crisi di fiducia banche

  • ANNUNCIO: Segui le NewsLetter di Borse.it.

    Al via la Newsletter di Borse, con tutte le notizie quotidiane sui mercati finanziari. Iscriviti per rimanere aggiornato con le ultime News di settore, quotazioni e titoli del momento.
    Per iscriverti visita questo link.

FaGal

Nuovo Utente
Registrato
21/7/02
Messaggi
17.980
Punti reazioni
231
8 marzo 2004
SONDAGGIO Il clamoroso risultato di una ricerca condotta da Nielsen Cra-Pms per «Corriere Economia». Piacciono gli istituti locali, prevale un senso di abbandono

Banche, un italiano su due non si fida più


Il 49% degli utenti, ben 23 milioni di persone, boccia le aziende di credito: non spiegano i rischi, informano male e propongono prodotti insicuri


Chi si fida delle banche? Il 10% della popolazione adulta. Un dato in discesa repentina: era il 13% in ottobre. Chi si fida poco o niente? Il 49% degli italiani maggiorenni, ovvero un esercito di oltre 23 milioni di persone. Quattro mesi fa solo il 43% si dichiarava «banca-scettico». Il restante 41% non mostra fiducia né sfiducia. Come dire: sta a guardare. Una pattuglia silente in diminuzione, però: ad ottobre i «non so» erano al 44%. Il cambiamento indica maggior coscienza nel rapporto banca-cittadino. E minore acquiescenza, visto che il 3% che manca confluisce nel fronte degli sfiduciati. Questi i risultati di OCRA - l’Osservatorio di AcNielsen CRA e Pms sulla fiducia verso il mondo bancario - condotto in gennaio per Corriere Economia su un campione che rappresenta i 47 milioni di italiani con più di 18 anni di età. Il primo di una serie di Osservatori che le due società faranno per indagare il rapporto fra gli italiani e il mondo finanziario e che verranno pubblicati mensilmente da Corriere Economia .
«In complesso, quanto si fida del sistema bancario italiano?». Era questa la domanda rivolta agli intervistati. Le risposte lasciano pochi dubbi. La percezione degli istituti di credito s’è fatta nei risparmiatori più negativa, rispetto ai già deludenti dati di ottobre. Segno che il caso Parmalat sta pesando, forse in maniera più forte del previsto.
La sfiducia sale, la fiducia scende. E gli italiani mostrano di volere una banca diversa: una banca «buona», che offra prodotti sicuri, che informi sui rischi degli investimenti, che curi davvero gli interessi dei suoi clienti e che operi in modo tradizionale: perché quelle via Internet sono considerate meno affidabili.
Basta dare un’occhiata alle risposte nel dettaglio al questionario per capire che è questo il quadro: non roseo. Peggiore di quattro mesi fa non soltanto nel termometro della fiducia, ma anche in quello del giudizio sul sistema.
Erano tre le risposte possibili: poco o per niente d’accordo, né in accordo né in disaccordo, molto-abbastanza d’accordo. Vediamo, divisi per categoria, i risultati. Anticipando che, delle 16 domande poste, non ce n’è una la cui risposta sia favorevole alla galassia degli istituti di credito.

INVESTIMENTI - Qui la volontà dei risparmiatori è molto chiara. Sei intervistati su dieci, il 57%, si dicono molto-abbastanza d’accordo sul fatto che «le banche dovrebbero proporre ai clienti di investire solo su aziende che presentano sufficienti garanzie». La stessa fetta di persone, più o meno - il 59% - è poco-per niente d’accordo sull’affermazione: «Le banche spiegano sempre i rischi degli investimenti ai loro clienti». E più della metà del campione - il 55% - è poco o per niente convinto del fatto che «le banche propongono investimenti ai propri clienti verificandone sempre la sicurezza».
Queste due ultime percentuali, in particolare, sono salite molto negli ultimi quattro mesi: erano il 54% e il 49%. E s’impennano se consideriamo la sottocategoria degli «investitori»: rispettivamente, le risposte «poco-per niente d’accordo» toccano il 67% e il 64%. Segno che i due terzi di chi acquista titoli o prodotti finanziari non si sente tutelato. Soltanto il 7% degli intervistati si dice «molto-abbastanza d’accordo» sul fatto che le banche curino sempre gli interessi dei propri clienti (era l’8% in ottobre). Per 61 italiani su cento - ed è la percentuale più alta di tutto il questionario - questo è «poco-per niente vero».

