cirio

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

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12 febbraio 2004
Cirio, Monza «chiude » con 33 nomi




MILANO - Trentatré iscritti nel registro degli indagati e 27 banche o istituzioni finanziarie sotto inchiesta. L'indagine condotta dal sostituto procuratore di Monza Walter Mapelli sulle obbligazioni Cirio si è chiusa ieri con il deposito degli atti. Alcuni avvisi di fine indagine devono ancora essere notificati e la Guardia di Finanza di Seregno, coordinata dal tenente colonnello Paolo Cussotto, sta ancora concludendo i lavori. Ma ormai la prima inchiesta aperta sul caso delle obbligazioni Cirio può considerarsi al capolinea: gli avvocati degli indagati hanno ora 20 giorni di tempo per consultare gli atti e per preparare eventuali memorie difensive. Poi il Pm potrà decidere per quali posizioni chiedere la citazione diretta in giudizio e per quali proporre invece l'archiviazione. Nei casi in cui si decidesse di procedere, quindi, si andrebbe direttamente al dibattimento senza passare dal Giudice per le indagini preliminari. La lista degli indagati, come anticipato nei giorni scorsi dal «Sole 24 Ore», è raddoppiata negli ultimi tempi. Con altri nomi più o meno noti della finanza: Giacomo Franceschetti (ex presidente di Bipop), Roberto Notarbartolo (amministratore delegato di Rasfin), Pierdomenico Gallo (presidente di Meliorbanca), Pierluigi Montani (Popolare di Novara), Vittorio de Pedys (Iccrea), Giuseppe Menzi (direttore generale della Banca Agricola Mantovana), Alessandro Giovannini (Banca di Roma), Matteo Tarroni (ex di Mediobanca) e Pierpaolo Rossi (Banca Akros). Questi nomi si sommano a quelli già noti da mesi. Dei 33 indagati, però, alcuni saranno probabilmente destinati ad altre sedi: gli atti relativi al gruppo Sanpaolo Imi saranno sicuramente trasferiti alla Procura di Torino, mentre l'indagine relativa a Banca AntonVeneta potrebbe essere stralciata a favore della procura di Padova. A Monza dovrebbero quindi rimanere, alla fine, 25 indagati, dato che il Pm pare anche orientato a chiedere l'archiviazione per i funzionari delle singole filiali bancarie. Come appare chiaro dalla lista, l'indagine monzese sul collocamento delle obbligazioni Cirio ha toccato diverse istituzioni finanziarie con diversi ruoli: dalle banche commerciali che materialmente hanno venduto le obbligazioni ai piccoli risparmiatori, alle banche d'investimento che hanno coordinato le emissioni di bond come capofila dei sindacati di collocamento e garanzia, fino alle istituzioni finanziarie che hanno semplicemente partecipato con piccole quote al collocamento. Il reato ipotizzato dalla Procura è quello della truffa nei confronti dei risparmiatori che hanno acquistato gli ultimi 5 bond della Cirio. Per dimostrare questa ipotesi gli investigatori hanno innanzitutto dovuto verificare se ci sia stato quello che codice definisce «ingiusto profitto». Le ipotesi del Pm riguardano, su questo fronte, un po' tutti. Le banche lead manager (quelle che hanno curato in prima linea le emissioni di bond) hanno infatti percepito le commissioni per le emissioni obbligazionarie. Le altre banche che hanno partecipato al consorzio di collocamento pur con un ruolo secondario hanno invece incassato un ricavo derivante dalla differenza tra il prezzo di emissione e il prezzo di collocamento dei bond. Mentre molte banche commerciali o gruppi bancari hanno potuto, proprio grazie ai soldi che la Cirio incassava con i bond, ridurre la loro esposizione nei confronti di un gruppo Cirio. Tutto questo, secondo gli investigatori, può essere considerato un «ingiusto profitto». Il reato di truffa prevede anche che ci siano stati «artifizi e raggiri». E anche in questo caso le ipotesi formulate dagli investigatori sono chiare: da un lato le obbligazioni venivano emesse all'estero "aggirando" di fatto la legge italiana relativa ai limiti sulle emissioni, dall'altro i bond venivano formalmente riservati agli investitori istituzionali ma poi finivano in mano ai risparmiatori. Infine i titoli avevano spesso garanzie molto blande. Se tutto questo sia sufficiente per dimostrare la truffa andrà appurato in sede di dibattimento. La palla passa per ora agli avvocati difensori. Anche se molte banche tirate in ballo in questi giorni dall'inchiesta (si veda l'elenco completo in pagina) hanno già fatto conoscere ieri la loro posizione. Banca Profilo ha comunicato di avere partecipato a un solo consorzio di collocamento, per un importo complessivo di 1,35 milioni di euro. Mediobanca idem: ha lavorato in una sola operazione. Rasfin, specificando come Mediobanca di avere collocato i bond solo agli investitori istituzionali, ha affermato di avere partecipato solo a un'operazione. E anche Meliorbanca ha detto di aver collaborato a tre emissioni per importi sostanzialmente analoghi. Mentre la Banca Popolare di Ancona è ancora più netta: l'istituto, in una nota, «smentisce in modo categorico di aver mai partecipato ad alcun consorzio di collocamento di bond Cirio». MORYA LONGO

In arrivo revocatorie a 5 anni
I commissari preparano le azioni di recupero dei crediti rimborsati per vie illecite

ROMA - Tutto fa brodo, nel minestrone giudiziario-finanziario della Cirio rimasto a secco di liquidi per i sottoscrittori dei bond. L'ordinanza per l'arresto di Sergio Cragnotti emessa ieri dal Gip romano è una buona notizia per i sottoscrittori dei Cirio-bond perchè aumenta le probabilità di successo delle azioni revocatorie che inevitabilmente saranno intraprese dai commissari straordinari contro quelle banche che, nella consapevolezza del dissesto del gruppo, sarebbero rientrate dei propri crediti in virtù degli incassi delle obbligazioni. Come impatto indiretto, l'ordinanza disposta ieri con i nomi di sei banche rimborsate tra il 2000 e il 2002 con il 53% del ricavato dei sette Cirio-bond (si veda articolo a pag. 3), potrebbe indurre il sistema bancario - o per lo meno quelle sei banche - ad allargare i cordoni della borsa nelle operazioni di indennizzo avviate o in via di definizione per rimborsare, parzialmente o integralmente, i sottoscrittori dei Cragnotti-bond. Al di là dell'esito degli indennizzi bancari e delle azioni legali in corso, gli obbligazionisti del gruppo Cirio ripongono le speranze di recuperare il capitale investito sull'amministrazione straordinaria condotta dai commissari Mario Resca, Luigi Farenga e Attilio Zimatore e imperniata su un piano di cessioni giunto oramai ai nastri di partenza. Il ricavato delle vendite dei rami aziendali - che dovrebbe concludersi entro un anno per gli asset principali - verrà utilizzato per rimborsare i creditori, prima i privilegiati e poi i chirografari tra i quali i bondholder. Per rimpolpare l'attivo - che ora come ora in base alle stime disponibili riduce a poca cosa le possibilità di recupero dei possessori di Cirio-bond -, i commissari possono ricorrere alle revocatorie. E, fanno sapere, lo faranno. Le revocatorie sono atti giudiziari con citazioni in sede civile previste anche dalla Prodi-bis. Sono azioni che vengono rivolte contro quei creditori che ottengono il rimborso parziale o integrale dei propri crediti, pur nella consapevolezza dello stato di crisi irreversibile del debitore, e dunque a danno di altri creditori, beffandosi della par condicio creditorum. Nel caso della Cirio, l'ordinanza fa emergere un primo elemento a favore delle revocatorie: la ricostruzione degli eventi mette in risalto il fatto che Cragnotti, ben sapendo del dissesto del gruppo, ha confezionato i bond per rimborsare, tra gli altri, anche alcuni istituti di credito. I commissari straordinari, nel disporre le revocatorie, dovranno provare che anche le banche rientrate dei crediti, erano a conoscenza dell'insolvenza del gruppo. Un esercizio forse non particolarmente difficile per i commissari i quali, nella relazione che ha richiesto la Prodi-bis, hanno sostenuto al tesi che palesi segnali di insolvenza del erano già evidenti nel 1999 e che le emissioni dei bond servirono sono a «rinviare la dichiarazione dello stato d'insolvenza», emanata dal Tribunale di Roma nell'agosto del 2003. Il problema dei commissari straordinari sarà però un altro: fare in modo che la revocatoria utilizzata per colpire le banche sia quella "ordinaria", che ricopre cioè un arco temporale equivalente ai cinque anni precedenti la data dello stato d'insolvenza. Altri tipi di revocatorie prevedono invece un periodo più breve di un anno o due: in questo caso gran parte delle operazioni di rientro dei crediti bancari tramite bond rimarrebbe esclusa. Per colpa delle lungaggini del piano Livolsi sulla conversione dei debiti in azioni, che dopo un'elaborazione durata oltre sei mesi fallì nel luglio del 2003, la sentenza del Tribunale sullo stato d'insolvenza della Cirio (agosto 2003) è giunta dopo nove lunghi mesi dal primo default del Cirio-bond (novembre 2002). Sarà una coincidenza: ma questi nove mesi di differenza sono fondamentali per il calcolo delle revocatorie. I sette bond sono stati emessi dal 30 maggio 2000 al 31 maggio 2002: in un'eventuale revocatoria tra agosto 2003 e agosto 2002 non rientrerebbe alcuna emissione; tra l'agosto 2003 e l'agosto 2001 solo gli ultimi due bond da 175 milioni di euro. Senza il piano Livolsi, una revocatoria tra il novembre 2002 e il novembre 2000 avrebbe interessato invece sei bond su sette. ISABELLA BUFACCHI

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole120204ci.html


12 febbraio 2004
Restituiti 595 milioni a sei banche




ROMA - «Banca di Roma, Banca popolare di Lodi, Mediocredito centrale, Banca nazionale del lavoro, Ubs e Banco di Napoli». Sono questi i sei istituti di credito che hanno ottenuto in virtù dei Cirio-bond, tra il 2000 e il 2002, «pagamenti preferenziali per importi ingenti, pari ad almeno 595 milioni di euro, quando il gruppo si trovava già in stato di insolvenza e a parziale rimborso dei crediti vantati con Cirio finanziaria e holding». La riduzione dell'indebitamento verso le banche, effettuata negli anni in cui furono collocati sette Cirio-bond per 1.125 milioni di euro, sarebbe stata eseguita da Sergio Cragnotti, suo figlio Andrea e il direttore finanziario Filippo Fucile «in un momento di sostanziale dissesto economico, ben noto ai soggetti che hanno gestito i proventi delle emissioni obbligazionarie e li hanno destinati parzialmente alla riduzione dell'indebitamento verso le banche». È questa la tesi scandita dal Giudice per le indagini preliminari che ha emesso ieri l'ordinanza di custodia cautelare con carcere e arresti domiciliari per l'ex-patron e alti ex-dirigenti della Cirio, sull'ipotesi di bancarotta fraudolenta preferenziale. L'ordinanza condivide «pienamente» l'analisi dei commissari giudiziali della Cirio secondo i quali «l'emissione delle notes ha solo differito il momento della manifestazione dello stato di insolvenza» le cui radici risalivano «già al 1999». L'ordinanza riproduce nel dettaglio le informazioni contenute in un file memorizzato nel personal computer di Fucile e denominato "riepilogo": nel file risulta che il 53% del ricavato dalle sette emissioni, soprattutto quelle collocate nel 2001 e 2002, è stato usato per rimborsare le banche, pari per l'appunto a 595 milioni di euro. Altri 190 milioni invece andarono alla SS Lazio.

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole120204ci2.html
 
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13 febbraio 2004
Default Cirio, la difesa di Cragnotti




ROMA - Sergio Cragnotti, ex patron della Cirio, si è difeso «come un leone in gabbia» di fronte ai Pm della procura di Roma che ieri lo hanno interrogato nel carcere di Regina Coeli, dove è agli arresti da mercoledì per il reato di bancarotta fraudolenta preferenziale. La chiave di lettura di un lungo interrogatorio iniziato alle 15 sta nel fatto che Cragnotti ha accuratamente evitato di scaricare responsabilità su altri, gli istituti di credito e tantomeno Capitalia, salvo rimproverare le banche di avergli prima dato la fiducia su un piano industriale di 5 anni e poi avergliela all'improvviso tolta, nel 2002, portando il gruppo Cirio al default. L'unico giallo sembra spuntare sulla chiamata in causa di Matteo Arpe, amministratore delegato di Capitalia, che secondo quanto dichiarato alle agenzie di stampa dai Pm, coordinati dal procuratore aggiunto Achille Toro, sarebbe stato indicato da Cragnotti come colui che ha preteso (è stato fatto il nome anche di altro manager del gruppo bancario, ma mai in tutto l'interrogatorio è stato nominato il presidente, Cesare Geronzi) l'esecuzione dell'accordo per la cessione a Cirio Holding della partecipazione di Banca di Roma nella Bombril Cirio International. L'operazione è avvenuta nel giugno 2002 a un prezzo concordato di 17 milioni di euro (ma fu pagata solo una prima rata di 2,5 milioni) nonostante la società fosse in liquidazione e non valesse più nulla. «Mi sentivo moralmente impegnato dagli accordi presi» e per questo ho ritenuto di onorare l'impegno con il dottor Arpe nonostante la svalutazione della società: la difesa di Cragnotti riporta invece in questi termini le deposizioni del finanziere su quella circostanza. Il coinvolgimento di Arpe, arrivato nel gruppo Capitalia solo nel 2002 e che per questo motivo oggi è visto come l'immagine nuova della banca rispetto alle vicende contestate, è singolare: del resto il suo ruolo nella decisione che ha portato nell'ottobre del 2002 le banche a non rifinanziare l'ultimo bond Cirio, all'origine del default, non è stato certo di secondo piano. Nella giornata di ieri è stato interrogato in carcere anche il figlio di Cragnotti, Andrea, che nella sostanza ha affermato di aver fatto solo ciò che il padre gli diceva: per lui gli inquirenti non hanno nemmeno aperto l'ordinanza di custodia cautelare al fine di contestargli i fatti attribuiti. Subito dopo è toccato al genero dell'ex patron della Cirio, Filippo Fucile: anche lui ha affermato di non essere a conoscenza della situazione complessiva del gruppo indicando in Sergio Cragnotti (chiamandolo dottore, pur essendo da 10 anni il genero) colui che disponeva effettivamente le operazioni. Per tutti e tre ieri pomeriggio, al termine degli interrogatori, i legali Giulia Bongiorno e Franco Coppi hanno presentato al Gip la richiesta di arresti domiciliari. E questa mattina sarà presentata al tribunale del riesame la richiesta di scarcerazione. Tornando alla strategia difensiva di Cragnotti, egli ha sostenuto di non aver «ingannato nessuno perché i bond sono stati dati alle banche e non ai risparmiatori». È stato particolarmente lucido nel far ruotare la replica alle domande degli inquirenti - che gli hanno contestato tutti e 10 i capi d'accusa dell'ordinanza di custodia cautelare - sul fatto che nel '99 (come invece sostengono gli inquirenti) non c'era insolvenza nel gruppo Cirio, e che questa è subentrata solo nel 2002. Da questo punto di vista i trasferimenti di fondi infragruppo, sia per la compravendita di Cirio e di Bombril, sia di quelli "distratti" dalle società operative per finanziare l'uscita di 13 azionisti dalla Cragnotti&Partners a suo avviso erano «debiti non scaduti» contratti verso società controllate al 100%. E ancora: il rimborso "preferenziale" di oltre 500 milioni di euro a sei banche con i proventi dei Cirio bond tra il 2000 e il 2002 rispondeva a criteri discrezionali di pagare i creditori con le priorità che riteneva opportune. In ogni caso, ha sostenuto Cragnotti, «ho messo tutto nei bilanci» e non ho celato o falsificato nulla, ha detto per distinguere la sua posizione dal caso Parmalat. «La Consob - ha detto Cragnotti - non mi ha mai fatto rilievi sui bilanci prima del default». Infine il caso Eurolat: la vendita a Parmalat è stata un'operazione «strategica» per loro e c'è stata «una lunga trattativa sul prezzo fino all'ultima lira». Nessun riferimento a pressioni dei vertici di Banca di Roma affinché l'operazione andasse in porto. LAURA SERAFINI
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole130204ci.html

