Con te partiro'...

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Puoi vantare un baule di splendidi ricordi Viktor!
Qualcuno, rimasto anonimo, ha detto:
"Ogni viaggio lo vivi tre volte: quando lo sogni, quando lo vivi e quando lo ricordi".
E tu possiedi un'invidiabile cineteca...ti basta chiudere gli occhi!

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Dieci luoghi portafortuna in giro per il mondo

Se gettare una moneta nella Fontana di Trevi è un must della Città Eterna, godono di altrettanta fama beneagurale il Toro di Wall Street a New York, Santa Sofia ad Istambul, il Taj Mahal in India.


Superstizione? Credenza popolare? Fede? Comunque sia, ecco 10 gettonatissimi luoghi o monumenti in giro per il mondo ritenuti portafortuna.

La Fontana di Trevi a Roma – E’ il luogo portafortuna più famoso del mondo, reso eterno da Federico Fellini con l’iconico bagno di Anita Ekberg. Per agguantare la fortuna, però, bisogna seguire regole precisissime: voltare le spalle alla fontana, chiudere gli occhi, lanciare una moneta con la mano destra verso il lato sinistro.

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Santa Sofia a Istanbul – Emblema della capitale turca, è fra i luoghi più popolari del mondo per assicurarsi la buona sorte. Secondo la tradizione, si viene esauditi se si infila il pollice nel foro sulla Colonna piangente (considerata taumaturgica) e si fa ruotare la mano attorno ad esso con un giro completo in senso antiorario.

Il Toro di Wall Street a New York – Per chi è in cerca di fortuna negli affari, vuole essere vincente quando gioca in borsa o semplicemente vuole vivere un "vero sogno americano", l’enorme toro che domina Wall Street - opera dell'artista italo-americano Arturo Di Modica - è il totem più scaramantico in assoluto. Il gesto da fare è sfregare con forza i suoi testicoli, che sono ovviamente sempre lucentissimi.

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Il meridiano zero a Greenwich - Visitare l’Osservatorio astronomico più famoso del mondo, ovvero quello Reale di Greenwich, è un’ottima occasione per propiziarsi l’anno che inizia. La tradizione vuole che il meridiano aiuti le persone a ricominciare da zero e a realizzare i propri desideri. Per far avverare la magia, bisogna stare in piedi sul meridiano in modo che una gamba sia nell'emisfero orientale e l'altra nell'emisfero occidentale. Un'altra opzione è quella di stare con entrambi i piedi sulla linea del meridiano e pensare intensamente al proprio sogno.

La Statua di San Giovanni Nepomuceno a Praga - A Praga si trova il famoso Ponte Carlo che collega la Città Vecchia (Staré Město) con la Città Piccola (Malà Strana), dove sono situate numerose statue. La prima a essere stata istallata è quella di San Giovanni Nepomuceno. La leggenda racconta che San Giovanni fu ucciso perché non aveva voluto rivelare al re Venceslao il segreto della confessione della regina. Il suo corpo venne gettato nella Moldava da questo ponte. Toccare la sua base porta fortuna, ma perché si esaudisca un desiderio segreto, qualche passo più avanti c’è una griglia nera con cinque stelle e un rilievo che raffigura il Santo che annega. Per far sì che il proprio desiderio si avveri bisogna toccare ogni cosa con un dito e poi posare il palmo sinistro sulla croce che si trova sul parapetto sotto la griglia.

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Il Taj Mahal ad Agra - Patrimonio dell’Umanità Unesco, è una delle 7 Meraviglie del mondo moderno e la sua fama non conosce confini: il Taj Mahal di Agra, nell’Uttar Pradesh nell'India settentrionale, è uno straordinario capolavoro architettonico, candido mausoleo fatto costruire nel 1632 dall'imperatore moghul Shah Jahan in memoria dell’amatissima sposa Mumtaz Mah. Un vero inno di pietra inneggiante all’amore, visitato ogni anno da milioni di persone che si mettono pazientemente in fila per visitarlo. Tempio dell’amore, tappa imperdibile per gli innamorati, che qui si rinnovano il loro pegno d’amore, convinti che durerà in eterno come quello, indissolubile, fra Shah Jahan e Mumtaz Mah.

Il seno di Giulietta a Verona – Anche in Italia ci sono molti posti e riti portafortuna. A Verona, cornice della romantica vicenda di Romeo e Giulietta, la casa della bella Montecchi è meta di un pellegrinaggio senza fine. Nel giardino c’è la statua della sfortunata Giulietta: toccandone il seno ci si assicura la fortuna in amore.

