito degli atti. Alcuni avvisi di fine indagine devono ancora essere notificati e la Guardia di Finanza di Seregno, coordinata dal tenente colonnello Paolo Cussotto, sta ancora concludendo i lavori. Ma ormai la prima inchiesta aperta sul caso delle obbligazioni Cirio può considerarsi al capolinea: gli avvocati degli indagati hanno ora 20 giorni di tempo per consultare gli atti e per preparare eventuali memorie difensive. Poi il Pm potrà decidere per quali posizioni chiedere la citazione diretta in giudizio e per quali proporre invece l'archiviazione. Nei casi in cui si decidesse di procedere, quindi, si andrebbe direttamente al dibattimento senza passare dal Giudice per le indagini preliminari. La lista degli indagati, come anticipato nei giorni scorsi dal «Sole 24 Ore», è raddoppiata negli ultimi tempi. Con altri nomi più o meno noti della finanza: Giacomo Franceschetti (ex presidente di Bipop), Roberto Notarbartolo (amministratore delegato di Rasfin), Pierdomenico Gallo (presidente di Meliorbanca), Pierluigi Montani (Popolare di Novara), Vittorio de Pedys (Iccrea), Giuseppe Menzi (direttore generale della Banca Agricola Mantovana), Alessandro Giovannini (Banca di Roma), Matteo Tarroni (ex di Mediobanca) e Pierpaolo Rossi (Banca Akros). Questi nomi si sommano a quelli già noti da mesi. Dei 33 indagati, però, alcuni saranno probabilmente destinati ad altre sedi: gli atti relativi al gruppo Sanpaolo Imi saranno sicuramente trasferiti alla Procura di Torino, mentre l'indagine relativa a Banca AntonVeneta potrebbe essere stralciata a favore della procura di Padova. A Monza dovrebbero quindi rimanere, alla fine, 25 indagati, dato che il Pm pare anche orientato a chiedere l'archiviazione per i funzionari delle singole filiali bancarie. Come appare chiaro dalla lista, l'indagine monzese sul collocamento delle obbligazioni Cirio ha toccato diverse istituzioni finanziarie con diversi ruoli: dalle banche commerciali che materialmente hanno venduto le obbligazioni ai piccoli risparmiatori, alle banche d'investimento che hanno coordinato le emissioni di bond come capofila dei sindacati di collocamento e garanzia, fino alle istituzioni finanziarie che hanno semplicemente partecipato con piccole quote al collocamento. Il reato ipotizzato dalla Procura è quello della truffa nei confronti dei risparmiatori che hanno acquistato gli ultimi 5 bond della Cirio. Per dimostrare questa ipotesi gli investigatori hanno innanzitutto dovuto verificare se ci sia stato quello che codice definisce «ingiusto profitto». Le ipotesi del Pm riguardano, su questo fronte, un po' tutti. Le banche lead manager (quelle che hanno curato in prima linea le emissioni di bond) hanno infatti percepito le commissioni per le emissioni obbligazionarie. Le altre banche che hanno partecipato al consorzio di collocamento pur con un ruolo secondario hanno invece incassato un ricavo derivante dalla differenza tra il prezzo di emissione e il prezzo di collocamento dei bond. Mentre molte banche commerciali o gruppi bancari hanno potuto, proprio grazie ai soldi che la Cirio incassava con i bond, ridurre la loro esposizione nei confronti di un gruppo Cirio. Tutto questo, secondo gli investigatori, può essere considerato un «ingiusto profitto». Il reato di truffa prevede anche che ci siano stati «artifizi e raggiri». E anche in questo caso le ipotesi formulate dagli investigatori sono chiare: da un lato le obbligazioni venivano emesse all'estero "aggirando" di fatto la legge italiana relativa ai limiti sulle emissioni, dall'altro i bond venivano formalmente riservati agli investitori istituzionali ma poi finivano in mano ai risparmiatori. Infine i titoli avevano spesso garanzie molto blande. Se