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Discutere in armonia e senza pregiudizi. Chi non gli va bene il thread non entri

Former Acting Director of CIA Mike Morell Sought to "Covertly" Kill Russians in Syria


 
qualche accortezza in più nei dettagli.

l'ambasciatore americano j. jeffrey è stato molto chiaro all'evento di Hudson istitute quando ha affermato: “Il mio compito è quello di renderlo un pantano per i russi”. (riferito alla siria) e " gli stati uniti continueranno a negare finanziamenti internazionali, ricostruzione, petrolio, banche, agricoltur e riconoscimento del governo".

Oltre ha quello che ci è stato riferito da jeffrey, in siria abbiamo un altro problema quello del ruolo di israele, america e italia.

israele sta attaccando in siria le istallazioni che ritiene siano del iran o degli hezbollah.

Israele continuando a bersagliare i centri di comando e le zone di costudita delle armi iraniane, vuole far passare come messaggio che israele è minacciato continuamente dagli iraniani e che se gli stati uniti andassero via dal territorio lo stato d'Israele sia inevitabilmente sempre sotto attacco.

in questo gioco di ruoli, l'esercito italiano promuoverà una più stretta cooperazione con usa e israele.

"My Job Is To Make Syria A Quagmire For The Russians": CIA Doctrine Made Official Policy | Zero Hedge

Israeli aircraft reportedly pound military outposts in Syria | News | Al Jazeera

GIULIETTO CHIESA CI AVEVA AVVERTITO

L’Esercito Italiano promuove una piu stretta cooperazione con USA e Israele – Analisi Difesa
 
mentre la Nato (usa) hanno scelto in libia al sarray, erdogan continua a violare l'embargo ONU inviando uomini e armi, destabilizzando di più il paese.

Dal 2011 con la caduta di gheddafi la libia ha smesso di funzionare come unico stato.

In libia ci sono due governi uno si trova a est ed a ovest della capitale tripoli sostenuto dagli Usa e dall'EU, mentre l'altro ad oriente da haftar.

Il generale Ahmed Al Mismari:

"Violando l'embargo internazionale, che avrebbe dovuto fare da custode dello sviluppo del processo di pace in Libia, la Turchia invia nel nostro paese, in una maniera assolutamente aperta, centinaia di veicoli corazzati, pezzi di artiglieria, aeromobili a pilotaggio remoto, mitragliatrici di grosso calibro e altre armi offensive, nonché un numero immenso di varie munizioni e mezzi speciali che stanno uccidendo i nostri cittadini"

"Militari e mercenari turchi, nonché i loro alleati tra i gruppi estremisti del cosiddetto Governo di Accordo Nazionale usano contro il popolo libico e il suo esercito almeno otto lanciarazzi multipli da 107 mm di calibro T-107 turchi, 10 velivoli a pilotaggio remoto in configurazione da attacco, circa 70 mezzi blindati Kirpi e Vuran, oltre 260 veicoli tuttoterreno prodotti in Turchia, oltre 100 mitragliatrici pesanti".

"Tutto sommato, più di 7mila combattenti stranieri sono stati trasferiti in Libia dai turchi. Solo nell'ultima settimana dal territorio turco a Tripoli, occupata da takfiristi, sono arrivati 37 voli con mercenari turchi tra cui militanti di gruppi terroristici, nonché armi e attrezzature sofisticate", spiega Al Mismari.

"Speriamo, che quando l'Unione Europea lancerà appieno la missione "Irini", le consegne di armi da parte del regime di Erdogan, che portano morte al popolo libico, termineranno", conclude il generale.

Libia, portavoce dell'LNA denuncia: "la Turchia viola l'embargo ONU" - Sputnik Italia
 
In tanto la Germania non si vuole mettere contro la Russia e non accetta il ricatto degli Stati Uniti sulle armi nucleari.

La Polonia accetta e Mosca è pronta dispiegare armi nucleari e di difesa a cuba.

Armi nucleari USA in Polonia: l’ira di Mosca

ricordiamo che nel '97 Israele non firmo il trattato di non-proliferazione continuando a ad averle.

Il 15 maggio, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Polonia, Georgette Mosbacher, sul suo account Twitter ha dichiarato che gli USA avrebbero potuto dislocare in Polonia le loro armi nucleari attualmente in Germania. Alle dichiarazioni ha risposto duramente la portavoce del Ministero degli Esteri della Federazione russa, Marija Zacharova, in occasione di un briefing con la stampa.

“Naturalmente, abbiamo prestato molta attenzione alle parole della signora Mosbacher – ha dichiarato Zacharova rispondendo alle domande dei giornalisti – che ha reagito ad un articolo del suo collega in Germania, Richard Grenell, in cui discuteva quale dovrebbe essere il contributo di Berlino alla politica nucleare dell’Alleanza atlantica. Sullo sfondo di un crescente dibattito in Germania sull’opportunità di dispiegare ulteriormente armi nucleari americane non strategiche sul suo territorio, l’ambasciatore statunitense ha presentato quello che nei fatti un ultimatum: invece di minare la solidarietà transatlantica, Berlino dovrebbe adottare un approccio più “responsabile” per adempiere ai suoi obblighi. Per questo, nell’ottica dell’ambasciatore Grenell, è necessario confermare chiaramente l’impegno a preservare le armi nucleari statunitensi in Europa, per aumentare e continuare a contribuire al potenziale nucleare della NATO”.

Zacharova ha sottolineato che l’articolo dell’ambasciatore Grenell “illustra lo stato della solidarietà transatlantica” ed ha accusato gli USA di “fare pressioni indebite” e “ricattare” i loro alleati. “Tutto ciò – spiega ancora la portavoce del ministero guidato da Lavrov – al fine di garantire che aumentino le allocazioni militari e acquistino prodotti del complesso militare-industriale degli Stati Uniti”. Tuttavia – ha aggiunto – Mosca non intende intromettersi, “è un affare dell’Alleanza atlantica come costruiscono le relazioni tra loro”.

Allo stesso tempo, la portata del problema va ben oltre il quadro delle discussioni interne. La posizione russa sul tema delle missioni nucleari congiunte della NATO è ben nota – ha chiarito Zacharova – questa pratica è una violazione diretta degli articoli I e II del Trattato di non-Proliferazione. “Nella suo tweet, l’ambasciatrice Mosbacher va molto oltre e parla della possibilità di portare armi nucleari e relative infrastrutture direttamente ai nostri confini. E questa è una violazione di una delle disposizioni chiave dell’Atto istitutivo sulle relazioni reciproche, la cooperazione e la sicurezza tra la Federazione russa e l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) del 27 maggio 1997”. Nell’Atto – ricorda la funzionaria russa – si afferma espressamente: “Gli Stati membri della NATO confermano di non avere intenzioni, piani o motivi per dispiegare armi nucleari nel territorio dei nuovi membri e che non hanno bisogno di cambiare alcun aspetto della costruzione delle forze nucleari della NATO o della politica nucleare della NATO, né prevedono la necessità di farlo in futuro”.

“Queste garanzie sono firmate dai leader di tutti i paesi dell’alleanza, senza eccezioni – ha ribadito Marija Zacharova – Speriamo che Washington e Varsavia riconoscano la pericolosità di tali affermazioni, che rendono ancora più difficile la fase complicata che attraversano le relazioni tra Russia e NATO, e minacciano le basi fondamentali della sicurezza europea, già indebolite a causa dei passi unilaterali degli Stati Uniti, soprattutto l’uscita dal trattato INF”.

“Un vero contributo al rafforzamento della sicurezza europea – ha concluso – sarebbe il ritorno delle testate americane negli Stati Uniti. La Russia ha riportato tutte le armi nucleari sul suo territorio nazionale già da molto tempo”.