Il toro in Galleria a Milano - In Galleria Vittorio Emanuele II a Milano si trova uno dei portafortuna più famosi della penisola, ovvero il mosaico posto proprio sotto la cupola centrale, raffigurante un toro rampante con gli attributi in bella vista. Per avere fortuna bisogna calpestare i suoi testicoli con il piede destro e fare almeno tre giravolte su se stessi.

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Il bel cavaliere di Ravenna - La statua che ritrae il cavaliere Guidarello Guidarelli, ammantato di romantica bellezza risale al '500 ed è custodita nella Pinacoteca del Museo d'arte di Ravenna (Mar). Sono milioni le donne che ne hanno baciato le marmoree labbra che - si dice - sono un viatico certo per un positivo evolversi di qualsiasi rapporto amoroso.

Fontana del Porcellino a Firenze - Si chiama Fontana del Porcellino ma in realtà è un cinghiale, copia bronzea del ‘600 di una statua ellenistica che fu donata dal Papa Pio IV a Cosimo de’Medici. L’originale si trova oggi negli Uffizi mentre la statua è in bella mostra nei pressi della Loggia del Mercato Nuovo. Da secoli a Firenze c’è l’usanza di accarezzare il muso dell’animale per assicurarsi fortuna e prosperità. Ma l’operazione riesce completamente se si mette una moneta in bocca all’animale e se questa cade nella grata in cui passa l’acqua.

Buona fortuna.

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Famoso soprattutto per i suoi stupendi litorali. lo stato del Kerala è immodestamente definito dai suoi stessi abitanti come un paradiso terrestre.

Era la meta preferita dei “figli dei fiori”, dei giovani che a cavallo degli anni ’60 e ‘70 sognavano un mondo migliore. Una sorta di “terra promessa” il Kerala, con le sue spiagge dai colori cangianti e i suoi richiami spirituali forti e misteriosi.

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Per tanti anni hippy di tutto il mondo intrapresero avventurosi viaggi, alcuni anche via terra dall’Europa a bordo dei leggendari pullmini Volkswagen, per raggiungere Goa, Cochin, Trivandrum…
Il viaggio in India dei Beatles non fece che lievitare l’interesse verso questi luoghi, fino ad allora sconosciuti. E ancor oggi nei baretti del lungomare di Kovalam, pittoresco borgo di pescatori a sud di Trivandrum adagiato su una baia dominata da un piccolo promontorio, capita di incontrare qualche hippy solitario in cerca di ricordi e di emozioni mistiche. E dopo il tramonto, sulla sabbia vulcanica della spiaggetta all’ombra del grande faro, è suggestivo assistere a qualche improvvisato concerto di questi giovani dalle camice a fiori e i capelli lunghi, che girano il mondo con zaino e chitarra al seguito.
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Ma brava :clap:
Una regione caratterizzata da vegetazione lussureggiante, ben distinta dall'India delle grandi metropoli o del più turistico Rajastan.

L'altra segnalazione era il Sikkim OK!, a sua volta diverso per il fatto che è ubicato sotto la splendida Himalaya, e la religione prevalente è una volta tanto il buddhismo (nemo propheta in patria) in luogo di induismo e islam. Una perla di verde, dedita soprattutto all'agricoltura, e in specie il thé nero, è il primo stato indiano a essere certificato 100 per cento biologico.

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Da Darjeeling in meno di un’ora d’auto dal centro si sale a Tiger Hill, dove è possibile ammirare uno spettacolare paesaggio sulle vette himalayane. Nebbia e nuvole offuscano spesso le cime, ma se il cielo è limpido lo spettacolo è memorabile. Al sorgere del sole le montagne si tingono di rosa, mentre la luce illumina una dopo l'altra le vette degli ottomila, dall’impronunciabile Kanchenjunga all’Everest.

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Sono più di 250 i monasteri buddisti, di ogni dimensione e tutti attivi. In Sikkim si entra in punta di piedi, come nei templi.
L’atmosfera è serena, come il sorriso dei monaci che si incontrano ovunque
, tra i banchi del mercato, in coda per una tazza di tè e persino in motocicletta, a cavallo di rombanti Royal Enfield, con la tunica bordeaux svolazzante.

La strada sterrata si fa sempre più stretta e per arrivare al monastero di Phudong servono nervi saldi, mentre l’auto si aggrappa alle linee verticali del paesaggio. Il primo occidentale a varcarne la soglia fu una donna, la leggendaria viaggiatrice francese Alexandra David-Néel. Era il 1920 e lei, travestita da monaco, attraversò a piedi mezzo mondo, riportando nei suoi diari l’incanto provato di fronte alle “pitture nere” del Sikkim, le misteriose raffigurazioni celate nella parte più segreta di ogni monastero.