tutto questo sia sufficiente per dimostrare la truffa andrà appurato in sede di dibattimento. La palla passa per ora agli avvocati difensori. Anche se molte banche tirate in ballo in questi giorni dall'inchiesta (si veda l'elenco completo in pagina) hanno già fatto conoscere ieri la loro posizione. Banca Profilo ha comunicato di avere partecipato a un solo consorzio di collocamento, per un importo complessivo di 1,35 milioni di euro. Mediobanca idem: ha lavorato in una sola operazione. Rasfin, specificando come Mediobanca di avere collocato i bond solo agli investitori istituzionali, ha affermato di avere partecipato solo a un'operazione. E anche Meliorbanca ha detto di aver collaborato a tre emissioni per importi sostanzialmente analoghi. Mentre la Banca Popolare di Ancona è ancora più netta: l'istituto, in una nota, «smentisce in modo categorico di aver mai partecipato ad alcun consorzio di collocamento di bond Cirio». MORYA LONGO
In arrivo revocatorie a 5 anni
I commissari preparano le azioni di recupero dei crediti rimborsati per vie illecite
ROMA - Tutto fa brodo, nel minestrone giudiziario-finanziario della Cirio rimasto a secco di liquidi per i sottoscrittori dei bond. L'ordinanza per l'arresto di Sergio Cragnotti emessa ieri dal Gip romano è una buona notizia per i sottoscrittori dei Cirio-bond perchè aumenta le probabilità di successo delle azioni revocatorie che inevitabilmente saranno intraprese dai commissari straordinari contro quelle banche che, nella consapevolezza del dissesto del gruppo, sarebbero rientrate dei propri crediti in virtù degli incassi delle obbligazioni. Come impatto indiretto, l'ordinanza disposta ieri con i nomi di sei banche rimborsate tra il 2000 e il 2002 con il 53% del ricavato dei sette Cirio-bond (si veda articolo a pag. 3), potrebbe indurre il sistema bancario - o per lo meno quelle sei banche - ad allargare i cordoni della borsa nelle operazioni di indennizzo avviate o in via di definizione per rimborsare, parzialmente o integralmente, i sottoscrittori dei Cragnotti-bond. Al di là dell'esito degli indennizzi bancari e delle azioni legali in corso, gli obbligazionisti del gruppo Cirio ripongono le speranze di recuperare il capitale investito sull'amministrazione straordinaria condotta dai commissari Mario Resca, Luigi Farenga e Attilio Zimatore e imperniata su un piano di cessioni giunto oramai ai nastri di partenza. Il ricavato delle vendite dei rami aziendali - che dovrebbe concludersi entro un anno per gli asset principali - verrà utilizzato per rimborsare i creditori, prima i privilegiati e poi i chirografari tra i quali i bondholder. Per rimpolpare l'attivo - che ora come ora in base alle stime disponibili riduce a poca cosa le possibilità di recupero dei possessori di Cirio-bond -, i commissari possono ricorrere alle revocatorie. E, fanno sapere, lo faranno. Le revocatorie sono atti giudiziari con citazioni in sede civile previste anche dalla Prodi-bis. Sono azioni che vengono rivolte contro quei creditori che ottengono il rimborso parziale o integrale dei propri crediti, pur nella consapevolezza dello stato di crisi irreversibile del debitore, e dunque a danno di altri creditori, beffandosi della par condicio creditorum. Nel caso della Cirio, l'ordinanza fa emergere un primo elemento a favore delle revocatorie: la ricostruzione degli eventi mette in risalto il fatto che Cragnotti, ben sapendo del dissesto del gruppo, ha confezionato i bond per rimborsare, tra gli altri, anche alcuni istituti di credito. I commissari straordinari, nel disporre le revocatorie, dovranno provare che anche le banche rientrate dei crediti, erano a conoscenza dell'insolvenza del gruppo. Un esercizio forse non