Il trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), che vietava i missili con un raggio da 500 a 5500 chilometri, in vigore dal 1987, è definitivamente terminato il 2 agosto 2019, dopo il ritiro di entrambi i paesi firmatari. Il 2 febbraio 2019 Washington ha notificato a Mosca la decisione di ritirarsi dal trattato, per presunte violazioni da parte russa. Il ritiro statunitense è diventato effettivo nel giugno successivo. Mosca di conseguenza non ha rinnovato il trattato e il 3 luglio ha annunciato il ritiro, divenuto effettivo il 2 agosto.

Armi nucleari USA in Polonia: l'ira di Mosca | Sicurezza internazionale | LUISS
 
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Rispolverare qualche armamento del passato per far fronte alla minaccia statunitense. Lo zio pronto a farsi sentire.....

Russia reincarnated the USSR’s most powerful artillery system - Russia Beyond reincarnated the USSR’s most powerful artillery system

These metal monsters were created to hit targets up to 50 kilometres beyond the frontline and rain “hell on earth” with their atomic charged shells.

In late April, Russia received its first batch of the 2S7 ‘Pion’ artillery system using 203 mm shells that can be charged with nuclear warheads.
This weapon system was created in particular to rain “hell on Earth” with these tactical nuclear warheads. And back in the late Soviet era, they were based on the country’s Western borders as another tool of nuclear deterrence.
The Pion artillery system uses the biggest artillery projectiles in the world and sends them up to 50 kilometres beyond the frontline. Its ammunition includes shells with various charges.
The main ones are considered to be the high-explosive and active-rocket ones. The first ones weigh as much as 110 kg with 17,8 kg of explosive materials. The resulting explosion can leave a five-meter crater in the ground.
The latter ones weigh a little bit less - 103 kg with 13,8 kg of explosives. And yet, they hit targets further away and much more precisely, compared to standard shells. This active-rocket ammunition received a laser navigation system in late 1980s and, as mentioned by former ‘Izvestia’ newspaper military analyst, Dmitry Safonov, passed a number of modifications to match the 21st century’s precise weapon standards.
“These are expensive charges used only for precise shots, when armies need to eliminate enemies’ command centres, arsenals or any other military structure of high importance. In cases when your military command knows that there are high-security targets or any other underground facilities, the Pion may use concrete-breaking or even nuclear ammo,” according to Safonov.

When and Why Russia created the ‘Pion’

According to editor-in-chief of ‘Homeland Arsenal’ magazine Viktor Murahovsky, Russia decided to “reincarnate” these metal monsters in the wake of the worst economic crisis, due to the recent changes in U.S. military doctrine, thus allowing Washington to use “low power” nuclear charges in battle conflicts around the globe.
“These ‘low powered’ charges are a part of tactical nuclear arsenals. These weapon technologies were used in the middle of the 20th century, yet were abandoned after military tests, as they posed threats not only to enemy targets, but were also devastating to the army using them. Nowadays, Washington has decided to allow its militaries to use such systems in conflicts abroad and Russia’s military command has had to react to these changes and has ‘reincarnated’ some of the ‘tactical nuclear deterrence’ projects,” Murahovsky says.
According to him, the U.S. has an analogue to the ‘Pion’. The system is dubbed ‘Atomic Annie’ and the Russian system was created to match the American monster’s capacities on the field.

“What's interesting is that neither of these two systems were ever used on the battlefield. Ten years after its creation, the ‘Pion’ was then stored in arsenals for nearly 20 years, until it was decided to upgrade the system and put it back into business to match possible threats,” Murahovsky notes.
By the end of the Soviet era, engineers created as many as 500 ‘Pion’ artillery systems for the military. It’s possible that all of them will be modernized in coming years and be reintroduced into the military ranks.
“Engineers had to replace all the rusty gears, install new navigation mechanisms, as well as install new power supply units. Modern ‘Pions’ will also get new optic and radio communication systems,” Murahovsky says.
 
i JY-27 sono prodotti e usati dalla repubblica popolare cinese.

i consiglieri russi aiutano il Venezuela a contrastare F-22

La difesa aerea venezuelana rileva i caccia stealth F-22

Tra le crescenti tensioni tra Venezuela e Stati Uniti e in seguito alle dichiarazioni di Caracas secondo cui arrestava mercenari nordamericani che cercavano di rovesciare il governo del Paese, dal 12 maggio emersero diverse notizie secondo cui le difese aeree venezuelane avevano seguito l’avvicinamento dei caccia F-22 Raptor dell’Aeronautica degli Stati Uniti. L’F-22 è il caccia stealth più potente degli USA e l’unico attualmente pienamente operativo. È progettato per eludere il rilevamento dai radar nemici e la sua sezione trasversale radar è considerevolmente inferiore a quella dei rivali stranieri come il Su-57 o la controparte più leggera ed economica F-35. Secondo quanto riferito, il Venezuela impiega un radar di preallarme a lungo raggio JY-27 cinese per localizzare i Raptor vicino al suo spazio aereo. Il fatto che i radar venezuelani rilevavano e rintracciavano gli F-22 nordamericani rimane da confermare e probabilmente non finché saranno disponibili ulteriori chiarimenti. Numerosi fattori, tuttavia, lo rendono assai possibile. A differenza del bombardiere stealth B-2 Spirit, progettato per essere effettivamente invisibile ai radar usando un design ad ala volante, i caccia stealth F-22 possono essere rilevati da sistemi radar avanzati, in particolare a grandi lunghezze d’onda, il che significa che è tutt’altro che impensabile che ci sia riuscito il JY-27. Il Raptor non si affida a non essere rilevabile per sopravvivere, ma piuttosto alla difficoltà di tracciamento e aggancio che ne completa le prestazioni di volo avanzate e l’elevata manovrabilità in combattimento. Va anche notato che l’F-22 vola spesso con serbatoi di carburante esterni, il che aumenta la sua autonomia ma ne compromette l’invisibilità, e coi riflettori Luneberg. I riflettori sono progettati per massimizzare la firma radar dell’aeromobile, sia per impedire ai sistemi di difesa aerea nemica di esaminarne le capacità sia per consentire al controllo del traffico aereo di rilevare l’aeromobile per motivi di sicurezza. Se fosse così, allora il rilevamento non rappresenta un risultato importante per le Forze Armate venezuelane. È anche degno di nota, tuttavia, che i funzionari degli Stati Uniti evidenziarono la vulnerabilità del Raptor per le ampie informazioni acquisite sulla piattaforma dalla Russia mentre gli F-22 operavano sulla Siria entro il raggio dei sensori russi. È probabile che questo “tesoro” di informazioni sia stato messo a disposizione delle forze venezuelane dai consiglieri russi, fornendo informazioni chiave su come contrastare il Raptor in volo. Le probabilità di rilevare il Raptor aumenterebbero solo se anche altri sistemi radar, come i sistemi venezuelani S-300VM, fossero attivi e condividessero dati col JY-27 e altri sistemi.

La difesa aerea venezuelana rileva i caccia stealth F-22 – Aurora
 
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The growing threats to U.S. dominance over Latin America

The Washington imperialists are acting so desperate to carry out regime change in Venezuela-having staged another failed coup attempt just last week-because the longer Chavismo stays in power, the more Latin America becomes at risk of slipping from U.S. control. Chavismo is such a threat because it’s helping Latin America figure out an iteration of Marxism that works according to the conditions of the region; specifically, one that can fix the region’s problems of being underdeveloped due to exploitation from the imperialist countries.