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Altrettanto suggestivo è Pemayangtse, a 2.200 metri di altezza. Intorno al monastero, l’aria profuma di cardamomo e lunghe file di bandiere di preghiera si muovono nel vento, in contrasto con l’eterna immobilità delle cime circostanti. Costruito nel 1705 dal Lama Latsun Chenpo, conserva dipinti originali e splendidi tanka, antichi disegni su stoffa. Salendo una ripida scala di legno, si entra in una stanza decorata con scene tantriche pudicamente coperte da rettangoli di stoffa. Da qui la vista spazia sulla collina di fronte, dove si scorgono le rovine di Rabdentse, l’antica capitale fiorita attorno al 1670 e abbandonata due secoli fa per fuggire alle armate nepalesi: oggi restano le tracce di tre stupa colossali e mura possenti, inghiottite dalla foresta.

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Buon fine settimana Diago... basta chiudere gli occhi e si possono fare viaggi stupendi con la fantasia!:)


Yandoko Leopold Mainda

( Poeta Ruandese)

Il debole ama la ragione


Africa senza difesa,

Africa della ragione,

E’ la tua debolezza,

A darti ragione?

*

E’ perchè sei debole

Che preferisci la ragione?

…Amo la mia Africa e la sua ragione

La mia Africa senza difesa

La mia debole Africa

*

Africa senza difesa,

Africa così bramata,

Dove nascondere la tua bellezza?

Chi prenderà la tua difesa?

…Africa che sceglie la ragione,

Qual’è la ragione?

Africa…Africa…Africa

Piango la tua debolezza

Ti amo Africa mia.

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AFFETTI DA MAL D’AFRICA

Ci sono due mal d’Africa.

Il nostro, che e’ come un sogno. E il loro, che e’ come un incubo.

Il mal d’Africa bianco e’ dolce come la vita.

Quello nero e’ amaro come la morte.

Per noi il mal d’Africa e’ un bellissimo ricordo.

Per loro, e’ un pessimo futuro.

Il vero mal d’Africa non viene a chi parte.

Rimane a chi resta.

Prima o poi il mal d’Africa a noi passa.

A loro no.

Non c’e’ da stupirsi se dall’Africa ci portiamo via il mal d’Africa,

dal momento che abbiamo sempre portato via tutto. Diamanti e

avorio, oro giallo e oro nero, gazzelle e leoni, uomini e donne.

Noi lo chiamiamo mal d’Africa. Loro dovrebbero chiamarlo

Mal d’Occidente.

Prima che i bianchi mettessero piede nel continente nero

Il mal d’Africa non esisteva.

Lo capisce anche un bambino.

(Soprattutto se africano).

Oliviero Toscani

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"Era la seconda notte che passavo in Africa già qualcosa aveva cominciato a crescere dentro di me,
qualcosa che non potevo arrestare, come se i sogni della mia infanzia avessero trovato finalmente il luogo dove materializzarsi.

Ero arrivata dove ero sempre stata destinata a vivere
."

(Kuki Gallman, "Sognavo l'Africa")


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Drakensberg. Tra Sudafrica e Lesotho, sorgono gli spettacolari Monti dei Draghi, una delle catene montuose più suggestive al mondo. Dichiarati nel 2000 Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, raggiungono i 3.482 metri a Thabana Ntlenyana, sviluppando lungo i fianchi delle montagne immense aeree naturali protette, pronte ad accogliere i turisti più avventurosi.
Immaginate una scarpata di oltre mille chilometri di pareti rocciose e cime frastagliate che degradano verso l’Oceano. Al suo interno Tugela, la seconda cascata più alta del mondo.

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Se tutto questo non bastasse, questa incredibile catena montuosa racchiude la più alta concentrazione di incisioni rupestri di tutta l’Africa sub-Sahariana.

Si ritiene che J.R.R. Tolkien si sia ispirato a questo paesaggio per i racconti della Terra di Mezzo de “Le Montagne Nebbiose”.



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Capo di Buona Speranza. A circa 70 chilometri da Cape Town, questa remota parte di Sudafrica si trova all’interno di una riserva naturale, la Cape of Good Hope Nature Reserve che si estende per oltre 8000 ettari lungo 40 chilometri di costa. La riserva ospita più di 1.100 specie vegetali autoctone e tantissime specie di animali, tra cui struzzi, antilopi, facoceri e babbuini.
Bellissime le passeggiate possibili in questa zona, così come gli affacci mozzafiato sull’Oceano furibondo, punteggiati da fari antichissimi e scorci da cartolina. con la possibilità di avvistare delfini e balene.