particolarmente difficile per i commissari i quali, nella relazione che ha richiesto la Prodi-bis, hanno sostenuto al tesi che palesi segnali di insolvenza del erano già evidenti nel 1999 e che le emissioni dei bond servirono sono a «rinviare la dichiarazione dello stato d'insolvenza», emanata dal Tribunale di Roma nell'agosto del 2003. Il problema dei commissari straordinari sarà però un altro: fare in modo che la revocatoria utilizzata per colpire le banche sia quella "ordinaria", che ricopre cioè un arco temporale equivalente ai cinque anni precedenti la data dello stato d'insolvenza. Altri tipi di revocatorie prevedono invece un periodo più breve di un anno o due: in questo caso gran parte delle operazioni di rientro dei crediti bancari tramite bond rimarrebbe esclusa. Per colpa delle lungaggini del piano Livolsi sulla conversione dei debiti in azioni, che dopo un'elaborazione durata oltre sei mesi fallì nel luglio del 2003, la sentenza del Tribunale sullo stato d'insolvenza della Cirio (agosto 2003) è giunta dopo nove lunghi mesi dal primo default del Cirio-bond (novembre 2002). Sarà una coincidenza: ma questi nove mesi di differenza sono fondamentali per il calcolo delle revocatorie. I sette bond sono stati emessi dal 30 maggio 2000 al 31 maggio 2002: in un'eventuale revocatoria tra agosto 2003 e agosto 2002 non rientrerebbe alcuna emissione; tra l'agosto 2003 e l'agosto 2001 solo gli ultimi due bond da 175 milioni di euro. Senza il piano Livolsi, una revocatoria tra il novembre 2002 e il novembre 2000 avrebbe interessato invece sei bond su sette. ISABELLA BUFACCHI
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole120204ci.html
12 febbraio 2004
Restituiti 595 milioni a sei banche
ROMA - «Banca di Roma, Banca popolare di Lodi, Mediocredito centrale, Banca nazionale del lavoro, Ubs e Banco di Napoli». Sono questi i sei istituti di credito che hanno ottenuto in virtù dei Cirio-bond, tra il 2000 e il 2002, «pagamenti preferenziali per importi ingenti, pari ad almeno 595 milioni di euro, quando il gruppo si trovava già in stato di insolvenza e a parziale rimborso dei crediti vantati con Cirio finanziaria e holding». La riduzione dell'indebitamento verso le banche, effettuata negli anni in cui furono collocati sette Cirio-bond per 1.125 milioni di euro, sarebbe stata eseguita da Sergio Cragnotti, suo figlio Andrea e il direttore finanziario Filippo Fucile «in un momento di sostanziale dissesto economico, ben noto ai soggetti che hanno gestito i proventi delle emissioni obbligazionarie e li hanno destinati parzialmente alla riduzione dell'indebitamento verso le banche». È questa la tesi scandita dal Giudice per le indagini preliminari che ha emesso ieri l'ordinanza di custodia cautelare con carcere e arresti domiciliari per l'ex-patron e alti ex-dirigenti della Cirio, sull'ipotesi di bancarotta fraudolenta preferenziale. L'ordinanza condivide «pienamente» l'analisi dei commissari giudiziali della Cirio secondo i quali «l'emissione delle notes ha solo differito il momento della manifestazione dello stato di insolvenza» le cui radici risalivano «già al 1999». L'ordinanza riproduce nel dettaglio le informazioni contenute in un file memorizzato nel personal computer di Fucile e denominato "riepilogo": nel file risulta che il 53% del ricavato dalle sette emissioni, soprattutto quelle collocate nel 2001 e 2002, è stato usato per rimborsare le banche, pari per l'appunto a 595 milioni di euro. Altri 190 milioni invece andarono alla SS Lazio.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole120204ci2.html
Cirio, Monza «chiude » con 33 nomi
