Discutere in armonia e senza pregiudizi. Chi non gli va bene il thread non entri

Art. veramente molto Interessante.

GAS: CHIUDERE ALLA RUSSIA PER SOTTOSTARE AL DOMINIO USA
20 Ottobre 2022

È comprensibile che un qualunque governo di fronte a un accadimento o a una decisione inevitabile che porterà conseguenze negative per tutta la popolazione, cerchi di evitare la diffusione di paure o panico tra i suoi cittadini. In quei casi, “indorare la pillola” può costituire il minore dei mali e perfino qualche spudorata menzogna può essere indispensabile per evitare conseguenze peggiori. Perfino in una democrazia, se chi gestisce temporaneamente il potere non può evitare che quell’evento succeda o che tale decisione sia presa, deve poter mentire a fin di bene. Diverso, e non altrettanto accettabile, sarebbe il caso di quei governi che prendono decisioni sbagliate o addirittura controproducenti e poi raccontano falsità per coprire i propri errori. Molto spesso sarà solo la storia a poter dare un giudizio di merito su quei comportamenti e a valutare se scelte diverse sarebbero state di miglior beneficio o se quanto fatto e detto fosse stato davvero la soluzione ottimale.
Purtroppo, guardando alla crisi energetica in corso che colpisce (soprattutto) l’Europa e che sta portando verso la strada della sua possibile de-industrializzazione, il dubbio che le scelte fatte dai governi europei e le rassicurazioni che dispensano fanno sorgere più di un dubbio sulla saggezza dei nostri governanti. È indubbio che gli aumenti dei prezzi dell’energia abbiano cominciato a lievitare anche a causa del Covid-19 e di quello che ne sta seguendo, ma è altrettanto certo che le decisioni di porre sanzioni alla Russia per il suo comportamento verso l’Ucraina abbiano di molto peggiorato la situazione e preludano a una crisi energetica di lunghissimo periodo. Non è ora il caso di ritornare sulla questione di chi sia stata la maggiore responsabilità nella decisione russa di invadere proditoriamente l’Ucraina perché se ne è già scritto in precedenza. E’ invece il momento di considerare quanto ci sia di vero nelle affermazioni che il gas russo sia sostituibile a breve termine e se le riserve dello stesso in nostro possesso siano sufficienti ad affrontare il periodo invernale.
Innanzitutto rendiamoci conto, una volta per tutte, che il gas liquefatto e poi re-gassificato costa e costerà sempre molto di più di quello che arriva tramite tubazioni. La ragione è semplice: il secondo arriva nelle nostre centrali nelle industrie e nelle case già pronto per l’Uso e la posa delle tubazioni internazionali è già stata ammortizzata. Quello liquefatto, al contrario, per essere utilizzato deve passare attraverso tante lavorazioni. Se poi la sua origine non è una riserva naturale bensì lo si ottiene via fracking occorre allora considerare anche gli enormi danni ambientali necessari per averlo. Una volta disponibile, sono necessari impianti appositi per sottoporlo a trattamenti di depurazione e disidratazione e solo in seguito lo si può liquefare portandolo a meno 160 gradi celsius. Fatto ciò, si deve caricarlo su particolari navi refrigerate che ne mantengano la temperatura fino a destinazione. Infine, lo si potrà scaricare presso le strutture riceventi che lo riscalderanno adeguatamente per farlo tornare gassoso e poterlo immettere nella locale rete di distribuzione. Tutto questo processo è molto più delicato e tecnologico di quanto possa sembrare a prima vista poiché il gas liquido è molto più infiammabile di quello gassoso e, in tutti questi passaggi, un cambiamento di temperatura non previsto e incontrollato potrebbe causarne l’esplosione o provocare ingenti danni ambientali. Nel 1984, in un sobborgo di Città del Messico (San Juanico) la fuoriuscita da uno o due serbatoi sferici da 1.600 metri cubi in un deposito di gas liquefatto fu seguita da incendi ed esplosioni anche dei serbatoi cilindrici e causò la morte di circa 500 persone e 7000 feriti nelle abitazioni dell’area limitrofa. Le tecniche conosciute attualmente hanno ridotto al minimo i rischi di incidenti ma tutte le misure necessarie hanno un costo elevato (le navi non sono semplici navi cisterna come per il petrolio, ma necessitano di doppio scafo e di altre precauzioni. Ugualmente avviene per le strutture di partenza e di arrivo). È quindi naturale che, oltre al prezzo del trasporto, si mettano in conto anche tutte queste misure.
È inoltre bene sapere che oggi non ci sono molte navi già adatte alla bisogna e vanno costruite. La sola Cina ha ordini in portafoglio per circa il cinquanta percento delle navi in cantiere in tutto il mondo. Il tempo per fabbricare una nave gasiera è minimo di due anni e il noleggio di una nave da almeno 170mila metri cubi già disponibile sulla rotta atlantica arriva attualmente a 397.000 dollari americani (all’inizio dell’estate era “solo” di 75.000 dollari).
Costi a parte, consideriamo, comunque, il gas come già arrivato. Dove scaricarlo? E quanto siamo in grado di riceverne e trattare?
I rigassificatori italiani in funzione sono per ora tre: Porto Viro, in provincia di Rovigo è il GNL Adriatico, con una produzione annua di 8 miliardi di metri cubi di gas; Panigaglia, in provincia di La Spezia ha una produzione annuale di 3,5 miliardi di metri cubi e una nave tra Livorno e Pisa vanta una capacità annuale di 3,7 miliardi di metri cubi. Un quarto è in discussione a Piombino: si tratterebbe di una nave che opererebbe dalla banchina per tre anni e sarebbe poi spostata in mare aperto. Questa potrebbe arrivare a produrre circa 5 miliardi di metri cubi, sempre che il progetto vada a finire positivamente, viste le contestazioni locali. Secondo l’ex-ministro Cingolani, con l’attivazione dell’impianto di Piombino noi avremmo ridotto dal 39 al 20% del nostro fabbisogno la nostra dipendenza dal gas russo e nella seconda metà del 2024, tramite due ulteriori ri-gassificatori, potremmo esserne totalmente indipendenti. Badate bene: non ora, bensì tra circa due anni! E nel frattempo? Ovviamente dovremo continuare a importarne dall’odiato Putin. Tuttavia cosa succederebbe se i russi per ritorsione interrompessero le forniture? Beh, allora saremmo davvero nei pasticci!
I nostri politici ci tranquillizzano dicendoci che abbiamo le scorte già vicine al 100% della loro capacità e questa potrebbe essere una notizia che dovrebbe fugare ogni paura. Invero, la lungimiranza della nostra SNAM e dei precedenti governi ci hanno messo in condizione di avere la maggior capacità di stoccaggio di tutta l’Europa. Per dare un esempio, Cipro, Estonia, Finlandia, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo e Slovenia non hanno alcun deposito. Purtroppo però, anche nel nostro caso, le rose ci sono ma sono meno brillanti di quanto ci viene raccontato. Infatti, quel che non si dice (o forse i nostri politici sembrano non saperlo. O lo tacciono volutamente) è che per mettere in rete il gas dai depositi è necessario utilizzare il gas proveniente dai tubi di superficie e, senza di esso, avere o non avere i depositi pieni è la stessa cosa. Infatti, per creare la necessaria pressione affinché il gas sia distribuito nella rete nazionale è necessario intervenire subito allo sbocco dai magazzini. Ciò viene normalmente fatto grazie alla pressione già esistente data dal gas in arrivo attraverso i tubi internazionali con una percentuale che, all’incirca, potrebbe corrispondere al 10% del totale (cioè: su cento, novanta è già nei tubi e 10 viene dagli stoccaggi). Il gas naturale immagazzinato non può essere massicciamente immesso in una conduttura vuota perché il differenziale di pressione lo farebbe immediatamente espandere e congelare, intasando così gli stessi tubi. Pensare che senza l’aiuto del gas naturale che scorre nei gasdotti le riserve possano sostituirlo è una pura illusione. Per farlo uscire dai depositi e immetterlo in rete occorre dargli una giusta pressione e se lo si volesse fare con altri gas o in qualunque altro modo, lo si diluirebbe in modo tale da non renderlo più correttamente utilizzabile dai vari consumatori.
Va comunque precisato che anche i volumi di gas presenti nei vari depositi non possono mai essere utilizzati completamente poiché una parte di quel gas serve per mantenere la dovuta pressione all’interno. Infatti la pressione interna dei siti deve costantemente essere controllata per evitare incidenti di vario genere, tipo esplosioni o dispersione. Una certa percentuale di gas contenuto va comunque perduta a causa di fessure, attrito, porosità o permeazione delle “caverne” che lo contengono.
In Italia, sempre per una lungimiranza del passato, abbiamo gasdotti che arrivano anche dall’Algeria, dalla Libia e (recentemente) dall’Azerbaigian e quindi non dovremmo avere problemi all’utilizzo degli stoccaggi. Non è la stessa cosa per i tedeschi che hanno contato sempre e soprattutto sul gas russo a buon mercato e continuo nelle forniture. Per loro, che pure hanno in vista la costruzione di sei ri-gassificatori (non ne avevano nemmeno uno) e hanno comunque i loro depositi per l’inverno, se non ci sarà il gas tradizionale, anche quegli stoccaggi saranno praticamente inutilizzabili. Gli attentati contro le tubazioni di North Stream Uno e Due fanno realmente correre ai tedeschi un rischio di de-industrializzazione perfino molto maggiore di quello cui andiamo incontro noi. Se, tuttavia, tutta la quantità globale necessaria all’Europa e alle sue industrie si potrà reperire in un modo o nell’altro, il problema sono gli enormi aumenti di costo per la nostra energia. Aumenti che Paesi produttori, o che continueranno a riceverne solo via tubi, non soffriranno nella stessa dimensione. È facile immaginare il livello della futura competitività delle merci europee sul mercato internazionale.
Per concludere, nessuno può non condannare l’invasione armata russa di uno Stato straniero, così come nessuno può far finta di non aver visto le angherie (e i colpi di artiglieria) cui sono stati sottoposti i russi etnici di Ucraina e l’”abbaiare” della NATO contro la Russia (citazione da Papa Francesco). Vorrei però chiudere citando il ministro francese dell’economia Bruno Lemaire, il quale ha avvertito che non dovrebbe essere permesso agli Stati Uniti di dominare il mercato mondiale dell’energia mentre la UE soffre sola delle conseguenze del conflitto in Ucraina. Lo stesso Lemaire ha precisato: “Il conflitto in Ucraina non deve finire col il dominio economico americano e un indebolimento della Ue”.
 