This doesn’t mean that the ruling United Socialist Party of Venezuela itself is strictly Marxist, at least in terms of the ideological strains it allows. It means that despite the non-Marxist strains which partly drive the party’s direction, the party is fostering a type of Marxism that can stop Latin American nations from remaining subject to the rules of dependency theory.

Dependency theory says that under globalized capitalism, a periphery of poor and underdeveloped (i.e overexploited) nations get their wealth siphoned off to the richer states. Because of this disparity, the exploited nations fall developmentally behind the core imperialist countries. With the rise of Bolivarianism and the other Latin American anti-imperialist movements, Venezuela and its regional neighbors are moving closer to overcoming the gap in development.

And as Argentinian economics professor Claudio Kats assessed in an interview last year, Marxism is relevant to this project:

Dependency theory as an idea ties back to a resurgent interest in Latin American Marxism. A half century after the Cuban revolution, there’s a renewed interest in a particular brand of Marxist thought that is unique to the region, and dependency theory is part of that tradition. This revival we’re seeing is not just a fascination with radical ideas in Latin America, or with more heterodox versions of Marxism. The resurgence responds to the possibility of formulating a unique synthesis of Latin American concerns and Marxist theory, and dependency theory is one expression of that synthesis.

Venezuela is defying the constraints observed by dependency theory through economically developing without the help of the imperialist countries. A core requirement for dependency theory to apply, according to economist Theotonio Dos Santos, is “a situation in which the economy of a certain group of countries is conditioned by the development and expansion of another economy, to which their own is subjected.”

The U.S. is able to control Venezuela’s economy by imposing embargos on it, but it’s not able to determine the country’s political and economic future to the extent that China can. It’s also not able to extract wealth from Venezuela, at least not to the extent that the Venezuelan industry nationalizations of the last two decades have disempowered multinational corporations. The U.S. is also unable to politically commandeer Venezuela through IMF debt, as it’s done with other countries. The main wealthy country that’s been giving loans to Venezuela is China, which is not an imperialist power and certainly isn’t siphoning away Venezuelan wealth in the process.

Kats agrees that China’s increasing role in Venezuela and other countries represents another way Washington’s hegemony is slipping: “Latin America lacks sovereignty because of US imperialism. Latin America is still North America’s backyard — with Trump, more than ever — but the dispute between the United States and China over the region’s resources has become central. The proprietary interests of US imperialism are being challenged by the continental presence and investment of the Chinese government.” These factors-the movement by nations like Venezuela towards economic independence and the growing presence of China-are what will continue to reshape the geopolitical power balance in the region.

Another nation in the region that’s significantly moving towards autonomy from imperial control is Argentina. Argentina is far from being socialist, but its human rights, feminist, and economic justice movements have gained a tremendous amount of leverage since the country’s depression during the early 2000s. Last year, leftists prevailed in the general election, which has put the social movements in a better position to create changes amid the Covid-19 economic crisis.

Despite the harsh repression that’s come from Argentina’s capitalist government in order to enforce the quarantine rules, the demands of the Argentinian poor and working classes are coming far closer to realization than is the case in most other Latin American countries. Top Argentinian government officials have come to support a proposal for a tax on the wealthy that would raise around $3 billion.

The proposal won’t pass without pushback, but this is a sign of how much of a threat it poses to imperialism; the right-wing factions that oppose it are working in the interests of the U.S., which has been trying to use debt entrapment instruments to shore up control over Argentina. This kind of wealth tax would make the country better able to independently support its economy.

Argentina is the Latin American country most likely to impose a wealth tax, but it’s notable that numerous other countries in the region, from Colombia to Guatemala, have been considering such a tax to alleviate their economic problems. These Latin American nations are responding to the crisis by hinting at a transition away from neoliberalism, something that Mexico’s social democrat president began to do well before the pandemic.

With the collapse of the global economy, it’s naturally becoming more obvious to the Latin American masses that revolution needs to happen. But the left won’t make a new wave of anti-imperialist revolutions sweep the region by trying to pass bills in bourgeois parliaments. Bolivia’s brutal U.S.-installed regime, which can be called a dictatorship due to its efforts to suppress its electoral opponents, will need to be toppled through potentially non-electoral means. Brazil’s ruling class, which is preparing for unprecedented repression amid the country’s recent turmoil, will need to be overcome as well. Chile’s oligarch-run government will need to either somehow be voted out, or have its militarized police state be overcome through armed insurrection. Similar obstacles face the anti-imperialist movement in Honduras, Colombia, Ecuador, and the other Latin American countries that are on Washington’s side.

Despite these obstacles, the region-wide backlash to neoliberalism and the rise of Chavismo have brought the anti-imperialist strains in U.S.-controlled countries closer to mounting an effective opposition. As Kats points out, the region is finding a kind of Marxism that addresses the essence of why so much poverty exists within Latin America: a cycle of wealth siphoning, perpetuated by IMF manipulations and multinational corporations, is keeping the Global South underdeveloped.

As the leftist and communist parties in these countries continue to orient themselves around fixing this problem, they’ll gain the tools needed to counter the forces of capitalist reaction. Dependency theory provides the correct diagnosis for the problems with the region’s material conditions, and therefore clarifies what will need to happen for these problems to be solved: a breaking of economic ties from imperialist corporate and financial institutions, ideally followed by the start of a Cuba-esque socialist development.

The current economic crisis has the potential to move many nations towards this goal, whether through outright socialist revolution or through a shift towards the kind of semi-independent state that Argentina is in. If Argentina’s social movements got so powerful because their country went through an economic meltdown, the same could happen on a far larger scale as the 2020s crash develops. This possibility, along with the shifting of global economic power away from Washington’s favor, poses an unprecedented threat to U.S. dominance over Latin America.


https://rainershea.com/f/the-growing-threats-to-us-domination-over-latin-america
 
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gli sta scoppiando tutto in mano.....sarebbe anche l'ora!!!



Economic Research: It's Game Over For The Record U.S. Run; The Timing Of A Restart Remains Uncertain | S&P Global Ratings


pagare il debito con altro debito è incomprensibile quanto impossibile.....può solo aumentare il debito iniziale.

E’ finita per l’economia statunitense – Aurora

17-05-2020

Debito nazionale: 25,27 trilioni.
Debito per cittadino: 76656.
Derivati su valuta e credito: 680,37 trilioni.
Risultati del debito nazionale nei 5 mesi trascorsi (dal 09.12.2019):
Aumento del debito nazionale:
Ogni anno: 5,01 trilioni.
Al giorno: 13,73 miliardi.
Al minuto: 9,54 milioni.
Al secondo: 158960.
Aumento delle attività tossiche:
Ogni anno: 309,95 trilioni.
Al giorno: 846,84 miliardi.
Al minuto: 558,08 milioni.
Al secondo: 10 milioni.