MILANO - Trentatré iscritti nel registro degli indagati e 27 banche o istituzioni finanziarie sotto inchiesta. L'indagine condotta dal sostituto procuratore di Monza Walter Mapelli sulle obbligazioni Cirio si è chiusa ieri con il deposito degli atti. Alcuni avvisi di fine indagine devono ancora essere notificati e la Guardia di Finanza di Seregno, coordinata dal tenente colonnello Paolo Cussotto, sta ancora concludendo i lavori. Ma ormai la prima inchiesta aperta sul caso delle obbligazioni Cirio può considerarsi al capolinea: gli avvocati degli indagati hanno ora 20 giorni di tempo per consultare gli atti e per preparare eventuali memorie difensive. Poi il Pm potrà decidere per quali posizioni chiedere la citazione diretta in giudizio e per quali proporre invece l'archiviazione. Nei casi in cui si decidesse di procedere, quindi, si andrebbe direttamente al dibattimento senza passare dal Giudice per le indagini preliminari. La lista degli indagati, come anticipato nei giorni scorsi dal «Sole 24 Ore», è raddoppiata negli ultimi tempi. Con altri nomi più o meno noti della finanza: Giacomo Franceschetti (ex presidente di Bipop), Roberto Notarbartolo (amministratore delegato di Rasfin), Pierdomenico Gallo (presidente di Meliorbanca), Pierluigi Montani (Popolare di Novara), Vittorio de Pedys (Iccrea), Giuseppe Menzi (direttore generale della Banca Agricola Mantovana), Alessandro Giovannini (Banca di Roma), Matteo Tarroni (ex di Mediobanca) e Pierpaolo Rossi (Banca Akros). Questi nomi si sommano a quelli già noti da mesi. Dei 33 indagati, però, alcuni saranno probabilmente destinati ad altre sedi: gli atti relativi al gruppo Sanpaolo Imi saranno sicuramente trasferiti alla Procura di Torino, mentre l'indagine relativa a Banca AntonVeneta potrebbe essere stralciata a favore della procura di Padova. A Monza dovrebbero quindi rimanere, alla fine, 25 indagati, dato che il Pm pare anche orientato a chiedere l'archiviazione per i funzionari delle singole filiali bancarie. Come appare chiaro dalla lista, l'indagine monzese sul collocamento delle obbligazioni Cirio ha toccato diverse istituzioni finanziarie con diversi ruoli: dalle banche commerciali che materialmente hanno venduto le obbligazioni ai piccoli risparmiatori, alle banche d'investimento che hanno coordinato le emissioni di bond come capofila dei sindacati di collocamento e garanzia, fino alle istituzioni finanziarie che hanno semplicemente partecipato con piccole quote al collocamento. Il reato ipotizzato dalla Procura è quello della truffa nei confronti dei risparmiatori che hanno acquistato gli ultimi 5 bond della Cirio. Per dimostrare questa ipotesi gli investigatori hanno innanzitutto dovuto verificare se ci sia stato quello che codice definisce «ingiusto profitto». Le ipotesi del Pm riguardano, su questo fronte, un po' tutti. Le banche lead manager (quelle che hanno curato in prima linea le emissioni di bond) hanno infatti percepito le commissioni per le emissioni obbligazionarie. Le altre banche che hanno partecipato al consorzio di collocamento pur con un ruolo secondario hanno invece incassato un ricavo derivante dalla differenza tra il prezzo di emissione e il prezzo di collocamento dei bond. Mentre molte banche commerciali o gruppi bancari hanno potuto, proprio grazie ai soldi che la Cirio incassava con i bond, ridurre la loro esposizione nei confronti di un gruppo Cirio. Tutto questo, secondo gli investigatori, può essere considerato un «ingiusto profitto». Il reato di truffa prevede anche che ci siano stati «artifizi e raggiri». E anche in questo caso le ipotesi formulate dagli investigatori sono chiare: da un lato le obbligazioni venivano emesse all'estero "aggirando" di fatto la legge italiana relativa ai limiti sulle emissioni, dall'altro i bond venivano formalmente