13 febbraio 2004
Per tre istituti su sei solo micro-rientri




ROMA - Un invalicabile "no comment". È stata questa ieri la reazione a caldo dell'ex-Banco di Napoli (ora San Paolo-Imi), Bnl, Capitalia (per conto di Banca di Roma e Mediocredito centrale), Popolare Lodi e Ubs in merito all'ordinanza di arresto di Sergio Cragnotti che, ipotizzando la bancarotta fraudolenta preferenziale, ha nominato le sei banche come destinatarie «tra il 2000 e il 2002 quando il gruppo si trovava già in stato d'insolvenza ... di pagamenti preferenziali per importi ingenti pari ad almeno 595 milioni di euro» a parziale rimborso dei debiti accumunati da Cirio Finanziaria e Holding. E per merito del collocamento di sette bond. Secondo fonti bene informate, però, Banco di Napoli, Bnl e Popolare Lodi avrebbero avuto comunque ben poco da commentare, in merito alla questione: perchè il loro "rientro" complessivo in quel periodo ammonterebbe a una quindicina di milioni di euro in tutto. E anche perchè non hanno avuto nulla a che fare con il collocamento sul mercato primario dei Cirio-bond. Il Banco di Napoli, per esempio, nel periodo tra il maggio 2000 e il maggio 2002 sarebbe rientrato di una linea di credito a breve termine che scadeva a fine 2001 per quasi 3 milioni di euro e per una seconda linea di credito collegata ad anticipi Iva che non arrivava a 10 milioni di euro e che scadeva nella primavera 2001. L'esposizione della Popolare di Lodi nei confronti di Cirio finanziaria e holding, tra il maggio 2000 e il maggio 2002, sarebbe rimasta pressochè invariata attorno ai 20 milioni di euro. In quanto alla Bnl, le stesse fonti bene informate indicherebbero un'esposizione passata da circa 50 milioni di euro nel 2000 a circa 40 milioni di euro nel 2000: un rientro di una decina di milioni, riconducibile quasi interamente al pagamento di interessi a capitale di un mutuo di credito industriale che prevedeva 4 milioni di pagamenti all'anno. L'ordinanza per l'arresto di Sergio Cragnotti, come anche del figlio Andrea e del genero Filippo Fucile, ha condiviso pienamente la tesi dei commissari giudiziali della Cirio i quali, nella relazione consegnata al Tribunale di Roma nell'autunno 2003, rivelarono che i 1.125 milioni di euro rivenienti dalle sette emissioni di bond sono stati impiegati, come dichiarato dallo stesso gruppo, «circa la metà (595 milioni di euro ndr), per rimborsare le banche finanziatrici sostituendo debito con debito; 190 milioni per finanziare le perdite della SS Lazio; 171 milioni per finanziare parte dell'Opa Del Monte e 169 milioni per investimenti e oneri gestionali del gruppo». L'ordinanza del Giudice per le indagini preliminari Andrea Vardaro è andata però oltre, individuando sei istituti di credito beneficiari di «ingenti pagamenti preferenziali» effettuati tra il 2000 e il 2002 dai vertici del gruppo: per l'appunto a Banca di Roma, Banco di Napoli, Bnl, Meciocredito Centrale, Popolare di Lodi e Ubs. Ebbene questo gruppo di sei banche ieri non ha voluto commentare la notizia che le accomuna su una maxi-somma vicina ai 600 milioni di euro pagati dai Cragnotti nella consapevolezza dello stato d'insolvenza e dunque a danno di altri creditori. I chiarimenti del caso saranno resi ai magistrati che li dovessero richiedere. La matassa di questi 595 milioni di euro è però alquanto ingarbugliata. L'ordinanza rileva che «i rimborsi alle banche non sono stati effettuati solo con le risorse provenienti dai primi prestiti obbligazionari ma sono proseguiti con l'utilizzo di quelle riferibili alle successive emissioni del 2001 e del 2002 ... I rimborsi alle banche sono continuati, e in maniera più consistente, in un periodo in cui il dissesto economico diveniva sempre più evidente». Eppure tra le sei banche menzionate quali destinatarie dei pagamenti «preferenziali» (anche se i loro nomi non appaiono nel capitolo dal titolo "pagamenti preferenziali alle banche" ma sono scritti in altri due passaggi dell'ordinanza), cinque non hanno preso parte ai sindacati di collocamento dei Cirio-bond. È noto che Banco di Napoli, Bnl, Mediocredito centrale, Popolare Lodi e Ubs non abbiano avuto alcun ruolo nei sindacati dei sette prestiti obbligazionari della Cirio. Vi è di più. L'ordinanza cita come fonte aggiuntiva, oltre alla relazione dei commissari, anche un file memorizzato nel personal computer di Fucile dal quale emerge la voce relativa ai 595 milioni di euro di incassi sui 1.125 provenienti dai sette bond per un utilizzo ben generico di «rimborsi banche/bond/interessi». ISABELLA BUFACCHI
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole130204ci2.html


13 febbraio 2004
«Dal 2000 gli istituti sapevano dei rischi»
Credito e risparmio - Gli inquirenti: i titoli furono collocati sul mercato retail nonostante la consapevolezza
delle difficoltà del gruppo



MILANO - Anno 2000: molte banche decidono di ridurre i crediti che hanno concesso alla Cirio. Anno 2000: il gruppo alimentare romano inizia ad emettere i prestiti obbligazionari. Anno 2000: inizia il "travaso" del rischio Cirio dal sistema bancario ai risparmiatori. Questa equazione, già nota e già commentata negli ultimi mesi, trova conferma nelle informative depositate ieri dalla Guardia di Finanza di Seregno al termine dell'inchiesta coordinata dal Pm di Monza Walter Mapelli. Informative, recuperate dal «Sole-24 Ore», che lanciano un messaggio limpido: molte banche sapevano delle difficoltà della Cirio sin dal 2000. Bene inteso: l'ipotesi che sia stato effettivamente commesso il reato di truffa ipotizzato dagli inquirenti andrà dimostrata in sede di dibattimento. Gli avvocati delle banche hanno tante valide tesi per difendersi. Ma i dati e le testimonianze raccolte meticolosamente nei mesi d'indagine danno un'immagine abbastanza chiara. Banca per banca. Bond per bond. Parola d'ordine: rientrare. Il primo elemento che appare evidente è che per molti istituti la decisione di ridurre l'esposizione nei confronti della Cirio è nata tra il 2000 e il 2001. «Quando assunsi l'incarico nel luglio del 2000 - ha per esempio testimoniato un dirigente di Banca Intesa che non risulta tra gli indagati - trovai una direttiva del comitato crediti che disponeva per una graduale riduzione degli affidamenti. Perciò nell'arco di circa un anno e mezzo, entro i primi mesi del 2002, scendemmo ad un'esposizione di circa 31 milioni di euro sui 111 milioni, picco massimo di esposizione alla data 23 ottobre 2000». Anche Banca AntonVeneta aveva preso la medesima decisione: lo testimonia la delibera del comitato fidi del 6 novembre 2000. In calce, infatti, si legge: «Entrare nell'ordine di idee di disimpegnarsi dal gruppo». Altri istituti sono arrivati alla stessa conclusione un po' dopo. La Banca Agricola Mantovana in data 20 febbraio 2001 deliberò - si legge sull'informativa della Guardia di Finanza - «la soppressione dell'apertura di credito in conto corrente di lire 200 milioni a suo tempo concessa alla Cirio spa». Anche il Monte dei Paschi aveva preso la medesima decisione: l'istituto di credito, si legge, «sin dal luglio 2001 aveva deciso di ridurre gradualmente la propria esposizione nei confronti del gruppo Cirio, perché si riteneva che questa fosse la migliore soluzione per la banca». La stagione dei bond. Il punto fondamentale è che proprio negli stessi anni iniziarono le emissioni obbligazionarie della Cirio. Tra il 2000 e il 2002, infatti, il gruppo allora guidato da Sergio Cragnotti lanciò ben sette bond sul mercato. Bond destinati a investitori istituzionali e non ai piccoli risparmiatori: questi ultimi potevano acquistarli solo con un'esplicita richiesta formulata allo sportello. Peccato, però, che siano finiti quasi interamente proprio in mano loro. Anche nel periodo del cosiddetto "mercato grigio": quel breve intervallo di tempo compreso tra la data di lancio di un prestito obbligazionario e la data di regolamento in cui - secondo gli investigatori, anche se molti addetti ai lavori sono contrari a questa interpretazione - «gli investitori istituzionali ... non potevano trasferire alla clientela retail i titoli in fase di sottoscrizione». Vediamo qualche esempio concreto. Il bond emesso da Cirio Finanziaria con una cedola dell'8% è stato venduto ai risparmiatori nelle poche settimane del "mercato grigio" soprattutto da Banca Intesa (23,8 milioni), UniCredit (11,9 milioni), Credem (6,3 milioni), Sanpaolo Imi (4,4 milioni), Banca Popolare di Ancona (2,7 milioni) e Banca AntonVeneta (2,29 milioni). Neanche un euro di questo bond è stato invece venduto alla clientela dalla Bnl, che però è stata molto attiva durante il "mercato grigio" del bond Del Monte Finance (6,625%): 2,247 milioni di obbligazioni vendute allo sportello. La Guardia di Finanza individua due motivi che hanno causato questa "accelerazione" delle vendite. Uno: «Il titolo era stato inserito anche dalla Bnl nel Sistema di scambi organizzati». Due: «Parte delle risorse finanziarie dell'emissione, per un importo di 12 milioni di euro, è stata prestata dalla scatola lussemburghese Del Monte Finance alla società garante del prestito Del Monte Holding ltd, che a sua volta l'ha dirottata alla Del Monte Foods International ltd e dalla stessa versata a Bnl per il rimborso di un finanziamento bilaterale». Poche informazioni ai clienti. Se nella vendita le banche furono molto attive, sul fronte delle informazioni decisamente meno. Innanzitutto le indagini hanno appurato che «la maggior parte degli istituti di credito ha omesso di specificare... il conflitto di interesse esistente in capo all'intermediario finanziario». «Un'ulteriore omissione di informazione al mercato - si legge sul documento della Guardia di Finanza - si rileva dalla circostanza che nessuno dei partecipanti al consorzio di collocamento si è preoccupato dell'effettiva destinazione dei proventi incassati dal gruppo Cirio dalle emissioni». Non solo: «Il documento ufficiale destinato al mercato (Offering Circular) che conteneva tali informazioni (...) non è mai stato disponibile alla clientela retail». La carenza informativa è ancora più evidente durante il cosiddetto "mercato grigio": «Gli operatori dello sportello», scrive la Guardia di Finanza, in questo periodo «non disponevano delle più elementari informazioni circa il rischio dell'investimento da fornire alla clientela retail». Inoltre un po' tutte le testimonianze raccolte dagli investigatori hanno rivelato che spesso le sedi centrali delle banche non trasmettevano alcun messaggio alle loro filiali. A volte per un motivo banale: i bond erano destinati a investitori istituzionali. Bond a "taglia" retail. Se le informazioni erano riservate agli investitori istituzionali, però, i bond erano costruiti su misura per i piccoli risparmiatori. Basti il comunicato stampa diffuso da Caboto e Ubm il 23 aprile 2001 per rendere l'idea: «Il grosso della carta - scrissero i due istituti - è stato distribuito presso banche e intermediari con un collocamento più propriamente retail». MORYA LONGO
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole130204ci3.html

13 febbraio 2004
Nella relazione finale dell´inchiesta di Monza l´atto d´accusa sugli "artifici e raggiri" degli istituti
"Le banche sapevano del crac e ne hanno approfittato"



"Se la Consob avesse vigilato, avremmo avuto molti meno bond"
"Gli istituti sono rientrati dai propri affidamenti a danno dei risparmiatori"

