Nel 1992 lira e sterlina (nel frattempo lo Sme si è allargato ad altri paesi) escono, sotto la pressione di Soros. Ciampi, allora governatore di Bankitalia, impegna ingenti riserve valutarie per difendere il tasso di cambio necessario a restare nello Sme (nell’anno la lira è scambiata a 790 contro il marco), finché gli sforzi si rivelano vani: l'Italia svaluta (nel 1993 ci vogliono 950 lire per un marco), esce e non si verificano scenari apocalittici. La banda di oscillazione prevista dallo Sme si allarga e iniziano i tentativi di rientro nel progetto che condurrà alla moneta unica. Nel frattempo arriva Berlusconi, cade, poi vince Prodi e siamo al ’96.
Con la libera fluttuazione, per un marco ci vogliono oltre 1.100 lire. C’è da decidere a quale valore sulla divisa tedesca la nostra moneta vada ancorata per tornare nel club.
In maggio, per esempio, il presidente Fiat Cesare Romiti si espone così: «Rientrare nello Sme con un cambio a 1.000 lire sarebbe penalizzante, avrebbe più senso verso le 1.050. Non dobbiamo puntare solo a fare una bella figura: la lira a mille penalizza fortemente l’industria italiana».
Il 25 novembre 1996 l’Italia entra nuovamente nello Sme col cambio a 990, dunque con una moneta ben più forte rispetto al valore che Romiti considerava appropriato.
Stavolta «ballare» non si può: al netto di minime variazioni, è il tasso con cui entreremo nella moneta unica: le famose 1936,27 lire per un euro corrispondono a 1,995 marchi, e dunque un marco pesa come 990 lire.