Art. veramente molto Interessante.

GAS: CHIUDERE ALLA RUSSIA PER SOTTOSTARE AL DOMINIO USA
20 Ottobre 2022

È comprensibile che un qualunque governo di fronte a un accadimento o a una decisione inevitabile che porterà conseguenze negative per tutta la popolazione, cerchi di evitare la diffusione di paure o panico tra i suoi cittadini. In quei casi, “indorare la pillola” può costituire il minore dei mali e perfino qualche spudorata menzogna può essere indispensabile per evitare conseguenze peggiori. Perfino in una democrazia, se chi gestisce temporaneamente il potere non può evitare che quell’evento succeda o che tale decisione sia presa, deve poter mentire a fin di bene. Diverso, e non altrettanto accettabile, sarebbe il caso di quei governi che prendono decisioni sbagliate o addirittura controproducenti e poi raccontano falsità per coprire i propri errori. Molto spesso sarà solo la storia a poter dare un giudizio di merito su quei comportamenti e a valutare se scelte diverse sarebbero state di miglior beneficio o se quanto fatto e detto fosse stato davvero la soluzione ottimale.
Purtroppo, guardando alla crisi energetica in corso che colpisce (soprattutto) l’Europa e che sta portando verso la strada della sua possibile de-industrializzazione, il dubbio che le scelte fatte dai governi europei e le rassicurazioni che dispensano fanno sorgere più di un dubbio sulla saggezza dei nostri governanti. È indubbio che gli aumenti dei prezzi dell’energia abbiano cominciato a lievitare anche a causa del Covid-19 e di quello che ne sta seguendo, ma è altrettanto certo che le decisioni di porre sanzioni alla Russia per il suo comportamento verso l’Ucraina abbiano di molto peggiorato la situazione e preludano a una crisi energetica di lunghissimo periodo. Non è ora il caso di ritornare sulla questione di chi sia stata la maggiore responsabilità nella decisione russa di invadere proditoriamente l’Ucraina perché se ne è già scritto in precedenza. E’ invece il momento di considerare quanto ci sia di vero nelle affermazioni che il gas russo sia sostituibile a breve termine e se le riserve dello stesso in nostro possesso siano sufficienti ad affrontare il periodo invernale.
Innanzitutto rendiamoci conto, una volta per tutte, che il gas liquefatto e poi re-gassificato costa e costerà sempre molto di più di quello che arriva tramite tubazioni. La ragione è semplice: il secondo arriva nelle nostre centrali nelle industrie e nelle case già pronto per l’Uso e la posa delle tubazioni internazionali è già stata ammortizzata. Quello liquefatto, al contrario, per essere utilizzato deve passare attraverso tante lavorazioni. Se poi la sua origine non è una riserva naturale bensì lo si ottiene via fracking occorre allora considerare anche gli enormi danni ambientali necessari per averlo. Una volta disponibile, sono necessari impianti appositi per sottoporlo a trattamenti di depurazione e disidratazione e solo in seguito lo si può liquefare portandolo a meno 160 gradi celsius. Fatto ciò, si deve caricarlo su particolari navi refrigerate che ne mantengano la temperatura fino a destinazione. Infine, lo si potrà scaricare presso le strutture riceventi che lo riscalderanno adeguatamente per farlo tornare gassoso e poterlo immettere nella locale rete di distribuzione. Tutto questo processo è molto più delicato e tecnologico di quanto possa sembrare a prima vista poiché il gas liquido è molto più infiammabile di quello gassoso e, in tutti questi passaggi, un cambiamento di temperatura non previsto e incontrollato potrebbe causarne l’esplosione o provocare ingenti danni ambientali. Nel 1984, in un sobborgo di Città del Messico (San Juanico) la fuoriuscita da uno o due serbatoi sferici da 1.600 metri cubi in un deposito di gas liquefatto fu seguita da incendi ed esplosioni anche dei serbatoi cilindrici e causò la morte di circa 500 persone e 7000 feriti nelle abitazioni dell’area limitrofa. Le tecniche conosciute attualmente hanno ridotto al minimo i rischi di incidenti ma tutte le misure necessarie hanno un costo elevato (le navi non sono semplici navi cisterna come per il petrolio, ma necessitano di doppio scafo e di altre precauzioni. Ugualmente avviene per le strutture di partenza e di arrivo). È quindi naturale che, oltre al prezzo del trasporto, si mettano in conto anche tutte queste misure.
È inoltre bene sapere che oggi non ci sono molte navi già adatte alla bisogna e vanno costruite. La sola Cina ha ordini in portafoglio per circa il cinquanta percento delle navi in cantiere in tutto il mondo. Il tempo per fabbricare una nave gasiera è minimo di due anni e il noleggio di una nave da almeno 170mila metri cubi già disponibile sulla rotta atlantica arriva attualmente a 397.000 dollari americani (all’inizio dell’estate era “solo” di 75.000 dollari).
Costi a parte, consideriamo, comunque, il gas come già arrivato. Dove scaricarlo? E quanto siamo in grado di riceverne e trattare?
I rigassificatori italiani in funzione sono per ora tre: Porto Viro, in provincia di Rovigo è il GNL Adriatico, con una produzione annua di 8 miliardi di metri cubi di gas; Panigaglia, in provincia di La Spezia ha una produzione annuale di 3,5 miliardi di metri cubi e una nave tra Livorno e Pisa vanta una capacità annuale di 3,7 miliardi di metri cubi. Un quarto è in discussione a Piombino: si tratterebbe di una nave che opererebbe dalla banchina per tre anni e sarebbe poi spostata in mare aperto. Questa potrebbe arrivare a produrre circa 5 miliardi di metri cubi, sempre che il progetto vada a finire positivamente, viste le contestazioni locali. Secondo l’ex-ministro Cingolani, con l’attivazione dell’impianto di Piombino noi avremmo ridotto dal 39 al 20% del nostro fabbisogno la nostra dipendenza dal gas russo e nella seconda metà del 2024, tramite due ulteriori ri-gassificatori, potremmo esserne totalmente indipendenti. Badate bene: non ora, bensì tra circa due anni! E nel frattempo? Ovviamente dovremo continuare a importarne dall’odiato Putin. Tuttavia cosa succederebbe se i russi per ritorsione interrompessero le forniture? Beh, allora saremmo davvero nei pasticci!
I nostri politici ci tranquillizzano dicendoci che abbiamo le scorte già vicine al 100% della loro capacità e questa potrebbe essere una notizia che dovrebbe fugare ogni paura. Invero, la lungimiranza della nostra SNAM e dei precedenti governi ci hanno messo in condizione di avere la maggior capacità di stoccaggio di tutta l’Europa. Per dare un esempio, Cipro, Estonia, Finlandia, Grecia, Irlanda, Lituania, Lussemburgo e Slovenia non hanno alcun deposito. Purtroppo però, anche nel nostro caso, le rose ci sono ma sono meno brillanti di quanto ci viene raccontato. Infatti, quel che non si dice (o forse i nostri politici sembrano non saperlo. O lo tacciono volutamente) è che per mettere in rete il gas dai depositi è necessario utilizzare il gas proveniente dai tubi di superficie e, senza di esso, avere o non avere i depositi pieni è la stessa cosa. Infatti, per creare la necessaria pressione affinché il gas sia distribuito nella rete nazionale è necessario intervenire subito allo sbocco dai magazzini. Ciò viene normalmente fatto grazie alla pressione già esistente data dal gas in arrivo attraverso i tubi internazionali con una percentuale che, all’incirca, potrebbe corrispondere al 10% del totale (cioè: su cento, novanta è già nei tubi e 10 viene dagli stoccaggi). Il gas naturale immagazzinato non può essere massicciamente immesso in una conduttura vuota perché il differenziale di pressione lo farebbe immediatamente espandere e congelare, intasando così gli stessi tubi. Pensare che senza l’aiuto del gas naturale che scorre nei gasdotti le riserve possano sostituirlo è una pura illusione. Per farlo uscire dai depositi e immetterlo in rete occorre dargli una giusta pressione e se lo si volesse fare con altri gas o in qualunque altro modo, lo si diluirebbe in modo tale da non renderlo più correttamente utilizzabile dai vari consumatori.
Va comunque precisato che anche i volumi di gas presenti nei vari depositi non possono mai essere utilizzati completamente poiché una parte di quel gas serve per mantenere la dovuta pressione all’interno. Infatti la pressione interna dei siti deve costantemente essere controllata per evitare incidenti di vario genere, tipo esplosioni o dispersione. Una certa percentuale di gas contenuto va comunque perduta a causa di fessure, attrito, porosità o permeazione delle “caverne” che lo contengono.
In Italia, sempre per una lungimiranza del passato, abbiamo gasdotti che arrivano anche dall’Algeria, dalla Libia e (recentemente) dall’Azerbaigian e quindi non dovremmo avere problemi all’utilizzo degli stoccaggi. Non è la stessa cosa per i tedeschi che hanno contato sempre e soprattutto sul gas russo a buon mercato e continuo nelle forniture. Per loro, che pure hanno in vista la costruzione di sei ri-gassificatori (non ne avevano nemmeno uno) e hanno comunque i loro depositi per l’inverno, se non ci sarà il gas tradizionale, anche quegli stoccaggi saranno praticamente inutilizzabili. Gli attentati contro le tubazioni di North Stream Uno e Due fanno realmente correre ai tedeschi un rischio di de-industrializzazione perfino molto maggiore di quello cui andiamo incontro noi. Se, tuttavia, tutta la quantità globale necessaria all’Europa e alle sue industrie si potrà reperire in un modo o nell’altro, il problema sono gli enormi aumenti di costo per la nostra energia. Aumenti che Paesi produttori, o che continueranno a riceverne solo via tubi, non soffriranno nella stessa dimensione. È facile immaginare il livello della futura competitività delle merci europee sul mercato internazionale.
Per concludere, nessuno può non condannare l’invasione armata russa di uno Stato straniero, così come nessuno può far finta di non aver visto le angherie (e i colpi di artiglieria) cui sono stati sottoposti i russi etnici di Ucraina e l’”abbaiare” della NATO contro la Russia (citazione da Papa Francesco). Vorrei però chiudere citando il ministro francese dell’economia Bruno Lemaire, il quale ha avvertito che non dovrebbe essere permesso agli Stati Uniti di dominare il mercato mondiale dell’energia mentre la UE soffre sola delle conseguenze del conflitto in Ucraina. Lo stesso Lemaire ha precisato: “Il conflitto in Ucraina non deve finire col il dominio economico americano e un indebolimento della Ue”.
https://www.notiziegeopolitiche.net/gas-chiudere-alla-russia-per-sottostare-al-dominio-usa/
 