riservati agli investitori istituzionali ma poi finivano in mano ai risparmiatori. Infine i titoli avevano spesso garanzie molto blande. Se tutto questo sia sufficiente per dimostrare la truffa andrà appurato in sede di dibattimento. La palla passa per ora agli avvocati difensori. Anche se molte banche tirate in ballo in questi giorni dall'inchiesta (si veda l'elenco completo in pagina) hanno già fatto conoscere ieri la loro posizione. Banca Profilo ha comunicato di avere partecipato a un solo consorzio di collocamento, per un importo complessivo di 1,35 milioni di euro. Mediobanca idem: ha lavorato in una sola operazione. Rasfin, specificando come Mediobanca di avere collocato i bond solo agli investitori istituzionali, ha affermato di avere partecipato solo a un'operazione. E anche Meliorbanca ha detto di aver collaborato a tre emissioni per importi sostanzialmente analoghi. Mentre la Banca Popolare di Ancona è ancora più netta: l'istituto, in una nota, «smentisce in modo categorico di aver mai partecipato ad alcun consorzio di collocamento di bond Cirio». MORYA LONGO
In arrivo revocatorie a 5 anni
I commissari preparano le azioni di recupero dei crediti rimborsati per vie illecite
ROMA - Tutto fa brodo, nel minestrone giudiziario-finanziario della Cirio rimasto a secco di liquidi per i sottoscrittori dei bond. L'ordinanza per l'arresto di Sergio Cragnotti emessa ieri dal Gip romano è una buona notizia per i sottoscrittori dei Cirio-bond perchè aumenta le probabilità di successo delle azioni revocatorie che inevitabilmente saranno intraprese dai commissari straordinari contro quelle banche che, nella consapevolezza del dissesto del gruppo, sarebbero rientrate dei propri crediti in virtù degli incassi delle obbligazioni. Come impatto indiretto, l'ordinanza disposta ieri con i nomi di sei banche rimborsate tra il 2000 e il 2002 con il 53% del ricavato dei sette Cirio-bond (si veda articolo a pag. 3), potrebbe indurre il sistema bancario - o per lo meno quelle sei banche - ad allargare i cordoni della borsa nelle operazioni di indennizzo avviate o in via di definizione per rimborsare, parzialmente o integralmente, i sottoscrittori dei Cragnotti-bond. Al di là dell'esito degli indennizzi bancari e delle azioni legali in corso, gli obbligazionisti del gruppo Cirio ripongono le speranze di recuperare il capitale investito sull'amministrazione straordinaria condotta dai commissari Mario Resca, Luigi Farenga e Attilio Zimatore e imperniata su un piano di cessioni giunto oramai ai nastri di partenza. Il ricavato delle vendite dei rami aziendali - che dovrebbe concludersi entro un anno per gli asset principali - verrà utilizzato per rimborsare i creditori, prima i privilegiati e poi i chirografari tra i quali i bondholder. Per rimpolpare l'attivo - che ora come ora in base alle stime disponibili riduce a poca cosa le possibilità di recupero dei possessori di Cirio-bond -, i commissari possono ricorrere alle revocatorie. E, fanno sapere, lo faranno. Le revocatorie sono atti giudiziari con citazioni in sede civile previste anche dalla Prodi-bis. Sono azioni che vengono rivolte contro quei creditori che ottengono il rimborso parziale o integrale dei propri crediti, pur nella consapevolezza dello stato di crisi irreversibile del debitore, e dunque a danno di altri creditori, beffandosi della par condicio creditorum. Nel caso della Cirio, l'ordinanza fa emergere un primo elemento a favore delle revocatorie: la ricostruzione degli eventi mette in risalto il fatto che Cragnotti, ben sapendo del dissesto del gruppo, ha confezionato i bond per rimborsare, tra gli altri, anche alcuni istituti di credito. I commissari straordinari, nel disporre le