ANDREA GRECO

MILANO - Una cieca rincorsa dei banchieri «all´ingiusto profitto», perseguito in ogni modo, mettendo in atto un piano di due anni, scattato a fine 2000, per rianimare il gruppo Cirio «in agonia» e poter rientrare dei prestiti erogati al finanziere. L´impianto accusatorio della Procura di Monza, dove si indaga per truffa su 33 dirigenti o funzionari di 27 istituti, emerge con dettagli dirompenti dalla relazione della Guardia di Finanza di Seregno. Un centinaio di pagine a riepilogare un anno di indagini appena chiuse, che hanno coinvolto in prima fila Caboto (gruppo Intesa), Ubm (Unicredit), Abaxbank (Credem) e Mcc (Capitalia), ossia gli istituti che si davano il cambio alla guida dei consorzi di collocamento dei sette bond Cirio per 1.125 milioni di euro. Dietro a loro, in subordine, quasi tutta la concorrenza nazionale.
Una manna creditizia, che secondo il documento portava a cercare «un ingiusto profitto» in quattro modi distinti, replicati a ogni nuovo bond: commissione di collocamento dello 0,5%, sovrapprezzo di un 2-3% alla vendita nelle prime fasi del lancio, commissioni al pubblico di un nuovo 2-3% all´atto di vendita agli sportelli, anche se, per tutti, quel mare di obbligazioni era riservato agli "investitori istituzionali".
L´intercettazione telefonica tra due banchieri coinvolti, del dicembre 2000, ben testimonia il clima euforico sui Cirio bond: «Lui aveva in mente un mandato sicuro, degli spread enormi e delle commissioni...». Tutto possibile perché «tutti sapevano che il mercato dei bond "tirava"», quindi bastava buttare l´amo di un tasso di interesse tra il 6,6 e l´8% per far abboccare gli sciocchi. Peccato che nello stesso periodo, «tutti gli istituti coinvolti sanno che Cirio si trova in agonia finanziaria». E proprio a quel punto scatta il primo bond, l´alfa di un piano destinato a tenere in vita il gruppo sfinito dalla campagna acquisizioni, e in parallelo "rientrare", col denaro raccolto sul mercato, dei suoi debiti. Il team del Pm Walter Mapelli ha concluso, infatti, che solo 169 milioni dei 1.125 raccolti coi bond Cirio sono stati utilizzati per la gestione; meno dei 190 dirottati sulla Lazio; molto meno della fetta, circa metà, andata a ripianare l´esposizione bancaria. Solo al Sanpaolo sono tornati 79 milioni, 58 al gruppo Intesa, 53 a Capitalia, 18 all´Antonveneta, 12 a Bnl e così via.
I fatti contestati alle banche, «con artifizi e raggiri», consistono nell´avere «organizzato e/o partecipato a consorzi di collocamento, carenti di adeguate garanzie e prospettive di rimborso, sul mercato degli eurobond in Lussemburgo, al fine di eludere l´obbligo di prospetto richiesto dalle leggi». Nell´avere «strutturato tali prestiti come formalmente riservati ad investitori istituzionali, consapevoli che in realtà sarebbero stati venduti ai risparmiatori privati». Nel permettere, «di rientrare dai propri affidamenti, con danno per le parti offese, acquirenti dei titoli».
E i controlli? Un po´ erano elusi, un po´ anchilosati nelle more burocratiche. La «eurovestizione» consisteva nell´intestare le obbligazioni a scatole lussemburghesi, «esclusivamente per eludere l´obbligo di prospetto». Al posto del prospetto informativo, stava un libello in inglese, stampato in ben cinque copie, che quasi tutti gli interrogati sostengono di non avere mai visto. Si chiama Credit Opinion, e la sua «provata inattendibilità» è illustrata nelle carte da un altro brano telefonico, tra un intermediario e un analista dello stesso gruppo bancario: «Non farmi una Credit Opinion dove si dice non compratela», alludendo a un´obbligazione. Qui il conflitto, «da nessuno evidenziato» era triplo per gli intermediari, «al tempo stesso partecipanti al collocamento, venditori dei titoli e creditori in fase di rientro». A parte queste omissioni, non ha aiutato granché l´operato delle vigilanze. La Consob, che impugnò il bilancio Cirio 2002, avrebbe potuto agire prima: «Le partite oggetto di osservazione e contestazione erano presenti anche nel bilancio 2001 e 2000. Se nell´anno 2001 la Consob avesse operato corretta e tempestiva vigilanza su Cirio, sul mercato obbligazionario italiano avremmo avuto bond Cirio per un importo ben inferiore». Quanto alla Banca d´Italia, «sapeva che ogni emissione veniva collocata interamente nel territorio italiano», ma non fu capace neppure di trovare le diverse carte dei comitati fidi bancari, che dal 2000 in poi esortavano a togliere i fidi a Cragnotti. Colui al quale «si preferì dare credito, a fronte di progetti industriali difficilmente realizzabili e rassicurazioni su crediti da 500 milioni» verso se stesso.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/rep130204ci.html
 
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17 febbraio 2004
La procura di Roma allarga l´inchiesta. Arresti domiciliari per il figlio dell´ex patron
Crac Cirio, 11 banche nel mirino Andrea Cragnotti lascia il carcere

Ieri interrogati i manager. Restano a Regina Coeli Sergio Cragnotti e il genero
Elisabetta Cragnotti non risponde ai giudici. L´avvocato: "Solo un fatto umano"

ELSA VINCI


ROMA - Torna a casa Andrea Cragnotti. Il gip Andrea Vardaro crede alla sua versione: «Non potrei neppure rispondere alle accuse, facevo soltanto tutto quello che voleva papà». Concessi i domiciliari. Si indebolisce il rischio di inquinamento delle prove e reiterazione dei reati di bancarotta fraudolenta e concorso in truffa per l´emissione dei bond Cirio. Il figlio dell´ex patron a sera lascia Regina Coeli. «Avvocato, sono felice! Non ne potevo più». Sale in auto con Giulia Bongiorno, ma la macchina si ferma dopo pochi metri. Spingono per venti minuti, l´imputato non può prendere un taxi o incontrare qualcuno. Neppure il fratello Massimo che segue a distanza. Poi finalmente l´auto riparte.
Restano in carcere Sergio Cragnotti e il genero Filippo Fucile, accusati del crac. Sarà il tribunale del riesame a pronunciarsi sulla loro permanenza in cella. Intanto la procura stringe i tempi sulla parte dell´inchiesta che riguarda più strettamente il dissesto del gruppo agroalimentare. E 11 banche finiscono nel mirino. È la guardia di finanza ad allargare lo spettro di indagine. Oltre a Capitalia, Sanpaolo-Imi, Popolare di Lodi, Bnl, Ubs, e Banco di Napoli (gli istituti citati nell´ordinanza contro Cragnotti), il "gruppo verifiche" del nucleo Regione Lazio delle "fiamme gialle" è al lavoro su altre cinque banche. Tutte hanno finanziato i bond Cirio. Le verifiche danno supporto all´ipotesi della procura di Roma, secondo cui alcuni istituti di credito conoscevano lo stato di crisi della Cragnotti & Partners prima che fossero emesse le obbligazioni.
Ieri magistrati hanno concluso la tornata di interrogatori di garanzia. Alle 9,30 del mattino nell´ufficio del gip Vardaro è entrata la figlia dell´ex patron, Elisabetta Cragnotti, interdetta da ogni attività d´impresa. Non ha voluto rispondere. Cinque minuti e via. «Nessuna strategia processuale, soltanto un fatto umano», spiega l´avvocato Bongiorno. «In poche ore Elisabetta Cragnotti ha visto finire in galera il padre, il fratello e il marito». Compleanno in carcere per Filippo Fucile, la moglie ancora scossa ha detto al giudice che ritornerà. L´avvocato Franco Coppi assicura: «Risponderà».
Parlano invece i manager. Tre ore di interrogatorio per Paolo Micolini, presidente del cda Cirio dal 1997 al 2002, adesso agli arresti nella sua casa in Friuli. Accuse pesantissime: «Pagamenti preferenziali alle banche», «distrazioni di denaro e operazioni dolose», l´affare Bombril, indicato come causa principale della caduta dell´impero Cragnotti. «Non ero un finanziere e non mi sono occupato dei rapporti con le banche. Non mi sento responsabile delle accuse contro di me», ha detto Micolini. Il suo avvocato, Valerio Spigarelli, sottolinea che Micolini viene dal mondo dell´agricoltura e, come presidente della Cirio Del Monte Italia, «si occupava di conserve». Ma è stato anche presidente della Cirio spa diventata Cirio Finanziaria, a questo ruolo si riferiscono molte delle contestazioni. «C´era un consiglio d´amministrazione che decideva di portare avanti determinate operazioni - si è difeso Micolini - E quando sono entrato in Cirio, il progetto Bombril era già stato avviato. Spiegazioni relative all´operato del Cda vennero fornite in sede societaria, il collegio dei sindaci ne prese atto». Chiesta anche per lui la revoca degli arresti.
Breve interrogatorio per l´ex manager Ettore Quadrani, interdetto da ogni attività d´impresa. «Mi sono sempre mosso su mandato del Cda». E quei 500 milioni girati ad Andrea Cragnotti? «Il padre e il Cda hanno deciso di pagare alcune consulenze straordinarie». Sono proprio le versioni degli ex manager a confermare che il giovane Cragnotti «non aveva contatti con le banche», che «eseguiva ordini», a convincere il gip. «Attenuate le esigenze cautelari». Dopo sei notti in carcere, Andrea ha dormito a casa.
 
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Cragnotti, Milano accusa

MILANO - Sergio Cragnotti, in carcere dalla scorsa settimana su ordine della magistratura romana per bancarotta fraudolenta, è indagato anche dalla Procura di Milano. L'ipotesi è di associazione per delinquere finalizzata alla truffa per il collocamento sul mercato dei bond Cirio. I pm milanesi sospettano che Cragnotti si sarebbe servito di prestanome per acquistare alcune società del gruppo usando denaro distratto prima del crack. A Roma, intanto, i magistrati che indagano sui Cirio-bond vogliono sollevare alcuni aspetti legati alla competenza territoriale - dopo Monza, che però resiste - anche con i colleghi di altre procure. Gli stessi inquirenti della capitale - che hanno chiesto alla Finanza accertamenti su Gea World, la società che si occupa di intermediazione nel mondo del calcio - lunedì dovrebbero interrogare Calisto Tanzi. L'obiettivo è chiarire i rapporti Parmalat-Cirio-Capitalia nella controversa vicenda dell'acquisto di Eurolat.


Giovedí 19 Febbraio 2004

http://www.ilsole24ore.com/fc?cmd=art&artId=359544&chId=7&artType=Articolo&back=0
 
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20 febbraio 2004
Cirio, banchiere indagato a Milano




MILANO - Altri quattro nomi, tra cui uno dei principali banchieri italiani, risultano iscritti nel registro degli indagati dai sostituti procuratori del tribunale di Milano impegnati nell'inchiesta sul crack della Cirio. Così il numero degli inquisiti sale a otto. Le accuse rivolte nei loro confronti è in alcuni casi di associazione a delinquere finalizzata alla truffa (la stessa imputazione con cui deve fare i conti Sergio Cragnotti) e in altri di riciclaggio (per esempio verso il consulente Carlo Ronchi, il banchiere Carlo Lippi della Bnp Paribas e il banchiere d'affari brasiliano Mario Garnero). Proprio Ronchi, Lippi e l'avvocato Paolo Sciumé, l'advisor della cordata ritenuta protagonista dei tentativi di riacquistare pezzi della Cirio a fianco di Cragnotti, sono stati interrogati mercoledì scorso fino a tarda notte, dopo che nelle ore precedenti i rispettivi studi professionali e uffici erano stati perquisiti dalla guardia di finanza. Ronchi e Lippi sono stati sentiti a Milano, mentre Sciumè è stato interrogato a Roma. Ieri pomeriggio più lanci di agenzie di stampa hanno dato per certa l'iscrizione nel registro degli indagati di almeno un banchiere di peso, alla guida di uno tra i maggiori gruppi del credito. Ma, in proposito, mancano conferme ufficiali. Di sicuro l'inchiesta condotta dal pubblico ministero Luigi Orsi, che è stato affiancato dai colleghi Laura Pedio e Gaetano Ruta, sta avendo una rapida accelerazione che prelude ad altri, altrettanto clamorosi colpi di scena. L'obiettivo è di ricostruire la truffa effettuata con il collocamento sul mercato dei bond Cirio accertando le responsabilità dei banchieri che hanno colto l'occasione per rientrare di una parte significativa dei finanziamenti al gruppo tasferendo i rischi dai bilanci degli istituti di credito alle tasche dei risparmiatori. In particolare intercettazioni e pedinamenti hanno permesso di accendere i riflettori sulle mosse di Cragnotti, dei suoi principali collaboratori e dei suoi alleati con risultati di rilievo. A partire dai tentativi effettuati per riconquistare il controllo di pezzi del gruppo Cirio utilizzando «denaro proveniente dal delitto di bancarotta fraudolenta perché distratto dalla stessa Cirio». Nel pieno della bufera Cirio, mentre il gruppo era gestito dai commissari, Sergio Cragnotti ha continuato ad operare senza troppi problemi mettendo a punto progetti per ricomprarsi attività d'impresa muovendosi anche all'estero. Grande attenzione è rivolta alla ricostruzione delle mosse di Ronchi e Sciumé, avvocato con vocazione spiccata verso il mondo degli affari, consigliere della Parmalat nonché vicepresidente della Cremonini e al vertice di Mediolanum. In prima battuta Orsi ha raccolto quantità impressionanti di materiale, tra cui spiccano gli archivi segreti di Cragnotti scovati presso lo studio milanese dell'avvocato Riccardo Bianchini e presso la Prora trust services di Lugano. Ora è il momento in cui i Pm milanesi stanno facendo fruttare il lavoro effettuato ma senza forzature, pronti alla massima collaborazione con la Procura di Roma impegnata nelle indagini su Cragnotti. La scelta è di mettere a disposizione dei colleghi romani tutte le carte e le informazioni raccolte perchè la collaborazione tra le procure viene considerata un fattore di successo fondamentale delle inchieste. F. TA.