We are very pleased to publish below an interview with Carlos Miguel Pereira Hernández, Cuba’s ambassador to China, conducted by People’s Daily and published in Chinese on 13 October. The unabridged English translation has been provided to us by the Cuban Embassy in Beijing.
Timed to coincide with the 62nd anniversary of the establishment of diplomatic relations between the Republic of Cuba and the People’s Republic of China, the interview gives an overview of the history and contemporary reality of relations between the two countries.
Noting that revolutionary Cuba was the first country in the Western hemisphere to extend diplomatic recognition to the People’s Republic of China – in 1960, just a year after the 26th of July Movement came to power – Pereira references the role played by Chinese immigrants in Cuba’s independence struggle. He points out that Cuba and China consider themselves “mutual referents in the construction of socialism with our own characteristics” and notes that President Miguel Díaz-Canel describes Cuba-China ties as “paradigmatic”, and President Xi Jinping describes them as those of “good friends, good comrades and good brothers”.
Describing the cooperation between China and Cuba fields in a vast array of fields, Comrade Pereira expresses confidence that the relationship will continue to deepen.

https://libya360.wordpress.com/2022...hip-of-solidarity-friendship-and-cooperation/
 
The « Global Reset » as the Dystopia of Infinite Crisis

Posted by INTERNATIONALIST 360° on OCTOBER 25, 2022

Rafael Bautista S.
Business now needs the apocalypse to reboot the system. Accumulation by dispossession has entered its most harmful cycle, with a war led by a neo-Nazism encouraged and financed by the European powers themselves, as a sign of their existential misery.

The crises that develop in the modern world have always implied the indication of a reset, a “restart of the system”. Resetting consists in returning something to its “original state”. This is something recurrent in the history of the crises of capitalism: to return to the “original state” as the substitute paradise of an order without contradictions. An order without contradictions as “original state” is, of course, an invented ideal model; but an order without contradictions is not an order but inertia, and if inertia (the automatism of the market or perfect competition, for example) is the dynamic that imposes every “restart of the system”, that is, subordinating and forcing the real to the ideal, then crises are no longer an accidental but a systemic phenomenon.

https://libya360.wordpress.com/2022/10/25/the-global-reset-as-the-dystopia-of-infinite-crisis/
 
QUESTO SI CHE è UN'ART. CON I CONTRO C...I :bow:

Strategic Suicide: The Implosion of Europe
Posted by INTERNATIONALIST 360° on OCTOBER 24, 2022
Fabrizio Casari
The conflict in Ukraine has had major repercussions in Europe. The EU is certainly weaker today than in February 2022. The crisis is economic, political and identity-related and is caused by an Atlanticist fundamentalism devoid of reason that has annihilated the contours of the Old Continent. The EU has become “collateral damage” in the conflict between Russia and Ukraine, stifling the Europeanist dream conceived since its birth.


The Ukrainian conflict has seen it abdicate its role as guarantor of the Minsk Agreements: Europe has shone for its ideological fundamentalism, dusting off from the archives of the 1930s and 1940s the rhetorical arsenal of Russophobia. It has provided the clique in Kiev with the keys to its policy towards Russia, despite the fact that the Zelensky government is a regime with neo-Nazi, corrupt and despotic overtones, founded on the repression of dissent and information, on internal cultural and linguistic apartheid, violator of the Minsk Agreements of which the EU was the guarantor, author of a nine-year-long veritable butchery against the population of the Donbass.
And when one hears the words of the Finnish Prime Minister, Sanna Marin, calling to attack the Russian civilian population and to build a wall for immigrants on the border with Russia, one perceives the stench of Nazism, already abundantly present in Poland.


The hardest **** to Europe has been the severing of trade relations with Russia. Surrendering hand and foot to an international raw materials market whose price and supply volatility has been and is the most dangerous element for European energy stability. To think of eliminating dependence on Russian gas by assuming an even greater dependence on countries that are extremely susceptible to political pressure and market speculation is the most ill-advised maneuver.
Moreover, the renunciation of Russian hydrocarbons nips in the bud the possibility of a post-pandemic economic recovery. The cessation of gas and oil purchases from Moscow implies an increase of more than 500% in energy expenditure, which weighs on the EU coffers and which, for at least five years, will be both the reason for a progressive depreciation of the Euro and the greatest impediment to development and the reduction of poverty on a continental scale, which affects 22% of the population.
The repercussions on foreign policy are also evident: the EU, with the break with Moscow, has chosen to renounce its political, commercial and security influence in the Eurasian sphere, to reduce its understanding with China and to limit its capacity of influence in the countries of North Africa.
This last feature, also strategic, refers to the assumptions of a European army, which was supposed to represent the foreign policy and strategic interests of the EU. Well, the assumptions in this respect have definitely collapsed with the Ukrainian crisis; with the handover of the political representation and the war apparatus to NATO, the funeral of military Europe is taking place.
In this last aspect there are two mistaken convictions: one is to believe that the United States can defeat Russia and China, reducing them to regional powers incapable of counteracting Washington’s global dominance. The other, equally mistaken, sees in the military might of the United States the protective umbrella of the entire West.
Neither the first nor the second is useful; in its history the United States has lost every war in which it has been involved and they have decided what to do and when to do it solely and exclusively according to their own particular interests and not those of the West as a whole. The latest example is the flight from Kabul without even notifying the European military commanders.
Finally, the disagreements within the EU have called into question one of the fundamental issues of the Brussels decision-making mechanisms: the unanimous vote required for the adoption of measures. True, this is the symbolic element of the unity of the continent, but the Atlanticist mystique provides for rules of variable geometry: when they are convenient, they are respected, when they are not, they are ignored, when they risk defeat, they are altered.
Euthanasia for a historic gamble
In more general terms, the role of military cobelligerence that the EU decided to play in the Ukrainian conflict, which has reached levels of submission never before seen, stems from the total political dependence on Washington’s will.
Washington succeeded in forcing Europe to break off relations with Russia; it has condemned the EU to dependence on the United States in the field of energy; it has plunged the European economy into a deep crisis, thus weakening an important competitor on the markets; it has restored the gap between the dollar and the euro; it has deepened the differences and collision with Beijing.
In short, it has created the conditions for Brussels to enter the besieged fortress of the West, forcing it to embrace the cause of American unilateralism which, incidentally, does not defend European interests at all.
Seen from Brussels, the picture has become a distressing prospect: the world’s richest market has become a protectorate. To the historical definition of Europe as an economic giant, a political dwarf and a military worm, has been added that of nonexistent identity. The strategic suicide is consummated, yesterday’s colonizers are today’s colonized.