Suggerisco di ignorare il debito nazionale che Trump ha promesso di ridurre drasticamente, perché è già poco interessante poiché l’ha detto molte volte: è impossibile ripagare o addirittura ridurlo, può aumentare solo con un diverso grado d’intensità. Ora, tenendo conto della distribuzione del famigerato denaro “elicotteristico” (pagamento una tantum di 1200 dollari a tutti più indennità mensili per la disoccupazione, applicato a decine di milioni di persone), l’intensità è notevolmente aumentata. Domani, quando il coronavirus si attenuerà, potrebbe diminuire, il che non cambierà proprio il trend della crescita costante. Questa è l’essenza di un’economia dal debito cronicamente carente che mangia più di quanto non crei. Inoltre, ha una struttura del PIL all’80% costituita da speculazioni finanziarie. Ma sulle attività tossiche, direi altro. Ditemi, un milione al secondo è molto o poco? E 10 milioni? Qualsiasi risposta monosillabica a tale semplice domanda sarà sbagliata perché tutto è relativo. Persino un milione non troverà abbastanza spazio nella tasca di una persona comune, ma sullo sfondo del budget di qualche lontana repubblica delle banane, che si tratti di un milione o dieci è un importo qualsiasi. Soprattutto, sullo sfondo della brillante Capitol Hill che, come sappiamo, non svanisce mai e che ci guarda.
Quindi, ecco cosa dirò, senza scegliere troppe parole: l’economia n°1 al mondo è la risorsa più dubbia ed estremamente tossica del pianeta da cui vengono ritirati 10 milioni di dollari di crediti inesigibili ogni secondo, che in media annuale sono oltre 300 trilioni. Cioè, l’essenza **** di tale macchina per digerire la massa di dollari è vivere col debito costantemente, in modalità non-stop, ritirando gli obblighi di debito, spostandoli in un paniere speciale, dove vengono poi sepolti dopo la scadenza dello statuto delle limitazioni. In termini di entità del disastro: qualsiasi credito interno, prestito, investimento in “carta”, ecc., di fatto, non ritorna mai al creditore e passa a un’attività “tossica”, quindi “eliminando” costantemente l’economia dei crediti inesigibili. Esattamente secondo il principio nordamericano: “Se non devi pagare, non è necessario pagare”. In linea di principio, la soluzione è brillante, come “se puoi prenderlo gratuitamente, dovresti prenderlo”. Ma sto divagando.

C’è un altro indicatore sul bancone: “Totale attivo nazionale”. Da febbraio 2017 a maggio 2020 questo è aumentato da 128,31 a 143,83 trilioni; 15,52 trilioni, vale a dire del 12%, abbastanza plausibile in termini di possibile crescita naturale, che tenendo conto della presenza della rivalutazione inflazionistica. Allo stesso tempo, le attività tossiche nello stesso periodo sono cresciute da 610,77 trilioni a 680,37 trilioni, vale a dire dello stesso 12%, ma in termini assoluti di 69,60 trilioni, pari quasi aòla metà della ricchezza nazionale.

PS1: Secondo i dati statistici pubblicati dal Center for Microeconomic Data della Federal Reserve Bank di New York, alla fine del 2018 il debito totale delle famiglie statunitensi raggiunse 13,54 trilioni. Questi principalmente sono mutui. In termini pro capite (328,2 milioni di persone) si arriva alla somma di 41280 dollari, due volte inferiore a quanto mostrato sul bancone. Su chi ha ragione e chi torto qui, non entrerò lasciando che i cittadini si occupino dei propri debiti. Comunque, 13,54 trilioni è una somma ingestibile e paragonabile al PIL di qualsiasi grande Stato. Allo stesso tempo, nel 2008, quando si ebbe il tracollo dei mutui, una parte considerevole di questo debito (circa 3 trilioni) fu cancellata e, apparentemente, passata a “crediti inesigibili”. Sul volume del debito totale (soggetti giuridici e altri istituti, compreso lo Stato), secondo gli esperti di Wall Street, presentato in un rapporto pubblicato dalla società AllianceBernstein nel settembre 2019, “I livelli di debito reale negli Stati Uniti potrebbero essere il 2000% dell’economia”. Si stima che oggi sia circa 500 trilioni. Sembra che tutto coincida, almeno, l’ordine degli importi è quasi lo stesso. Solo una cosa non è chiara: perché, al fine di valutare il reale stato finanziario di un’economia tossica, è necessario coinvolgere società rinomate e compilare rapportoni anche se uno sguardo superficiale di un profano basta a dare una diagnosi simile: “debiti irrevocabili tossici” meno “totale attivo nazionale” equivalgono a 500 trilioni di dollari.

PS 2: Gli analisti finanziari, anche nordamericani, usano sempre più il termine “default” nelle valutazioni sullo stato dell’economia nordamericana. Allo stesso tempo, esperti imparziali, valutando le conseguenze, notano che la Russia si sbarazza costantemente dei titoli di debito nordamericani, il cui portafoglio ammonta attualmente a miseri 3 miliardi. Vi suggerisco di trarre le dovute conclusioni.
 
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With Iran Defying US Sanctions on Venezuela, Trump Must Choose Between Two Different Cowardly Paths

Washington’s illegal and deadly sanctions on Venezuela continue. However, President Nicolas Maduro has found an ally from across the world in Iran. Five Iranian tankers carrying roughly $45 million in gasoline and other petroleum products are heading straight for the Caribbean, and are currently in the Atlantic Ocean. Iranian Defense Minister Amir Hatami warned the United States to allow his country’s ships into Venezuela, vowing retaliation if they were attacked. “Iran will not tolerate obstacles [to its oil ships]. Both the United States and other countries know that we will not hesitate. If the obstacles continue or increase, Iran’s response will be forceful,” he said.

President Trump was equally forceful in his words, shooting back that, “We’ve got it [Venezuela] surrounded, it is surrounded at a level that nobody even knows but they know. We are watching to see what happens.” Trump recently sent the US Navy south towards Venezuela on a dubious “anti-drugs” mission.

Despite having the world’s largest proven oil reserves, Venezuela’s petroleum industry is in tatters, with the country facing widespread gasoline shortages. This is due in no small part to the US sanctions regime, which has choked off domestic production and stopped the importation of key diluents and spare parts the industry needs to function. Foreign corporations have pulled out of the country, refusing to do business with it, lest they incur the wrath of US sanctions themselves.

The sanctions are only part of a wider plan to overthrow the Maduro administration and replace it with handpicked, US-trained loyalists. In March, the DEA put out a $15 million bounty on Maduro’s head, while in May, American mercenaries led a hare-brained scheme to invade the country and shoot their way into the presidential palace. The coup attempt failed at the first hurdle, with many of the group being intercepted by the Venezuelan Navy before they had even reached land.

While foreign corporations or governments may have a lot to lose if Washington sours on them, Iran does not. Tehran is under its own US sanctions, with Trump green lighting the assassination of top general and statesman Qassem Soleimani in January and threatening a mass attack against the country to boot. “We have targeted 52 Iranian sites,” he tweeted, “some at a very high level & important to Iran & the Iranian culture, and those targets, and Iran itself, will be hit very fast and very hard. The USA wants no more threats!” The threat of deliberately destroying priceless Iranian cultural and heritage sites was immediately condemned as a breach of the genocide convention.


On Venezuela, the president enjoys bipartisan support. Liberal senator Elizabeth Warren, for example, said she was “all for” the sanctions, while Guaidó, who a December poll showed had only a 10 percent approval and an 69 percent disapproval rating inside Venezuela, was a guest of honor at Trump’s State of the Union Speech in February, receiving a standing ovation from Republicans and Democrats alike. In contrast, the sanctions have been formally condemned by the United Nations, who noted they “disproportionately affect the poor and most vulnerable,” calling on all member states to break them, and even starting to discuss the reparations the US should pay. Alfred de Zayas, an American UN Special Rapporteur who visited Venezuela, described the sanctions as “akin to a medieval siege” and declared the Trump administration guilty of crimes against humanity, estimating they have already killed over 100,000 people. The sanctions, according to de Zayas, a specialist in international law, are illegal under UN, OAS and even US law. At a speech at the UN on Wednesday, Venezuelan Ambassador Samuel Moncada condemned the Trump administration’s savagery; “What would happen if, in the middle of Covid-19, New York ran out of gasoline?” he asked.

Venezuela announced it would be sending warships to escort the Iranian tankers to their final destination. Thus, on the issue of oil supply, it appears that neither Venezuela nor Iran is in any mood to back down. If that is the case, Trump, the consummate coward, will have to choose between two equally cowardly options: commit a huge international war crime and environmental disaster by sinking the vessels, or back down, broken beaten and embarrassed. The world will be watching to see if he will allow the two nations to successfully stand up to his intimidation.