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"L’Africa è mistica, selvaggia, è un inferno soffocante,
è il paradiso del fotografo, il Valhalla del cacciatore, l’Utopia dell aventuriero.
È quello che vuoi tu, e si presta a tutte le interpretazioni.
È l’ultimo vestigio di un mondo morto o la culla di uno nuovo e lucente.
"

(Beryl Markham, "A occidente con la notte")
 
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  • Ho sempre visto il Brasile come un gigante mulatto di lingua portoghese nell'emisfero delle due Americhe. Non si può fare a meno di considerare il suo ruolo, a meno che non si distrugga il Pianeta. Magari con la complicità del Brasile stesso...
  • Noi brasiliani siamo un popolo molto coscienzioso, nonostante ci descrivano sempre per il nostro impulso emotivo e irrazionale. (Caetano Veloso)

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Famoso per la sua tradizione calcistica e per i carnevali di Rio de Janeiro e di Salvador, il paese è caratterizzato da una grande diversità sotto ogni aspetto. Si passa dal complesso mosaico urbano di San Paolo all'intensa energia di stati come Pernambuco e Bahia, per terminare nella selvaggia foresta pluviale dell'Amazzonia o in luoghi naturali spettacolari come le imponenti cascate dell'Iguaçu al confine con l'Argentina. In Brasile c'è veramente molto da vedere!

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  • Quando ero un bambino il Brasile era considerato, almeno da noi brasiliani, un paese triste dove si scrivevano canzoni tristissime da ballare nel carnevale. Poi abbiamo imparato che potevamo anche essere felici. Ma la rappresentazione spensierata e festosa del brasiliano nell'immaginario mondiale è, in gran parte, ingannevole. Non ci serve a nulla essere percepiti all'estero come simpatici e ospitali quando qui in Brasile la polizia può abusare senza regole del suo potere e può mettere in prigione poveri e neri senza dare neppure una motivazione ragionevole. (Caetano Veloso)

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I brasiliani fanno abbondante uso di espressioni gestuali nel comunicarsi ed il significato di certe parole o frasi ne possono essere influenzati.

Il pugno chiuso
col pollice diretto verso l'alto è universalmente usato per esprimere assenso e/o accettazione.

Il gesto tipico americano di OK ha in Brasile un significato con connotazioni erotico-sessuali aberranti per cui è consigliabile evitarlo per quanto possibile e continuare ad usare il pollice eretto.

Il movimento circolare dell'indice attorno al padiglione auricolare (da molti europei interpretato come "ti chiamano al telefono") significa "sei impazzito!?".

Far schioccare le dita (che i francesi usano per indicare un costo eccessivo) è qui usato come espressione di "tempi lunghi, eccessivi".

Toccarsi il palmo della mano col pollice della contromano
in un movimento circolare ha il significato di "sono stato derubato"e in certi casi "il prezzo è un furto".

Aprire e chiudere la mano in significato di "ciao!" in Brasile è usato per sollecitare chi osserva ad avvicinarsi.

Un gesto informale per chiamare l'attenzione di qualcuno (simile al fischio in altre culture) è un suono sibilato uguale a quello che gli italiani amano emettere per chiamare l'attenzione di belle fanciulle ("psssiu"). In questo modo in Brasile si chiamano i camerieri. Ma non esagerate per non essere tacciati di "rompiscatole". Allo stesso modo si chiamano i gatti.

Per indicare l'altezza da terra, anziché stendere la mano col palmo rivolto verso il suolo, i brasiliani usano unire le dita volgendo il palmo lateralmente.

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Il matriarcato del popolo Moso in Cina

Storia e cultura matriarcale della popolazione Moso, nella Cina sudoccidentale.
Circa 30.000 di loro vivono nella provincia dello Yunnan, mentre 10.000 risiedono nel Sichuan.
I Moso non conoscono né padri né mariti e, anzi, non possiedono nemmeno le parole per designarli; vivono l'amore con grande libertà e i loro legami si formano e si sciolgono senza costrizioni sociali.
Già tra 600 e 900 d.C., negli annali delle dinastie Sui e Tang veniva menzionato un “Paese delle Donne” (Nü Guo) presente nella zona, governato da regine e ministre.

Il confine fra le due regioni passa attraverso il Lago Lugu, a 2700 metri sopra il livello del mare.
La popolazione Moso (che si autodefinisce Na, letteralmente “nera”) vive sul lago, sulle montagne circostanti e vicino alla valle di Yongning.
Dagli anni ’90 del secolo scorso, la zona è diventata meta di antropologi e turisti, cinesi e stranieri, attratti tanto dal mistero che aleggia intorno a questa popolazione quanto dall’incredibile bellezza del paesaggio.

