Danze e canti popolari

gianni

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dublino



La danza è un aspetto forte della cultura irlandese ed esistono moltissime forme di Irish dance. Il gioco di gambe distintivo di questo tipo di danze è una novità per chi non le ha mai viste prima e spesso richiama esclamazioni di divertimento. Il Riverdance è il principale responsabile della diffusione della danza irlandese negli ultimi vent’anni in tutto il mondo. Tuttavia, le danze tradizionali irlandesi esistevano già secoli prima.


Ceili Dancing La danza Ceili affonda le sue radici all’inizio del Cinquecento. È una danza popolare ballata da coppie e ognuna di esse balla insieme al gruppo, scambiando spesso partner.


Set Dancing La quadriglia, una danza popolare di corte. Normalmente richiede quattro coppie disposte secondo uno schema quadrato. Due coppie alla volta quindi attraversano il quadrato per scambiare le posizioni. A differenza dei Ceili, i ballerini usano principalmente l’intera porzione piatta dei loro piedi, fatta eccezione per alcuni calci bassi e svolazzi.


Stepdance è una danza irlandese per singoli o gruppi. Anche se a volte è ballato in coppia, questo non è un requisito essenziale. I danzatori tengono i corpi superiori rigidi. Questo contrasta con i loro piedi e le loro gambe che si muovono attraverso una successione di movimenti molto veloci, calci alti e movimenti complessi.


Riverdance Riverdance non è un tipo di danza irlandese. Piuttosto, è il nome di uno spettacolo teatrale commerciale che presenta grandi gruppi di ballerini professionisti. Attraverso la danza, la musica e la luce, lo spettacolo mette in relazione le storie irlandesi con il pubblico. Mentre lo spettacolo è nato in Irlanda, è cresciuto in tour in tutto il mondo.


Sean-nós Dancing Sean-nós è un ballo estremamente distintivo per il suo gioco di gambe che tende a rimanere parallelo e per lo più a toccare il suolo, al contrario delle altre danze irlandesi. Anche la parte superiore del corpo è più rilassata, con fianchi e braccia ondeggianti. è molto meno formale e organizzata. Anche questa danza viene solitamente eseguita individualmente.


Musica tradizionale irlandese La musica folk tradizionale in Irlanda è stata appositamente composta per essere ballata. Questo è uno dei motivi per cui è così ritmica. Gli strumenti usati per comporla includono bodhrán o altre percussioni, banjo, violini, fisarmoniche, pipe e flauti. La musica usata per le danze tradizionali di solito non prevede il canto.


 
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Naturalmente anche qui ho le mie fissazioni...un crescendo di ritmo, energia, gioia.

 
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Mamma, papà, non piangete se sono consumata, è stata la risaia che mi ha rovinata”.


Uno dei principali lavori svolti in risaia dalla fine del 1800 fino agli anni ’60 del secolo scorso, è stato quello della mondina.


Mondare la risaia, una delle fatiche più pesanti in agricoltura, significava togliere le piante infestanti
che mettevano a rischio la crescita del riso.


Nelle campagne tra Pavia, Vercelli e Novara ogni anno si riversavano migliaia di donne, dai 13 ai 70 anni, provenienti da Lombardia, Veneto e Emilia Romagna.


Queste lavoratrici passavano dodici ore al giorno in risaia in compagnia di serpenti, topi, sanguisughe e insetti. Per proteggersi dal sole indossavano cappelli di paglia a tesa larga e lunghi manicotti per limitare le punture delle zanzare. Negli stessi manicotti nascondevano le rane catturate per poterle friggere e mangiare poi la sera.

Le mondine. Dai canti di lavoro ai canti di lotta

Quella delle mondine è stata principalmente una storia di sfruttamento e malattia, costrette a turni massacranti e giornate intere con le gambe immerse nell’acqua fino alle ginocchia, a piedi nudi e con la schiena curva.


Il tutto, nella totale assenza di diritti sindacali.


Da queste instancabili lavoratrici partì uno dei primi movimenti femminili che scaturì in aspre battaglie sindacali che neppure il fascismo riuscì a smorzare, e che si concretizzò – per la prima volta in Italia – nel diritto alle 8 ore lavorative giornaliere contro le 12 del passato.


Fu nelle risaie di Molinella che avvennero le prime proteste per ottenere migliori condizioni di vita.



Le donne arrivavano con vecchi treni che normalmente trasportavano bestiame. Erano alloggiate nelle tante cascine del territorio.


Dormivano in grandi granai svuotati, con i letti ricavati da assi di legno coperti con un po’ di paglia. I capannoni arrivavano a contenere fino a 60 lavoratrici.


Si tendeva a tenere separate quelle che provenivano dallo stesso paese o si conoscevano, per scongiurare scioperi o rappresaglie.