With Iran Defying US Sanctions on Venezuela, Trump Must Choose Between Two Different Cowardly Paths - American Herald Tribune
 
trump con le pezze al ****** vorrebbe che gli usa siano tutt'oggi una egemonia a livello internazionale.....:D:D:D:o

nessuno di questi paesi "indipendenti" sta più ai dettami dei accidentali-massonici

Iranian Oil Tanker Arrives in Venezuela Guarded by Air and Sea | News | teleSUR English


The National Bolivarian Armed Forces guarantee the arrival of Iranian ships timely and safely.


On the night of Saturday, May 23, the Fortune, an Iranian-flagged vessel, reached Venezuelan jurisdictional waters carrying approximately 45.5 million gallons of gasoline and related products, aiming to alleviate the gasoline shortage derived from the U.S. blockade.

TeleSUR correspondent Madeleine Gracia, who sailed to international waters to transmit the information in real-time, reported that the National Bolivarian Armed Forces (FANB) did not face any problem receiving the oil tanker Fortune and accompanying it to port.

"The mission proceeded perfectly normally," Garcia stressed, adding that the other four Iranian tankers - Petunia, Forrest, Faxon, and Clavel - would arrive in Venezuela in a few hours.

Last week, an anonymous senior Trump administration official said that the Iranian fuel shipment “is not only unwelcome by the United States but it’s unwelcome by the region and we’re looking at measures that can be taken,” a statement that, even though never confirmed by U.S government, was seriously taken by Iran as a threat. ​​​​​​​

TeleSUR reports the arrival of the Fortune tanker in Venezuelan jurisdictional waters, which is escorted by the Bolivarian National Armed Forces (FANB)

Due to the possibility of a U.S. attempt to prevent the arrival of the tankers, Iranian authorities warned then against U.S. interference with commerce between sovereign states.

“Coercing nations into complying with the U.S. illegal demands threatens multilateralism, as the foundation of international relations, and sets a dangerous precedent, paving the way for those who aspire rather divide, not unite nations,” Iranian Foreign Minister Mohammad Javad Zarif wrote to UN Secretary-General Antonio Guterres on May 22.

A few hours before the Irani tanker's arrival, Venezuela’s Foreign Minister Jorge Arreaza spoke with members of the Council on Hemispheric Affairs (COHA) about the negative effect of the U.S. coercive measures.

Through a videoconference, the Bolivarian official told them that the U.S. blockade involves arbitrary and illegal actions against the Venezuelan people.

Furthermore, when the COVID-19 generates health emergencies worldwide, the U.S. harassment becomes a crime against humanity, which prevents the Venezuelan state from acquiring not only supplies for its oil industry but also food and medicine for its people.
 
l'impero, se così si può definire quell'obbrobrio, americano sta andando dì in dì in frantumi sotto gli occhi dell'umanità.

I paesi latino americano, almeno quelli che cercano la propria indipendenza dagli usa, stanno cercando di svincolarsi dai dettami dei succhia-sangue e sterzare verso oriente.....

l'economia americana, la n°1 economia al mondo sta andando in frantumi con i derivati, spese di difesa altissime, disoccupazione a livelli della grande depressione, e debito privato e pubblico sempre più alto.....

la psyop statunitense nei confronti della cina gli sta andando a vaccona ecc.....


Qualche pulce nell'orecchio i suoi fratelli l'avevano già avuta nel novembre 2019....

What Did U.S. Intel Really Know About the ‘Chinese’ Virus? — Strategic Culture

What Did U.S. Intel Really Know About the ‘Chinese’ Virus?

Hybrid War 2.0 on China, a bipartisan U.S. operation, is already reaching fever pitch. Its 24/7 full spectrum infowar arm blames China for everything coronavirus-related – doubling as a diversionist tactic against any informed criticism of woeful American unpreparedness.

Hysteria predictably reigns. And this is just the beginning.

A deluge of lawsuits is imminent – such as the one in the Southern District of Florida entered by Berman Law Group (linked to the Democrats) and Lucas-Compton (linked to the Republicans). In a nutshell: China has to shell out tons of cash. To the tune of at least $1.2 trillion, which happens to be – by surrealist irony – the amount of U.S. Treasury bills held by Beijing, all the way to $20 trillion, claimed by a lawsuit in Texas.

The prosecution’s case, as Scott Ritter memorably reminded us, is straight out of Monty Python. It works exactly like this:

“If she weighs the same as a duck…

…she’s made of wood!”

“And therefore…”

“A witch!!!!!”

In Hybrid War 2.0 terms, the current CIA-style narrative translates as evil China never telling us, the civilized West, there was a terrible new virus around. If they did, we would have had time to prepare.

And yet they lied and cheated – by the way, trademark CIA traits, according to Mike “We Lie, We Cheat, We Steal” Pompeo himself. And they hid everything. And they censored the truth. So they wanted to infect us all. Now they have to pay for all the economic and financial damage we are suffering, and for all our dead people. It’s China’s fault.

All this sound and fury forces us to refocus back to late 2019 to check out what U.S. intel really knew then about what would later be identified as Sars-Cov-2.

“No such product exists”

The gold standard remains the ABC News report according to which intel collected in November 2019 by the National Center for Medical Intelligence (NCMI), a subsidiary of the Pentagon’s Defense Intelligence Agency (DIA), was already warning about a new virulent contagion getting out of hand in Wuhan, based on “detailed analysis of intercepted communications and satellite imagery”.

An unnamed source told ABC, “analysts concluded it could be a cataclysmic event”, adding the intel was “briefed multiple times” to the DIA, the Pentagon’s Joint Chiefs of Staff, and even the White House.

No wonder the Pentagon was forced to issue the proverbial denial – in Pentagonese, via one Col. R. Shane Day, the director of the DIA’s NCMI: “In the interest of transparency during this current public health crisis, we can confirm that media reporting about the existence/release of a National Center for Medical Intelligence Coronavirus-related product/assessment in November of 2019 is not correct. No such NCMI product exists.”

Well, if such “product” existed, Pentagon head and former Raytheon lobbyist Mark Esper would be very much in the loop. He was duly questioned about it by ABC’s George Stephanopoulos.

Question: “Did the Pentagon receive an intelligence assessment on COVID in China last November from the National Center for Medical Intelligence of DIA?”

Esper: “Oh, I can’t recall, George,” (…) “But, we have many people who watch this closely.”

Question: “This assessment was done in November, and it was briefed to the NSC in early December to assess the impact on military readiness, which, of course, would make it important to you, and the possible spread in the United States. So, you would have known if there was a brief to the National Security Council in December, wouldn’t you?”

Esper: “Yes (…) “I’m not aware of that.”

So “no such product exists” then? Is it a fake? Is it a Deep State/CIA concoction to trap Trump? Or are the usual suspects lying, trademark CIA style?

Let’s review some essential background. On November 12, a married couple from Inner Mongolia was admitted to a Beijing hospital, seeking treatment for pneumonic plague.

The Chinese CDC, on Weibo – the Chinese Twitter – told public opinion that the chances of this being a new plague were “extremely low.” The couple was quarantined.

Four days later, a third case of pneumonic plague was identified: a man also from Inner Mongolia, not related to the couple. Twenty-eight people who were in close contact with the man were quarantined. None had plague symptoms. Pneumonic plague has symptoms of respiratory failure similar to pneumonia.

