....è in partenza dal 2° Binario il treno per.....

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

Una serie di concause: il carbone scadente delle due locomotive, il sovraccarico delle persone, lo slittamento sulle rotaie e sopratutto i frenatori che allorchè il treno retrocesse frenarono il convoglio.
 
L’umiltà è la virtù che ci permette di conoscere noi stessi e di stimarci secondo il giusto valore, e che è contraria a ogni forma di ostentazione e vanità.
Fondamento dell’umiltà sono la*verità, che ci porta a conoscerci come veramente siamo; e la*giustizia, che ci inclina a trattarci conformemente a questa conoscenza. L’umiltà*esteriore*dev’essere ovviamente la manifestazione di un abito interiore, altrimenti è solo ipocrisia.
E non dev’essere ostentata, altrimenti dà scandalo ai semplici. ..


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Quando il Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto – futuro San Pio X – viaggiava in treno, saliva in prima classe come si conveniva a un Principe della Chiesa,
ma viaggiava in terza.

Nessuno lo sapeva, non c’erano fotografi ad immortalarlo. Pio XII, che ognuno di noi ricorda per la sua figura ieratica, aveva una camera da letto poverissima,
e spesso dormiva per terra, per penitenza; ma non si sarebbe mai sognato di recarsi in visita al Quirinale su una utilitaria, né si sarebbe gettato ai piedi di
alcun rappresentante di un potere terreno, perché era ben consapevole della sacralità della propria funzione e del fatto che il Romano Pontefice è, per mandato
divino, superiore a qualsiasi autorità umana.

Lo abbiamo visto, il 14 luglio 1943, accorrere nel quartiere popolare di San Lorenzo subito dopo il bombardamento degli Alleati su Roma, a rincuorare il popolo,
ma sempre con la gravità e la compostezza del Vicario di Cristo. Diremmo che San Pio X e Pio XII non erano umili? Ecco: questa è l’umiltà di un Papa,
che non ha bisogno né di esser ostentata, né di venir immortalata dai reporter, né elogiata dai cortigiani.
Perché il suo riferimento è Dio e non cerca un’eco mediatica.


**Monsignor Carlo Maria Viganò


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"...II sole tramonta a ovest, si inabissa nel Pacifico, e i suoi ultimi riflessi proiettano sulla candida pampa l'ombra del Patagonia Express che si allontana in senso contrario, verso l'Atlantico, là dove iniziano i giorni.

Da lì parte la più australe delle linee ferroviarie, il vero Patagonia Express, che dopo duecentoquaranta chilometri di marcia, collegando città come El Zurdo e Bellavista, arriva a Rio Gallegos, sulla costa atlantica.
Il convoglio, formato da due carrozze passeggeri e da due vagoni merci, è trascinato da una vecchia locomotrice a carbone, fabbricata in Giappone agli inizi degli anni trenta. Ogni carrozza passeggeri dispone di due lunghe panche di legno che vanno da cima a fondo. A un estremo del vagone c'è una stufa a legna, che deve essere alimentata dagli stessi passeggeri, e su di essa una stampa con l'immagine della Vergine di Lujàn, la loro protettrice. ..."


(L. Sepulveda)


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"[.....] Sapevamo che la Trochita partiva da El Maitén il martedì con patagonica precisione, fra le otto del mattino e mezzogiorno, e che dopo aver raggiunto Esquel ritornava il giovedì, mettendosi in marcia con identica puntualità per ripercorrere al contrario i trecentocinquanta chilometri a cui erano stati ridotti, dopo le privatizzazioni e la morte delle ferrovie argentine, gli originari millesettecento del Patagonia Express. Quella mattina la stazione appariva stranamente deserta. Da quanto ci risultava, il vecchio treno continuava a essere l’unico mezzo di trasporto per gli abitanti di El Maitén che dovevano andare a Esquel a comprare beni di prima necessità, a farsi vedere dal medico o a lottare contro la burocrazia. La biglietteria era chiusa e così cominciammo ad aggirarci per la stazione senza incontrare nessuno, finché non arrivammo davanti all’officina e sentimmo la musica di una radio e delle voci.