Come il popolo Khasi, anche quello Moso è di origine tibetano-birmana e costituisce quello che resta, al giorno d’oggi, dei popoli matriarcali che vivevano lì prima dell’arrivo dei cinesi Han.
A causa della loro pelle scura e delle loro pratiche culturali, le persone appartenenti a questo popolo indigeno sono state degradate dalla storia come “barbare nere”. Quella Moso, infatti, rientra fra le 800 tribù (per un totale di 15 milioni di persone) in Cina etichettate in maniera Han-centrica come “culture marginali”.

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La struttura matriarcale tradizionale

Fino agli anni ’90, le famiglie moso sono sempre state matriarcali in senso classico: totalmente matrilineari e matrilocali. La dabu, la matriarca, viene eletta fra le donne più capaci all’interno del gruppo di sorelle del clan che hanno fra i 40 e i 65 anni (anche se può capitare che venga scelta una donna più giovane). Con “donna capace”, i Moso intendono quella che sa prendersi meglio cura degli altri.

La dabu organizza il lavoro agricolo, distribuisce il cibo, gestisce la proprietà comune e le spese del clan, si occupa degli ospiti ed è la sacerdotessa della casa nelle cerimonie di famiglia. Non ha privilegi sociali, perché contravverrebbe al principio di uguaglianza che sta alla vera base di questo tipo di società. Infatti, lavora duramente come gli altri membri del clan, con cui discute le questioni più importanti su cui non può prendere decisioni unilaterali.
Il costume tradizionale della donna moso (oggi usato solo in occasioni particolari) è carico di simboli, con gonne lunghe fino ai piedi e fusciacche.
I colori esprimono le fasi della vita in cui si trova la donna: da ragazza, ha la gonna bianca e la giacca rossa; quando diventa madre, ha la gonna bianca e la giacca nera; da anziana, indossa una veste scura che rispecchia la sua responsabilità e dignità. La dabu si riconosce dai colori scuri in totale contrasto con il copricapo fucsia o rosso.

Di solito, il siri (“dalla stessa radice”, ossia il clan della madre) è composto da 12 a 20 persone, che vivono tutte sotto lo stesso tetto. Al centro della stanza principale (zumu fangzi) è collocato il focolare, dove vengono adorati gli antenati e dormono le donne anziane con i bambini.

Le ragazze hanno diritto a una stanza singola, la “camera dei fiori” (hua lou), dove la notte possono ricevere il proprio innamorato, detto azhu. I ragazzi, invece, molto spesso dormono in una camera in comune.

Le relazioni amorose possono essere di due tipi: incontri segreti (nana sese, nel dialetto locale), oppure il tipico “matrimonio di visita” matriarcale (zouhun, in cinese), con cui vengono ufficializzati i rapporti più stabili in presenza della dabu e di qualche altro anziano del villaggio.
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In ogni caso, nelle questioni d’amore, vige la discrezione: è sempre l’uomo ad andare a trovare la sua compagna durante la notte, mai il contrario, e deve andarsene perentoriamente prima del risveglio dei famigliari dell’amata all’alba. Esiste anche l’antica usanza del “matrimonio di gruppo”, stretto fra un gruppo di sorelle proveniente da un clan e un gruppo di fratelli proveniente da un altro. Nella terminologia matriarcale, i giovani di un clan sono tutti “fratelli e sorelle”, anche se magari nella sostanza sono cugini con madri diverse.

La parentela, quindi, nasce da un matrimonio incrociato strettamente regolato, ma i giovani possono intrecciare tutte le relazioni che vogliono, e gli adulti non hanno voce in capitolo in queste decisioni.
Il termine “sposo” nella cultura moso non esiste. Stringere un’unione è molto facile (basta uno scambio di doni durante una festa danzante) così come lo è interromperla: la ragazza rifiuta al ragazzo l’ingresso nella propria camera, oppure lui smette di visitarla spontaneamente. I partner non hanno né diritti né doveri.

Infatti, la responsabilità di mutuo aiuto per crescere i bambini nati da queste relazioni spetta sempre ai membri dello stesso siri, non alle persone legate da matrimonio. Il fratello della madre (detto awu, che in lingua nativa vuol dire sia “zio” che “papà”) risulta essere il parente maschio più vicino ai suoi figli e ne è corresponsabile.
Il padre biologico non ha responsabilità verso la propria prole, ma ciò non gli vieta di intrecciare con essa delle relazioni affettive. Se in una famiglia mancano delle figlie, queste possono essere adottate da un clan distante. Se mancano invece dei figli, gli azhu possono trasferirsi temporaneamente per dare una mano nei campi.