Alle 4.30 il caposquadra dava la sveglia. Erano costrette a lavarsi con l’acqua fredda di un fossato dove si lavavano anche panni e stoviglie.


Andavano nei campi a piedi, poiché il padrone decurtava dalla loro paga le spese del viaggio su un eventuale trattore.


La giornata di lavoro durava dodici ore, con una pausa di mezz’ora per il pasto che era sempre lo stesso, riso e fagioli, anche quello decurtato dalla paga.


Gli uomini
, direttamente impegnati nella monda del riso, erano pochi: si trattava soprattutto di cavallanti, al massimo quattro o cinque ogni cinquanta donne.


Le risaie venivano suddivise in “quadre” e le lavoranti si disponevano in file parallele. Erano immerse, a piedi nudi, nell’acqua fino alle ginocchia, indossavano una sottana o dei pantaloni tagliati e arrotolati.


Così, a testa in giù, mondavano il riso per 12 ore, raccoglievano in mazzetti le piante infestanti che venivano passate di mano in mano dal centro di ogni fila fino alle estremità, e poi gettati nei canaletti di scolo laterali, al grido dierba, erba”.


Alcune venivano colpite
da quella che venne chiamata la febbre del riso, una malattia infettiva acuta causata da un parassita presente nell’acqua.


Le malate venivano curate alla meglio peggio.


Non era mai permesso interrompere il lavoro, per i bisogni fisiologici si faceva un passo indietro e poi lateralmente.


Ogni tanto il padrone passava tra le file a controllare e il caposquadra distribuiva un mestolo di acqua.


Le loro difficili condizioni furono spesso i temi dei canti che loro stesse inventavano, intonati per alleviare il peso delle lunghe giornate e che sono stati tramandati fino ai nostri giorni.


Al termine delle lunghe giornate di lavoro le donne tornavano ai casolari, si strofinavano con il sapone e usavano le spighe del riso per eliminare dalla pelle il verde rilasciato da concime e acqua stagnante.


Coloro che riuscivano a non crollare dal sonno, la sera ballavano davanti al fuoco o nelle osterie vicine.


Essendo forestiere lontane da casa le mondine erano oggetto di scherno e gelosie da parte degli abitanti del luogo, che le consideravano libere e poco di buono.


Quelle donne, sfruttate, assiepate per mesi in luoghi miseri e malsani, si dividevano il pane e i segreti. Il loro salario era di molto inferiore a quello degli uomini.


Le mondine hanno dimostrato grande dignità, combattendo battaglie sociali per veder riconosciuti i propri diritti di lavoratrici.


Le mondine - Una donna al giorno
 
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Bella versione soprattutto di voce, se volete versione più moderna consiglio quella dei Cantori di Carpino.

 

Ma se ghe penso​

Ma se ghe pensu (Ma se ci penso in italiano) è una storica canzone in lingua genovese. Scritta nel 1925, è divenuta d'uso tradizionale e simbolo della cultura musicale ligure.
La canzone è attribuita a Mario Cappello per i versi e la musica, con la collaborazione di Attilio Margutti.

La canzone narra la storia di un genovese emigrato in America Latina in cerca di fortuna, evento socialmente molto comune tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900, che, ritrovatosi a pensare alla bellezza della sua città natale, sopraffatto dalla nostalgia, decide di farvi ritorno, contro il volere del figlio, ormai ambientatosi.

La canzone si apre con il riferimento alla povertà del protagonista, che è partito completamente squattrinato (sensa ûn-a palanca) per le Americhe, dove si è sistemato economicamente, e torna trent'anni dopo a Genova pur di rivedere la sua terra (E sensa tante cöse o l'è partïo, senza tanti indugi è partito), disinteressandosi del fatto che il figlio preferisca rimanere nel nuovo continente e partendo in un viaggio a ritroso nel tempo e nello spazio per formare di nuovo il suo nido a Genova.

Questa canzone, diventata un vero e proprio simbolo musicale della città di Genova e di tutto ciò che la riguarda, descrive l'attaccamento dei genovesi alla propria città e contrasta lo stereotipo della loro avarizia, riconoscendogli valori più alti di quelli materiali: nel caso del protagonista, ad un iniziale desiderio di una condizione migliore (Aveva lottato per risparmiare e farsi la palazzina e il giardinetto), pian piano subentra la nostalgia che lo vince.(Wikipedia)