Era un capannone enorme e là, fra tonnellate di metallo arrugginito, una locomotiva a vapore che mostrava parte delle sue viscere d’acciaio e tre vagoni di legno, scorgemmo un gruppo di uomini vestiti con la classica tuta blu dei meccanici. «Cosa raccontate di bello, ragazzi?» ci salutò uno di loro vedendoci. Rispondemmo al saluto e subito fummo invitati a bere mate e a mangiare pane e formaggio. «Possiamo sapere cosa vi porta da queste parti?» chiese un altro. «Il treno. Ci hanno detto che partiva oggi per Esquel». «Eccolo, ragazzi. Il vecchio Patagonia Express. Volete farci un giro?» disse uno dei ferrovieri. Ci guardammo a vicenda, guardammo anche il treno che sbuffava per la voglia di partire verso la steppa e stringemmo forte la mano a quegli uomini che esibivano l’orgoglio più sano del mondo, quello del lavoro ben fatto, quello di essere parte di un insieme indispensabile: l’orgoglio di classe, semplicemente. «I gringos sono andati verso nord, perciò noi andremo a sud» disse il macchinista. Allora il mio socio ebbe l’idea più brillante. «E se avvisassimo la gente del paese che c’è il treno?». Ed esattamente due ore dopo, con perfetta puntualità, la locomotiva mandò sbuffi di vapore che bagnarono di nebbia le banchine, il fochista cominciò a buttare palate di carbone nella caldaia e noi ci accomodammo sulle due carrozze in mezzo a una cinquantina di persone felici di poter nuovamente contare sul loro unico mezzo di trasporto.

Quel viaggio fu una festa. Quel viaggio fu il più bello della nostra vita, perché era nato dalla determinazione di un gruppo di uomini che, infischiandosene delle rappresaglie che avrebbero subito, avevano deciso che due viaggiatori venuti da molto lontano dovevano essere testimoni del loro amore per il lavoro. Era limpida l’aria della steppa, erano allegri i volti affacciati ai finestrini delle carrozze, era compatta la colonna di fumo che usciva dalla locomotiva, era chiaro e onnipresente il fischio che annunciava il passaggio del treno, era dolce il vigore delle bielle che con tutta la forza dell’acciaio spingevano le ruote, e lo sferragliare del convoglio invitava a bere il mate offerto dal passeggero accanto mentre le conversazioni passavano in rassegna tutte le cose della vita. ......."


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Se sul treno ti siedi al contrario
con la testa girata di là
vedi meno la vita che viene
vedi meglio la vita che va.

Vivian Lamarque


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“Noi due soli in una camera chiusa a chiave, isolati da tutto il resto del mondo.
Dalla folla della città notturna, dalle parole d’amore, dalle liti e dalle dispute, dalle insegne al neon,
dalle vibrazioni della danza delle discoteche, dagli sguardi sfuggevoli e dagli ammiccamenti, dalle
prostitute, dai giovani vagabondi e squattrinati, dagli occhiali da sole che difendono dalla notte,
dall’ultimo spettacolo delle sale cinematografiche, dalle vetrine vuote delle gioiellerie dove si
allineano i supporti di velluto senza gemme, dal triste stridio delle gomme delle automobili,
dal rumore dei lavori in corso della metropolitana.”

(Mishima – Musica)**
 

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Caro albero meraviglioso
che dal treno qualcuno
ti ha tirato un sacchetto
di plastica viola
che te lo tieni lì
stupito
sulla mano del ramo
come per dire
“cos’è questo fiore strano
speriamo che il vento
se lo porti lontano”.
Ci vediamo
al prossimo viaggio
ricorderò il numero
del filare, il tuo
indirizzo, ho contato
i chilometri dopo lo scalo-merci
arrivederci.

Vivian Lamarque***


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La locomotiva Lison è non solo il teatro di un tremendo delitto, di cupe passioni di amore e vendetta , ma risulta praticamente protagonista, insieme al suo macchinista Jacques Lantier e al fuochista Pecqueux, de "La bête humaine" di E. Zola, che esplicitamente descrive la macchina in termini umani.

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"...per un istante era stato possibile, attraverso le interiora scoppiate, veder funzionare i suoi organi, il palpito dei pistoni
come due cuori gemelli, il vapore circolare nei cassetti come il sangue nelle vene
..."


