martedì 5 luglio 2022
I conti in rosso
Avevamo appena terminato di parlare di squilibri globali e di come il comportamento della Germania avesse provocato una serie di comprensibili ritorsioni da parte degli Usa, che un nostro vecchio amico, il vecchietto che guida contromano in autostrada, lo strampalato complottista che "povera Germania, tutti cospirano svalutando contro di lei", ci annuncia una simpatica conseguenza di queste ritorsioni:
Ora, siccome io dei dati di un giornalista mi fido quanto dei meme che girano su Twitter (qualsiasi cosa non sia assistita da un link alla fonte originale viene cestinata e il suo diffusore bloccato, e me ne fotto se alla fine resterò da solo...), sono andato a controllare le fonti ufficiali, che ad oggi su Eurostat si fermano ad aprile.
Il quadro che emerge è questo:
non leggibilissimo a causa della stagionalità. Filtrandolo in modo un po' rozzo con un filtro alle medie mobili (un filtro passa-basso - ingengngnieri, scanzateve!), si precisano le tendenze di fondo:
dove quello che mi interessa e preoccupa non è tanto quello di cui tutti si preoccupano oggi (il caso tedesco, di cui magari poi parliamo), quanto quello che succede a noi, cioè alla spezzata gialla, che è, lei sì, in una preoccupante caduta libera senza alcun precedente negli ultimi anni (mentre di correzioni come quella cui assistiamo in questi mesi la Germania ne aveva già sperimentate).
Insomma, si conferma quello che dice sempre il noto terrorista Borghi (e si smentisce ahimè quello che vi avevo invece raccontato io all'inizio del ciclo Draghi): non siamo più in una posizione di surplus estero, ci stiamo avviando anche noi, come la Francia (e la Germania) a una situazione di deficit gemelli, il che ci rende molto più fragili di quanto non lo fossimo all'inizio della legislatura.
Quanto al caso tedesco, che cosa volete che vi dica?
Non posso che ripetere quello che qui ci siamo detti tante volte: la Germania ha segato il ramo su cui era seduta, e ora cade cercando di aggrapparsi ai fuscelli sottostanti.
Imponendoci l'austerità, e quindi "forzando" un nostro surplus estero, cioè un nostro eccesso di offerta di beni sui mercati internazionali, la Germania ha forzato un eccesso di offerta complessivo (cioè un surplus) dell'Eurozona sui mercati internazionali. Lo si vede bene qui:
La stagione dell'austerità rappresenta per l'Italia e la Spagna (e altri Paesi) il passaggio da una situazione di acquirente netto di beni esteri (tedeschi) a una situazione di venditore netto di beni all'estero, assistita da una svalutazione competitiva dell'euro (ben visibile qui), in modo che anche i Paesi meno competitivi riuscissero a vendere all'estero (onde rastrellare le risorse con cui ripagare la Germania). In conseguenza di questa svolta, l'intera Eurozona diventa venditrice netta, come testimonia l'impennarsi delle barre celesti, che rappresentano il suo saldo estero. Questo dipende sostanzialmente dal fatto che la Germania ha dovuto vendere altrove quello che non riusciva più a vendere a noi (avendoci proibito di comprare). Capite bene che al compratore di ultima istanza (gli Usa) questa situazione poteva andar bene solo per un po'. Vale infatti sempre e comunque il dilemma di Triffin: certo che per comprare beni esteri agli Usa basta "stampare" (rectius: emettere) dollari, ma la contropartita di questo "privilegio esorbitante" è, qualora se ne abusi, la perdita di credibilità del dollaro e comunque la perdita di controllo della politica monetaria interna!
Ne avevamo parlato qui a proposito del TTIP, che in questo semplice quadro concettuale era chiaramente leggibile come un tentativo degli Usa di riequilibrare a proprio vantaggio la bilancia degli scambi con l'Eurozona (esportandoci più merci).
Molto più efficaci a questo scopo le barriere "non di prezzo" tirate su con lo scandalo Dieselgate: multe salatissime, crollo delle vendite e poi sostanziale bando delle vetture Diesel. Un bel problema, che ovviamente gli amici tedeschi hanno scaricato sui loro fratelli europei imponendo la svolta green.
Tuttavia, vorrei fosse chiaro che non si può essere "atlantici" e "green", perché essere green significa mettersi in mano alla Cina (per il silicio, il litio, il rame, le terre rare, ecc.), e mettersi in mano alla Cina significa non essere atlantici ma pacifici (nel senso dell'oceano), cioè, in definitiva, volere la guerra, non la pace. L'asse non è più Roma-Berlino-Tokio, è Roma-Berlino-Pechino, ma sta finendo nello stesso modo.
Insomma: tu svaluti l'euro per vendermi i tuoi prodotti, allora io mi invento che le tue macchine inquinano per non comprartele più, allora tu ti butti sul green e ti dai in mano ai cinesi, allora io ti costringo a comprare le mie materie prime, ecc.
Tutto bellissimo.
Resta da capire come si comporteranno i tedeschi a casa loro, visto che, come vi ho appena mostrato, da come si comportano qui dipende quante rogne esportano nel resto del mondo e quindi quanti controcazzi rimbalzano a casa nostra.
Certo, siccome hanno innalzato il salario minimo, ci possiamo aspettare che le loro importazioni aumentino o almeno non diminuiscano quanto l'aumento dell'inflazione avrebbe determinato (causando così una flessione dei conti esteri già provati dall'aumento dei prezzi delle fonti di energia). La paura dell'inflazzione (vi aspetto...) poi li dovrebbe portare ad innalzare i tassi di interesse, con la conseguenza di deprimere gli investimenti a casa loro e di aumentare l'instabilità finanziaria nell'intera zona.
Una situazione indubbiamente da seguire con una certa attenzione.
Ma i piddini, com'è ampiamente noto, stanno pensando ad altro...
Pubblicato da Alberto Bagnai a 23:19
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Etichette: bilancia dei pagamenti, Svalutazione, TTIP
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