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/sole200204ci.html

20 febbraio 2004

Quattro banchieri sotto accusa per il crac Cirio

Milano, ipotesi d’accusa: associazione per delinquere. Sequestrate le email inviate a Palazzo Chigi

Interrogato il protagonista della scalata fallita: « Chiamavamo Cragnotti l’uomo nero » . Intercettata una telefonata: « Vado avanti con il mio nome, ma tra due o tre anni si saranno dimenticati tutti »



MILANO — Ci sono anche rappresentanti delle banche tra gli indagati dell’inchiesta milanese sul crac Cirio: non soltanto per truffa come a Monza, ma anche per l’ipotesi di associazione a delinquere in concorso con Sergio Cragnotti. Dai pochi atti d’indagine emersi dal segreto si può desumere il numero ( quattro, di cui un solo banchiere di rilievo) ma non ancora l’identità, mentre il reato è ipotizzato in concorso con il finanziere ex patron della Cirio, agli arresti a Roma per bancarotta. Gli altri 3 indagati ( che portano il totale a 8) sono invece accusati di « impiego di denaro di provenienza illecita » , e sono le persone ( l’imprenditore Carlo Ronchi, il finanziere brasiliano Mario Garnero e il dirigente della Bnp Paribas, Marco Lippi, consulente bancario di Ronchi) al centro delle perquisizioni ordinate l’altra sera dai pm Orsi, Ruta e Pedio: tutte incentrate sulla scoperta che una delle cordate imprenditoriali in lizza per la Cirio in realtà progettava di ricomprarne pezzi proprio con il cointeressamento dello stesso Cragnotti, garantendogli il 25% di utili netti a fine operazione.
Il capofila ufficiale della cordata, Carlo Ronchi, è stato interrogato mercoledì dalle 7 di sera alle 2 di notte, alla presenza del suo avvocato Cesare Bulgheroni. « Mi pare che fu Sergio Cragnotti a farmi il nome di Garnero come possibile partecipe alla cordata, specificatamente interessato ad acquistare la Bombril » . Ronchi, però, giura che « con Cragnotti continuai a parlare soltanto per conoscere i problemi e la struttura del gruppo Cirio, lui è sempre stato estraneo al progetto di concordato » : e se Cragnotti davvero « si interessava all’argomento » , era solo « perché il concordato, se realizzato, poteva attenuare le sue responsabilità » .
Le intercettazioni, però, sembrano suggerire il contrario. « Il brasiliano secondo me nasconde anche i capitali dell’uomo nero » , dice ad esempio Ronchi al telefono il 28 ottobre 2003: « Il brasiliano è Garnero, e l’uomo nero è Cragnotti » , spiega ora a verbale Ronchi, riducendo però tutto a proprie illazioni. Come pure quando deve spiegare la telefonata del 30 gennaio scorso, allorché, a un interlocutore che teme che « Cragnotti non s’accontenti mica del 5 » , Ronchi replica: « Infatti lui si accontenta del 25 e io devo lavorare lì dentro » . Quando i pm gli chiedono di chiarire la frase, Ronchi prima si limita a dire « facevo delle considerazioni con un amico » , poi si rifugia in corner: « Mi riferivo al fatto che dovevo investigare su questo 25% a Cragnotti » .
Fioccano le intercettazioni contestate a Ronchi nell’interrogatorio. Il 31 ottobre 2003, a Ronchi che ammette « io soldi non ne ho, ma il brasiliano ne passa 11 milioni di euro su un conto tuo... » , il dirigente di Paribas, Lippi, risponde secco: « Questo non voglio sapere e non me lo devi dire » .
Il 13 dicembre 2003 Ronchi informa Cragnotti che « Lippi ha stracciato » una email « perché ha detto che queste cose non si scrivono » . E nella stessa telefonata, Ronchi aggiunge: « Bisogna che riceva il prestito in un certo modo, perché se si viene a capire il collegamento è un disastro » . Un mese prima, il 13 novembre 2003, dice a Cragnotti: « Adesso vado avanti io col nome... ma tra due o tre anni si sono dimenticati tutti... quindi mettiti d’accordo con Garnero che... una parte è la roba di Andrea » ( figlio di Cragnotti, ndr).
Ma mercoledì notte Ronchi non cambia linea davanti al pm: « Cercavo di fare in modo che Cragnotti mi desse tutti gli elementi per fare il concordato » . E « Garnero mi prestava soldi facendo la banca con me. Punto » .
Dove Ronchi invece si allarga è sugli interlocutori istituzionali della sua cordata. Non i commissari di Cirio e il ministro Marzano, che « non mi hanno mai ricevuto » . Pazienza: « Di questi aspetti mi preoccupavo relativamente, perché tenevo contatti diretti con il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, l’onorevole Gianni Letta » . E gli ha spiegato che lei si incontrava ripetutamente con Cragnotti per strutturare la cordata? « Ciò che ho riferito a Letta — risponde ai pm Ronchi — sta scritto nelle email a lui indirizzate che voi avete sequestrato.
Non ricordo se in queste comunicazioni ho fatto riferimento a Cragnotti.
Cragnotti è un mezzo per il concordato » .

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/cor200204ci.html

20 febbraio 2004
Nell´inchiesta entrano quattro nomi nuovi, fari accesi sugli istituti che hanno collocato i bond
Cirio, anche i banchieri tra gli indagati di Milano



Secondo i pm è Cragnotti l´"uomo nero" della scalata occulta


LUCA FAZZO


MILANO - Si allarga il fronte dell´indagine milanese su Sergio Cragnotti e sulle manovre occulte che hanno preceduto e seguito il crac del gruppo Cirio. Dopo aver indagato per riciclaggio lo stesso Cragnotti e gli imprenditori che dovevano aiutarlo a riconquistare parte del suo gruppo utilizzando soldi riciclati, la Procura milanese mette sotto i riflettori i banchieri che prima dell´esplosione della crisi fecero da sponda all´ex presidente della Lazio nel piazzare tra i risparmiatori bond destinati a non venire mai risarciti. Quattro nomi sono stati iscritti nel registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata alla truffa. I pm titolari dell´inchiesta, Laura Pedio e Luigi Orsi, rifiutano qualunque dettaglio sia sull´identità degli indagati che sugli istituti di appartenenza. E fino a sera si innesca un turbine di ipotesi ? tutte impossibili da riscontrare con certezza ? che coinvolgono anche nomi di primo piano nel mondo del credito.
Di certo c´è che l´inchiesta milanese sembra muoversi ormai in rotta di collisione con quella che sul crepuscolo di Cragnotti conduce la Procura di Roma, e che ha portato l´imprenditore a finire in cella. La ricostruzione della fase finale della parabola Cirio viene letta dalle due Procure in modo assai diverso. E ora, con l´iscrizione dei banchieri tra gli indagati i pm milanesi danno un brusco colpo di acceleratore. Nel mirino ci sono le banche che «risultando al contempo i maggiori creditori del gruppo Cirio hanno collocato gran parte dei sette prestiti obbligazionari emessi dal gruppo». Si tratta di un nugolo di istituti di credito ? oltre una ventina ? all´interno dei quali i pm milanesi sono però arrivati a compiere una scrematura, individuando un numero ben più ristretto di banche che porterebbero le maggiori responsabilità dei «bidoni» tirati da Cragnotti ai risparmiatori.
Sui legami tentacolari dell´ex presidente della Lazio, d´altronde, l´inchiesta milanese sta rivelando dettagli interessanti. L´operazione di scalata occulta alla Del Monte ? uno dei rami più ghiotti del gruppo ? che ha portato Cragnotti ad essere incriminato per riciclaggio, avrebbe avuto come paravento un personaggio del calibro di Mario Garnero, brasiliano, ultrapotente uomo d´affari, grande amico dell´ex presidente americano George Bush, titolare del progetto di costruzione del più grande grattacielo del mondo, la Maharishi Tower (ovvero la "Torre della pace mondiale") a San Paolo. È nella villa di Garnero a Cap Ferrat che si sarebbero tenuti gli incontri decisivi per organizzare la cordata, e sarebbe stato lo stesso Garnero a fare da intestatario per la quota ? attorno ai 20 milioni di euro ? controllata da Cragnotti nella cordata per la scalata alla Del Monte. «Non ho mai saputo che di mezzo ci fosse Cragnotti», ha dichiarato ai pm il businessman Carlo Ronchi, capofila della cordata, «il nostro unico obiettivo era mantenere in Italia il controllo di Del Monte». Ma ci sono intercettazioni proprio a carico di Ronchi, in cui Cragnotti veniva definito «l´omaccio» ovvero «l´uomo nero». «Secondo me Cragnotti ha dei soldi dentro le attività di Garnero, sennò non parlerebbero da pari a pari», dice Ronchi in una conversazione. I fondi ? che la Procura milanese ritiene di provenienza illecita ? investiti nell´operazione venivano dalle disponibilità non solo di Sergio Cragnotti ma anche di suo figlio Andrea, arrestato insieme a lui.
Nello stesso fascicolo ? che porta il numero 5393 del 2004 ? della Procura di Milano convivono ora le due indagini, quella sulla truffa ai risparmiatori che precedette il default del gruppo e quella sul riciclaggio di fondi neri che doveva permettere a Cragnotti, all´indomani del dissesto, di rimettere le mani su parte del suo impero. Per il riciclaggio, gli avvisi di garanzia sono partiti nei giorni scorsi. Per la truffa, potrebbero scattare in tempi ravvicinati.


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21 febbraio 2004
Cirio, indagati Masera e Fiorani




ROMA - Salgono a nove gli indagati banchieri o manager di banca da parte della procura di Roma sul crack Cirio. A un mese dall'allargamento dell'indagine capitolina ad altri istituti di credito, oltre a Capitalia, sono trapelati i nomi dei banchieri a suo tempo iscritti nel registro degli indagati: sono Rainer Masera e Luigi Maranza per il San Paolo-Imi, rispettivamente presidente e amministratore delegato. E i vertici della Banca popolare di Lodi: il presidente Giovanni Benevento e l'a.d. Giampiero Fiorani. I loro nomi si aggiungono a quello di Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, di Pietro Locati, ex direttore generale di Banca di Roma e ad altri tre manager dello stesso gruppo raggiunti da un avviso di garanzia nel dicembre scorso. L'ipotesi di reato è la truffa e il concorso in bancarotta fraudolenta preferenziale. A differenza dei vertici di Capitalia, agli esponenti degli istituti del nord Italia non erano pervenuti avvisi di garanzia e per questo hanno reagito con sorpresa alla notizia. «Non ho alcuna evidenza di quella iscrizione - ha commentato Masera - Sono assolutamente sorpreso». La posizione della Banca Popolare di Lodi è stata affidata a una nota nel quale si dichiara «certa della bontà dell'operato dei propri amministratori e dunque dell'assoluta estraneità ai fatti di reato per i quali la procura di Roma sta procedendo». Sia il San-Paolo che la Popolare di Lodi, però, erano stati oggetto nei mesi scorsi di sequestri e di accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza su disposizione dei Pm romani, coordinati dal procuratore aggiunto Achille Toro: per entrambi gli istituti è stata richiesta l'acquisizione relativa alle emissioni dei bond Cirio tra il 2000 e il 2002. Di queste operazioni si riferisce nell'ordinanza di arresto di Sergio Cragnotti, in cui il Gip fa riferimento a rientri delle esposizioni per 595 milioni di euro da parte di sei banche, tra cui San Paolo e Popolare di Lodi, con la liquidità proveniente dalle emissioni. Nei fatti, però, le due banche avrebbero ottenuto rimborsi molti limitati e comunque lontani dalla cifra ipotizzata dagli inquirenti. I Pm hanno voluto inoltre acquisire le carte relative ai complessi finanziamenti infragruppo del gruppo Cirio e al ruolo delle banche in queste operazioni: secondo indiscrezioni nel mirino degli inquirenti ci sarebbe un finanziamento di 100 miliardi concesso dal San-Paolo verso la Sagrit (poi Cirio Holding) con scadenza 2000. Questa linea di credito venne estinta nel 2001 in concomitanza con l'emissione dei bond, ma il sospetto dei magistrati (che indagano anche su una fideiussione concessa da Banca di Roma) è che dietro questa operazione potesse celarsi un subentro dell'istituto torinese per "alleggerire" l'esposizione del gruppo bancario di Roma. Ipotesi anche questa che sarebbe tutta da dimostrare. Infine la presenza del Banco di Napoli, confluito a fine 2000 in San Paolo, nel capitale della Cragnotti&Partner: l'uscita dell'istituto, avviata nel '97, secondo gli inquirenti sarebbe stata finanziata con i fondi provenienti dalle "distrazioni" nel gruppo Cirio. «Il San Paolo-Imi non ha mai detenuto partecipazioni nella Cragnotti&Partners - ha commentato Maranzana -. Tale partecipazione faceva capo al Banco di Napoli e fu da questo ceduta nel '97, cioè tre anni prima dell'arrivo del San Paolo». Quello che la banca non precisa, però, è che l'uscita da capitale (concordata in 25 miliardi di lire) venne finanziata con un mutuo concesso alla Finco (holding di controllo del gruppo Cirio riconducibile a Cragnotti) dallo stesso Banco di Napoli e i cui pagamenti si distribuirono tra il '99 e il 2001. Dunque, ne beneficiò anche il gruppo di Torino. Sul fronte delle indagini, per la procura di Roma la prossima sarà una settimana ricca di appuntamenti. Lunedì i Pm capitolini (assieme a Toro i sostituti procuratori Tiziana Cugini e Rocco Sabelli) si recheranno a Parma per interrogare Fausto Tonna a Calisto Tanzi e per un vertice di coordinamento con gli inquirenti di Parma sul caso Eurolat. Venerdì 27, invece, dovrebbe essere sentito come persona informata dei fatti l'a.d. di Capitalia, Matteo Arpe. E ancora: i Pm romani hanno richiesto ai colleghi milanesi gli atti sulle indagini su Cirio. Potrebbero utilizzarli per sostenere la necessità del carcere per Cragnotti nell'udienza al tribunale del riesame il prossimo 25 febbraio. LAURA SERAFINI

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21 febbraio 2004

Caso Cirio, indagati i banchieri Masera e Fiorani

Sotto accusa i vertici di San Paolo- Imi e Popolare di Lodi. Le repliche: non c’è stata nessuna irregolarità