(In dialetto genovese)
«O l'êa partîo sénsa 'na palanca,
l'êa za trent'anni, fòrse anche ciù.
O l'àia lotòu pe métte i dinæ a-a bànca
e poéisene un giórno vegnî in zu.
E fâse a palassinn-a e o giardinétto,
co-o ranpicante, co-a cantinn-a e o vin,
a branda attacâ a-i èrboi, a ûso letto,
pe dâghe 'na schenâ seja e matìn.
Ma o figgio o ghe dixeiva: "No ghe pensâ
a Zena cöse ti ghe vêu tornâ?!"
Ma se ghe penso alôa mi veddo o mâ,
véddo i mæ mónti e a ciàssa da Nonçiâ,
rivéddo o Righi e me s'astrenze o cheu,
véddo a Lanterna, a Cava, lazù o Meu...
Rivéddo a-a seja Zêna ilûminâ,
véddo la-a Fôxe e sento franze o mâ
e alôa mi pénso ancón de ritornâ
a pösâ e òsse dôve ò mæ madonâ.
O l'êa passòu do ténpo, fòrse tròppo,
o figgio o l'inscisteiva: "Stémmo ben,
dôve t'êu andâ, papà?.. pensiêmo dòppo,
o viâgio, o mâ, t'ê vêgio, no convén!"
"Òh no, òh no! mi me sento ancón in ganba,
son stùffo e no ne pòsso pròpio ciù,
L'è in pö che sento dî: señor, caramba,
mi vêuggio ritornâmene ancón in zû...
Ti t'ê nasciûo e t'æ parlòu spagnòllo,
mi son nasciûo zeneize e... no me mòllo!"
Ma se ghe penso alôa mi véddo o mâ,
véddo i mæ mónti e a ciàssa da Nonçiâ,
rivéddo o Righi e me s'astrenze o cheu,
véddo a Lanterna, a Cava, lazù o Meu...
Rivéddo a-a seja Zêna iluminâ,
véddo la-a Fôxe e sénto franze o mâ
e alôa mi pénso ancón de ritornâ
a pösâ e òsse dôve ò mæ madonâ.
E sénsa tante cöse o l'é partîo
e a Zêna o gh'à formòu tórna o seu nîo.»
(IT)
«Era partito senza un soldo,
aveva già trent'anni, forse anche più.
Aveva lottato per mettere i soldi in banca
e potersene un giorno tornare ancora giù
e farsi la palazzina e il giardinetto,
con il rampicante, con la cantina e il vino,
la branda attaccata agli alberi a uso letto,
per coricarcisi alla sera e al mattino.
Ma il figlio gli diceva: "Non ci pensare
a Genova perché ci vuoi tornare?!"
Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo il Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la Lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo alla sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dove è mia nonna.
Ed era passato del tempo, forse troppo,
il figlio insisteva: "Stiamo bene,
dove vuoi andare, papà?..penseremo dopo;
il viaggio, il mare, sei vecchio, non conviene!"
"Oh no, oh no! mi sento ancora in gamba,
sono stanco e non ne posso proprio più,
sono stufo di sentire: señor, carramba,
io voglio ritornarmene ancora in giù...
Tu sei nato e hai parlato spagnolo,
io sono nato genovese e... non ci mollo!"
Ma se ci penso allora io vedo il mare,
vedo i miei monti e piazza della Nunziata,
rivedo Righi e mi si stringe il cuore,
vedo la Lanterna, la cava, laggiù il molo...
Rivedo la sera Genova illuminata,
vedo là la Foce e sento frangere il mare,
e allora io penso ancora di ritornare
a posare le ossa dove è mia nonna.
E senza tanti indugi è partito
e a Genova ha formato di nuovo il suo nido.»
 

Schuhplattler​

Lo Schuhplattler è una danza tradizionale tipica bavarese e tirolese per soli uomini. La parola, tradotta, significa letteralmente "battitore di scarpe". La danza comprende movimenti veloci, quasi acrobatici, con battute di mani sulle gambe e sulle suole delle scarpe, saltando, girando, facendo a volte lo jodel e tirandosi gli schiaffi.

 

Musica popolare siciliana. Il Ballo della cordella​

 

"Piemontesina bella" nell'interpretazione di Piero Montanaro​

"Piemontesina bella " è una canzone popolare (anche se non appartiene alla tradizione ma è in effetti un brano d'autore composto nel 1936 (testo di E. Frati, musica di G. Raimondo). Ebbe ampia diffusione a partire dal 1939 grazie alla registrazione su vinile di Silvana Fioresi e Gianni di Palma. Il testo esprime il rimpianto del protagonista per gli anni ormai lontani della gioventù e per l'amore di una giovane ragazza che, per seguire la sua carriera di medico, ha dovuto abbandonare a Torino.La vicenda, come è chiaro dal testo, richiama la trama dell’operetta “Addio giovinezza” musicata da Giuseppe Pietri su libretto di Sandro Camasio e Nino Oxilia. In considerazione di questo legame tra la canzone e l’opera teatrale vengono scelte per questo video, molte fotografie tratte dall’omonimo film del 1940 e interpretato da Maria Denis e Adriano Rimoldi per la regia di Ferdinando Maria Poggioli.

 

Tarantella tradizionale​

Festa della "preparazione del letto" dei promessi sposi Calidea e Mimmo come vuole la tradizione "gaddhicianisi"(Calabria) .

 
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