https://libya360.wordpress.com/2022/10/24/strategic-suicide-the-implosion-of-europe/
 
On October 23, 2022, the Russian Minister of Defense spoke by telephone with the Ministers of Defense of the United States, France, the United Kingdom and Turkey. Sergei Choïgou addressed the situation in Ukraine, and above all expressed Russia’s concerns about possible provocations by Ukraine with the use of a dirty bomb ( conventional bomb surrounded by radioactive materials which will be dispersed during the explosion ).
The next day, the head of the NRBC risk protection troops ( Russian Biological and Chemical Radiological Nuclear ), Lieutenant General Igor Kirillov, held a press conference on the risk of a provocation by Ukraine using a dirty bomb. The goal is to try to isolate Moscow on the international scene by masquerading Russia as a terrorist state that has used nuclear weapons against a country that does not have them.
But in my opinion it is not the only goal sought both by Kiev, by London, Washington, or even Brussels. A provocation with the dirty bomb would allow Ukraine to secure Western support for weapons and money, by strengthening anti-Russian propaganda in the West, and by serving as a diversion from the growing social tensions which are becoming problematic in Europe.

https://libya360.wordpress.com/2022...-kakhovka-dam-the-dangerous-games-of-ukraine/
 
Dopo l’incontro fra Raisi e Aliyev ad Astana, un portavoce del Presidente iraniano ha reso noto che l’Iran non accetta alcuna presenza militare europea nell’area, qualsiasi sia la copertura o il mandato sotto cui si presenta.
Riferimento alla missione di monitoraggio cominciata la scorsa settimana in Armenia da parte di una modesta delegazione di 40 persone con un mandato di due mesi. Ma l’Osce ha rincarato la dose, avvisando dell’arrivo di una nuova delegazione tra il 21 e il 27 ottobre. Assessment mission, missione di valutazione. Ma Raisi è stato chiaro: nessuna interferenza lungo tratta storica di transito fra Iran e Armenia. E il benvenuto di Teheran agli osservatori europei è stato di quelli che non necessitano biglietti di accompagnamento. Quantomeno, se uno è intelligente e sveglio.

domenica il ministro delle Difesa russo, Serghei Shoigu, ha avuto colloqui con i suoi omologhi statunitense, britannico, francese e turco per metterli in guardia dall’intenzione ucraina, vista la mala parata, di dar vita a un’operazione di false flag con una bomba sporca nell’area di Kherson, al fine di costringere i Paesi Nato a un intervento diretto contro la Russia. Ovviamente, le controparti hanno bollato la messa in guardia come provocazioni e falsità. Ma da Parigi è giunto anche altro. Ovvero, un allarme rispetto al fatto che la crisi stia spingendosi verso un’escalation incontrollabile. Contemporaneamente, da Roma dove era ospite della Comunità di Sant’Egidio, Emmanuel Macron dichiarava che la pace è possibile ma dipende da una decisione in merito degli ucraini. Nel frattempo, la 101ma Divisione dell’esercito Usa è pronta a intervenire dalla Romania, dove si trova a ridosso del confine ucraino a seguito della sua preoccupante dislocazione decisa da Washington. Si tratta della prima volta dalla Seconda guerra mondiale. Siamo pronti a difendere ogni singolo pollice del suolo Nato, ha dichiarato alla CBS il generale di brigata, John Lubas. E il corrispondente embedded dell’emittente Usa, Charlie D’Agata, nel suo servizio ha sottolineato come le Screaming Eagles siano totalmente pronte ed equipaggiate per varcare il confine ed entrare in territorio ucraino in qualsiasi momento.

l’Iran pronto a qualsiasi ipotesi per difendere e riaffermare la sua presenza su quella che è storicamente la Heartland, la terra di mezzo fra Europa e Asia che nessuna talassocrazia può conquistare. E uno Xi Jinping in versione maoista e con il Politburo normalizzato dopo una vera e propria notte dei lunghi coltelli che ha visto estromesso persino il Governatore della Banca centrale.

https://www.ilsussidiario.net/news/...qPMItYK5CT-KmQme_ZYj69CuEalEnBhySTGLsavnvxTnU
 
L’obiettivo strategico di Mosca appare quindi triplice: mettere in crisi il sistema di rifornimenti delle truppe in prima linea, impedire a Kiev di esportare parte della sua produzione elettrica nei Paesi europei già in forte deficit energetico e minare il consenso popolare nei confronti del governo ucraino complicando la vita della popolazione poiché l’assenza o la carenza di energia elettrica condiziona pesantemente anche il pompaggio idrico, il riscaldamento e la rete Internet.
Benché in Europa e USA prevalga la retorica che identifica la causa ucraina con quella della libertà e della democrazia è meglio non dimenticare che Volodymyr Zelensky ha messo a tacere ogni opposizione mettendo fuori legge ben 12 partiti politici e penalizzando ogni dissenso intellettuale o giornalistico con una legge che punisce con il carcere chi esprime valutazioni sul conflitto difformi da quelle ufficiali governative. Un tema - quello del dissenso nei confronti del regime di Kiev - legato anche alla mobilitazione generale, alle gravi perdite in combattimento e alle pessime condizioni di vita, e quasi del tutto ignorato dai media occidentali, ma che potrebbe avere un peso nelle capacità future di Zelensky e del suo governo di gestire il conflitto.
L'Istituto per lo studio della guerra (ISW), think tank statunitense allineato sulle posizioni anti-russe, valuta che Mosca voglia indebolire la volontà degli ucraini di combattere e costringere il governo a impegnare risorse aggiuntive per proteggere i civili e le infrastrutture energetiche, invece di indirizzarle nella controffensiva sui fronti bellici a est e sud. «La campagna russa che prende di mira le infrastrutture energetiche ucraine sta creando una tragedia umanitaria senza alterare in modo significativo la situazione sul campo di battaglia, poiché le interruzioni di corrente combinate con il clima invernale e i danni alle case aumenteranno solo la sofferenza dei civili», scrivono gli esperti dell’istituto americano che sembrano però dimenticare due aspetti. Il primo è che il blocco al sistema energetico ucraino paralizza anche le capacità logistiche e industriali ucraine; il secondo è che bombardamenti mirati esclusivamente su obiettivi civili privi di infrastrutture strategiche vengono effettuati da mesi dall’artiglieria di Kiev sul centro abitato di Donetsk, “capitale” dei secessionisti dell’omonima regione del Donbass.
Inoltre, l’offensiva condotta con droni kamikaze Geran-2 di concezione iraniana e missili da crociera smentisce le ipotesi circa l’imminente esaurimento delle scorte di armi di precisione a lungo raggio russe (ventilata in più occasioni da diverse fonti occidentali fin dall’aprile scorso), evidenziando come Mosca avesse finora cercato di risparmiare agli ucraini la paralisi dei servizi essenziali. Una ulteriore prova che i russi hanno avviato l’“Operazione militare speciale” puntando a trovare rapidamente un accordo per chiudere il conflitto annettendo le quattro regioni interessate dai referendum di fine settembre.


https://lanuovabq.it/it/la-nuova-st...EPLrhTPZ5KEVUPBp7UgnXKcKSrRntxF-7UWw2OFlWw1Ic
 
La guerra all'Est purtroppo è stata la prova che l'Europa non esiste, se non come paradosso burocratico.
 
La guerra all'Est purtroppo è stata la prova che l'Europa non esiste, se non come paradosso burocratico.

l'unione europea è nata come intermediario tra occidente ed Eurasia e purtroppo l'eu non ha mia avuto la possibilità di avere un ruolo strategico se non come pedina dell'occidente.
Fin dall'inizio della caduta del blocco sovietico, voluta a proposito dall'allora vecchio amico americano
Gorbačëv e poi dal suo successore El'cin, la politica estera americana si è ampliata notevolmente.
 
:D:D:D che casino.......sembrano delle galline in un pollaio.

a parte che scherzi, Orsini ovviamente pensando in termini strategici e geopolitici ha una visione decisamente più larga confronto a coloro che non hanno mai aperto o studiato studi strategici.

Hanno sempre, gli occidentali, portato avanti la strategia Brzezinski

 
Ultima modifica:
Il Regno Unito farà chiudere le sedi dell'Istituto Confucio

Il nuovo premier britannico, di origine indiana, annuncia che farà chiudere le sedi dell'Istituto Confucio nel Regno Unito. L'Istituto Confucio, come il British Council o la Società Dante Alighieri, si limita a favorire lo studio della lingua e della cultura cinese, non è una diabolica operazione di guerra psicologica architettata dallo SM cinese. Possono senz'altro esservi agenti segreti cinesi - o britannici, italiani, etc. - che si accreditano come dipendenti dell'Istituto Confucio, del British Council, etc. Se esso viene chiuso, le spie si accrediteranno con una diversa "leggenda".

Insomma l'Istituto Confucio è - meraviglia! - una istituzione culturale, preziosa per introdursi alla conoscenza di una lingua (difficile) e di una cultura (antichissima, ricchissima, molto diversa dalla nostra e, nel caso di specie, dalla britannica).