ROMA — La famiglia Cragnotti, innanzitutto. Ma anche alcuni importanti istituti di credito. Le indagini sul crac della Cirio coinvolgono, uno dopo l’altro, personaggi di spicco del mondo imprenditoriale ed economico del nostro Paese. Dopo gli arresti dell’ex patron della Lazio calcio, del figlio e del genero, i magistrati si concentrano sulle eventuali responsabilità delle banche nel dissesto del gruppo agroalimentare. E questo ha portato a ulteriori iscrizioni sul registro degli indagati per bancarotta « preferenziale » e truffa, accuse già ipotizzate nei confronti dell’ex presidente di Banca di Roma e attuale presidente di Capitalia Cesare Geronzi: sono sotto inchiesta presidenti e amministratori delegati del San Paolo- Imi, Rainer Masera e Luigi Maranzana, e della Banca Popolare di Lodi, Giovanni Benvenuto e Gianpiero Fiorani.
LE ACCUSE — Il salto di qualità nell’inchiesta del Procuratore aggiunto Achille Toro e dei pm Tiziana Cugini, Gustavo De Marinis e Rodolfo Sabelli è avvenuto 20 giorni fa, prima che venissero rinchiusi a Regina Coeli Sergio e Andrea Cragnotti e Filippo Fucile. Gli indagati per il filone che riguarda gli istituti di credito sono otto ( in totale sono oltre 40) e dall’ordinanza di custodia del gip Andrea Vardaro si desume la direzione imboccata dalle verifiche. Il giudice ha sottolineato come, tra il 2000 e il 2002, « quando cioè il gruppo si trovava già in stato d’insolvenza, venivano eseguiti pagamenti preferenziali per importi ingenti — pari ad almeno 595 milioni di euro — in favore degli istituti di credito Banca di Roma, Banca Popolare di Lodi, Mediocredito Centrale, Banca Nazionale del Lavoro, Ubs e Banco di Napoli a parziale pagamento dei debiti accumulati dalla Cirio Finanziaria Spa e dalla Cirio Holding Spa a fronte degli ingenti finanziamenti ottenuti » . Per Vardaro, « la riduzione dell’indebitamento verso le banche è avvenuta in un momento di sostanziale dissesto economico, ben noto ai soggetti che hanno gestito i proventi delle emissioni obbligazionarie ( i bond, ndr.) e li hanno destinati parzialmente alla riduzione dell’indebitamento verso le banche » .
Nel provvedimento è stato specificato che « i rimborsi alle banche sono continuati, e in maniera anche più consistente che in precedenza, in un periodo in cui il dissesto economico diveniva sempre più evidente » . Tutto ciò, secondo il gip, « in previsione dell’inevitabile, successiva dichiarazione dello stato di insolvenza ( avvenuta ad agosto scorso, ndr.) edel pregiudizio che tali pagamenti avrebbero provocato alla massa dei creditori delle società » . La restituzione del denaro agli istituti, in altre parole, avrebbe avuto lo « scopo di favorire le banche creditrici nella consapevolezza del danno che si sarebbe arrecato agli altri creditori » . E la Procura ha anche ordinato l’acquisizione a Capitalia delle carte relative a Cominvest.
LE REPLICHE — « Il riferimento all’operatività del Banco di Napoli suscita stupore dal momento che tale banca è stata acquisita dal San Paolo- Imi a fine 2000 e nella stessa non ho ricoperto cariche di rappresentanza od operative. Sottolineo, inoltre, che non ho avuto alcun rapporto operativo con il gruppo Cirio » , ha osservato Masera. Che ha detto di avere « piena fiducia nell’operato degli organi inquirenti e disponibilità a fornire ogni elemento utile di chiarimento » . Maranzana ha precisato che il « San Paolo- Imi non ha mai detenuto partecipazioni in Cragnotti & Partners. Tale partecipazione faceva parte del Banco di Napoli e fu ceduta da questo nel ’ 98, cioè tre anni prima dell’arrivo di San Paolo- Imi » . La Banca Popolare di Lodi ha invece fatto sapere di essere « certa della bontà dell’operato dei propri amministratori e dunque dell’assoluta estraneità ai fatti di reato per i quali la Procura di Roma sta procedendo » .
AMILANO — Qui l’inchiesta vira invece sui consulenti legali della cordata degli imprenditori Carlo Ronchi e Mario Garnero, cordata che secondo i pm avrebbe cercato ( con la sponda di un dirigente di Paribas, Marco Lippi) di ricomprare pezzi di Cirio con i soldi della bancarotta di Cragnotti e garantendogli il 25% di utile alla fine dell'operazione: a questi tre, già indagati per « impiego di denaro di provenienza illecita » , ieri si sono aggiunti gli avvocati d'affari Roberto Gerosa e Paolo Sciumè, quest'ultimo consigliere d'amministrazione della Scala, di Mediolanum e di società del gruppo Eni e Bnl, vicepresidente della Cremonini ed ex consigliere di Parmalat, nonché consulente del sindaco Guazzaloca a Bologna. Un altro avvocato, Riccardo Bianchini Riccardi ( a Milano è solo testimone), assistito dal legale Carlo Gilli, ha invece vinto il secondo round procedurale ingaggiato con il pm Luigi Orsi sulle regole della perquisizione nel suo studio del 10 gennaio: per la seconda volta il Tribunale del Riesame l'ha annullata. Ma ieri pomeriggio la Procura ha avviato il terzo sequestro dei documenti, rispediti con un camioncino nello studio legale per essere poi ripresi.

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/cor210204ci.html


21 febbraio 2004
Per il presidente di SanPaolo-Imi i pm di Roma ipotizzano il concorso in bancarotta e truffa Il banchiere: "Assolutamente sorpreso"
Cirio, indagato Masera



Iscritti anche Maranzana e i vertici di Popolare Lodi



Alla Guardia di Finanza decreto di accertamento sulla Lazio
Due nuovi indagati anche nell´inchiesta milanese: i consulenti della cordata Ronchi

ELSA VINCI


ROMA - Crac Cirio, è scoccata l´ora dei banchieri. Dopo Cesare Geronzi di Capitalia, la Procura di Roma iscrive sul registro degli indagati Rainer Masera e Luigi Maranzana, presidente e amministratore delegato del San Paolo Imi, Giovanni Benvenuto e Giampiero Fiorani, presidente e amministratore delegato della Popolare di Lodi. Ipotesi di reato: truffa e bancarotta in concorso con Sergio Cragnotti.
La Popolare di Lodi e il Banco di Napoli, poi assorbito dal San Paolo Imi, compaiono nell´ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip Andrea Vardaro contro l´ex patron della Lazio e della Cirio. Scrive il giudice: «Tra il 2000 e il 2002, quando il gruppo si trovava in stato di insolvenza, venivano eseguiti pagamenti preferenziali per importi ingenti - pari almeno a 595 milioni di euro - in favore di sei istituti di credito, Banca di Roma, Popolare di Lodi, Mediocredito centrale, Bnl, Ubs e Banco di Napoli, a parziale pagamento dei debiti accumulati dalla Cirio Finanziaria spa e dalla Cirio Holdin spa». Ma fino ad ora sono 14 i decreti di accertamento nei confronti di istituti di credito firmati dalla procura romana. Indaga la guardia di finanza.
Il San Paolo Imi è sotto lente d´ingrandimento perché il Banco di Napoli, poi confluito nell´istituto torinese, «deteneva quote di partecipazione di Cragnotti & Partners». Immediata la reazione di Masera: «Sono assolutamente sorpreso, il riferimento all´operatività del Banco di Napoli suscita stupore dal momento che tale banca è stata acquisita dal San Paolo Imi a fine 2000. Non ho mai ricoperto cariche di rappresentanza o operative, meno che mai in Cirio».
La procura aveva ordinato alle fiamme gialle accertamenti e sequestri al San Paolo Imi «in ordine a partecipazioni direttamente o indirettamente possedute o controllate nelle società Cirio dal 1991 a oggi», con specifico riferimento agli estratti del conto corrente intestato a Cirio Finanziaria, dal primo gennaio 1997 al 30 novembre 2003. Altri sette conti correnti sono stati acquisiti alla Popolare di Lodi, gli intestatari sono Bombril Cirio International, Cirio Finanziaria, Cirio Holding, Cirio Fianance Luxembourg (tutti presso la filiale di Lodi), Cirio Finanziaria spa e Cirio Holding (nella sede di Roma). I sequestri avevano come obiettivo «pratiche e schede di rischio relative ai finanziamenti per cassa e di firma concessi sotto qualsiasi forma tecnica, e lo storico mensile dell´esposizione creditoria all´interno del gruppo bancario». Tutto «per ricostruire i movimenti patrimoniali delle società e l´evoluzione nel tempo delle condizioni finanziarie» del gruppo agro alimentare. Acquisiti anche atti «sugli accordi per l´emissione dei bond». Alle fine delle verifiche, le iscrizioni dei banchieri come «atto dovuto». Venerdì prossimo sarà ascoltato come testimone Matteo Arpe, amministratore delegato di Capitalia.
Intanto altri nomi tra gli indagati per il crac Cirio a Milano. Ipotesi di riciclaggio contro l´avvocato Paolo Sciumè e Roberto Gerosa, consulenti della cordata - guidata da Carlo Ronchi, già inquisito - che puntava a rilevare dal fallimento parte della Cirio. Dietro la cordata, secondo il pm, Cragnotti e il figlio Andrea. Accusa di truffa e associazione per delinquere per l´avvocato civilista dell´ex patron, Riccardo Bianchini. Mentre si profila un conflitto di competenza tra le varie procure, i magistrati della capitale lunedì saranno a Parma e a Milano per interrogare Calisto Tanzi e Fausto Tonna che, nell´ambito dell´indagine sulla Parmalat, hanno chiamato in causa Geronzi in particolare nella vendita di Eurolat. Ma il ciclone Cirio sta per abbattersi anche sulla Lazio, un decreto di accertamento è stato appena consegnato alla Finanza.


http://www.assinews.it/rassegna/articoli/rep210204ci.html
 
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marzo 2004

Cirio, è Geronzi il mister X sotto inchiesta a Milano


L’accusa: associazione a delinquere. Capitalia: « Noi i danneggiati »
La Procura di Roma chiede tutti gli atti: « Quell’indagine è nostra »

MILANO — E’ il presidente di Capitalia ( ex Banca di Roma), Cesare Geronzi, il banchiere indagato dalla Procura di Milano per l’ipotesi di associazione a delinquere nel versante milanese dell’inchiesta sulla Cirio.
Geronzi, che a Roma è invece indagato dal dicembre scorso per i reati di bancarotta preferenziale e truffa, condivide l’ipotesi di reato milanese con l’ex patron della Cirio, Sergio Cragnotti ( agli arresti a Roma), con l’avvocato d’affari di quasi tutti i contratti di Cragnotti, Riccardo Bianchini Riccardi, e con almeno altre due o tre persone che si intuiscono nelle pieghe degli atti sinora depositati.
Ma intanto è la legittimità stessa dell’indagine milanese a essere messa in dubbio. E non più ( come una settimana fa) soltanto dal difensore ( Carlo Gilli) di un indagato sia di Milano sia di Roma ( Bianchini Riccardi), bensì dagli stessi magistrati di uno dei tre poli giudiziari che lavorano sulla Cirio ( il terzo è, solo per la truffa ai risparmiatori, Monza): è infatti la Procura di Roma ad aver inviato ieri alla Procura di Milano una esplicita richiesta di trasferimento nella capitale di tutti gli atti.
I pm milanesi Orsi, Pedio e Ruta risponderanno no ai colleghi romani Toro, Cugini, De Marinis e Sabelli con una memoria nella quale difenderanno la propria competenza, poggiata su argomenti procedurali che toccherà poi vagliare al procuratore generale della Cassazione: proprio come è avvenuto ieri nel caso Parmalat, nel quale però la Procura di Parma non aveva affatto appoggiato la richiesta di trasferimento da Milano dell’indagine sul reato di aggiotaggio avanzata dai difensori di tre indagati.
E a complicare il quadro si aggiunge l’incertezza sulla destinazione dell’altro binario d’inchiesta imboccato sinora da Milano, quello sul progettato riacquisto di pezzi di Cirio a cui Cragnotti avrebbe puntato al Tribunale Fallimentare di Roma dietro lo schermo di una cordata imprenditoriale che gli avrebbe garantito a cose fatte un profitto netto del 25 per cento: il volto ufficiale della cordata ( Carlo Ronchi), la presunta vera anima finanziaria ( il brasiliano Mario Garnero), un dirigente della banca Bnp Paribas ( Marco Lippi), e due consulenti legali ( gli avvocati d’affari Paolo Sciumè e Alberto Gerosa) sono infatti pure indagati, ma per la diversa ipotesi di « impiego di denaro di provenienza illecita » .
Forse proprio grazie all’attrito di questo conflitto di competenza tra le due Procure sarà possibile che venga svelato qualche aspetto dell’indagine milanese: a cominciare appunto dall’approccio in base al quale questa Procura, nel ricostruire i tanti capitoli della parabola di Cragnotti ( collocamento dei bond Cirio, affari più o meno « consigliati » da Banca di Roma, incroci pericolosi tra due forti debitori della banca come la Cirio di Cragnotti e la Parmalat di Tanzi), sia giunta a formulare, seppure in questa fase embrionale dell’indagine, una ipotesi addirittura di associazione a delinquere.
Da tempo Capitalia ribadisce che « nella gestione del rapporto con il gruppo Cragnotti » l’istituto « non ha tratto alcun vantaggio né diretto né indiretto, ma come gli altri creditori è risultata danneggiata » . E davanti alle Commissioni « Finanz e e Attività produttive » di Camera e Senato, Geronzi il 21 febbraio ha rivendicato: « Pensare che Capitalia abbia deliberatamente collocato presso la propria clientela titoli di società sulla cui solvibilità aveva dubbi, significa attribuire al gruppo un comportamento suicida » .
Quanto alle aziende vendute da Tanzi e comprate da Cragnotti, in un modo che ora dal carcere entrambi gli imprenditori asseriscono sia stato forzato dall’interesse di Capitalia a rientrare dalle esposizioni di Cirio e Parmalat, Geronzi nega che Banca di Roma abbia condizionato anche indirettamente la fissazione del prezzo delle operazioni: « Abbiamo assistito due clienti in operazioni in cui avevano interessi convergenti » .

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/cor020304ci.html
 
:mad:

Avete guardato le caratteristiche dei titoli sui dati di emissione?
Come fanno a dire che erano per investitori istituzionali e non per il retail e piu' precisamente per i piccoli e medi risparmiatori.
Il taglio minimo di negoziazione e' di 1000 euro.
I tagli in uso solitamente come minimi di negoziazione sono 1000 euro per il retail e 250000 euro per gli investitori istituzionali , quindi se erano solo per gli investitori istituzionali il taglio doveva essere di 250000 euro e multipli. Li hanno fatti di 1000 euro proprio perche' finissero al pubblico.
 
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3 marzo 2004

Capitalia, difesa in cinque mosse
« Geronzi estraneo ai bond Cirio »


Scontro tra Roma e Milano sull’inchiesta: deciderà la Cassazione
Nuovi indagati. Al setaccio i conti bancari della moglie di Cragnotti

MILANO — La Procura di Milano non cede la propria inchiesta Cirio alla Procura di Roma. E Capitalia, dopo l’iscrizione nel registro degli indagati del presidente Cesare Geronzi per l’ipotesi di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, difende il proprio operato in 5 mosse.
La controffensiva — Primo: « Il gruppo Capitalia non ha partecipato ad alcuna emissione di bond a far data dal giugno 2001 » e « pertanto non ha avuto alcun ruolo nelle più recenti emissioni obbligazionarie » .
Secondo: « Relativamente alle emissioni precedenti al giugno 2001, l’allora Banca di Roma curò emissioni obbligazionarie ( maggio e novembre 2000) sempre unitamente ad altre primarie istituzioni creditizie » . Terzo: in ogni caso, assicura Capitalia, che ieri in Borsa è arretrata del 2,3%, « la partecipazione a tali emissioni non è stata deliberata dal presidente Cesare Geronzi » . Quarto: « Capitalia non ha comunque mai beneficiato di rimborsi o rientri sulla propria esposizione creditizia nei confronti del gruppo Cirio in occasione delle emissioni obbligazionarie cui ha partecipato » . Quinto: per quanto poi riguarda « gli eventi successivi al default ( novembre 2002), il presidente di Capitalia non ha intrattenuto nessun rapporto con chicchessia per qualsiasi ipotesi di salvataggio del gruppo Cirio oggetto dell’indagine della Procura di Milano » .
Qui i pm stanno mettendo a punto il « no » alla richiesta dei colleghi di Roma di trasmettere gli atti nella capitale per competenza. Roma, che procede contro Sergio Cragnotti e altre 42 persone per bancarotta e truffa, ritiene infatti che la propria indagine possa e anzi debba assorbire quella che Milano conduce invece ( per associazione a delinquere e truffa) nei confronti di Cragnotti, di suo genero Filippo Fucile, del suo avvocato d’affari Riccardo Bianchini Riccardi, di Geronzi, e forse di alcune altre persone tra le quali almeno un dirigente di un istituto di credito straniero. E visto che nessuna delle due Procure intende mollare la presa, è certo che toccherà alla Procura generale della Cassazione sciogliere il conflitto di competenza.
« Non vogliamo scippare niente a nessuno — afferma il procuratore aggiunto di Milano, Angelo Curto — . Vogliamo solo procedere per i fatti per i quali siamo competenti » .
La Procura di Roma, che conta di arrivare alle richieste di rinvio a giudizio entro l’estate, non sta con le mani in mano: ieri ha indagato il responsabile della sede capitolina della società di revisione Deloitte & Touche, che ha certificato il bilancio 2001 della Cirio, nonché 3 sindaci entrati in carica nel 2000: per i pm non è sufficiente aver sollevato obiezioni durante i consigli di amministrazione se poi, alla fine, i bilanci fraudolenti furono ugualmente approvati. E si lavora anche sull’ipotesi che alcuni sindaci, che non avevano condiviso un determinato bilancio, siano stati rimossi e sostituiti con altri più vicini alla politica aziendale voluta da Cragnotti.
La caccia al tesoro — La Procura capitolina ha invece dovuto rinviare l’interrogatorio di quattro dirigenti della ex Banca di Roma, che hanno chiesto ai pm romani di precisare le contestazioni per essere messi nella condizione di poter rispondere alle domande. Anche alla ricerca dei soldi Cirio distratti da Cragnotti, Milano e Roma vanno per strade parallele. Milano ha fatto partire una serie di rogatorie estere in Olanda, Brasile, Lussemburgo e Regno Unito, dove potrebbe essere ritrovato il filo di quello che ieri uno dei commissari straordinari della Cirio, Mario Resca, ha definito « il tesoro che da qualche parte potrebbe esistere » . Sotto un altro profilo, Roma sta invece esaminando la segnalazione fatta dalla Guardia di finanza sui movimenti di denaro registrati su 7 conti intestati a Flora Pizzichemi, moglie di Sergio Cragnotti e coindagata nell’inchiesta sul dissesto.