Quando un azhu risiede per molto tempo nella casa del clan della propria partner e inizia a voler essere parte attiva nell’educazione dei bambini identificati come propri (che quindi prendono il nome di entrambi i clan dei genitori) può succedere che si formi la cosiddetta “famiglia coesistente”, una forma transitoria di clan matriarcale dove convivono forme sia matrilineari che patrilineari. Questo, però, non stravolge affatto la struttura matriarcale del clan. Patrilinearità non significa necessariamente patriarcato.

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Una società egualitaria

La cultura moso riconosce valore a uomini e donne in egual misura. Tutti i componenti della famiglia hanno la stessa voce in capitolo nelle decisioni all’interno del siri. Infatti, grazie alla “pratica del consenso”, l’opinione di ogni persona viene ascoltata per far sì che la decisione finale lasci tutti soddisfatti. Gli uomini delegano alle donne il compito di amministrare i beni e le proprietà, oltre che alcuni riti sacri.

Per questo motivo, si può parlare di complementarità di genere all’interno dell’unità famigliare, che si mantiene tramite legami matrilineari piuttosto che coniugali. Il dominio maschile, nella tradizione moso, è del tutto assente.

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OK! Maf

La Patagonia! È un’amante difficile. Lancia il suo incantesimo. Un’ammaliatrice! Ti stringe nelle sue braccia e non ti lascia più.”

(Bruce Chatwin)


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La Patagonia non è solo una sconfinata regione a cavallo tra Argentina e Cile, ma è una terra leggendaria ai confini del mondo, un luogo avvolto nel mito di una bellezza abbacinante che forgia nuovi significati per le parole viaggio e avventura.

Oltre 900.000 km2 tra la metà meridionale di Cile e Argentina che si allungano verso il nulla in fondo all’ultimo lembo di terra del globo tra coste, ghiacciai, montagne, laghi, fiumi, praterie, fiordi, foreste pluviali e una gamma infinita di destinazioni, dalle lagune alimentate dai ghiacciai ai percorsi nel cuore delle Ande.


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Il ghiacciaio Perito Moreno, uno dei ghiacciai più famosi al mondo, situato nella Bahia Redonda del Lago Argentino, il terzo lago più profondo d'America. Il punto di partenza é a El Calafate (la zona dei ghiacciai), una cittadina molto graziosa dalle case con i tetti spioventi.

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A 80 km da qui si trova il Parco Nazionale Los Glaciares di cui fa parte anche il Perito Moreno. Il Perito Moreno avanza in media 2 m al giorno ed é uno spettacolo di iceberg di forme e dimensioni bellissime con colori che vanno dal bianco al blu, fenomeno dovuto ai diversi minerali trasportati dall’acqua e alla luce del sole. È lungo più di 30 km e alto 70 m, sotto la superficie dell’acqua ci sono oltre 170 m di ghiaccio e se sei tra i più fortunati, potrai assistere al distacco di enormi masse di ghiaccio, un’esperienza che ricorderai per un pò!

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Per esplorarlo ci sono 3 possibilità:
  • a piedi utilizzando le passerelle
  • in battello navigando sul lago Argentino
    (terzo lago per estensione dell’America meridionale)
  • facendo trekking sul ghiacciaio con l’unica agenzia autorizzata “Hyelo y Aventura”. Ti commuoverai davanti alle spaccature dai riflessi azzurro che si aprono nel ghiaccio.


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Quando visiti la Patagonia, specialmente durante i freddi mesi primaverili ed estivi da Novembre a Marzo, è comune imbattersi in delle bacche blu scuro, quasi viola che penzolano da piccoli cespugli rannicchiati sotto alberi e altri arbusti.
Mentre potrebbero facilmente essere confusi con i mirtilli, non lasciarti ingannare: si tratta di bacche di Calafate, autoctone della regione, profondamente radicate nel folklore della Patagonia e deliziosamente deliziose per fare uno spuntino. Sono fonte d’ispirazione per una delle mitologie più pervasive della regione: che chiunque mangi una bacca di Calafate tornerà di nuovo nei paesaggi accattivanti di questa regione.



"Lessi i suoi formidabili libri di racconti e i suoi romanzi quando ero bambino, e dalla loro lettura nacque il desiderio di viaggiare, di essere una specie di nomade, il prurito alla pianta dei piedi che mi spinge a vedere che diavolo si nasconde dietro l'orizzonte, a sapere come vivono, sentono, amano, odiano, mangiano e bevono, le genti di altre terre."

(Luis Sepulveda, Patagonia Express, cit. p. 123).
 