Dunque, anche dal ristrettissimo pdv della sicurezza nazionale britannica, abolire l'Istituto Confucio è una decisione autolesionista, perché se lo UK designa la Cina come nemico, dovrebbe fare di tutto per migliorare la conoscenza il più possibile diffusa della cultura cinese, così allargando il bacino di potenziali reclute necessarie per l'analisi delle tendenze in atto in Cina (ovviamente per combattere con successo un nemico è indispensabile conoscerlo meglio che si può). Questa decisione del nuovo Premier britannico è insomma una decisione del tutto stupida, e chi l'ha presa è, almeno sotto un profilo importante della sua personalità, un *********.

Quali sono le giustificazioni di questa *********tà di un uomo che, a giudicare dal suo CV, per altri versi ********* non è? Vediamo. La prima e la più facile è l'effetto "spin": così, sui media il Premier fa la bella figura del decisionista che schiaffeggia la grande potenza cattiva e comunista, e si appella alle inclinazioni più stupide e identitarie del suo elettorato. La seconda giustificazione è una cosa più seria e più grave: l'idea che la cultura sia un'arma direttamente politica, perché all'azione politica si affida il compito di creare la cultura, censurando e promuovendo a seconda degli interessi politici in vigore; o per dir meglio, il cortocircuito tra politica e cultura, la quale ultima viene integralmente politicizzata, ed è vero, interessante, valido, fruttuoso quel che è politicamente utile, mentre è falso, superfluo, dannoso e sterile quel che non lo è: perché quel che è politicamente utile o meglio "politicamente corretto" è CULTURALMENTE VALIDO ed ETICAMENTE GIUSTO. Questa è in effetti la tendenza che prevale nell'attuale pensiero dominante occidentale, ed è, va da sé, la MORTE della cultura (e l'iniezione letale per l'intelligenza di chi ci casca).

Sino al termine della Guerra Fredda, i due grandi campo geopolitici trovavano, seppur tra varie difficoltà, un terreno di comprensione culturale comune sulla base dell'umanesimo borghese, certo diversamente interpretato, ma formante un campo di intesa e di comunicazione nel quale i nemici potevano continuare a intendersi reciprocamente come uomini aventi pari dignità, pari possibilità di affrontare "i problemi che nessuno può risolvere per noi", ossia gli interrogativi perenni che si pongono da sempre e per sempre agli uomini e alle loro civiltà, una delle principali funzioni della cultura, da sempre. Purtroppo, l'umanesimo, che è una gran bella cosa, è molto fragile, perché il suo fondamento è il senso religioso, la capacità di rivolgere la propria attenzione al grande mistero che ci supera e ci contiene come l'amnio contiene il bambino nel grembo materno; per farla corta e un po' semplicistica il fondamento dell'umanesimo è Dio, parola nella quale ciascuno, e ciascuna civiltà, scorgerà significati diversi, e mai esaustivi perché come disse nel XV secolo Nicola da Cusa, la verità è infinita, e noi possiamo approssimarci ad essa come un poligono si inscrive nel cerchio, ossia mai perfettamente finché il poligono non diviene cerchio esso stesso, ciò che accade solo quando ce ne andiamo all'altro mondo e la realtà del Vero ci sommerge.

Dio non va forte sull'attuale mercato delle idee e delle sensibilità, sembra addirittura che sia un prodotto obsoleto, come un modello di automobile d'epoca non più in fabbricazione: lo si vede ancora circolare nelle strade ma non si può più acquistare dal produttore, sparito da decenni; tocca impazzire per trovare i pezzi di ricambio e si finisce per dover supplire con un difficile, precario faidate. Suscita ancora un po' di curiosità e magari di ammirazione per la sua eleganza, come quando vedi passare una Isotta Fraschini e ti sovvengono scenari Liberty high brow, le vestaglie di Fortuny, Proust che va a cenare al Ritz, le grandes horizontales, e altri ricordini farlocchi ma piacevoli (per cinque minuti). Poi si riprende a vivere la vita vera.

Però è difficile, vivere "la vita vera" ossia sta roba che ci succede ogni minuto, viverla senza Dio; molto difficile. Difficile vivere e difficile pensare.

Invece, è facile diventare *********.

-di Roberto Buffagni-

#TGP #UK #Politica
 
Il Washington Post: urge creare una comunicazione stabile con Mosca

"È tempo di discussioni urgenti su come evitare che questa terribile guerra diventi qualcosa di enormemente peggiore”. Così David Ignatius sul Washington Post, in un articolo in cui spiega che Biden dovrebbe prendere sul serio le aperture fatte da Putin nel discorso tenuto al Forum di Valdai (1).

L’urgenza di Ignatius è dettata

dall’imprevedibilità della guerra, nella quale possono innestarsi variabili impazzite. La Casa Bianca, spiega, ha chiarito a Kiev che il suo sostegno è forte, ma non “illimitato”, tanto è vero che ha negato sia la no-fly zone che la fornitura di missili a lunga gittata.

L’allarme sulla “bomba sporca” ucraina
E questo anche perché Kiev “sembra disposta a correre rischi sempre maggiori”, che potrebbero dar vita a un’escalation, come dimostra l’attentato a Darja Dugina, figlia dell’ideologo del Cremlino Aleksandr, come accenna Ignatius, e altro.

E sembra che tale spinta si sia ripetuta nei giorni scorsi, quando Mosca ha allarmato sull’incombente uso di una bomba sporca da parte di Kiev. L’Occidente ha rigettato l’allarme, ritorcendo le accuse contro la Russia stessa. Una reazione che Ignatius sposa. E però…

Ecco però… Così scrive Ignatius, “è anche possibile che Putin ci credesse davvero e pensasse di avere prove”. Così, dopo aver ricevuto l’allarme, aggiunge il cronista, la Casa Bianca, “ragionevolmente, pur respingendo le accuse, si è mossa rapidamente per incoraggiare un’indagine da parte di Rafael Grossi, il capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica delle Nazioni Unite”.

“Per facilitare il viaggio di Grossi in Ucraina, alti funzionari della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato hanno chiamato le loro controparti ucraine. In 24 ore, l’amministrazione Biden ha creato un forum internazionale per disinnescare questa crisi (almeno momentaneamente) e affrontare la forte denuncia della Russia”.

Ovviamente Ignatius non poteva che affermare che l’allarme di Mosca era una boutade, se non peggio. Ma immaginare che al Pentagono abbiano mosso mari e monti solo in base a una boutade di Mosca è alquanto ingenuo. Evidentemente c’era qualcosa e quel qualcosa, per ora, è stato disinnescato.

E proprio questo allarme deve aver spinto Ignatius a scrivere il suo pezzo, nel quale, pur ribadendo che spetta a Kiev decidere del destino della guerra, urge l’America a stabilire contatti sottotraccia stabili con Mosca per evitare il ripetersi dei rischi.

Resta che stiamo fornendo armi a un regime folle, o meglio a un regime gestito da circoli internazionali consegnati alla follia, come dimostra la vicenda della “bomba sporca”. E continuare su questa strada non promette nulla di buono. Se il rischio di cui sopra è stato evitato, non è detto che potrà esserlo in futuro. E ripetere che spetta a Kiev decidere, quando la pace del mondo è così a rischio, è assurdo, per non dire altro.

La notizia inventata

Purtroppo non si intravede alcuno spiraglio positivo. Tutte le iniziative diplomatiche vengono soffocate. Come evidenzia anche quanto accaduto ieri, giorno in cui su stampa e Tv è rimbalzata la notizia che Biden avrebbe detto che “non ha alcuna intenzione di incontrare Putin al G – 20”.

Abbiamo cercato la provenienza di questa affermazione. Nel lancio Ansa si riporta solo che a riferirlo è stata la Casa Bianca, altrove viene specificato che sarebbe stata fatta durante la conferenza stampa tenuta ieri dall’addetta stampa della Casa Bianca Karine Jean-Pierre e dal portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby.

Abbiamo letto e riletto il briefing pubblicato sul sito ufficiale della Casa Bianca, esplorato il testo con la funzione “cerca” (caricando nell’apposito spazio il testo riferito dai media internazionali e parte di esso) e… sorpresa: di tale dichiarazione non c’è traccia…

L’unica traccia trovata – che contiene parte del testo – si riferisce a Putin, nel punto in cui Kirby dice: “Putin non ha intenzione di sedersi presto al tavolo dei negoziati”.

Il punto è che è tale la paura del partito della guerra che i due possano incontrarsi da inventarsi notizie inesistenti, che i media internazionali subordinati rilanciano senza alcuna verifica.

Combattere la Russia all’ultimo sangue, ma ucraino

Ma perché inventarsi una simile dichiarazione? Perché ieri Putin, parlando al Forum Valdai, aveva accennato all’ipotesi che potesse recarsi al G – 20 di Bali. Certo, non aveva aggiunto che intendeva incontrare Biden, ma anche la mera ipotesi che accada deve essere esclusa.

E tale mera possibilità, nonostante tutte le forze di contrasto, era stata espressa chiaramente dal presidente Usa quando gli era stata posta la domanda: “Senti, non ho alcuna intenzione di incontrarlo [Putin]. Ma per esempio, se venisse da me al G20 e dicesse che voglio parlare del rilascio della Griner [cittadina Usa prigioniera in Russia], lo incontrerei. Voglio dire… dipende” (2).