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3 marzo 2004
Associazione a delinquere finalizzata alla truffa l´ipotesi di reato per il presidente di Capitalia
Geronzi indagato a Milano



Nell´inchiesta per il crac Cirio. Scontro tra procure


I pm lombardi rifiutano di inviare gli atti a Roma e mandano il caso in Cassazione
L´istituto di credito: "Il presidente non è intervenuto sui bond o sul salvataggio"
Tremonti apre all´Ulivo e dice sì al mandato a termine per Fazio


MILANO - Risolto il conflitto di competenza con la procura di Parma per il caso Parmalat, per i pubblici ministeri milanesi si è aperto ieri un nuovo fronte giudiziario: quello per stabilire chi tra Roma e Milano sarà il titolare dell´inchiesta sul riciclaggio dei soldi provenienti dal crac Cirio. La procura di Roma ha infatti chiesto ai pubblici ministeri, Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta gli atti della loro inchiesta. Alla richiesta dei magistrati romani, Milano ha risposto cominciando a preparare una memoria da spedire al procuratore generale della Cassazione che nei prossimi giorni verrà investito della questione.
Il botta e risposta tra Roma e Milano è arrivato nel giorno in cui è stato reso noto il nome del banchiere finito nel registro degli indagati di Milano con l´accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Si tratta di Cesare Geronzi, numero uno di Capitalia, già indagato a Roma per bancarotta. Insieme a Geronzi, indagati a Milano anche Sergio Cragnotti, suo genero Filippo Fucile e l´avvocato d´affari Riccardo Bianchini Riccardi. La decisione di iscrivere Geronzi sarebbe stata presa una quindicina di giorni fa subito dopo la decisione dei pm di indagare anche per un´altra ipotesi di reato, quella per riciclaggio. Che conta, allo stato, altri cinque indagati: Carlo Ronchi, esponente dell´Agrifood consulting, Mario Garnero, presidente della Brasilinvest, Marco Lippi, dirigente della banca svizzera Bnp Paribas, l´avvocato Paolo Sciumé e un secondo legale d´affari, Alberto Gerosa.
Capitalia, in una nota diffusa ieri, ha respinto tutte le accuse mosse nei confronti di Geronzi e del gruppo: «Relativamente agli eventi successivi al default del novembre 2002 il presidente di Capitalia non ha intrattenuto nessun rapporto con chicchessia per qualsiasi ipotesi di salvataggio del gruppo Cirio. Quanto alle obbligazioni, Capitalia non ha partecipato ad alcuna emissione di bond a far data dal giugno 2001».
A questo punto però, per effetto della questione di competenza, l´inchiesta rischia un lungo periodo di stop. Ad accendere la miccia è stato l´avvocato difensore di Riccardi, Carlo Gilli, che per primo ha sollevato il problema. Un problema che sembra ricalcare alla perfezione lo schema già visto nell´inchiesta Parmalat e che il procuratore generale della Cassazione ha risolto stabilendo che le due procure possono proseguire lungo binari paralleli perché le ipotesi di reato (aggiotaggio a Milano e bancarotta a Parma), così come sono state formulate, sono diverse.
In sostanza: le false notizie al mercato che, secondo l´accusa di Milano, contribuiscono oggi a contestare l´aggiotaggio agli indagati sono state "ontologicamente" diverse, per tempi e contenuto, da quelle false comunicazioni per le quali, tra l´altro, procede Parma. E ancora. Sempre secondo il pg della Cassazione non vi può essere coincidenza, quindi connessione, tra le due indagini, anche perché gli indagati, in molti casi, sono diversi. Ed è proprio per questo motivo che ieri in procura, a Milano, c´era ottimismo anche per il caso Cirio. Roma, infatti, procede per bancarotta, mentre Milano per associazione a delinquere finalizzata alla truffa e per impiego di denaro di provenienza illecita. A Milano, inoltre, l´attenzione è focalizzata su alcune persone che, allo stato, non risultano indagate nel pur «corposo» gruppo di 43 iscritti nel registro degli indagati di Roma.
(ma.me.)

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marzo 2004

La Consob scagiona le banche «Sui Cirio-bond tutto regolare»

Nessun complotto dei lead manager: «La legge non vieta di rivendere titoli alla clientela retail» Per la Commissione mancano elementi di fatto e di diritto per il procedimento sanzionatorio

Una relazione tecnica firmata da sette alti funzionari della Consob scagiona le banche dall’accusa di irregolarità nel collocamento delle obbligazioni Cirio. Il documento porta la data del 12 gennaio 2004 ed è allegato agli atti dell’inchiesta per truffa condotta dal pm monzese, Walter Mapelli. Gli esiti degli accertamenti ispettivi sul caso Cirio condotti da tre divisioni della Consob (Intermediari, Emittenti, Mercati) smontano l’ipotesi investigativa su cui si è mossa finora la Procura di Monza. L’emissione e i meccanismi di collocamento dei bond, inclusa la negoziazione sul mercato grigio, sono perfettamente leciti. Secca la conclusione: «Si propone alla Commissione - scrive la Divisione Emittenti diretta da Giuseppe Cannizzaro - di non avviare alcun procedimento sanzionatorio per violazione della disciplina sulla sollecitazione all’investimento, atteso che dall’esame delle verifiche ispettive effettuate (...) non sono emerse evidenze probatorie». Ancora più netto il giudizio sull’operato delle banche d’investimento che hanno svolto il ruolo di lead manager (capofila) nelle emissioni Cirio. Per tutte si propone «di non avviare procedimenti sanzionatori in assenza di idonei e sufficienti presupposti di fatto e di diritto». Risulta con «univoca evidenza» che Abaxbank, Caboto, Ubm, Banca Akros e Jp Morgan hanno operato solo ed esclusivamente con investitori professionali. «Dalle evidenze raccolte - continua la relazione - non è emerso che i membri del management group abbiano effettuato campagne promozionali ovvero comunque promosso presso il pubblico degli investitori l’acquisto dei titoli». All’obiezione - spesso sollevata dal pm Mapelli - che le banche d’investimento sapevano che i titoli sarebbero finiti comunque ai piccoli investitori, i tecnici della Consob rispondono che tale consapevolezza «non si traduce automaticamente nell’effettuazione abusiva di una sollecitazione all’investimento». Non esiste infatti alcuna legge o regolamento che vieti agli investitori professionali di rivendere titoli alla clientela retail dopo averli acquistati dalle banche d’investimento o anche sul mercato grigio. Tanto più che di ciò vi è esplicita previsione nella normativa comunitaria.
Se le per banche d’investimento arriva una chiara e netta assoluzione, più variegata è la situazione delle banche commerciali, ossia degli istituti che hanno avuto a che fare direttamente con la clientela privata. In linea di massima, non si può escludere che «l’acquisto dei bond sia avvenuto a seguito di un’iniziativa di investimento proveniente dalla clientela». L’orientamento generale della Consob è quello di una verifica banca per banca. Nei servizi di investimento prestati alla clientela, infatti, occorre valutare le macroaree di possibile contestazione nei confronti delle banche ispezionate, «rinviando a singole relazioni l’illustrazione degli elementi emersi e delle conseguenti fattispecie di infrazione rilevate». Insomma, se non è l’esame caso per caso annunciato da molti istituti nell’ambito delle iniziativi di risarcimento, poco ci manca. La tesi della grande truffa deve cedere il passo alla constatazione «dell’inesistenza di un complessivo disegno elusivo».

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/fm050304co.html
 
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6 marzo 2004

La Malfa intima alla Consob «Consegni il dossier su Cirio»

Nessun complotto dei lead manager: «La legge non vieta di rivendere titoli alla clientela retail» Per la Commissione mancano elementi di fatto e di diritto per il procedimento sanzionatorio

«Sarebbe il caso che la Consob mettesse a disposizione del Parlamento la relazione inviata alla Procura di Monza lo scorso 31 gennaio». Il presidente della commissione Finanze della Camera, Giorgio La Malfa, non nasconde l’irritazione di fronte al documento - messo a punto da sette alti funzionari della Commissione nazionale per la società e la Borsa lo scorso 12 gennaio - che di fatto scagiona le banche dall’accusa di irregolarità nel collocamento delle obbligazioni Cirio. «Trovo alquanto singolare - spiega La Malfa a Finanza & Mercati - che la Consob non abbia ritenuto di dover informare le Camere sui risultati relativi agli accertamenti conseguiti. Soprattutto alla luce dell’indagine conoscitiva avviata dal Parlamento e, ancor di più, in occasione dell’audizione rilasciata in Senato dal presidente Lamberto Cardia lo scorso 20 gennaio». Alle dichiarazioni del presidente della commissione Finanze, la Commissione di vigilanza sulla Borsa risponde con un «no comment». Ma, secondo alcune fonti vicine all’autorità di Piazza Verdi, la Consob avrebbe deciso di appellarsi al segreto d’ufficio, attenendosi all’articolo 4 del Testo unico della Finanza (Tuf), che obbliga l’istituto a riferire solo al ministro dell’Economia e alla magistratura. «Tutte le notizie, le informazioni e i dati in possesso della Consob in ragione della sua attività di vigilanza - si legge al comma 10 - sono coperti dal segreto d’ufficio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni, a eccezione del ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione economica. Sono fatti salvi i casi previsti dalla legge per le indagini relative a violazioni sanzionate penalmente». Spiegazione questa che, pur nel pieno rispetto della legge, non avrebbe convinto La Malfa, che si è detto sorpreso della rigida applicazione del principio di riservatezza di fronte a una indagine parlamentare strettamente legata alle inchieste giudiziarie avviate da diverse procure italiane. Atteggiamento tanto più incomprensibile se si tiene conto delle dichiarazioni rilasciate ieri da ambienti vicini alla Consob, secondo cui gli accertamenti dell’autorità di vigilanza sarebbero stati ricostruiti solo in parte dagli organi di stampa. «Mentre, oltre a essere incentrati sulla questione della sollecitazione all’investimento da parte delle banche, hanno riguardato tutti gli aspetti critici della vicenda, tra i quali anche quello delle modalità di collocamento delle obbligazioni presso il pubblico». Aspetto, quest’ultimo, oggetto di altre dieci relazioni tecniche, anche queste consegnate nelle mani della magistratura. In ogni caso, la questione potrebbe non finire qui. La Malfa non è l’unico a pretendere spiegazioni. Ieri pomeriggio Cardia si è recato a Palazzo Chigi per incontrare il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, e non è escluso che nei prossimi giorni possa essere convocato dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, per riferire sull’intero dossier consegnato ai pm. Anche il Codacons getta benzina sul fuoco: l’associazione dei consumatori annuncia di aver presentato una denuncia contro l’Authority, chiedendo ai magistrati di accertare se quel documento «possa configurare reati come concorso in truffa aggravata».

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/fm060304cir.html
 
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9 marzo 2004

Cirio, i commissari vogliono la revocatoria a cinque anni

Richieste per 650 mln e azioni di responsabilità per gli ex amministratori. Le banche dovranno restituire 540 mln serviti a ridurre le esposizioni. Capitalia rischia 100 mln su Eurolat e Bombril

Azione di responsabilità contro gli ex amministratori Cirio e revocatoria quinquennale per circa 650 milioni contro almeno tre istituti: Capitalia, Monte dei Paschi di Siena e Sanpaolo Imi-Banco di Napoli. Sono queste le richieste che probabilmente i tre commissari dell’ex impero di Sergio Cragnotti faranno nelle prossime settimane ai magistrati romani. Il grosso delle revocatorie riguarderà la destinazione dei 1.125 milioni incassati con l’emissione dei bond che, secondo Resca, Farenga e Zimatore sono finiti per metà - circa 540 milioni - nelle casse degli istituti di credito allo scopo di ridurre la loro esposizione verso Cragnotti. I commissari devono però agire in fretta. Il 10 luglio scatterà la prima prescrizione, quella relativa alla cessione di Eurolat avvenuta nel 1999, un’operazione che avrebbe consentito alla Banca di Roma di rientrare di circa 110 milioni violando la par condicio creditorum. Oggetto della revocatoria sarà anche l’operazione che portò all’uscita della Banca di Roma dal capitale di Bombril Cirio International Sa Lux (ex Cragnotti & Partners), la holding che controllava il gruppo Cirio. A sei mesi dal crac, nel luglio 2002, Cirio Holding riacquistò infatti da Banca di Roma le azioni Bombrill per 17,5 milioni. La prima rata da 2,57 milioni è stata pagata utilizzando la liquidità di Cisim Food, società controllata al 55% da Cirio e partecipata al 45% da Capitalia. Ma la Bombril Cirio International era stata chiusa 15 mesi prima, sicchè Cirio Holding comprò carta straccia. A ulteriore garanzia Cragnotti concesse all’istituto romano un’ipoteca sul Castello di Brignano, altra operazione al vaglio dei commissari per la revocatoria. L’azione di responsabilità riguarderà invece gli ex amministratori del gruppo. Le note dolenti potrebbero arrivare anche per le società che in qualità di azionisti avevano rappresentanti nel cda. Per quanto riguarda le dismissioni degli asset, i commissari stanno trattando su tutti i fronti. A cominciare dalla Bombril, dove la famiglia Sampaio Ferreira è creditrice nei confronti di Cirio per 140 milioni di dollari. Una partita che i commissari potrebbero chiudere con una transazione, forse entro le prossime settimane. Quanto al cespite filippino, la Del Monte Pacific sembra destinata alla famiglia Lorenzo, che vanta un diritto di prelazione per il 40% del capitale in mano alla Cirio del valore di circa 150 milioni di dollari: sempre che la Dole o la Del Monte Usa non facciano un’offerta migliore. Resta da risolvere il problema da 50 milioni di dollari che Cirio ha con Rabobank: l’istituto ha in pegno il 100% delle azioni Cirio Del Monte Foods International, la società titolare del marchio. La partita per Cirio De Rica, società che vanta il maggior numero di pretendenti, si giocherà invece sui rilanci del lungo elenco di offerenti. Ma quanto si potrebbe incassare dalle dismissioni? Probabilmente non più di 350 milioni. Ma se le revocatorie dovessero andare a buon fine l’ipotizzato rimborso agli obbligazionisti del 30%, seppure tra molti anni, potrebbe diventare ben più consistente.