CONTO CORRENTE - Anche sul fronte dei depositi non mancano le conferme di un rapporto banca-cittadino che fa acqua. L’informazione, infatti, è ritenuta scarsa. Soltanto due italiani su dieci, il 22%, si dicono «molto-abbastanza d’accordo» sull’affermazione: «Le banche informano i clienti sulle variazioni del conto corrente». Quattro intervistati su dieci (40%) sono categorici: si dicono «poco-per niente d’accordo». Evidentemente non paga la scelta di considerare la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale come unica informazione che il mondo bancario debba dare al mercato quando abbassa i tassi attivi o aumenta i canoni del conto corrente.
Per di più il 47% del campione, quasi la metà, considera «poco-per niente» chiare le informazioni generali date sul conto corrente.

CONTROLLI - Severi i giudizi anche sugli enti di vigilanza. Non è specificato, ma si tratta di Consob e Banca d’Italia. Per il 56% del campione, più della metà degli italiani, cioè, «i sistemi di controllo sulle banche da parte delle istituzioni sono poco o per niente efficaci». Le polemiche di inizio anno, evidentemente, hanno lasciato il segno, visto che in ottobre questa quota era molto più bassa: 43%. È una critica che si aggiunge a un giudizio pesantissimo sull’attenzione al correntista.

LOCALISMI - Dal sondaggio emerge inoltre una voglia di banca locale che si scontra con il fenomeno delle fusioni. Un italiano su tre, il 31%, concorda su questo: «È sempre più difficile vedere banche con il nome della propria città, provincia o regione». È una quota che sale al 39% nella sottocategoria degli investitori. E sempre quasi un terzo del campione, il 30 per cento, crede poco-per niente che «le banche nazionali siano attente alle esigenze dei clienti quanto quelle provinciali o regionali». Un invito al ripensamento ai colossi del credito. Ai quali il 55% del campione suggerisce di «sostenere maggiormente le piccole e medie aziende del territorio».

AFFIDABILITA’ - A proposito di partner bancari ai quali concedere fiducia: questa indagine sfata un mito, che le banche via Internet siano ormai considerate affidabili quanto quelle tradizionali. Non la pensa così, infatti, il 43% della popolazione, e il dato sale al 46% fra i cittadini bancarizzati (con un conto corrente aperto) e addirittura al 49% fra gli investitori.

ETICA - Chiudiamo infine con una nota sulla responsabilità sociale. Un italiano su due, il 48%, pensa che le banche dovrebbero sostenere iniziative volte a questo. È significativo che la percentuale salga di ben 15 punti fra gli investitori, toccando il 63%: segno che questo atteggiamento è considerato premiante ai fini della Borsa.

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/ce080304pa4.html

8 marzo 2004


"Sì abbiamo sbagliato, ma basta crociate"