revocatorie, dovranno provare che anche le banche rientrate dei crediti, erano a conoscenza dell'insolvenza del gruppo. Un esercizio forse non particolarmente difficile per i commissari i quali, nella relazione che ha richiesto la Prodi-bis, hanno sostenuto al tesi che palesi segnali di insolvenza del erano già evidenti nel 1999 e che le emissioni dei bond servirono sono a «rinviare la dichiarazione dello stato d'insolvenza», emanata dal Tribunale di Roma nell'agosto del 2003. Il problema dei commissari straordinari sarà però un altro: fare in modo che la revocatoria utilizzata per colpire le banche sia quella "ordinaria", che ricopre cioè un arco temporale equivalente ai cinque anni precedenti la data dello stato d'insolvenza. Altri tipi di revocatorie prevedono invece un periodo più breve di un anno o due: in questo caso gran parte delle operazioni di rientro dei crediti bancari tramite bond rimarrebbe esclusa. Per colpa delle lungaggini del piano Livolsi sulla conversione dei debiti in azioni, che dopo un'elaborazione durata oltre sei mesi fallì nel luglio del 2003, la sentenza del Tribunale sullo stato d'insolvenza della Cirio (agosto 2003) è giunta dopo nove lunghi mesi dal primo default del Cirio-bond (novembre 2002). Sarà una coincidenza: ma questi nove mesi di differenza sono fondamentali per il calcolo delle revocatorie. I sette bond sono stati emessi dal 30 maggio 2000 al 31 maggio 2002: in un'eventuale revocatoria tra agosto 2003 e agosto 2002 non rientrerebbe alcuna emissione; tra l'agosto 2003 e l'agosto 2001 solo gli ultimi due bond da 175 milioni di euro. Senza il piano Livolsi, una revocatoria tra il novembre 2002 e il novembre 2000 avrebbe interessato invece sei bond su sette. ISABELLA BUFACCHI
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole120204ci.html
12 febbraio 2004
Restituiti 595 milioni a sei banche
ROMA - «Banca di Roma, Banca popolare di Lodi, Mediocredito centrale, Banca nazionale del lavoro, Ubs e Banco di Napoli». Sono questi i sei istituti di credito che hanno ottenuto in virtù dei Cirio-bond, tra il 2000 e il 2002, «pagamenti preferenziali per importi ingenti, pari ad almeno 595 milioni di euro, quando il gruppo si trovava già in stato di insolvenza e a parziale rimborso dei crediti vantati con Cirio finanziaria e holding». La riduzione dell'indebitamento verso le banche, effettuata negli anni in cui furono collocati sette Cirio-bond per 1.125 milioni di euro, sarebbe stata eseguita da Sergio Cragnotti, suo figlio Andrea e il direttore finanziario Filippo Fucile «in un momento di sostanziale dissesto economico, ben noto ai soggetti che hanno gestito i proventi delle emissioni obbligazionarie e li hanno destinati parzialmente alla riduzione dell'indebitamento verso le banche». È questa la tesi scandita dal Giudice per le indagini preliminari che ha emesso ieri l'ordinanza di custodia cautelare con carcere e arresti domiciliari per l'ex-patron e alti ex-dirigenti della Cirio, sull'ipotesi di bancarotta fraudolenta preferenziale. L'ordinanza condivide «pienamente» l'analisi dei commissari giudiziali della Cirio secondo i quali «l'emissione delle notes ha solo differito il momento della manifestazione dello stato di insolvenza» le cui radici risalivano «già al 1999». L'ordinanza riproduce nel dettaglio le informazioni contenute in un file memorizzato nel personal computer di Fucile e denominato "riepilogo": nel file risulta che il 53% del ricavato dalle sette emissioni, soprattutto quelle collocate nel 2001 e 2002, è stato usato per rimborsare le banche, pari per l'appunto a 595 milioni di euro. Altri 190 milioni invece andarono alla SS Lazio.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole120204ci2.html