Even though the CDC repeated, “there is no need to worry about the risk of infection”, of course there was plenty of skepticism. The CDC may have publicly confirmed on November 12 these cases of pneumonic plague. But then Li Jifeng, a doctor at Chaoyang Hospital where the trio from Inner Mongolia was receiving treatment, published, privately, on WeChat, that they were first transported to Beijing actually on November 3.

The key point of Li Jinfeng’s post – later removed by censors – was when she wrote, “I am very familiar with diagnosing and treating the majority of respiratory diseases (…) But this time, I kept on looking but could not figure out what pathogen caused the pneumonia. I only thought it was a rare condition and did not get much information other than the patients’ history.”

Even if that was the case, the key point is that the three Inner Mongolian cases seem to have been caused by a detectable bacteria. Covid-19 is caused by the Sars-Cov-2 virus, not a bacteria. The first Sars-Covid-2 case was only detected in Wuhan in mid to late December. And it was only last month that Chinese scientists were able to positively trace back the first real case of Sars-Cov-2 to November 17 – a few days after the Inner Mongolian trio.

Knowing exactly where to look

It’s out of the question that U.S. intel, in this case the NCMI, was unaware of these developments in China, considering CIA spying and the fact these discussions were in the open on Weibo and WeChat. So if the NCMI “product” is not a fake and really exists, it only found evidence, still in November, of some vague instances of pneumonic plague.

Thus the warning – to the DIA, the Pentagon, the National Security Council, and even the White House – was about that. It could not possibly have been about coronavirus.

The burning question is inevitable: how could the NCMI possibly know all about a viral pandemic, still in November, when Chinese doctors positively identified the first cases of a new type of pneumonia only on December 26?

Add to it the intriguing question of why the NCMI was so interested in this particular flu season in China in the first place – from plague cases treated in Beijing to the first signs of a “mysterious pneumonia outbreak” in Wuhan.

There may have been subtle hints of slightly increased activity at clinics in Wuhan in late November and early December. But at the time nobody – Chinese doctors, the government, not to mention U.S. intel – could have possibly known what was really happening.

China could not be “covering up” what was only identified as a new disease on December 30, duly communicated to the WHO. Then, on January 3, the head of the American CDC, Robert Redfield, called the top Chinese CDC official. Chinese doctors sequenced the virus. And only on January 8 it was determined this was Sars-Cov-2 – which provokes Covid-19.

This chain of events reopens, once again, a mighty Pandora’s box. We have the quite timely Event 201; the cozy relationship between the Bill and Melinda Gates Foundation and the WHO, as well as the Word Economic Forum and the Johns Hopkins galaxy in Baltimore, including the Bloomberg School of Public Health; the ID2020 digital ID/vaccine combo; Dark Winter – which simulated a smallpox bio-attack on the U.S., before the 2001 anthrax attack being blamed on Iraq; U.S. Senators dumping stocks after a CDC briefing; more than 1,300 CEOs abandoning their cushy perches in 2019, “forecasting” total market collapse; the Fed pouring helicopter money already in September 2019 – as part of QE4.

And then, validating the ABC News report, Israel steps in. Israeli intel confirms U.S. intel did in fact warn them in November about a potentially catastrophic pandemic in Wuhan (once again: how could they possibly know that on the second week of November, so early in the game?) And NATO allies were warned – in November – as well.

The bottom line is explosive: the Trump administration as well as the CDC had an advance warning of no less than four months – from November to March – to be properly prepared for Covid-19 hitting the U.S. And they did nothing. The whole “China is a witch!” case is debunked.

Moreover, the Israeli disclosure supports what’s nothing less than extraordinary: U.S. intel already knew about Sars-Cov-2 roughly one month before the first confirmed cases detected by doctors in a Wuhan hospital. Talk about divine intervention.

That could only have happened if U.S. intel knew, for sure, about a previous chain of events that would necessarily lead to the “mysterious outbreak” in Wuhan. And not only that: they knew exactly where to look. Not in Inner Mongolia, not in Beijing, not in Guangdong province.

It’s never enough to repeat the question in full: how could U.S. intel have known about a contagion one month before Chinese doctors detected an unknown virus?

Mike “We Lie, We Cheat, We Steal” Pompeo may have given away the game when he said, on the record, that Covid-19 was a “live exercise”. Adding to the ABC News and Israeli reports, the only possible, logical conclusion is that the Pentagon – and the CIA – knew ahead of time a pandemic would be inevitable.

That’s the smokin’ gun. And now the full weight of the United States government is covering all bases by proactively, and retroactively, blaming China.
 
Ultima modifica:
e il time of israel non è proprio un giornale filo-cinese....anzi ! Questo dovrebbe far capire che carogne sono. e "giustamente!" israele vuole pararsi il sedere.


US alerted Israel, NATO to disease outbreak in China in November — TV report | The Times of Israel


White House was reportedly not interested in the intel, but it was passed onto NATO, IDF; when it reached Israel’s Health Ministry, ‘nothing was done’

US intelligence agencies alerted Israel to the coronavirus outbreak in China already in November, Israeli television reported Thursday.

According to Channel 12 news, the US intelligence community became aware of the emerging disease in Wuhan in the second week of that month and drew up a classified document.

Information on the disease outbreak was not in the public domain at that stage — and was known only apparently to the Chinese government.

US intelligence informed the Trump administration, “which did not deem it of interest,” but the report said the Americans also decided to update two allies with the classified document: NATO and Israel, specifically the IDF.

The network said Israeli military officials later in November discussed the possibility of the spread of the virus to the region and how it would affect Israel and neighboring countries.

The intelligence also reached Israel’s decision makers and the Health Ministry, where “nothing was done,” according to the report.

Last week, ABC News reported that US intelligence officials were warning about the coronavirus in a report prepared in November by the American military’s National Center for Medical Intelligence.

It was unclear if that was the same report that was said to have been shared with Israel.

Colonel Shane Day, the NCMI director, denied last week that any such report existed. “As a matter of practice the National Center for Medical Intelligence does not comment publicly on specific intelligence matters,” he said. “However, in the interest of transparency during this current public health crisis, we can confirm that media reporting about the existence/release of a National Center for Medical Intelligence Coronavirus-related product/assessment in November of 2019 is not correct. No such NCMI product exists.”

In its first major step to prevent the spread of the coronavirus, Israel announced on January 30 it was barring all flights from China, ten days after Chinese leader Xi Jinping issued his first public comments on the virus and the Asian country’s top epidemiologist said for the first time it could be spread from person to person.

An Associated Press report on Wednesday said Xi’s warning came seven days after Chinese officials secretly determined that they were likely facing a pandemic, potentially costing China and other countries valuable time to prepare for the outbreak.

Doctors in Wuhan, the city at the center of the outbreak in China, are reported to have first tried to have warn about the virus in December, but were censored.

The Chinese government has repeatedly denied suppressing information in the early days, saying it immediately reported the outbreak to the World Health Organization.
 
Intelligence report warned of coronavirus crisis as early as November: Sources
"Analysts concluded it could be a cataclysmic event," a source said.

"Gli analisti hanno concluso che potrebbe essere un evento catastrofico", ha affermato una delle fonti del rapporto dell'NCMI. "È stato poi informato più volte" presso la Defense Intelligence Agency, lo staff congiunto del Pentagono e la Casa Bianca. Mercoledì sera, il Pentagono ha rilasciato una dichiarazione in cui negava l'esistenza del "prodotto / valutazione".

Intelligence report warned of coronavirus crisis as early as November: Sources - ABC News
 
Intanto le navi iraniane sono arrivate sotto la scorta venezuelana

la russia si sta preparando allo dispiegamento militare in venezuela dopo che la germania aveva rifiutato il nucleare e gli stati uniti con il consenso della polonia avevano messo là il loro dispiegamento.