“...Sostenevano che se aveva un facile avviamento,
ciò derivava dall’eccellente banda di trasmissione delle ruote, e soprattutto dalla
regolazione perfetta dei cassetti di distribuzione; perciò se vaporizzava molto con poco
combustibile, la cosa veniva attribuita alla qualità di rame dei tubi e alla felice
disposizione della caldaia. Jacques sapeva però che non era tutto qui, dato che altre
locomotive di identica costruzione, montate con la stessa cura, non possedevano le
stesse qualità. C’era l’anima, il mistero della fabbricazione, un qualcosa che la
casuale martellatura imprime al metallo, che la mano dell’operaio montatore infonde
ai pezzi: la personalità della macchina, la vita
..."

“....raramente aveva sentito la Lison tanto obbediente: la possedeva, la cavalcava a suo
piacimento,
con l’illimitato volere del padrone, continuando tuttavia ad essere severo,
trattandola da bestia domata, di cui bisogna sempre diffidare. ..."




 


"Tra i popoli antichi chi incontrava qualcuno ne afferrava un lembo della veste con la mano sinistra
e baciava la propria destra, indirizzando poi quel bacio all’interessato.
*Come facciamo noi alle partenze dei treni dietro vetri impossibili da perforare."

Alessandro D'Avenia
 

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"Solo un passo e già lì ti riconoscerò
Ad occhi chiusi ti respirerò
Oggi, domani,
Capiterà di toccare con mano la felicità
E gridarlo al mondo intero.
E passerà l'estate
Il profumo delle rose si perderà tra i colori delle foglie ingiallite
Un treno che parte e un tramonto che volge alla fine
. ....."





Treno per Segesta


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"...s'intravvede appena la sagoma del grande tempio, che sta in alto sopra di loro con le sue proporzioni alla greca, solide e massicce come le parti d'un corpo vigoroso. ... Il recinto dell'area sacra è aperto, fra le colonne doriche del tempio s'innestano piccoli bagliori di luce. Sembra l'abitino di famigliole di lucciole. .... Devono essere passate delle ninfe. Il peristilio è adornato da una collana di fiori che lo cinge di colonna in colonna a un'altezza poco superiore a quella d'una persona. Questo nastro delicato sorregge pannelli traslucidi d'una stoffa impalpabile, color dei baci che acquista mille sfumature diverse per i riflessi mutevoli della luna. Devono essere queste le sfumature del bacio, un'ipnosi d'illusioni che vestono la vita offrendo l'immaginazione del piacere. ....


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"...l'istante del silenzio viene subito infranto da un tamburello che inizia a scandire un ritmo incalzante. Si sentono dei passi dietro le cortine, s'allumano delle ombre.... Disposte su due fila diagonali e simmetriche 18 giovani sicule stanno danzando vestite di leggeri drappi bianchi a imitazione di stole antiche... Scuotendo rapida il ventre come una danzatrice bizantina compare una sagoma femminile dalle ciglia d'argento. Ha lunghi capelli scuri che l'accarezzano lungo i fianchi. Per un attimo [Andrea] la vede divina ed etera come una Dea, per un attimo gli appare come un gorgo di desiderio caldo e passionale che si avvicina...."


(S. Bertuzzi)



 
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Ebbene, era Clarissa che colpiva; non che fosse una donna fatale, non era nemmeno bella,
non aveva nulla di originale, non diceva nulla di particolarmente intelligente.
Eppure era là, ecco; era là. No, no, no! Non era più innamorato di lei.
Ma dopo averla vista quella mattina, tra forbici e sete, assorta nei preparativi per la serata,
si sentiva incapace di distogliere il suo pensiero da lei; ella tornava sempre a cascargli addosso,
come un viaggiatore addormentato sballottato dai sobbalzi del treno.
E questo non significava essere innamorati, ma piuttosto pensare a lei, criticarla, ricominciare,
dopo trent’anni, a cercare di spiegarla.* * *

Mrs. Dalloway – Virginia Woolf
 

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“Incontro” di Francesco Guccini

