Crisi governo, Renzi resterà kingmaker per il Quirinale

Er Sugon

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Crisi governo, Renzi restera kingmaker per il Quirinale | L'HuffPost

In ogni caso per il dopo Mattarella sarà l'ago della bilancia. E la destra lo sa

By Ugo Magri

I tre Re Magi del centrodestra sono andati da Mattarella a chiedergli le elezioni, cioè il modo più efficace per tenere in vita il governo. Se volessero davvero mandarlo a casa per arrivare al voto, dovrebbero fare esattamente il contrario: lasciar credere che una soluzione alla crisi in ogni caso si troverà. Così invece terrorizzano i «peones» che temono di non essere rieletti e qualcuno, disperato, finirà per gettarsi tra le braccia di Conte. Un soccorso indiretto. Possibile che Salvini, Tajani e Meloni non se ne rendano conto? E se lo sanno, perché fare questo regalo all’Avvocato del popolo?

La loro risposta è che, tanto, non andremmo lo stesso a votare; perfino se cadesse il governo, i «poteri forti» si metterebbero di traverso; Washington, Bruxelles, le varie capitali europee scatenerebbero l’inferno per impedire al Capitano di riconquistare l’Italia; cosicché invece di correre alle urne finiremmo per ritrovarci con qualche strana formula di emergenza, tipo governo Draghi, nella quale il centrodestra resterebbe impigliato. Quello sì che sarebbe un enorme guaio. Per cui meglio fare bella figura con i propri ultrà, gridare «al voto al voto» pur sapendo che non voteremo, tenersi un altro annetto Conte depotenziato ma fingendo di volerlo cacciare. E approfittare della sua faida con Renzi per tentare tra 12 mesi esatti il colpaccio che alla destra italica non riesce più dai tempi lontani di Giovanni Leone: dire l’ultima parola nella corsa al Quirinale ed eleggere un presidente «amico».

Grazie alla crisi, le premesse ci sono tutte. Prendiamo il pallottoliere e vediamo perché. Palline rosse, la maggioranza attuale; palline blu, la destra; palline gialle, i renziani. Sommando insieme i deputati e i senatori che hanno appena votato la fiducia, l’area di governo raggiunge quota 477. Tutti gli altri arrivano a 473. Ma il calcolo non può finire qui perché, quando si elegge il presidente della Repubblica, agli onorevoli e ai senatori bisogna aggiungere i rappresentanti delle Regioni, che sono 58 in totale. Di questi 58, ben 34 verranno indicati dal centrodestra (che controlla 15 Regioni su 20) e soltanto 24 da M5S-Pd-Leu.

Aggiorniamo dunque il pallottoliere: le palline rosse dell’attuale maggioranza salgono a 501; quelle blu e gialle insieme arrivano a 507, vale a dire 6 più delle altre. Intendiamoci, su una platea di 1008 «grandi elettori», 6 schede sono una goccia nel mare. Specie a scrutinio segreto non garantiscono nulla. Vale l’esempio di Prodi: nel 2013 aveva sulla carta un vantaggio di 101 voti, eppure i franchi tiratori lo impallinarono allegramente. Ammesso che tra un anno Renzi voglia vendicarsi con gli ex compagni di strada e (ipotesi al momento esclusa con sdegno) arrivi a stringere alleanza con l’altro Matteo, il margine di vantaggio non basterebbe quasi certamente a decidere il prossimo inquilino del Quirinale.

Però è pure vero il contrario. Senza l’apporto del senatore di Rignano, la maggioranza attuale non andrà da nessuna parte. Se Italia Viva verrà messa in castigo, come si sta tentando di fare, se alla fine prevarrà la tesi che «con Renzi nemmeno un caffè», difficilmente lui sarà dell’umore giusto per sostenere candidati Dem al Quirinale. Possiamo già immaginarci la scena, le grasse risate il giorno che i Franceschini, i D’Alema e i mille altri presidenti in pectore andassero a domandargli una mano. Più facile che sia Renzi a mettere in campo un nome su cui tocchi agli altri inchinarsi, come fece nel 2015 quando estrasse dal cilindro il nome di Mattarella. Per i grillini sarebbe dura da digerire. A destra invece non si fanno di questi problemi. Pur di avere una sponda sul Colle, un amico lassù che li aiuti e li protegga, sarebbero prontissimi a riconoscere il ruolo di “king maker” cui Renzi anela. Salvini, Meloni, Tajani e Giorgetti ne hanno già ragionato trovandosi, a quanto pare, tutti d’accordo.
 
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