Quando i cani abbaiano, passa la carovana persiana! – Aurora

Il Matamoros di Washington afferma che “tutte le opzioni sono sul tavolo” per impedire alle petroliere iraniane di arrivare in Venezuela; Teheran e Caracas annunciano di essere “pronti a fare qualsiasi cosa” per difendere il legittimo diritto di utilizzare le rotte marittime internazionali e cooperare pacificamente nel settore petrolifero; mentre le navi iraniane arrivavano in sicurezza sotto la scorta venezuelana, sotto il naso e la barba della Washington guerrafondaia; un diplomatico cinese dichiarava che era scoppiato un “virus politico” negli Stati Uniti, dove l’amministrazione Trump sembra decisa a scatenare una “nuova guerra fredda”.
Un Donald Trump presa dell’isteria pre-elettorale accusa la Cina delle turpitudini più implausibili per esonerare la propria nullità criminale ed irresponsabilità nel trattare la crisi sanitaria; fughe dai vertici suggeriscono che gli Stati Uniti prevedono di riprendere i test nucleari pochi giorni dopo aver annunciato il ritiro dall’accordo di limitazione delle armi. con disappunto degli alleati europei; gli stessi alleati, brevettati eunuchi della geopolitica ridotti al ruolo di impotenti spettatori del conflitto mondiale nordamericano di cui sono complici masochisti da anni e che ora affrontano faccia a faccia. Quando tutto accade in questo modo, allo stesso tempo, diciamo che tutto rimane come prima e tuttavia tutto cambia. Tutto rimane come prima perché gli Stati Uniti sono fedeli a se stessi: la plutocrazia genocida che si pretende nazione prescelta da Dio obbedisce a tale impulso imperialista che la spinge a voler annullare chiunque sfida la sua vacillante supremazia. Diffonde incantesimi stravaganti coi suoi mezzi militari in tutti i continenti e pratica l’intimidazione su larga scala per mezzo delle 700 basi militari che ha diffuso sulla superficie del globo. Ma poiché ciò non basta ad avvelenare le altre nazioni, deve anche cercare di distruggere con la fame, togliendo il cibo, chi osa manifestare la minima inclinazione alla disobbedienza.
[B]Da veri maniaci del blocco, tale arma da codardi che non esitano a privare i bambini di farmaci per aumentare il proprio potere, la “nazione eccezionale” che l’Onnipotente ha donato all’umanità è oggi l’unica al mondo e l’unico nella storia ad imporre sanzioni economiche a 39 Paesi.[/B] Obiettivi privilegiati di tale impero del crimine,’Iran e Venezuela attuano un formidabile braccio di ferro, ma senza sottovalutare il pericolo: gli USA sono un gigantesco arsenale controllato da sociopatici che sognano il dominio planetario. Usano le armi economiche perché non possono usare la forza armata; e la loro capacità d’infastidire è pari solo all’ostinazione nel voler piegare il mondo ai propri desideri. Eppure diciamo anche che tutto cambia. Perché quando l’imperialismo si accontenta di abbaiare invece di mordere, è perché il guinzaglio è al limite. I bulldog del Pentagono possono ancora mostrare le zanne: mentre abbaiano, la carovana del petrolio dalle montagne persiane raggiunge le rive dei Caraibi. Possono ancora sbarcare mercenari in una nuova baia dei porci, una riedizione della spedizione destinata a frantumare le forze bolivariane. Un’altra balbuzie storica, che dimostra che la coalizione delle nazioni sovrane non ha perso la capacità di resistere all’imperialismo. La carovana petrolifera che collega Teheran a Caracas simboleggia l’alleanza di nazioni storiche (Russia, Cina, Iran) e giovani nazioni nate dal crollo del colonialismo, di cui Siria e Venezuela sono oggi il prototipo. Sostenute dall’alleanza continentale russo-cinese, rischia di dare e filo da torce ai creatori di guerra convertiti in creatori di blocchi.
 
hanno proprio la faccia come il sedere questi amerikioni.... sono i primi a non avere mai rispettato le norme internazionali e accusa, come sempre, la russia di intercettazioni pericolose nel mediterraneo. credono che siccome lo fanno loro gli altri sono obbligati a copiarli.

Usa accusano i Su-35 russi di intercettazioni pericolose - Sputnik Italia


Il ministero Difesa russo afferma che tutti i voli dei velivoli russi avvengono in conformità con le norme internazionali.

Martedì due caccia russi Su-35 avrebbero in maniera "non sicura" intercettato l'aereo da ricognizione Poseidon P-8A della Marina statunitense sul Mar Mediterraneo, secondo il servizio stampa della sesta flotta americana.

L'esercito americano ha anche definito l'intercettazione "non professionale", perché i caccia russi, hanno affermato, si sarebbero avvicinati simultaneamente al Poseidone dai due lati, rendendo la ricognizione “non manovrabile in sicurezza".

L'incidente è durato per un totale di 64 minuti. Due video e immagini dedicati a questa situazione sono apparsi sul sito web del servizio stampa della sesta flotta.

Il Ministero della Difesa della Federazione Russa ha sottolineato che tutti i voli dei velivoli russi avvengono in conformità con le norme internazionali per l'utilizzo dello spazio aereo su acque neutre.

​Gli americani avevano denunciato anche in precedenti occasioni l'intercettazione dei loro aerei da parte dei caccia russi. L'ultimo incidente del genere si era verificato a metà aprile.
 
Terre rare, la trappola cinese capace di paralizzare l’armata Usa - Sputnik Italia



Sono materiali fondamentali per la costruzione di armi, aerei e missili ad alta tecnologia come i missili Tomahawk, i caccia F-35 o i sommergibili nucleari. La Cina possiede il 36 per cento delle riserve terrestri e soprattutto ne controlla l’intera produzione. Basterebbe bloccarne le forniture per immobilizzare l’apparato militare americano.

Le chiamano “terre rare”, sono 17 in tutto e hanno nomi come scandio, ittrio, lantanio, olmio che sembrano usciti dalle pagine del Signore degli anelli. In verità sono il ponte tra la nostra epoca e quella di “Guerre stellari”. E rappresentano l’arma segreta con cui Pechino può annullare la superiorità tecnologica degli arsenali americani rendendo impossibile il controllo dei missili Tomahawk, annullando l’invisibilità degli F-35 o mettendo fuori servizio i sommergibili nucleari della classe Virgin.

Il perché è presto detto. Ogni F-35 richiede l’utilizzo di 460 chili di terre rare. E ce ne vogliono dieci volte tante per far funzionare un sottomarino classe Virgin. Lo stesso vale per tutti i prodotti più sofisticati dell’industria bellica statunitense dai missili Tomahawk a quelli ipersonici, dalle bombe intelligenti agli aerei invisibili. Peccato che la produzione e la lavorazione di quei 17 componenti dagli strani nomi sia per il 95 per cento nelle mani della Cina. Quindi a Pechino basta toglierle dal mercato per paralizzare la produzione militare americana. Una mossa capace di mettere sul lastrico un’azienda come la Apple visto che anche la tecnologia degli I Phone dipende dalle terre rare.

Per capire come e perché le terre rare siano diventate la più potente arma strategica nelle mani di Pechino bisogna partire dal villaggio svedese di Ytterby dove, nel 1787, il chimico militare Carl Axel Arrhenius scopre uno sconosciuto metallo argenteo e lucente. Da quel metallo il geologo Johan Gadolin estrae due anni dopo l’ossido di ittriallo. Da lì inizia la ricerca di 17 elementi introvabili allo stato naturale, ma ottenibili con costose tecniche estrattive dalle argille lateriche o da giacimenti di minerali dai nomi altrettanto strani come bastnasite, monazite e loparite.