E correndo mi incontrò lungo le scale, quasi nulla mi sembrò cambiato in lei, *
la tristezza poi ci avvolse come miele per il tempo scivolato su noi due.
Il sole che calava già rosseggiava la città
già nostra e ora straniera e incredibile e fredda:
come un istante “dejà vu”, ombra della gioventù, ci circondava la nebbia…
Auto ferme ci guardavano in silenzio, vecchi muri proponevan nuovi eroi,
dieci anni da narrare l’uno all’altro, ma le frasi rimanevan dentro in noi:
“cosa fai ora? Ti ricordi? Eran belli i nostri tempi,
ti ho scritto è un anno, mi han detto che eri ancor via”.
E poi la cena a casa sua, la mia nuova cortesia, stoviglie color nostalgia…
E le frasi, quasi fossimo due vecchi, rincorrevan solo il tempo dietro a noi,
per la prima volta vidi quegli specchi, capii i quadri, i soprammobili ed i suoi.
I nostri miti morti ormai, la scoperta di Hemingway,
il sentirsi nuovi, le cose sognate e ora viste:
la mia America e la sua diventate nella via la nostra città tanto triste…
Carte e vento volan via nella stazione, freddo e luci accesi forse per noi lì
ed infine, in breve, la sua situazione uguale quasi a tanti nostri film
:
come in un libro scritto male, lui s’era ucciso per Natale,
ma il triste racconto sembrava assorbito dal buio:
povera amica che narravi dieci anni in poche frasi ed io i miei in un solo saluto…
E pensavo dondolato dal vagone “cara amica il tempo prende il tempo dà…
noi corriamo sempre in una direzione, ma qual sia e che senso abbia chi lo sa…
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento,
le luci nel buio di case intraviste da un treno:
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno…
”.
 

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"L'elettricità ha cambiato il sesso alla ferrovia. La locomotiva ansima, è calda, ti cattura con le sue
curve, è femmina.
Il mostro freddo ringhia, è un parallelepipedo corazzato, maschio. Ha anche un
dannato profilo bellico.
Ci penso dondolando verso Udine a bordo di un "Taf", un'altra sigla dei tempi nuovi che vuol dire
"Treno ad alta frequentazione"
. È bello, fiammante, l'hanno ricoperto di una pellicola speciale per
evitare lo sconcio dei graffiti. ...." (P. Rumiz)


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Nel 2002 lo scrittore Paolo Rumiz, friulano, decide di intraprendere un viaggio nella ferrovia italiana. Scrittore aduso ai viaggi di scoperta, aveva già scritto molti reportage che narravano splendidi viaggi in solitaria. Questo suo racconto, dedicato ai treni italiani, si avvale di un compagno d'eccezione, la cui identità viene tenuta nascosta con lo pseudonimo "740", che è una delle più usate locomotrici: si tratta dell'attore Marco Paolini.

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"....In tasca, un’idea corsara. Percorrere 7480 chilometri, come la Transiberiana dagli Urali a Vladivostok. Una distanza leggendaria, un gomitolo lungo come l’Asia da srotolare dentro la Penisola. Non sappiamo ancora dove andremo e in quanto tempo consumeremo questo buono chilometrico che nessun biglietto può contenere. Sappiamo solo che il nostro è un conto alla rovescia che ci obbligherà a scendere al chilometro zero. ... Un piccolo treno come questo che arranca tra praterie e fichi d’India. Siamo in ballo. Il viaggio comincia.”
 
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"...Che viaggio il nostro, fin qui ai confini della notte! Sole basso di poppa, praterie andaluse. E nelle stazioni, i resti anche di cinque serbatoi d'acqua, segno della sete africana che qui divorava le locomotive.
Intanto è arrivato il via libera: il motore si risveglia e il bruco luminoso riparte, con i due rubini rossi sulla coda. Si scava la strada verso l'altro mare, Catania barocca e la sua festa mobile...."

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" In cabina di guida realizziamo che nessun passeggero al finestrino saprà mai la magnificenza di questa penetrazione frontale del paesaggio, in un mare oceano di alberi di pistacchio color verde smeraldo, avvinghiati alla lava. (P. Rumiz)

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(Canzone musicata dal Maestro Morricone :bow::clap: Testo scritto da Gino Paoli mentre stava a Capo d'Orlando (ME). Il sax è di Gato Barbieri)
 
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La pioggia
Un caffè e un muffin al cioccolato
Il saluto in stazione
Ti guardo scendere dalla scala mobile
Non ti volti
Non ti volti indietro mai, neppure quando rimane una carezza incastrata
intrappolata nel nostro desiderio di non allontanarci

Roberta Lipparini
 

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[...]
Rainer, si fa sera e io Ti amo.
Ulula un treno.
I treni sono lupi, i lupi sono la Russia.
Non è un treno è tutta la Russia che ulula verso di Te.
Rainer, non T'arrabbiare: che Tu T'arrabbi oppure no, stanotte dormirò con Te.