Al di là della possibilità di un tale incontro, ad oggi remota, restano i rischi collegati a questa guerra, che un contatto costante, sottotraccia, tra Stati Uniti e Russia, come da auspicio di Ignatius, non dissiperebbero.

L’idea di tenere aperta questa guerra per procura contro la Russia evitando i rischi di escalation resta estremamente pericolosa perché rimane esposta alle interferenze indebite degli ambiti che stanno manovrando nell’ombra per l’escalation. Tant’è.

Siamo entrati nel decennio più pericoloso dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ha detto Putin al Forum citato. E così è, come sanno in tutte le Cancellerie del globo, che nulla fanno per spegnere l’incendio, anzi.

Ma in ballo non ci sono solo i rischi per il pianeta. C’è anche il costo che sta sopportando il popolo ucraino. All’inizio del conflitto, Blair aveva scritto: c’è una guerra in corso tra i Paesi anglosassoni, che guidano la nuova crociata contro Hitler reincarnato a Mosca, ma “i combattimenti saranno condotti dagli ucraini”, i quali “dicono che combatteranno fino all’ultima goccia di sangue”. Già, fino all’ultima goccia di sangue…

E così sta accadendo. Ma dubitiamo fortemente che gli ucraini siano tutti concordi sul punto. Il fatto è che ormai nessuno in Ucraina può dare voce a chi voce non ha, essendo stati chiusi tutti i media di opposizione, dichiarati decaduti tutti i partiti non di governo e, all’interno dello stesso governo, estromessi i vacillanti.

Tutto è rigidamente controllato e a dare voce all’Ucraina è solo la cerchia ristretta prossima a Zelensky, in mano ai circoli di cui sopra. E, sì, combatteranno fino all’ultima goccia di sangue, come chiede chi vuole che questa guerra per procura contro la Russia non finisca mai.

Note:

1) https://www.washingtonpost.com/opini...uclear-threat/ Per una (forse voluta) coincidenza, l’articolo di Ignatius è stato pubblicato il 27 ottobre, giorno che precede un anniversario importante della crisi dei missili cubani del ’62, da tanti (tra cui lo stesso Ignatius) richiamata come esempio da seguire per sbloccare l’attuale. Infatti, il 28 ottobre Cruscev diede l’ordine di ritirare i missili da Cuba, primo passo concreto per la risoluzione della controversia.

2) https://thehill.com/homenews/adminis...20-next-month/

di Davide Malacaria

#TGP #USA #Russia #Ucraina #Geopolitica

[Fonte: https://piccolenote.ilgiornale.it/mo...ile-con-mosca]
 
Le mosse obbligate (e pericolose) delle Banche centrali

Fed e Bce potrebbero cominciare a rivedere il loro ciclo di rialzo dei tassi. Questo però potrebbe avere delle conseguenze pericolose

Non so quanti di voi conoscano lo scandalo della Banca Romana che fu al centro delle cronache italiane fra il 1892 e il 1894 e travolse il Governo Giolitti. Vi invito a documentarvi, al riguardo. Non solo perché rappresenta uno scandalo finanziario ante litteram rispetto alla finanziarizzazione che conosciamo, ma, soprattutto, perché si configura come la madre di tutte le commistioni fra mondo creditizio deviato, imprenditoria rapace e politica corrotta.

Due sono le fondamentali caratteristiche. Primo, alla fine tutti furono assolti. La classica applicazione del principio del tutti colpevoli, quindi nessun colpevole. Secondo, la metodologia con cui il Governatore della Banca Romana garantì – nel decennio precedente all’esplosione dello scandalo – fondi pressoché infiniti per mazzette e ruberie. Il buon Bernardo Tanlongo, infatti, si era inventato un metodo infallibile. Stampava la moneta in più necessaria a colmare i buchi generati dalle sue elargizioni di sistema. Fisicamente. Nel senso che, con la scusa ufficiale di sostituire le banconote usurate in circolazione, dava mandato alla stamperia di Londra abilitata di coniare nuova moneta. Ufficiale e con tanto di filigrana originale. Peccato che la moneta circolante, quella formalmente usurata, non venisse ritirata contestualmente per andare al macero. Restava circolante. Semplicemente, i numeri di serie venivano raddoppiati contando sul fatto che nessuno ci facesse case. Et voilà, la base monetaria raddoppiava anch’essa. E gli ammanchi contabilmente coperti, nonostante la Banca Romana non avesse ovviamente sufficiente ora da porre a garanzia del nuovo conio.

Non male, quantomeno per l’epoca. Non c’erano derivati. Non c’erano swaps. Ma c’era già la contabilità creativa. E la corruzione. Ma, soprattutto, la manipolazione monetaria. Ora pigiate un simbolico tasto di fast forward, come quando volevate mandare avanti veloce un’audiocassetta. Cos’è il Qe perenne in cui viviamo da oltre un decennio, se non l’applicazione più raffinata e politicamente corretta del metodo Tanlongo? E c’è chi ancora lo applica. Chiaramente, nel pieno rispetto della legge. E, anzi, essendo anche preso ad esempio.

È il caso, ovviamente, della patria dell’Abenomics, quel Giappone visto dai cultori del Mmt e del debito che non esiste come la patria d’elezione, il laboratorio permanente di ogni monetizzazione, la fabbrica di quella magica ricetta per il benessere artificiale e infinito chiamato helicopter money. Bene, cos’ha annunciato Tokyo non più tardi del 28 ottobre scorso? Che a fronte del dato inflazionistico CPI più alto dal 1989 (solo il 3%, ma ricordiamoci che stiamo parlando della nazione della lost decade da deflazione cronica), non solo la Bank of Japan ha annunciato l’aumento degli acquisti in seno al Qe, al fine di preservare quella politica sul controllo della curva dei rendimenti (decennale non oltre il cap fisso dello 0,25%) che nelle ultime settimane era andata totalmente fuori controllo nonostante l’intervento costante e gli acquisti pressoché onnivori, ma il Governo ha anche lanciato un programma di stimolo da 200 miliardi di yen per – rullo di tamburi – combattere l’inflazione! Ovvero, la Bank of Japan stampa di più per contrastare gli effetti nefasti dell’aver stampato a ciclo continuo. Disintossicare un alcolizzato con la grappa.

E il Governo pensa di riuscire a calibrare e incanalare ulteriore liquidità nel sistema unicamente verso le spese energetiche, ottenendo così il duplice risultato di combattere gli eccessi che alimentano i dati inflattivi senza l’effetto collaterale di un loro travaso da ampliamento della base monetaria circolante. Praticamente, roba da TSO di massa per l’intero Governo e il board della Banca centrale. E invece, c’è qualcuno che guarda a questa mossa da reparto psichiatrico e auto-combustione di ogni libro di economia esistente al mondo come il colpo di genio che sblocca la situazione. E combatte l’inflazione rendendo tutti più ricchi. Praticamente, il retropensiero di Bernardo Tanlongo e il suo miracoloso caso di contabilità creativa.

Cosa potrebbe andare storto in un mondo perfetto come questo? È presto detto. Ce lo spiegano in prima battuta questi due grafici, i quali mostrano come gli indicatori paiano indicarci che sia il dato inflazionistico globale CPI che l’indice che misura il grado di hawkishness delle Banche centrali – ovvero la predisposizione alla modalità rialzista sui tassi – stiano raggiungendo il loro picco. Anzi, qualcuno scommette che lo abbiano già raggiunto.

https://cdnx.ilsussidiario.net/wp-content/uploads/2022/10/31/CPI.jpg

https://cdnx.ilsussidiario.net/wp-content/uploads/2022/10/31/CB_hawk.jpg

Conseguenza pressoché immediata, la Fed sarebbe pronta a dar vita al cosiddetto pivot della sua politica monetaria: ovvero, mitigare i rialzi per garantire un sostegno all’economia reale che affronta i primi, pesanti rallentamenti pre-recessivi. Magari, già a partire dal board di oggi e domani che potrebbe decidere per un ritocco meno drastico. E lo stesso, stante le proiezioni da film horror dei dati di crescita dell’eurozona, potrebbe essere costretta a fare la Bce, dopo due ritocchi di fila da 75 punti base l’uno, a fronte di un’inflazione che ha visto un calo solo in Spagna e proprio ieri ha toccato il record assoluto di +10,7% in ottobre. Tutto come da copione, almeno per chi mi legge con assiduità.

Qual è il rischio? Ce lo mostra questo terzo e ultimo grafico: stando all’analisi di oltre 320 rilevazioni uniche compiute da Deutsche Bank nei trend storici delle economie di 50 Paesi sviluppati e in via di sviluppo, una volta che l’inflazione ha raggiunto l’8% – dato ampiamente superato a fronte di un CPI medio globale in doppia cifra, per precisione al 10,16% – le economie di Stati Uniti ed Eurozona ci mettono parecchi mesi a registrare una discesa sensibile, stante una media inter-trimestrale rappresentata dall’area di sfondo azzurra e la media dalla linea blu.

https://cdnx.ilsussidiario.net/wp-content/uploads/2022/10/31/Inflation-e1667223686579.jpg

Guardate invece le proiezioni attese dai dots di Bloomberg per il ciclo attuale: questa volta, come tutte le volte dalla crisi Lehman in poi, sarà diverso. Calo repentino e in tempi record. Tradotto, Fed e Bce possono cominciare tranquillamente a rallentare i rialzi. Già adesso. Perché, come ci dissero con i rischi inflattivi legati a una liquidità infinita da Qe, non esistono effetti collaterali da potenziale early pivot del ciclo rialzista. Proprio sicuri? Perché siccome anche i bambini sanno che il mercato equity e obbligazionario è già arrivato a un livello di stress da liquidità e rischio di controparte tale da non reggere altri rialzi, il sospetto è quello di una politica da incidente controllato che ora le Banche centrali devono comunque far terminare.