La difesa di Ernesto Paolillo, direttore generale di Bpm


Ormai ci aspettiamo uno striscione come quello innalzato a una recente partita di calcio: "Non so più come insultarvi". Il sistema bancario continua ad essere bersagliato. Partendo da basi giuste, c'è molto che va affinato nelle regole degli istituti di credito, si è scatenata una campagna generalizzata contro le banche, che ha minato la fiducia dei risparmiatori anche verso istituzioni come la Consob e la Banca d'Italia. E' una situazione di estrema pericolosità, si rischia di non ricucire più la ferita. Anche se una cosa è certa: noi banche abbiamo fallito nell'idea di voler diventare il consulente dei nostri clienti. Dobbiamo rimboccarci le maniche e cominciare da capo». Ernesto Paolillo è direttore generale della Banca Popolare di Milano, un gruppo da 16 miliardi di euro di impieghi, 18 miliardi di raccolta diretta, 2 milioni di euro erogati in beneficenza per statuto sui 128 dell'utile netto 2002. E' anche responsabile del Cantiere conti correnti dell'Abi. Commenta così, a nome del sistema, il risultato dell'indagine Nielsen-Pms per Corriere Economia.
Soltanto il 10% degli italiani dichiara fiducia nel sistema bancario. Era il 13% in ottobre. E il 49% della popolazione è radicale: dice di avere nessuna o poca fiducia.
«Sono dati preoccupanti. Vogliono dire due cose: primo, dobbiamo lavorare molto sul rapporto con il cliente, che viene minato con estrema facilità. Secondo: non esiste la percezione di quanto sia importante il sistema bancario. Se tutti si mettono a sparare contro tutti, i danni possono essere irreparabili».
Veramente fino a ieri la banca era un totem per gli italiani.
«E' vero che ci sono stati errori: non solo su Parmalat, ma anche generali, in tema di prodotti, collocamenti. Però non dimentichiamo che le banche sono anche collocatrici di fondi. E se fossero stati sottoscritti i fondi, invece di seguire il fai-da-te, i risparmiatori avrebbero spalmato il rischio su più titoli».
E' capitato che i consigli venissero dal consulente della banca.
«Vero, c'è l’addetto al borsino che a volte parla per intuizione personale. Ma la logica resta quella: quando ci sono i guadagni il merito è dell'investitore, quando ci sono le perdite la banca deve pagare. E oltre alle lecite richieste di rimborso questo clima rischia di far finire nella mischia coloro che cavalcano il momento. Ormai riceviamo reclami in fotocopia, fatti da chiunque. Tolgono il nome Parmalat e lo sostituiscono con un altro titolo che ha perso, chiedendo il rimborso. Tutto questo si trasforma in costo per il sistema. Dispiace che si sia dimenticato il nostro ruolo di sostegno all'economia. E il carico che ci siamo fatti delle sofferenze, sempre ingenti quando l'industria non va bene. Le banche hanno anche tanto di buono».
Per esempio?
«Quanti salvataggi ci sono stati di situazioni che avrebbero portato al fallimento delle aziende? I casi Fiat, Montedison, ma anche tante piccole medie imprese. Stupisce che ora persino Confindustria si scagli contro il sistema bancario».
Forse perché viene concesso meno credito alle imprese.
«Se il credito non viene erogato, vuole dire che non ci sono le condizioni. Ad ogni banca piace aumentare i propri impieghi. E comunque nel futuro dovremo supplire noi, con i prestiti, alle difficoltà delle aziende di collocare obbligazioni. Bisogna stare attenti a eccedere nelle critiche. Le conseguenze possono essere traumatiche sul piano dei posti di lavoro, dell'economia e del risparmio».
Un terzo degli italiani, dice il sondaggio, chiede banche con il nome della propria città. Voi l'avete mantenuto.
«Sì, e questa risposta ha un peso enorme. La localizzazione paga. Il cliente ha più fiducia in una banca della sua città».
Basta accuse, però.
«Parlar male delle banche è diventato una moda. Ciò non toglie che, laddove si è sbagliato, si debba intervenire».

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/ce080304pa5.html

8 marzo 2004


«Il cliente? E’ il sommo bene. Ma bisogna saperlo dire»



L’effetto emotivo dei casi Cirio e Parmalat ha ulteriormente indebolito la reputazione complessiva del sistema bancario. E' significativo però che i più scettici siano proprio quelli che hanno minori rapporti con gli istituti di credito. Siamo di fronte, quindi, a un grosso problema di comunicazione. Le categorie più assidue nei rapporti con gli sportelli bancari, infatti, esprimono un giudizio migliore verso i loro interlocutori, rispetto a chi in agenzia non ci va proprio. O a chi si presenta molto poco allo sportello. Si tratta di un atteggiamento spesso pregiudiziale, che dipende da un carente livello di comunicazione. Si ha, in sostanza, un ritorno negativo di reputazione che le banche faticano a contrastare, oggi ancora più di ieri.
La ricerca condotta non ci consente confronti in serie storica, anche se le recenti rilevazioni del sondaggio segnalano un ulteriore peggioramento di sentimento della gente. Sappiamo anche però che il sistema bancario ha investito molto, soprattutto negli ultimi due-tre anni, in indagini sulla soddisfazione dei clienti e nella realizzazione di progetti finalizzati ad una sempre maggiore attenzione verso l’utente. Tutte iniziative che hanno bisogno di tempo per avere effetto. Sembra, comunque, che si stia andando nella giusta direzione. Dalla ricerca emerge una forte approvazione su temi come la responsabilità sociale, il rispetto dei lavoratori, lo sviluppo della finanza etica.
Ebbene, si tratta di aree nelle quali le banche, più ancora di altri settori di imprese, hanno dimostrato concretamente un impegno ed un attivismo che certamente contribuirà a portare il saldo della reputazione su livelli più adeguati, anche se - va detto - siamo solo agli inizi. Il punto cruciale, però, riguarda il marketing delle singole banche. Qui si tratta di compiere, lo dico da utente e la ricerca lo conferma, uno sforzo ulteriore nel migliorare la comunicazione allo sportello, adottando un linguaggio più chiaro e diretto.
E, soprattutto, recuperando il concetto di «valore del cliente» come asset principale a cui deve essere finalizzata la strategia di ciascuna banca.
Giancarlo Frè Torelli
Partner di PMS
Corporate communication

http://www.assinews.it/rassegna/articoli/ce080304pa6.html
 
..

