Amundsen
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Dopo nove mesi di delusioni e frustrazioni sul campo di battaglia ucraino, Putin affronta una crescente opposizione interna. “Non può vincere, ma non può nemmeno permettersi di porre fine alla guerra”, scrive Arkady Ostrovsky
Era il 24 febbraio e in Russia tutti pensavano che l’offensiva sarebbe durata pochi giorni. Nelle previsioni di Vladimir Putin, le truppe avrebbero ottenuto rapidamente il controllo dell'intera Ucraina. In pochi avrebbero immaginato che gli ucraini, in sostanziale inferiorità numerica, sarebbero stati in grado di opporre resistenza fino a oggi. Ora, dopo nove mesi di delusioni e frustrazioni sul campo, Mosca rischia di diventare “ingovernabile” e di “precipitare nel caos”: a sostenerlo è Arkady Ostrovsky, russian editor dell’Economist.
“La guerra sta trasformando la Russia in uno Stato fallito, con confini incontrollati, formazioni militari private, popolazione in fuga, decadenza morale e con la possibilità di un conflitto civile. Sebbene la fiducia dei leader occidentali nella capacità dell’Ucraina di resistere al terrore di Putin sia aumentata, cresce la preoccupazione per la capacità della Russia di sopravvivere alla guerra”, si legge sulla testata britannica. Il ritiro da Kherson – la capitale di una delle quattro regioni di cui Putin aveva proclamato l'annessione a settembre, affermando che sarebbero rimaste russe “per sempre” –, ha assestato un duro colpo al Cremlino. La politologa Ekaterina Schulmann, citata dall’Economist, spiega che “la Federazione Russa, così come la conosciamo, si sta auto-liquidando e sta entrando in una fase di fallimento. L’annessione non scoraggerà le forze ucraine, ma creerà dei precedenti per le regioni russe in crisi, comprese le repubbliche del Caucaso settentrionale, che probabilmente si dirigeranno verso l’uscita se il governo centrale inizierà ad allentare la presa”.
L’altro punto debole è rappresentato dalla crescita di milizie private che rispondono solo ai loro capi: dai mercenari della Wagner di Evgeny Prigozhin ai “Kadyrovtsy” del leader ceceno Ramzan Kadyrov. Il disordine dilaga in particolare a Mosca dove, dice Ostrovsky, “anche le agenzie di sicurezza governative sono sempre più al servizio dei propri interessi corporativi”. Il malcontento serpeggia anche tra i russi: “Putin ha rotto il fragile consenso in base al quale le persone avevano accettato di non protestare contro la guerra, in cambio di essere lasciate in pace. Ora gli viene detto di combattere e morire per il bene del suo regime”, scrive l’Economist facendo riferimento alla mobilitazione parziale dei riservisti iniziata a settembre e conclusasi (almeno secondo gli annunci di Mosca) lo scorso 31 ottobre.
Vladimir Putin, sostiene Ostrovsky, è in un vicolo cieco: “non può vincere, ma non può nemmeno permettersi di porre fine alla guerra”. Così tornano alla mente le parole pronunciate da Alexei Navalny, il leader dell'opposizione russa incarcerato, in una delle sue udienze in tribunale: “Non siamo stati in grado di prevenire la catastrofe e non stiamo più scivolando verso di lei, ma attraversandola. Rimane solo da chiedersi quanto la Russia toccherà il fondo e se crollerà”.
Era il 24 febbraio e in Russia tutti pensavano che l’offensiva sarebbe durata pochi giorni. Nelle previsioni di Vladimir Putin, le truppe avrebbero ottenuto rapidamente il controllo dell'intera Ucraina. In pochi avrebbero immaginato che gli ucraini, in sostanziale inferiorità numerica, sarebbero stati in grado di opporre resistenza fino a oggi. Ora, dopo nove mesi di delusioni e frustrazioni sul campo, Mosca rischia di diventare “ingovernabile” e di “precipitare nel caos”: a sostenerlo è Arkady Ostrovsky, russian editor dell’Economist.
“La guerra sta trasformando la Russia in uno Stato fallito, con confini incontrollati, formazioni militari private, popolazione in fuga, decadenza morale e con la possibilità di un conflitto civile. Sebbene la fiducia dei leader occidentali nella capacità dell’Ucraina di resistere al terrore di Putin sia aumentata, cresce la preoccupazione per la capacità della Russia di sopravvivere alla guerra”, si legge sulla testata britannica. Il ritiro da Kherson – la capitale di una delle quattro regioni di cui Putin aveva proclamato l'annessione a settembre, affermando che sarebbero rimaste russe “per sempre” –, ha assestato un duro colpo al Cremlino. La politologa Ekaterina Schulmann, citata dall’Economist, spiega che “la Federazione Russa, così come la conosciamo, si sta auto-liquidando e sta entrando in una fase di fallimento. L’annessione non scoraggerà le forze ucraine, ma creerà dei precedenti per le regioni russe in crisi, comprese le repubbliche del Caucaso settentrionale, che probabilmente si dirigeranno verso l’uscita se il governo centrale inizierà ad allentare la presa”.
L’altro punto debole è rappresentato dalla crescita di milizie private che rispondono solo ai loro capi: dai mercenari della Wagner di Evgeny Prigozhin ai “Kadyrovtsy” del leader ceceno Ramzan Kadyrov. Il disordine dilaga in particolare a Mosca dove, dice Ostrovsky, “anche le agenzie di sicurezza governative sono sempre più al servizio dei propri interessi corporativi”. Il malcontento serpeggia anche tra i russi: “Putin ha rotto il fragile consenso in base al quale le persone avevano accettato di non protestare contro la guerra, in cambio di essere lasciate in pace. Ora gli viene detto di combattere e morire per il bene del suo regime”, scrive l’Economist facendo riferimento alla mobilitazione parziale dei riservisti iniziata a settembre e conclusasi (almeno secondo gli annunci di Mosca) lo scorso 31 ottobre.
Vladimir Putin, sostiene Ostrovsky, è in un vicolo cieco: “non può vincere, ma non può nemmeno permettersi di porre fine alla guerra”. Così tornano alla mente le parole pronunciate da Alexei Navalny, il leader dell'opposizione russa incarcerato, in una delle sue udienze in tribunale: “Non siamo stati in grado di prevenire la catastrofe e non stiamo più scivolando verso di lei, ma attraversandola. Rimane solo da chiedersi quanto la Russia toccherà il fondo e se crollerà”.