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Il videoclip ufficiale di The Loneliest, il singolo dei Måneskin uscito ottobre 2022 a tinte gotiche è stato girato
a Desio (Monza e Brianza), presso il noto parco di Villa Tittoni, che d'estate ospita l'omonimo festival musicale

Quando nel Settecento l’architetto Piermarini fu incaricato di progettare Villa Cusani Tittoni Traversi ne curò anche il giardino, in stretta collaborazione con il botanico Luigi Villoresi.
Dal 1793, viene creato uno spazio che imita artificialmente la naturalità del paesaggio: diventa, infatti, uno dei primi esempi italiani di giardino paesaggistico “all’inglese”, che combina la coltivazione floreale, gli alberi d’alto fusto, la maggior parte dei quali da frutto (soprattutto vite), e edifici carichi di valenze culturali, quali il tempietto d’Imene, il Caffehaus, la grotta del Tasso, il finto rudere di torrione medioevale. Il parco rimase immutato fino al 1828 quando, con il passaggio di proprietà dai Cusani, il giardino venne affidato alle cure di Giovanni Casoretti, che lo rese uno dei giardini più rinomati e visitati della Lombardia ottocentesca.

Il compositore Vincenzo Bellini e lo scrittore Henri Beyle – alias Stendhal – qui furono ospiti ai primi dell’800

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Dai ghiacciai alla costa.

Il nome Patagonia deriva da Patagones, una razza di giganti mitologici che si credeva abitasse la regione intorno al periodo dell’esploratore Ferdinando Magellano, nel XVI secolo. Sembra che si riferissero agli abitanti indigeni, il popolo Tehuelche poiché la loro altezza media era molto più alta di quella europea in quel momento.
I Tehuelche che vissero nell’area per almeno 14.500 anni prima dell’arrivo dei colonizzatori europei, erano nomadi cacciatori-raccoglitori, vivevano nelle praterie cacciando con i boleadoras – palle attaccate a una corda – usate anche dai gauchos argentini.

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La Penisola di Valdés in Argentina, si trova nella provincia di Chubut, a quasi 1500 chilometri di distanza verso sud da Buenos Aires. L’area della Penisola si estende verticalmente come un isolotto collegato alla terraferma da uno stretto istmo. L’importanza è principalmente naturalistica: tutta l’area, infatti, è una riserva naturale, che nel 1999 è stata anche dichiarata Patrimonio dell’Umanità UNESCO, per la variegata fauna che la abita, stabilmente o di passaggio durante le migrazioni.



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Gli avvistamenti di animali che si possono fare nella Penisola di Valdés in Argentina sono numerosi e si susseguono secondo le stagioni migratorie durante l’anno. Le balene (della specie franca australe, in via di estinzione :( )sono visibili al largo delle coste da maggio a dicembre; i pinguini passano di qui da ottobre a marzo e i delfini nuotano nelle acque di zona da dicembre a marzo.

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Le orche sono visibili da gennaio ad aprile e da ottobre a dicembre, mentre durante tutto l’anno è possibile osservare i bellissimi leoni marini e le numerose specie di uccelli (più di 180) che popolano la penisola. Sulla terraferma, inoltre, abitano guanachi, nandù e i marà (la lepre della Patagonia). Ma gli animali più rappresentativi sono i pinguini Magellano (Magallanes in spagnolo), dal caratteristico manto bianco e nero.

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Da non perdere Puerto Madryn e la spiaggia di Puerto Pirámides; da quest'ultima a 40 km si può accedere a la "Salina chica" attraverso un sentiero. E' una depressione a 35 m sotto il livello del mare, e la Salina grande a 42 sotto lo stesso livello: sono state sfruttate per ottenere sale da cucina, estraendo fino a 12.000 tonnellate all'anno, fino alla loro chiusura nel 1920 tonnellate.

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Calcata, provincia di Viterbo

Calcata, in provincia di Viterbo, è uno dei borghi più visitati del Lazio. Merito la sua fama di città delle streghe, delle quali si ode il canto, ma anche di una folta comunità di hippy e di artisti da tutto il mondo.
Costruita su una rupe di tufo molto instabile, Calcata domina la valle del Treja. Molte credenze, che risalgono agli antichi Falisci, ritenevano Calcata il centro nevralgico di energie primitive provenienti dal sottosuolo: di qui, tutte le leggende sul su occultismo. Nei giorni e nelle notti di forte vento, sembra davvero di sentire un canto, quello che le credenze popolari chiamano il canto delle streghe.

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Il più importante comprensorio sciistico è quello francese di Les Trois Vallées: situato tra le Alpi settentrionali,
ha ottenuto un punteggio totale di 8,25 punti su 10.