Tradotto? Prepariamoci a un mondo che dovrà presto rivedere almeno al 3-4% l’obiettivo inflazionistico statutario delle Banche centrali, stante livelli di prezzi strutturalmente più alti per esigenza assoluta di compressione di uno stock di debito pubblico e privato ormai insostenibile. Domanda: i salari godranno di automatica e costante rivalutazione? Risposta: sperateci.

di Mauro Bottarelli

#TGP #FED #BCE #Economia

Fonte: https://www.ilsussidiario.net/news/...e-e-pericolose-delle-banche-centrali/2432053/
 
Ultima modifica:
LA TEORIA DEL MEDITERRANEO ALLARGATO E LA GEOPOLITICA CLASSICA IN ITALIA

Quella di “Mediterraneo allargato” è una definizione che si sente spesso ed è legata alla concezione strategica della postura – politica, diplomatica e militare – dell’Italia nello scenario internazionale e, nello specifico, in quella che è individuata come la sua zona di proiezione e competenza che è l’area vasta compresa tra Gibilterra ed il Golfo di Aden e che include anche il Medio Oriente e l’Africa Centrale.

Il Mare Nostrum rappresenta l’1% delle acque del globo, ma è attraversato dal 20% del traffico marittimo mondiale ed è un’area soggetta, da qualche anno a questa parte, ad una crescente presenza militare, inizialmente visibile principalmente nel dominio marittimo, ed oggi anche terrestre, dando concretezza al pericoloso fenomeno della “territorializzazione” del Mediterraneo e quindi non solo ad una forma di instabilità diffusa ma anche al rischio di conflitti convenzionali.

Tali fenomeni, che stanno emergendo in tutta la loro pericolosità e gravità in questa fase di “globalizzazione regressiva”, erano stati già individuati come rischi potenziali e concreti (contenenti in nuce anche le opportunità come ogni situazione di crisi) dalla scuola geopolitica italiana di Trieste negli anni ’30, in particolare dal suo fondatore Ernesto Massi.

Recuperando la vecchia tradizione geopolitica risorgimentale, Massi esprimeva una visione “regionalista” del Mediterraneo, lontana dalle spinte globaliste sviluppate invece dalla scuola geopolitica tedesca di Karl Haushofer. Dunque, il Mediterraneo restava per il geografo triestino quello che lo storico francese della Nouvelle Histoire Fernand Braudel avrebbe definito come il “centro luminoso” nella sua opera “Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II” (1947). Il “mare delle civiltà” massiano, centro geografico ed insieme geopolitico, può avere una sua funzione solo se capace di tenere insieme Europa, Africa ed Asia, i tre continenti bagnati dalle sue acque, che ne hanno fatto un polo d’incontro e scontro tra popoli e culture diverse fin dall’antichità. Le caratteristiche geografiche e antropiche del bacino mediterraneo hanno permesso nel corso dei secoli la comparsa di grandi imperi come quello macedone di Alessandro Magno, quello romano con una prospettiva geopolitica sviluppatasi a partire dal III secolo a.C., quello bizantino, quello arabo e quello spagnolo nel periodo di Carlo V. Queste realtà imperiali hanno avuto il loro fulcro nel Mediterraneo, anche quando, come nel caso dell’espansionismo arabo fino al Califfato Omayyade (661-750 d.C.) o del Sacro Romano Impero e del Regno di Spagna di Carlo V (1519-1556), esse nascevano lontano o avevano prospettive diverse rispetto all’area geografica del Mare Nostrum.

Ernesto Massi aveva individuato una direttrice geopolitica perpendicolare che dalla penisola dello Jutland, passando per Berlino e Roma, portava dritta al cuore del Mediterraneo con epicentro la Libia italiana, espressione, secondo il geografo triestino, del programma politico-militare dell’Asse italo-tedesco, mentre le linee direttrici italiane erano costituite da un arco immaginario che, inglobando i Balcani, buona parte del bacino del Danubio, il Mediterraneo orientale ed il Levante, finiva dritto nell’Africa Orientale Italiana.

Assieme agli influssi della storiografia e dell’antropogeografia francese dell’École des Annales e, dunque, dello studio dei processi di lungo periodo, la teoria del “Mediterraneo allargato” deve tanto, dal punto di vista concettuale, proprio alle direttrici geopolitiche individuate da Ernesto Massi ed alla loro “astoricità” poiché sempre valide e non collegate a specifiche epoche.

In particolare, la scuola geopolitica triestina aveva dato un’ampia importanza ai “colli di bottiglia” degli stretti, Gibilterra e Suez nel caso del Mediterraneo, che dall’apertura del canale egiziano datata 1869, svolgono un ruolo fondamentale per gli equilibri di potenza regionali. Già dagli anni ’50 del XIX secolo, quando l’Italia unita ancora non esisteva, tanto in ambiente piemontese quanto in quello lombardo-veneto s’era aperto un dibattito fondamentale sul nuovo ruolo che la penisola italiana avrebbe potuto acquisire una volta aperto il canale di Suez e quindi con la trasformazione del Mediterraneo in “Durchgangmesser”, mare aperto, che metteva a contatto Eurasia ed Eurafrica, blocchi configgenti tra loro (leggi articolo "Il dibattito sul Canale di Suez nell’Ottocento. Spunti di riflessione geopolitica"). Lo stesso problema era stato evidenziato anche nel dibattito militare sia in seno all’Esercito che in seno alla Marina sulle prospettive dello strumento militare nazionale alla fine dell’800 (leggi articolo "I rapporti tra Esercito e Marina nell'Italia degli anni '80 del XIX Secolo"). Inoltre, proprio sull’onda dell’apertura del canale di Suez, uno dei fattori che aveva spinto il governo italiano a mettere piede in Eritrea era stato quello di influire "indirettamente" ma massicciamente sulla politica mediterranea, tentando di ritagliare per Roma quello spazio d'azione autonoma che le era negato, per questione d'equilibri, nell'Adriatico e nell'Africa settentrionale, quest’ultima questione legata a doppio filo con le esigenze securitarie di Roma in relazione al Canale di Sicilia ed alle conseguenti vicende dello schiaffo di Tunisi e del Trattato del Bardo nel 1881-1882.

La direttrice geopolitica perpendicolare all’asse mediterraneo e quella ad arco che portava l’Italia ad interessarsi tanto dei Balcani quanto del Mar Rosso – e, di conseguenza, dell’Oceano Indiano – erano state individuate anche dal geografo tedesco Alfred Hettner (1859-1941), nell’ambito del dibattito in seno alla scuola geopolitica tedesca durante la prima guerra mondiale sulle ragioni che avevano spinto l’Italia a combattere contro l’Austria-Ungheria.

Già autore dell’importante monografia “Englands Weltherrschaft und der Krieg” (Lipsia, 1915), con la quale analizzava la correlazione tra potere marittimo mondiale britannico e guerra, nel maggio del 1915 Hettner pubblicò sulla “Geographische Zeitschrift” un articolo intitolato “Italiens Eintritt in den Krieg” (L’entrata in guerra dell’Italia).

A proposito della dichiarazione di guerra italiana all’Austria-Ungheria, Alfred Hettner, pur deplorando la scelta di Roma, invitava a considerare l’iniziativa dell’Italia non come il frutto esclusivo di un “tradimento”, quanto di una necessità geografica che aveva sviluppato un esplicito programma di rivendicazioni politiche anti-asburgiche, figlie della particolare natura di potenza sia marittima che continentale del Regno d’Italia, il quale aveva l‘obbligo di rendere più sicure le sue frontiere nord-orientali, difficilmente difendibili nella conformazione del 1866-1915.

Per Hettner, l’Italia aveva una doppia esigenza di espansione e sicurezza territoriale. Attraverso l’individuazione delle direttrici geopolitiche marittimo-continentali italiane, Hettner arrivò alla conclusione che la sicurezza nazionale di Roma ed anche le sue ambizioni d’egemonia regionale potessero essere garantite solo attraverso la trasformazione del Mediterraneo in Durchgangmesser. Alla stessa conclusione erano arrivati i geografi italiani interventisti Cesare Battisti (socialista patriottico), Michele Gortani (cattolico-nazionale) e, più in generale, l’intera scuola geografica fiorentina legata all’Istituto Geografico Militare.