*lettera di*Marina Cvetaeva*a R.M.Rilke
 

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Ripartono i treni storici.

Nelle terre del Brunello.

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Scoprire la bellezza delle Terre di Siena con un mezzo e una velocità d’altri tempi. Il treno storico a vapore parte dalla splendida cittadina di Siena e s' attraversa il suggestivo Parco della Val d’Orcia fino a raggiungere la stazione di Monte Amiata. I passeggeri potranno proseguire il viaggio in bus verso Montalcino, percorrendo circa 18 km immersi tra i vigneti che producono il Sangiovese, uva da cui nasce il rinomato Brunello.

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Il borgo è rimasto pressoché intatto dal XVI secolo. Una volta raggiunta la cima su cui si erge Montalcino, è un continuo susseguirsi di colline punteggiate qua e là da fiori gialli e rossi, antiche querce, pittoreschi alberi d'olivo e panoramiche strade di campagna che attraversano i vigneti. Il borgo è diventato famoso grazie al Brunello, uno dei migliori vini italiani e tra i più apprezzati al mondo. Anche se la città era già rinomata per i suoi vini rossi nel XV secolo, la preziosa formula del Brunello fu inventata solo nel 1888 da Ferruccio Biondi Santi, che per primo ebbe l'idea di eliminare i vitigni della tradizionale ricetta del Chianti usando solo la varietà Sangiovese.

Ma Montalcino non è solo vino, è anche arte e cultura. Il centro storico è dominato dalla possente Rocca, fortezza costruita nel 1361 per segnare il passaggio della città sotto il dominio di Siena. Il panorama che si gode dai bastioni della rocca è davvero spettacolare va dal Monte Amiata, attraversa le Crete fino a Siena, passando per la Val d'Orcia fino alle colline della Maremma.

(dal web, 24/9/20)





"Aspetto al binario 2 il treno della vita.
Aspetto lei
straniera e sconosciuta

ho sentito la sua voce solo alcune volte
e ho cercato d'immaginarla.

Ho cercato di mettere in pace la mia anima,
ma quest'attesa di lei è più forte di me.
.....
il gelo mi taglia la faccia come una lama,
ho una pochet blu per farmi riconoscere
lei mi ha detto che porta gli occhiali di un modello uguale al mio. ...."


(Gemiliano Serra, "Binario due".


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Oh, quanto mi hanno fatto sognare i viaggiatori che ho visto passare! Eppure erano solo trenini regionali
che collegavano Nancy a Épinal e lungo la tratta si fermavano una decina di volte in borghi sperduti per
assicurare il servizio agli autoctoni. Invidiavo quegli uomini e quelle donne. Immaginavo che andassero
a un appuntamento, appuntamenti che anch’io avrei voluto avere come i passeggeri che vedevo sfilare.

CAMBIARE L'ACQUA* AI FIORI -Valérie Perrin
 

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Ma quanto ci metti a venire da me? Io non so nemmeno da quanto ti aspetto.
Guardo gli orari di treni che non esistono per venirti a cercare in luoghi che
non conosco, in una vita che deve ancora arrivare.*

Fabrizio Caramagna
 

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Lui sente la forza della loro intesa esaurirsi, e se stesso come alle prese con quei romanzi cui azione e pagine finiscono
prima di avere avuto il tempo di smaltire l’emozione maturata nel seguirli: romanzi che in genere abbandona un po’ prima
della fine, per non trovarsene di colpo e irrimediabilmente senza.
Lei si rende conto di stare assistendo al farsi di un ricordo, uno di quei momenti cui si pensa soltanto dopo, rammaricandosi
di non averne vissuto il decorso con la coscienza della loro importanza se non altro di momenti cruciali.
E anche: si sente come alla stazione a salutare qualcuno che si ama, quando il treno tarda a partire e si rimane a guardarsi
dal finestrino, pieni di cose da dire ma senza più frasi che siano del taglio adeguato al momento
– e, benché a malincuore,
non si vede l’ora che il treno si muova.

L’INFINITO DI AMARE. DUE VITE, UNA NOTTE di Sergio Claudio Perroni
 

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