Banche piccole, problemi grossi


Oltre che con la magistratura, le banche italiane si trovano in queste settimane a fare i conti con l'impatto della doppia crisi Parmalat e Cirio sui bilanci 2003. Parafrasando un vecchio adagio si potrebbe dire "Banche piccole problemi piccoli, e banche grandi problemi grandi". In realtà non è esattamente così: le banche di medie dimensioni hanno infatti meno massa di manovra per assorbire i problemi, anche quando le cifre in questione non sono enormi. Prendiamo ad esempio Bpu, nata dall'unione di Popolare Bergamo e Commercio e Industria. Ebbene, il piano industriale prevedeva che il primo esercizio si sarebbe concluso con un utile netto di circa 160 milioni di euro e i risultati intermedi sembravano confermare le cifre previsionali.
Peccato che l'esposizione nei confronti di Parmalat, grosso modo intorno ai 140 milioni di euro, sia tale quasi da azzerare i guadagni netti del gruppo: le ultime decisioni devono ancora essere prese, ma pare che i vertici siano orientati ad abbattere l'esposizione nominale tra il 60 e il 90% dell'importo lordo. A questo bisogna aggiungere il carico della Cirio: in questo caso non ci sono esposizioni dirette, ma un certo numero di richieste di risarcimento, in verità piuttosto contenute, per i titoli venduti (in particolare dalla controllata Popolare di Ancona).
Insomma, tra queste due voci è sfumato tutto l'utile netto della Bpu. La Popolare non sarà l'unica ad affrontare problematiche simili, ma è la sola a dover rispettare un impegno precedente, preso solennemente con gli azionisti al momento della fusione: la distribuzione di un dividendo secondo una politica di payout garantita (per il primo anno). Ora, per tener fede a quelle promesse, sarà necessario utilizzare il fondo rischi generali.

http://www.repubblica.it/supplementi/af/2004/03/08/finanza/032bankaris.html
 
.....

Perché le banche spingono la vendita di polizze vita


Da qualche tempo all’interno del sistema bancario è in atto una guerra fratricida. Da una parte le società di gestione del risparmio (Sgr), che creano e gestiscono fondi d’investimento; dall’altro le compagnie di assicurazione, che producono le polizze vita. Quasi sempre entrambe queste entità sono controllate dallo stesso istituto di credito. In alcuni casi, anche se le compagnie sono esterne come nel caso di Generali che vende le sue polizze attraverso gli sportelli di Banca Intesa, esistono forti intrecci azionari fra le rispettive case madri.
Perché allora questa guerra? Perché da qualche tempo a questa parte le banche spingono i clienti verso prodotti considerati più "tranquilli", con un rendimento basso ma sicuro come le polizze vita, o come i bond, sia bancari che corporate. Mentre, dall’altra parte, i Fondi d’investimento soffrono e perdono clienti. Anche l’ultimo dato di gennaio, reso noto la scorsa settimana, parla di una raccolta ancora negativa per 513,4 milioni di euro.
Così i gestori di Fondi sono scontenti. Non capiscono perché la politica delle banche, da cui sono controllate, spinga i clienti verso altri lidi. Mugugnano ma non possono parlare perché gli ordini di scuderia non si discutono. Però qualcosa filtra lo stesso. La lamentela principale è che si spingono i clienti verso prodotti dove sicuramente i margini per i grandi gruppi bancari sono più alti. Ma che rispetto ai Fondi sono meno trasparenti e più costosi per i risparmiatori.
Il discorso vale anche sia per le obbligazioni che per le polizze vita. Ma per queste ultime, soprattutto dal punto di vista delle trasparenza, ancora di più. Infatti mentre la Consob negli ultimi anni ha reso obbligatoria l’indicazione nel prospetto anche del Ter (Total expenses ratio), il costo di tutte le commissioni, per le polizze l’Isvap non è stata altrettanto severa. Oggi nessuno che non sia un laureato in matematica attuariale può dire quali siano gli effettivi costi globali di una polizza nelle sue varie versioni (tradizionale, unit linked o index linked). Il risparmiatore, è vero, può chiedere il caricamento (commissione d’ingresso), ma un calcolo globale dell’incidenza effettiva di tutte le commissioni è pressoché impossibile. E il ddl del governo sembra lasciare ancora all’Isvap l’ultima parola sulla vigilanza.
http://www.repubblica.it/supplementi/af/2004/03/08/finanza/034afond.html
 
Indietro