Ampliando questa teoria, Ernesto Massi metteva comunque in evidenza come, per la sua particolare posizione geografica posta al centro del Mediterraneo, la politica di sicurezza nazionale e quella d’espansione imperiale per l’Italia fossero corrispondenti. "Dalla vulnerabilità della posizione – scriveva Massi nel 1939 nell’articolo Römische und italienische Mittelmeer-Geopolitik, pubblicato sulla rivista tedesca Zeitschrift für Geopolitik - nasce la necessità di una politica di difesa, di sicurezza, di ordine, di penetrazione spaziale delle aree di confine". Mettendo in correlazione il pensiero geopolitico romano dalle guerre puniche al principato augusteo con quello italiano risorgimentale e fascista, Massi sottolineava come l’imperialismo difensivo fosse l’unica strada percorribile per garantire insieme sicurezza continentale, apertura del Mediterraneo, garanzia che nel Mare Nostrum le influenze esterne – impossibili da eliminare per la sua natura di “medioceano” – non diventassero fattore di debolezza endemica degli Stati rivieraschi.

Commentando il corpus degli scritti di Massi sul Mediterraneo, Andrea Perrone (La centralità geopolitica del Mediterraneo nel pensiero di Ernesto Massi. Il paradigma italiano tra coscienza geografica e volontarismo, GNOSIS, 4, 2021) rileva che "ogni unità geografica del Mediterraneo fa contemporaneamente parte di due o più campi di forza geopolitica. Ogni conquista, ogni acquisizione di terra porta a nuove controversie e attriti con le vicine strutture geopolitiche, in un confronto serrato fra potenze di terra e potenze di mare, che hanno prevalso l’un l’altra in epoche e situazioni diverse". In un quadro del genere, è difficile se non impossibile garantire per il Mediterraneo lo status di regione geopolitica autonoma e di “mare aperto” contemporaneamente, senza subire le spinte globali provenienti dalle grandi potenze interessate a sfruttarne ed a controllarne la specificità di mare di collegamento tra oceani.

L’importanza dei choke-points (strozzature, passaggi critici, nrd) mediterranei, già intuita dall’Italia fascista, fino a spingerla al confronto diretto con la Gran Bretagna, potenza controllante Gibilterra e Suez, nel 1940-1943, è ancora tale nel XXI secolo, tanto che una delle tappe dell’assalto al potere mondiale statunitense lanciato dalla Cina passa proprio per il Mare Nostrum, attraverso la Belt and Road Initiative, nota anche come “Nuova Via della Seta” (leggi articolo "Cina: pericolose inaffidabilità imperiali"). Lo stesso dicasi per la presenza russa nel Mediterraneo con le “punte di lancia” rappresentate dalla Siria e dalla Cirenaica, ma che è parte di una più ampia strategia di penetrazione di Mosca nel continente nero (leggi anche "La Stella Rossa in Africa: la guerra in Ucraina ed il sud del mondo").

La nuova centralità del Mediterraneo, unita alla velenza strategica del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano nell’epoca della “globalizzazione regressiva”, ha spinto molti dei principali attori protagonisti della scena internazionale ad attivare dispositivi di controllo delle rotte commerciali più trafficate. La teoria italiana del “Mediterraneo allargato” risponde alle esigenze di garantire la sicurezza nazionale di Roma attraverso una ampia capacità di proiezione entro un’area specifica.

Resta da capire se questo concetto strategico, legato alla tradizionale interpretazione “regionalista” (che non significa “provinciale”) della geopolitica italiana, possa rispondere positivamente alle esigenze italiane in questa fase di instabilità del Mediterraneo e delle zone viciniori. L’incubo geostrategico di Ernesto Massi, cioè l’estrema permeabilità alle influenze esterne dell’area mediterranea, con l’impossibilità per l’Italia di gestire autonomamente la propria politica estera, è una realtà concreta, acuitasi dopo il 24 febbraio con lo scoppio della guerra tra Russia ed Ucraina e con la recrudescenza dello scontro tra potenze conservatrici e potenze revisioniste dell’ordine internazionale liberale a guida statunitense.

Uno dei compiti del prossimo governo italiano sarà quello di teorizzare – e recitare soprattutto – un ruolo da protagonista per il Paese nel Mediterraneo allargato poiché in aree di forte instabilità è la postura assertiva (da pivot) a garantire la sicurezza nazionale e non l’immobilismo.

-di Filippo Del Monte-

#TGP #Italia #Marina #Geopolitica #MediterraneoAllargato

[Fonte: https://www.difesaonline.it/geopoli...o-allargato-e-la-geopolitica-classica-italia]
 
L'attacco al porto di Sebastopoli e il grano ucraino

L’attacco alle navi russe a Sebastopoli ha immesso una variabile impazzita nella crisi ucraina. L’attacco ha portato la Russia a rinunciare all’accordo sull’esportazione del grano ucraino, una decisione condannata dai suoi antagonisti perché condannerebbe i Paesi più poveri alla fame.

Forse è così o forse no, dal momento che i russi, come riferisce Us News, hanno annunciato in parallelo la loro disponibilità a donare 500mila tonnellate di grano a tali Paesi.

Corridoi umanitari e zone di guerra

A subire danni dalla decisione russa saranno però sicuramente le multinazionali europee e americane che producono il 71% del grano ucraino e hanno il monopolio della sua commercializzazione, per lo più finora diretta ai Paesi ricchi..

Il ritiro dei russi dall’accordo è anche un notevole vulnus geopolitico, dal momento che in tal modo collassa l’unica vera intesa raggiunta finora dai contendenti. Ma perché Mosca si è tirata indietro? Le autorità russe hanno affermato che per attaccare le loro navi alla fonda nel porto di Sebastopoli gli ucraini avrebbero usato i corridoi umanitari destinati al transito delle navi che trasportano il grano. Anzi, una di esse sarebbe stata addirittura coinvolta nell’attacco, essendo stata utilizzata per trasportate uno o più droni.

Gli interessati non hanno risposto alle accuse russe, come ormai d’uso in questa guerra. E però tali accuse non sembrano affatto infondate, dal momento che l’attacco ha colto troppo di sorpresa le navi russe, cosa strana per una flotta che opera in una zona di guerra.

D’altronde, chi ha seguito la guerra siriana sa bene come i corridoi umanitari possano essere usati a scopo bellico, dal momento che nel corso del conflitto mediorientale più volte le milizie anti-Assad assediate hanno profittato di tali corridoi, chiesti da Onu e Paesi occidentali per portare aiuto alla popolazione civile, per rifornirsi di armi e munizioni.

Peraltro, l’allarme su un possibile ritiro di Mosca dall’intesa sul grano ucraino era già scattato in occasione dell’attentato al ponte di Kerch, dal momento che gli inquirenti russi avevano raccolto indizi che li avevano portati a ipotizzare che l’esplosivo usato nell’occasione fosse stato trasportato da un mercantile transitato nel corridoio umanitario.

Dato tale precedente, sarebbe stato meglio evitare l’attacco al porto di Sebastopoli, dal momento che la reazione russa che ne è seguita era piuttosto prevedibile. Tant’è.

Attivismo britannico e operazioni speciali

La Russia ha accusato apertamente il Regno Unito di avere, di fatto, progettato e gestito l’attacco alla sua flotta. Non è la prima volta nel corso del conflitto che Londra è chiamata in causa da Mosca, ma negli ultimi tempi, a partire dall’attentato al Nord Stream 2, attribuito dai russi agli “anglosassoni”, tale esplicitazione è stata sempre più frequente, come a marcare una differenza di approccio al conflitto tra Stati Uniti e Gran Bretagna, con questi ultimi a ricoprire il ruolo di guastatori e produttori di escalation, che gli ambiti americani più realisti, tra cui il Pentagono, sembrano voler evitare.

Al di là delle accuse russe, sono diversi gli analisti d’Occidente che hanno segnalato un pericoloso attivismo britannico in questa guerra, che immette nel conflitto in corso una variabile ad alto rischio.

Di interesse riferire anche la versione delle autorità ucraine su quanto accaduto: l’attacco sarebbe in realtà un “falso pretesto, un attentato auto-inflitto alla flotta russa, che non ha riportato danni irreparabili, al fine di interrompere gli accordi sul grano”.

Non è la prima volta che Kiev accusa i russi di auto-infliggersi danni, tanto da avere l’impressione che le autorità ucraine reputino di confrontarsi con una nazione con pulsioni suicide, che, come tale, non si sa bene perché sia ancora in vita.

Al di là della boutade, resta che le Nazioni Unite, la Turchia e l’Ucraina, gli altri contraenti l’accordo, sembrano intenzionate a considerare ancora in vigore i corridoi umanitari per la circolazione del grano. Ma ciò comporta problemi seri, dal momento che porterà dei mercantili civili ad avere a che fare con le navi da guerre russe, che certo non vorranno essere colte nuovamente impreparate a un’eventuale incursione nemica.

Così il conflitto vede un’ulteriore spinta verso il caos, cosa che lo rende più imprevedibile e a rischio. Tale considerazione fa apparire più che improvvida l’esultanza di tanti per la riuscita dell’attacco al porto di Sebastopoli. Infatti, come l’attentato al ponte di Kerch, avrà conseguenze catastrofiche.

Nel frattempo, prima di altre possibili conseguenze prodotte da eventuali incidenti via mare, si registra un incremento dei raid russi sulle infrastrutture di tutta l’Ucraina. A pagare l’avventurismo dei dottor Stranamore sono sempre altri.

di Davide Malacaria

#TGP #Russia #Ucraina #Grano

Fonte: https://piccolenote.ilgiornale.it/mondo/lattacco-al-porto-di-sebastopoli-e-il-grano-ucraino
 
Indietro