Ma molte delle terre rare sono radioattive e questo le rende pericolose per l’uomo e per l’ambiente moltiplicando i costi estrattivi. Proprio queste difficoltà giocano a favore di una Cina dove fino a una decina di anni fa non esistevano leggi troppo vincolanti a tutela della salute dei lavoratori e dell’ambiente. “Il Medio Oriente ha il petrolio, ma in Cina ci sono le terre rare” – annuncia nel 1992 il leader cinese Deng Xiaoping nel corso di un intervento davanti all’ufficio politico del partito comunista. Dietro quella profezia c’è la consapevolezza di controllare il 36 per cento dei giacimenti mondiali di terre rare e di poter offrire condizioni particolarmente vantaggiose. In verità Deng Xiaping non scopre nulla di nuovo. Già dai primi anni 80l’Occidente, preoccupato per i costi sociali e ambientali legati all’estrazione di terre rare, ha chiuso scavi e miniere per appaltarne la produzione ad una Cina capace di garantire costi concorrenziali. E così dal 2000 al 2009 Pechino incrementa del 77 per cento la produzione delle terre rare arrivando a metterne sul mercato 129 mila tonnellate mentre il resto del mondo siferma a 3000 tonnellate.

Il monopolio non si limita all’estrazione.Garantendo costi di lavorazione bassissimi la Cina induce non solo la Apple, ma anche i grandi gruppi statunitensi legati alla componentistica militare a spostare sul proprio territorio gli stabilimenti. Il rapporto del2018 con cui il Pentagono accusa la Cina di aver imposto un autentico monopolio diventando il principale e unico fornitore di componenti chiave per la costruzione di munizioni e missili è un’autentica ammissione d’impotenza. Il rapporto sottolinea come la produzione di neodimo, fondamentale per la costruzione di super magneti, o di gizmo essenziale per il controllo dei missili siano prodotti esclusivamente in Cina e risultino ormai introvabili sul mercato statunitense. Da quel vicolo cieco l’America è incapace di uscire.Tutte le facilitazioni fiscali e gli incentivi proposti alle aziende statunitense per indurle ad investire nuovamente nella produzione di terre rare si scontrano essenzialmente con le leggi del mercato.

Le terre rare in teoria non sarebbero difficilmente reperibili. Basterebbe estrarle dai giacimenti presenti in Vietnam, Brasile, India, Australia, Canada e Groenlandia processarle e trasformare in semi componenti. Ma riavviare da zero quella macchina produttiva ha, come avverte il rapporto del Pentagono, un costo “proibitivo” che nessun sussidio o facilitazione fiscale può rendere sopportabile. Dunque l’unica via d’uscita, a cui sta seriamente pensando l’Amministrazione Trump, è quella di creare un autentico mercato protetto garantito e finanziato per ragioni strategiche dallo stato Americano. Il paradosso è insomma assai chiaro. Per poter rilanciare la sfida militare all’ultima grande potenza comunista l’America dovrà rinunciare all’economia di mercato e tornare, almeno in parte, a quella di Stato.
 
Terre rare, perche sono il nuovo petrolio della nostra epoca (e il tesoro della Cina) - GreenMe.it

Terre rare. Sono bastate queste due parole fatte trapelare in questi giorni dalla Cina per mettere a tacere la volontà degli Usa di bloccare il colosso tecnologico cinese Huawei. Ma cosa sono le terre rare e perché vengono considerate il nuovo petrolio?
È in atto una vera e propria guerra commerciale (l’ennesima), tra Usa e Cina. Il 15 maggio scorso un decreto di Donald Trump aveva imposto di tagliare le forniture al colosso cinese Huawei. Google aveva già agito di conseguenza revocando la licenza di Android a Huawei. In altre parole, ai nuovi smartphone cinesi sarà negato l’accesso alle app collegate ad Android, come Gmail e Google Maps, ma non a quelle libere, in open source. Nulla cambierà per chi è già in possesso di uno Huawei.
Di fatto, sembra chiaro che gli Stati Uniti si sentano minacciati dalla diffusione degli smartphone Huawei e stiano provando a indebolire un colosso cinese che ha conquistato il 20% del mercato della telefonia, proprio nel momento in cui gli altri marchi sono in frenata.


Ma alla Cina è bastato un gesto semplice. Xi Jinping si è recato a fare un’ispezione a Ganzhou, nella provincia orientale di Jiangxi visitando il centro di produzione e trasformazione delle cosiddette terre rare. Il colosso asiatico esplicitamente non ha detto nulla, facendo solo sapere del viaggio del presidente e della presenza del vicepremier Liu He, capo negoziatore con gli americani.
Dietro il viaggio un messaggio implicito: quello di negare alle industrie americane i componenti minerali fondamentali per l’industria hi-tech. Non a caso, ieri, il ministero del Commercio americano ha fatto un passo indietro, concedendo una proroga di 90 giorni alla messa al bando nei confronti di Huawei.


Cosa sono le terre rare

Le cosiddette terre rare sono 17 metalli, sconosciuti fino a circa 100 anni fa, oggi fondamentali per l’industria tecnologica. La loro importanza è tale da avere un peso anche nei conflitti geopolitici, visto che la Cina ne controlla quasi interamente la produzione mondiale.
Il primo a scoprirle nel 1787 in un villaggio di Ytterby in un’isola dell’arcipelago di Stoccolma, fu il chimico e militare svedese Carl Axel Arrhenius. L’uomo notò un minerale nero mai visto prima, che ribattezzò itterbite. Toccò poi al prof. Johan Gadolin dell’Univeristà finlandese di Turku, circa 10 anni dopo, capire che si trattava di un mix di ossidi di elementi mai analizzati prima, ai quali iniziò a riferirsi come terre rare. Dal campione nel 1803 si riuscirono a estrarre due elementi, l’ittrio e il cerio. Circa 100 anni dopo venne scoperto il il lutezio, 17esimo e ultimo elemento di quello strano miscuglio scoperto nell’800.
In realtà, di raro le terre non hanno nulla e sono abbastanza diffuse ma solo in alcune zone del mondo, come la Cina. All’epoca della loro scoperta vennero definite tali perché rispetto ad altre, erano meno abbondanti.

Perché vengono considerate il nuovo petrolio

Questi 17 metalli potrebbero decidere chi sarà il padrone del mondo. Se il colosso asiatico decidesse improvvisamente di interrompere la fornitura ai paesi esteri, metterebbe in ginocchio in pochi giorni l’industria militare, aerospaziale ed elettronica delle principali potenze mondiali.
Materiali come lantanio, europio, erbio, lutezio hanno proprietà magnetiche e ottiche e vengono usati nella produzione di apparecchiature ad alta tecnologia, dai motori per le auto ibride ai superconduttori, dai magneti alle turbine eoliche.
Questi elementi, per la loro particolare luminescenza e per il loro essere superconduttori di energia, sono infatti il vero cuore pulsante dell’economia digitale. Ad esempio, senza l’indio non ci sarebbe il touch screen, senza ittrio, disprio, europio, gadolinio, lantanio e terbio gli schermi non sarebbero colorati. Senza il neodimio e il gadolinio non ci sarebbero i microfoni, senza disprosio, preseodimio e terbio non ci sarebbe alcuna vibrazione.

Si tratta di elementi industriali strategici, in gran parte gestiti dalla Cina. Solo nel 2018, il colosso asiatico ha prodotto il 71% delle terre rare estratte nel mondo. Negli ultimi 20 anni il paese ha costruito un vero e proprio monopolio su questi materiali.
Un tesoro che l’ha resa una forza imprescindibile nel mercato dell’economia digitale e della geopolitica.
 
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