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Milano Finanza -
Numero 047, pag. 14 del 06-03-2004
di Gabriele Capolino
Bond cirio Il rapporto degli ispettori Consob scagiona i lead manager che hanno collocato le obbligazioni: non hanno violato la legge. E le banche che le hanno piazzate alla clientela?

Chi chiedeva, chi spingeva

Dovevano consegnare un prospetto informativo? Hanno tagliato l’angolo intenzionalmente, eludendo le leggi in materia di sollecitazione del pubblico risparmio e di fatto collocando bond Cirio direttamente alla clientela privata? Hanno taciuto i conflitti d’interesse? Il primo rapporto degli ispettori Consob (anticipato da MF venerdì 5) sull’operato delle merchant bank e delle banche commerciali in occasione della vicenda Cirio bond, benché parziale, arriva già a delle conclusioni precise. Assolvendo su tutta la linea i lead manager dei consorzi di collocamento (che invece in massa sono stati inquisiti dalla procura di Monza per concorso in truffa) e rimandando a una più puntuale ispezione il giudizio di merito sulle dieci banche (Carifirenze, Sanpaolo-Imi, UniCredit, Antonveneta, Agricola mantovana, Popolare di Ancona, Capitalia, Credem, Bnl e Banca Intesa) indagate per aver rivenduto i bond acquistati dai consorzi alla clientela privata.

Ma come hanno risposto gli istituti alla domanda fatta dagli ispettori Consob: era il cliente a domandare di comprare bond Cirio o era lo sportellista che li spingeva? Banca Antonveneta «ha fatto presente (I) che l’acquisto di bond Cirio da parte della clientela è avvenuto su iniziativa dei clienti medesimi; (II) che l’operatività della Banca è stata, infatti, limitata alla sola raccolta ordini e all’esecuzione degli stessi sul mercato, a prezzi di volta in volta diversi...; (III) che da parte della banca non è stato effettuato... alcun intervento sulle filiali teso a sollecitare l’operatività sui titoli... e, per quanto a noi noto, non si conoscono le modalità con cui i clienti abbiano avuto notizia dell’esistenza delle obbligazioni emesse dalle società del gruppo Cirio»;

La Banca agricola mantovana invece ha dichiarato di non «avere mai fornito indicazioni riguardo l’inserimento di titoli obbligazionari emessi dal gruppo Cirio nei panieri di compravendita, né tantomeno ha deliberato alcunché al riguardo. Nel portafoglio di negoziazione, gli acquisti sul mercato coincidevano con le vendite effettuate sulla clientela nell’ambito dello stesso giorno; ciò testimonia l’assoluta assenza di interesse da parte del nostro istituto a proporre alla rete questa particolare categoria di obbligazioni».

CariFirenze ha dichiarato che la compravendita dei bond Cirio è avvenuta o da parte di clientela che «sulla base di personali informazioni e conoscenze, acquisite da fonti diverse... si è recata direttamente presso le filiali per impartire l’ordine indicando espressamente il titolo da acquistare» ovvero da parte di clientela «determinata nella ricerca di investimenti a maggior rendimento cedolare, rispetto a quelli abitualmente proposti dai nostri addetti... che si orientò autonomamente verso le obbligazioni Cirio scelte tra un ventaglio di titoli similari dopo essere stata informata dai nostri operatori». In tale ultima ipotesi, «i nostri addetti... hanno presentato ai clienti strumenti adeguati e rispondenti a quanto richiesto» tra i quali anche i bond Cirio: in detto ambito, la preferenza espressa per questi ultimi titoli è ragionevolmente da collegare tra l’altro, secondo la banca, sia alla notorietà del marchio presso il pubblico sia al fatto che il «gruppo Cirio all’epoca era considerato fra i primari gruppi agroalimentari e in forte espansione...»;

UniCredit (Crt) invece «ha fatto presente (I) che la scelta dei titoli da inserire nel paniere (tra cui i bond Cirio), strumento tecnico utilizzato per soddisfare con maggior efficienza le richieste dei clienti, avveniva sulla base delle richieste provenienti dalla rete: peraltro, non venivano fornite alla rete indicazioni sui titoli da vendere o comunicazioni riguardanti l’inserimento di nuovi titoli; (II) quanto ai bond Cirio, le richieste di investimento... si sono concentrate in genere, tempo per tempo, sui collocamenti più recenti... risulta inoltre che la principale fonte di informazione dalla quale i clienti hanno appreso dell’esistenza di tali emissioni siano stati i giornali, non è stato però possibile rintracciare fra la documentazione archiviata copia dei relativi articoli di stampa...».

La Banca popolare di Ancona ha precisato che «la banca non ha mai suggerito ai propri clienti quali strumenti finanziari acquistare, né ha suggerito l’acquisto dei bond del gruppo Cirio... la sua attività si è sempre limitata a ricevere le loro iniziative, a fornire tutte le informazioni necessarie, ad acquistare per loro conto sui mercati gli strumenti finanziari, oppure ad alienare quelli corrispondenti alle richieste ricevute, che si trovano nel proprio portafoglio di negoziazione».

Al Sanpaolo-Imi hanno sottolineato come «nel 2000-2001 a seguito della riduzione dei tassi, si fosse generata una domanda spontanea verso obbligazioni corporate o dei paesi emergenti in genere a tasso fisso e con durata non particolarmente elevata, con rendimenti superiori rispetto a quelli dell’area euro; a fronte di queste richieste, venivano messi a disposizione della rete titoli con rendimenti interessanti e generalmente quotati alla Borsa di Lussemburgo». La banca in questione ha altresì precisato agli ispettori di non aver «...rivolto al pubblico nessuna offerta, o comunque svolto attività di promozione dei titoli in esame...» e di aver «trattato tali obbligazioni analogamente agli altri prodotti finanziari con caratteristiche omogenee in grado di rispondere alla domanda dei potenziali investitori, limitandosi a inserirle nel novero dei titoli a disposizione della clientela».

Tutto ciò, secondo la Consob, non è smentito neppure dai reclami pervenuti alla commissione, in cui per lo più si lamenta «la scarsa e tardiva informazione ricevuta in ordine alla situazione finanziaria della Cirio e alla rischiosità connessa del titolo». In vari reclami presentati contro Banca Intesa, per esempio, «vengono utilizzati termini quali suggerimento, consiglio o invito per descrivere l’approccio dell’operatore e in nessun caso si fa riferimento a condizioni standardizzate per tutti». Di «sollecitazione» si parla poco e comunque in tutti i casi le banche hanno respinto con forza le accuse, sottolineando come molte volte il cliente che chiedeva bond Cirio avesse una propensione al rischio media o elevata o avesse già altri corporate bond con analoghe caratteristiche.

Il conflitto di interesse. Più spinosa la questione dei conflitti di interesse. Secondo il rapporto Consob, se il mercato o altri operatori non offrivano valutazioni dello strumento trattato (come era il caso del bond Cirio quotato senza prospetto in Lussemburgo e privo di rating), le banche dovevano dotarsi di un sistema di procedure interne. In particolare la banca «avrebbe potuto: 1) valutare ex ante la propria eventuale indisponibilità a trattare titoli con certe caratteristiche (per esempio, quelli senza rating) e/o in certe fasi (nel grey market)»; in alternativa, avrebbe dovuto prevedere e realizzare analisi e ricerche interne per consentire la conoscibilità dei titoli e la possibilità di trasmettere queste informazioni con una corsia preferenziale rispetto all’ordinario. Hanno fatto così? Le dieci relazioni, una per ogni banca, che la Consob ha preparato, lo riveleranno: il rischio è la violazione dell’art. 21 comma 1 del Testo unico della finanza (v. riquadro in questa pagina).

In particolare, rischia chi non ha adottato procedure per evitare:

1) la carente conoscenza del bond Cirio;

2) la carente informativa sulla natura e sui rischi dell’operazione: «Non risulta al riguardo che le banche abbiano valorizzato le informazioni di cui disponevano in qualità di finanziatori del gruppo Cirio o di cui disponevano in qualità di lead manager delle emissioni (il riferimento nel rapporto è a Capitalia). Né risulta che le banche abbiano veicolato alla clientela le credit opinion o l’offering circular (il miniprospetto lussemburghese, ndr) di cui disponevano;

3) una carente valutazione dell’adeguatezza delle disposizioni impartite dal cliente;

4) per talune banche, una carente informativa alla clientela del potenziale conflitto di interessi, nel caso in cui chi rivendeva i titoli era nello stesso gruppo di chi organizzava il collocamento».


Sempre in materia di conflitto di interesse, ci sono alcuni casi in cui le procedure citate non contenevano «nessun riferimento e nessun criterio direttivo riguardo ai conflitti di interesse derivante da rapporti di affari propri» (per esempio, rapporti di finanziamento a favore della Cirio). Al riguardo, però, il rapporto precisa che «la sussistenza di un rapporto di finanziamento (con Cirio) non determina automaticamente e necessariamente un interesse in capo alla banca in conflitto con quello dell’investitore. Né una indifferenziata e automatizzata valorizzazione di un rapporto di finanziamento sussistente risulterebbe in grado di garantire una tutela effettiva e consapevole dell’investitore, visto che si tradurrebbe, per le banche di medio-grandi dimensioni, in una diffusa e continua manifestazione al cliente di situazioni conflittuali, con il possibile risultato di far perdere selettività ed effettività alla segnalazione medesima». Insomma, inutile fare come il bollino «il fumo uccide» su ogni pacchetto di sigarette. (riproduzione riservata)
 
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Per Cirio un buco da 2 miliardi
Il giudice fallimentare Vincenzo Vitalone ad Economy
di Simona Rossitto Economy 11 marzo 2004 n.11

<<Due miliardi di euro in tutto. A tanto ammontano i debiti della Cirio: più di un terzo, circa 800 milioni, è l' esposizione verso le banche, il resto è nei confronti dei creditori chirografari, compresi gli oltre 30 mila obbligazionisti>>. Ad anticipare ad Economy i risultati dell' esame del passivo fallimentare è Vincenzo Vitalone, giudice delegato alla sezione fallimentare del tribunale civile di Roma. Dal momento della dichiarazione di insolvenza della società, è uno dei protagonisti delle vicende giudiziarie del gruppo. <<Emetterò>> annuncia <<il decreto di esecutività dello stato passivo entro fine mese. Le ultime due udienze per l' ammissione al passivo sono fissate per il 10 e il 17 marzo, ma finora abbiamo esaminato, e per la stragrande maggioranza accolto, oltre 2mila domande di ammissione al passivo e quindi le cifre non cambieranno in maniera significativa>>. Una volta concluso l' esame del passivo, i pretendenti all' acquisto della Cirio conosceranno con esattezza l' esposizione debitoria cui dovranno far fronte. Il gruppo, amministrato da tre commissari straordianri Attilio Zimatore, Mario Resca, Luigi Farenga, fa dunque un passodecisivo verso la vendita. I commissari hanno presentato il loro programma di cessioni al ministro Marzano che lo ha approvato. E sono appena iniziate le procedure che porteranno alle dismissioni. Ma, allo stesso tempo, con la chiusura dei conti del passivo, la legge prevede anche la possibilità che siano avanzate richieste per un concordato fallimentare. E, secondo Vitalone, non si può escludere questa possibilità. <<Non bisogna creare elementi di pregiudizio tali da scoraggiare chi vuole tentare un piano di salvataggio dell' intero gruppo>> spiega il giudice. >>Chiunque volesse fare delle proposte deve essere libero di attuarle. Visto che per un progetto del genere c' è bisogno di reperire finanziamenti>>.
L' ipotesi del concordato prevede che un imprenditore, o una cordata, rilevi tutto il gruppo e soddisfi il 100% dei creditori privilegiati ed il 40% dei creditori chirografari. Risultato che per Cirio sarebbe aprrezzabile, visto il gran numero di questi ultimi. E, inoltre, si avrebbero tempi più certi di vendita. La richiesta deve essere presentata al ministero delle Attività produttive. <<Poi>> continua Vitalone, <<dopo una serie di autorizzazioni, viene sottoposta ai creditori. E solo con il loro avallo la proposta può essere presentata in tribunale, che ne valuta le garanzie e condizioni. Secondo la legge, persino l' imprenditore fallito può fare una richiesta di concordato. Legalmente è cioé possibile che Sergio Cragnotti, ex patron della Cirio, avanzi una proposta di concordato. E' possibile, ripeto, almeno in teoria>>.
Nell' ipotesi alternativa delle dismissioni, secondo Vitalone, bisogna guardare all' effettiva realizzazione dell' attivo. Ed è importante valutare che cosa, quanto e quando si vende. <<L' obiettivo da perseguire>> conclude il giudice del tribunale fallimentare di Roma <<è quello di salvare l' azienda e tutelare i creditori in una percentuale giusta, equilibrata, soddisfacente. Attualmente il sistema-Italia è impegnato con due grandi difficoltà: Cirio e Parmalat. Occorre fare ogni sforzo per mantenere integro il nostro sistema produttivo in ambito alimentare. Per questo motivo la strada da percorrere è proprio quella di lasciare aperte tutte le possibilità di soluzione della crisi>>.
 