Uno dei suoi punti di forza è l'eccezionale innevamento, che permette l'apertura per ben 164 giorni l'anno.

Les Trois Vallées è un'immensa area sciabile delle Alpi Francesi, nel dipartimento di Tarantaise, in Savoia.
600 km di piste per ogni difficoltà facilmente collegate sci ai piedi, raggiungibili sci ai piedi dai villaggi.

Comprende località con differenti caratteristiche:

Les Menuires è più adatta alle famiglie, o per chi ama la grande montagna, con poca vegetazione ed il grande sci. Le Bettex (scritto anche Le Bettaix), Orelle e Saint Martin de Belleville sono piccoli villaggi dal fascino antico, per soggiorni tranquilli. Val Thorens è invece ultrasportiva. Courchevel è famosa perchè richiama vip da tutto il mondo e per le attrazioni serali. Sempre nella Vallée de Courchevel, La Tania è familiare e moderna. Meribel è più sportiva - chic, con tariffe inferiori rispetto a Courchevel e offerte diverse, tipo il casino.

Gli amanti dello sci di fondo possono usufruire di 118 km di piste con vista sui massicci di Burgin Saulire, il Monte Charvet, i ghiacciai della Vanoise, le cime della Grande Casse o del Grand Bec.



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Un colore per una città: a volte è proprio questo a rendere riconoscibili certi luoghi a colpo d’occhio.

BIANCO: Ostuni, Puglia
- Ostuni è una delle più celebri città bianche pugliesi. Arrampicato su una collina, il suggestivo borgo medievale è un susseguirsi continuo di stradine tortuose e abitazioni imbiancate a calce in un dedalo che ricorda una casbah araba. Tra vicoli, ripide scalinate, corti e piazzette, con le case candide abbellite da gerani multicolori, è un luogo che entra nel cuore.

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BLU: Chefchauen, Marocco – Il centro storico di questa celebre e pittoresca città, situata nel nord-ovest del Marocco non lontano da Tangeri, e tutto all'insegna del blu. Non si conosce la ragione della scelta per cui le case sono state dipinte tutte di questo colore: secondo alcuni è utile per tenerle fresche e liberarle dalle zanzare nei mesi estivi, secondo altri per imitare il colore del cielo, per altri ancora semplicemente perché è bello e inconsueto.

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NERO: Lanzarote, Spagna – La più orientale delle Isole Canarie ha natura vulcanica, come dimostra la terra nera che domina il paesaggio, tra vallate lunari e coni vulcanici presenti un po’ ovunque. Le casette bianche fanno contrasto con i giardini di sabbia color carbone, come pure destano meraviglia le piccole viti della regione di La Geria, coltivate sfruttando le poche gocce di rugiada che si accumulano in piccole buche contornate da muretti per proteggerle dal vento.

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GIALLO: Izamal, Messico - È una cittadina di appena 15.000 abitanti situata nello Yucatan: un tempo importante centro Maya, fu distrutta dall'arrivo degli Spagnoli, i quali vi edificarono numerose chiese e monasteri cristiani, facendone un importante centro di pellegrinaggio. È nota come "La Città Gialla" perché la maggior parte degli edifici è dipinta di questo colore.

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ROSA: Jaipur, India – È chiamata "Città Rosa del Rajasthan" grazie al colore delle facciate degli edifici, costruiti in arenaria. Prima tra tutte l'imponente Hawa Mahal, il "Palazzo dei venti", dalla facciata intonacata di rosa e con le finestre decorate da bordi di filigrana bianca. Secondo la tradizione le innumerevoli finestre che ornano la facciata servivano per consentire alle donne anziane della corte di assistere alla vita cittadina senza uscire di casa.

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VERDE:
Tasiilaq, Groenlandia - Il colore verde non indica solo la sensibilità ecologica di una città: strettamente parlando, può trattarsi della surreale colorazione conferita al cielo dell’aurora boreale, uno degli spettacoli più straordinari e stupefacenti che la natura possa offrire.



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ROSSO:
Bologna
- Il capoluogo emiliano si fregia di tre appellativi: la Dotta, la Grassa e la Rossa. Il primo e il secondo derivano dalla sua antica università e dalla sostanziosa tradizione culinaria; Il soprannome "Rossa" discende invece dal colore dei mattoni utilizzati nella costruzione di edifici e tetti fin da epoca medievale.
La città è anche associata al colore del Partito Comunista del quale la città è stata baluardo per decenni, e, in tempi più recenti, è associato alle “rosse” Ferrari e Ducati che fanno della zona la “terra dei motori”.
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