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Milano Finanza -
Numero 047, pag. 14 del 06-03-2004


La procura di Monza va in un’altra direzione

Ma la procura di Monza ha tenuto conto delle conclusioni del rapporto Consob (pubblicate da MF venerdì 5), in cui si assolveva l’operato dei lead manager dei consorzi, che invece sono stati in massa inquisiti dal pm Walter Mapelli? Secondo quanto è possibile evincere dalle tesi accusatorie della procura, il rapporto Consob è stato tenuto in considerazione, tanto che dalle accuse contenute nell’atto di conclusione dell’indagine (in cui sono stati inquisiti 27 banchieri) non compare la violazione dell’art. 94 del Tuf, quello relativo agli obblighi degli intermediari in materia di sollecitazione all’investimento. Quello su cui punta invece la procura è la violazione dell’articolo 21, che disciplina lo svolgimento dei servizi di investimento da parte degli intermediari, con particolare riferimento alla mancata correttezza e trasparenza, alla carente informazione ai clienti, alla riduzione al minimo dei conflitti di interesse e in generale alla dovuta diligenza. E anche l’operato del lead manager per la procura va vagliato alla luce di queste violazioni. Al di là della forma, a Monza dicono di puntare sulla sostanza per dimostrare che c’era un pactum sceleris per piazzare debito Cirio ai privati a vantaggio delle banche finanziatrici. Citando, tra l’altro, la strana circostanza per cui tutti i bond erano andati a finire ai privati (e non presso fondi o assicurazioni) e una dichiarazione al riguardo di Filippo Fucile, genero di Cragnotti, che avrebbe confermato che le merchant bank andavano a proporre bond affermando esplicitamente che sarebbero finiti in mano al retail. Infine, Monza sottolinea come le merchant che facevano parte di gruppi creditori di Cirio avrebbero piazzato bond sapendo che non ci sarebbe stata garanzia di rimborso, viste le condizioni finanziarie del gruppo, di cui peraltro erano a conoscenza. (riproduzione riservata)
 
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18 marzo 2004
Le Fiamme Gialle consegnano ai giudici il terzo rapporto sulle operazioni tra Cragnotti e Banca di Roma
Cirio, pressing su Geronzi "Il dissesto era noto dal 1997"



Per la Polizia tributaria i comitati esecutivi di Banca di Roma segnalarono i rischi

ELSA VINCI


ROMA - «La Banca di Roma conosceva perfettamente le condizioni delle società riconducibili a Sergio Cragnotti e il loro stato di insolvenza sin dal 1997». Ne è convinta la Guardia di Finanza che, nel terzo rapporto consegnato alla procura capitolina, ha ripercorso e analizzato l´indebitamento del gruppo Cirio e ha ricostruito tutte le operazioni che hanno legato la banca e il finanziere. Il nucleo regionale del Lazio della polizia tributaria ha indicato ai magistrati «continui e ripetuti finanziamenti», concessi dopo accurate istruttorie, di cui Cragnotti ha potuto beneficiare già nel ?97 nonostante le considerazioni negative dei comitati esecutivi che, anche nel 1998, sottolinearono «la scarsa liquidità, la carente redditività e solvibilità» di Cirio.
L´analisi delle Fiamme gialle anticipa di quasi due anni la crisi del gruppo agroalimentare, indebitato e sostenuto dai finanziamenti. Fino ad ora i commissari giudiziali avevano datato al 1999 il dissesto. «Questo dimostra che il momento in cui viene collocato lo stato di insolvenza del gruppo - dice Giulia Bongiorno, avvocato di Cragnotti - per l´accusa attiene al mondo delle ipotesi, con indicazioni diverse ed interpretazioni soggettive. Noi stiamo alla dichiarazione del tribunale, dunque il default è nel 2002. Nel 1997 la situazione non era affatto tesa. Cragnotti chiese e ottenne finanziamenti che non ha mai negato». Eppure, secondo la polizia tributaria, gli istituti di credito che hanno sostenuto l´ex patron della Cirio conoscevano sin dalla fine degli anni ´90 gli scricchiolii della Cragnotti & Partners. Infatti per bancarotta e per la "truffa dei bond" sono indagati da qualche mese banchieri e dirigenti di Capitalia, Imi San Paolo e Popolare di Lodi.
«Il rapporto della finanza è interessante soprattutto per la parte che riguarda Capitalia», si commenta in procura. Banca di Roma/Capitalia ribadisce «una condotta trasparente, legittima e corretta». Ma secondo le Fiamme gialle l´operazione Eurolat, la vendita del comparto latte della Cirio alla Parmalat di Calisto Tanzi nel 1999, fu «gestita interamente della Banca di Roma» e sarebbe stata ideata affinché l´istituto rientrasse dei crediti con Sergio Cragnotti. All´epoca l´indebitamento ammontava a 368 miliardi di lire, Banca di Roma con l´operazione Eurolat recuperò da Cragnotti 304 miliardi, più 64 miliardi del patto di non concorrenza stipulato dalle due aziende. La finanza, che si è servita di documenti ufficiali e non, ha rintracciato un movimento finanziario di 64 miliardi tra la Bombril e Banca di Roma ufficialmente giustificato come copertura di passività della società di detergenti: il prezzo di vendita di Eurolat sarebbe dunque stato caricato anche dei debiti di Bombril proprio per consentire la copertura del credito.
«Eurolat fu un´operazione voluta e negoziata dai due imprenditori in totale autonomia», ha detto il presidente del gruppo Banca di Roma/Capitalia, Cesare Geronzi, durante l´audizione davanti a deputati e senatori della commissione bicamerale d´indagine al lavoro sulla "truffa dei bond". «La banca - ha sottolineato Geronzi - ha fornito assistenza alle parti contraenti per gli aspetti finanziari e di regolamento. Già in precedenza il gruppo Parmalat aveva manifestato interesse per l´acquisto di uno degli asset di Eurolat, partecipando senza successo all´asta per la privatizzazione (della Centrale del Latte,ndr.) indetta dal Comune di Roma nel 1997/´98».

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/rep180304ci.html
 
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19 marzo 2004
Monza, la prima inchiesta sul crac

Cirio, promotrice sotto accusa: ha ingannato e truffato i clienti con le obbligazioni del gruppo


MILANO — « Truffa » e « falsità in foglio firmato in bianco » . Al termine di quindici mesi di indagini è la procura della Repubblica di Monza a mettere nero su bianco i reati dei quali si sarebbe macchiata una promotrice finanziaria di Banca Fideuram, che nel 2002 ha venduto a un investitore circa 600 mila euro in obbligazioni Cirio.
È la vicenda che ha causato l’apertura della prima inchiesta in Italia sul crac del gruppo di Sergio Cragnotti, quella condotta dal pm Walter Mapelli. E che per come è sintetizzata dalla magistratura si presta a diventare un caso emblematico dello squilibrato rapporto tra risparmiatori, intermediari del risparmio gestito e istituti di credito.
Tutto inizia il 2 dicembre di due anni fa, quando un avvocato milanese, Luca Ricci, si presenta alla procura di Monza con una denuncia- querela per conto di un suo cliente. Il signor C. R., che voleva un investimento « sicuro » , si è ritrovato proprietario di 600 mila euro di obbligazioni Cirio Holding Luxembourg, acquistate tramite L. C.,
promotrice finanziaria di Banca Fideuram. Da un mese, dai primi di novembre, il gruppo di Cragnotti è in agonia. Quei titoli rischiano di trasformarsi in carta straccia, ma il signor C. R. è convinto che la sua promotrice « di fiducia » non si sia comportata correttamente.
Con il suo legale decide di prendere la strada della denuncia penale. Il pm Mapelli e la Guardia di finanza di Seregno indagano a lungo su Cragnotti, diversi manager Cirio, sui maggiori istituti di credito del paese. Non si « dimenticano » però dell’originaria denuncia del facoltoso risparmiatore, e le conclusioni sono gravi. La promotrice avrebbe « tratto in inganno » C. R. ( e altri tre risparmiatori con somme tra 15 mila e 50 mila euro) sull’affidabilità di un investimento « di cui conosceva la pericolosità » , spingendoli « a sottoscrivere un modulo d’ordine in bianco per l’acquisto di obbligazioni Cirio, riempiendolo poi con l’indicazione di titoli ' Cirio Holding Luxembourg' » . Sempre secondo la procura in quei casi si sarebbe assistito all’abuso di un « rapporto di fiducia » con i clienti, derivante non solo dal ruolo professionale e dallo « schermo » dovuto al nome della banca, ma anche « dalla conoscenza risalente negli anni » . Le rassicurazioni fornite ( la mancanza di rischi, l’aver fatto credere che il titolo fosse legato alla realtà industriale di Cirio) si sono dimostrate « totalmente prive di fondamento » e « fin alizzate a trarre in inganno gli investitori » . Sul modulo firmato in bianco, oltretutto, sono stati poi contrassegnati « spazi come quello in cui si avvisa il risparmiatore che l’operazione è per lui inadeguata » . Insomma, un quadro nel quale potrebbero rispecchiarsi altri investitori.
Una serie di reati ai quali, per gli inquirenti, non sarebbero estranei elementi tipici dell’industria del risparmio gestito. Come gli incentivi legati alla consistenza del portafoglio clienti dei promotori e i conseguenti « vantaggi almeno potenziali di carriera » . Ultima annotazione: lo scorso ottobre la banca ha risposto picche alla richiesta dell’avvocato Ricci di rimborsare il suo cliente.

Stefano Agnoli

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/cor190304cir.html
 
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8 aprile 2004
Bond Cirio, indagato l’amministratore di Banca Intesa


L’ipotesi di truffa per le obbligazioni del gruppo di Cragnotti è riferita all’aprile 2002. Passera si era appena insediato al vertice


MILANO — « Non vi è identità soggettiva tra gli indagati per truffa dalla Procura di Milano e gli indagati dalla Procura di Roma per bancarotta » : incentrato sull’esistenza di due nuovi indagati a Milano, era stato questo il fulcro della motivazione con la quale il 30 marzo il sostituto procuratore generale della Cassazione, Francesco Cosentino, aveva stabilito che Milano non dovesse cedere alla capitale ( come invece richiesto dai pm romani) la competenza territoriale della propria indagine sulla collocazione dei bond del gruppo agroalimentare ( poi fallito) di Sergio Cragnotti.
Ora, proprio dalle pieghe del carteggio in Cassazione, emerge l’identità dei due nuovi banchieri ( diversi rispetto a Roma) che la Procura di Milano aveva iscritto nel registro degli indagati: l’amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, e il manager della banca d’affari Jp Morgan Chase, Guido Tugnoli, che vanno dunque ad aggiungersi al presidente di Capitalia ( ex Banca di Roma), Cesare Geronzi; all’altro manager di Jp Morgan, Stefano Balsamo; e naturalmente a Sergio Cragnotti, a suo genero Filippo Fucile, e al suo avvocato Riccardo Bianchini Riccardi. L’inchiesta, scaturita da un « pacchetto » di denunce di piccoli risparmiatori rappresentati dall’avvocato Manuela Marcassoli, è sempre quella che i pm Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta stanno conducendo sulle modalità di sette emissioni di prestiti obbligazionari Cirio tra il maggio 2000 e l’estate 2002; ma differenti tra loro sono invece le ipotesi formulate a carico di Passera e Tugnoli.
Sebbene su taluni degli atti valutati in Cassazione ai fini della competenza territoriale compaia un riferimento errato all’aprile 2001 ( allorché Passera era invece ancora l’amministratore delegato delle Poste Italiane), è all’aprile 2002 che l’accusa colloca l’ipotesi di « truffa » mossa all’attuale amministratore delegato di Banca Intesa: la contestazione è dunque riferita al periodo nel quale il manager si era appena insediato al timone dell’istituto di credito, visto che soltanto alla fine di marzo di quel 2002 Passerà approdò nel gruppo bancario, che peraltro già da metà del 2001 non aveva più avuto ruoli nell’emissione di bond Cirio.
Per Tugnoli, invece, responsabile del settore « fusioni e acquisizioni » di Jp Morgan Chase Italia, l’ipotesi è « associazione a delinquere » finalizzata alla « truffa » , ovvero lo stesso tipo di accusa contestata a Geronzi.
Se questi sono i banchieri sinora al vaglio della Procura di Milano, tra i propri 42 indagati quella di Roma annovera invece da settimane ( ma per l’ipotesi di concorso in bancarotta), oltre che anch’essa il presidente di Capitalia Cesare Geronzi, i presidenti e amministratori delegati del San Paolo- Imi, Rainer Masera e Luigi Maranzana, e della Banca Popolare di Lodi, Giovanni Benvenuto e Giampiero Fiorani.
http://www.assinews.it/rassegna/articoli/cor080404ci.html
 
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9 aprile 2004
L´amministratore di Intesa prese i pieni poteri nel maggio 2002, un mese dopo l´ipotesi di truffa ora contestata dai pm
Si allarga l´inchiesta milanese su Cirio con Passera altri banchieri nel mirino





MILANO - «Si tratta di un atto dovuto»: così la Procura di Milano conferma e spiega la notizia, pubblicata ieri da due quotidiani, della iscrizione di Corrado Passera di Banca Intesa e di Guido Tugnoli di Jp Morgan nel registro degli indagati con l´accusa di concorso in truffa. I due manager sono sotto inchiesta - nell´ambito dell´istruttoria che la magistratura milanese sta conducendo sul crac del gruppo guidato da Sergio Cragnotti - per il ruolo svolto dai loro istituti nel collocamento dei bond Cirio.
I nomi di Passera e Tugnoli vanno ad aggiungersi così a quello di Cesare Geronzi di Capitalia di un altro manager Jp Morgan, Stefano Balsamo, nel novero dei banchieri sospettati di avere aiutato Cragnotti a piazzare sul mercato obbligazioni destinate a divenire titoli-spazzatura. Almeno per quanto riguarda l´ad di Intesa, in realtà, l´iniziativa della Procura milanese arriva piuttosto inattesa visto che l´ultimo collocamento di bond Cirio curato da Banca Intesa (attraverso Caboto) risale all´aprile 2001, quando Passera era ancora ai vertici delle Poste (è stato chiamato da Giovanni Bazoli solo un anno più tardi e ha assunto i pieni poteri il 14 maggio 2002): si tratta di un collocamento da 200 milioni di euro di obbligazioni Del Monte, di cui 10 milioni vennero acquistati da Atm, l´azienda di trasporti pubblici del Comune di Milano. Peraltro non risulta che Atm abbia finora deciso di sporgere denuncia per truffa nei confronti di Intesa per quel collocamento, essendo in corso - secondo alcune indiscrezioni - trattative tra le due società per una composizione pacifica della vicenda. Una denuncia nei confronti di Atm è stata invece depositata nei giorni scorsi da Basilio Rizzo e Letizia Girardelli, entrambi consiglieri comunali di opposizione, che accusano di abuso d´ufficio i vertici dell´azienda tranviaria che decisero di sottoscrivere le obbligazioni Del Monte.
L´indagine milanese su Cirio (che recentemente la Cassazione ha rifiutato di trasferire a Roma, come richiesto dalla magistratura della capitale) sembra destinata ad estendersi ulteriormente. I pm milanesi stanno ora verificando le posizioni delle altre banche che curarono i collocamenti di bond Cirio tra il 2000 e il 2002. Oltre agli istituti già indagati, si tratta di Bci, Abaxbank e Ubm.
(l.f.)

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/rep090404me2.html
 
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