Edison rnc: i Francesi hanno spento la luce???

grazie un ultima domandava per i titoli di stato americani vale sempre lo stesso discorso fatto per le azioni?grazie

Stati Uniti sono in White List 12,5 percento.

OBBLIGAZIONI

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Tassazione Obbligazioni
Aggiornato il 2 Gennaio 2022

Da Luglio 2014 l’imposta sulle rendite finanziarie è salita dal 20% al 26%, con l’eccezione di quelle derivanti dalla compravendita dei titoli di stato, le quali continuano ad essere assoggettate a un’aliquota agevolata del 12,50%. Risulta essere solo l’ultima riforma di una fase di riordino del sistema di tassazione delle rendite finanziarie, che ha razionalizzato la normativa, evitando il più possibile differenze di trattamento tra le varie forme di investimento finanziario.

Con l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 66 del 24 aprile 2014, la cui legge di conversione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale in data 23 giugno 2014, infatti la tassazione di tutti titoli di Stato italiani resta ferma al 12,5% sia per quanto riguarda le cedole che per quanto riguarda le eventuali plusvalenze . Resta al 12,5% anche la tassazione di cedole e plusvalenze relative a bond emessi da amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, enti territoriali, enti pubblici istituiti per l’esercizio diretto di servizi pubblici in regime di monopolio e enti sovranazionali, come Bei, Ceca, Birs, Euratom e Bers. Stessa tassazione al 12, 5% per gli Stati esteri che fanno parte dell’elenco degli Stati con i quali è attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito in vigore con la Repubblica italiana. In questo elenco troviamo
Albania
Alderney
Algeria
Andorra
Anguilla
Arabia Saudita
Argentina
Armenia
Aruba
Australia
Austria
Azerbaijan
Bangladesh
Barbados
Belgio
Belize
Bermuda
Bielorussia
Bosnia Erzegovina
Brasile
Bulgaria
Camerun
Canada
Cile
Cina
Cipro
Colombia
Congo
Corea del Sud
Costa d’Avorio
Costa Rica
Croazia
Curacao
Danimarca
Ecuador
Egitto
Emirati Arabi Uniti
Estonia
Etiopia
Federazione Russa
Filippine
Finlandia
Francia
Georgia
Germania
Ghana
Giappone
Gibilterra
Giordania
Grecia
Groenlandia
Guernsey
Herm
Hong Kong
India
Indonesia
Irlanda
Islanda
Isola di Man
Isole Cayman
Isole Cook
Isole Faroe
Isole Turks e Caicos
Isole Vergini Britanniche
Israele
Jersey
Kazakistan
Kirghizistan
Kuwait
Lettonia
Libano
Liechtenstein
Lituania
Lussemburgo
Macedonia
Malaysia
Malta
Marocco
Mauritius
Messico
Moldova
Monaco
Montenegro
Montserrat
Mozambico
Nauru
Nigeria
Niue
Norvegia
Nuova Zelanda
Oman
Paesi Bassi
Pakistan
Polonia
Portogallo
Qatar
Regno Unito
Repubblica Ceca
Repubblica Slovacca
Romania
Saint Kitts e Nevis
Saint Vincent e Grenadine
Samoa
San Marino
Senegal
Serbia
Seychelles
Singapore
Sint Maarten
Siria
Slovenia
Spagna
Sri Lanka
Stati Uniti d’America
Sud Africa
Svezia
Svizzera
Tagikistan
Taiwan
Tanzania
Thailandia
Trinitad e Tobago
Tunisia
Turchia
Turkmenistan
Ucraina
Uganda
Ungheria
Uruguay
Uzbekistan
Venezuela
Vietnam
Zambia

Per i titoli degli stati esteri non inclusi nella lista, le obbligazioni societarie e quelle bancarie, la tassazione è del 26%.

Prima di vedere come si tassano le obbligazioni, dobbiamo spiegare cosa intendiamo per rendita o rendimento di un bond.
Un titolo obbligazionario stacca periodicamente una cedola al possessore, ovvero un tasso di interesse. Queste cedole, in teoria, potranno a loro volta essere reinvestite lungo la durata del prestito obbligazionario e produrre ulteriori frutti in favore dell’obbligazionista. Inoltre, chi compra un bond, guadagna anche dall’eventuale differenza tra il maggiore prezzo di rimborso o di rivendita del titolo e quello di acquisto o di emissione.

Per esempio, se compro a 95 un’obbligazione che mi sarà rimborsata alla scadenza a 100, il 5 di differenza si somma alla cedola annualizzata e forma il rendimento complessivo del mio investimento. Il Fisco tassa proprio questo, ovvero la cedola o interesse e la differenza tra prezzo di rivendita o di rimborso e quello di acquisto o emissione.

Vediamo cosa succede se l’obbligazione viene acquistata a un prezzo superiore a quello a cui si è riusciti a rivenderla sul mercato secondario o a quello al quale verrà rimborsata alla scadenza. Il Fisco tasserà quella differenza ugualmente al 26%. Esempio, compro a 105 un titolo che mi sarà rimborsato a 100. Il valore netto di rimborso sarà 100 – 1,30 (0,26 x 5) = 98,70. In ogni caso, quindi, sarà applicata l’aliquota, in modo da evitare che la tassazione gravi solamente sull’ultimo possessore del titolo.

Quanto sopra detto vale indipendentemente dalla durata residua dell’obbligazione. Tuttavia, così come vengono tassate le plusvalenze, il legislatore ha consentito all’obbligazionista di portare in deduzione le perdite subite, abbassando il valore dei guadagni futuri entro i quattro esercizi successivi. Le condizioni perché tale deduzione sia fiscalmente possibile sono che le operazioni afferiscano allo stesso nominativo e che siano dello stesso tipo.

Dicevamo che i rendimenti dei titoli di stato continuano ad essere assoggettati all’aliquota agevolata del 12,50%. Lo stesso vale per i titoli assimilati, come i Buoni fruttiferi postali. Si tratta del chiaro tentativo del legislatore di rendere allettante l’investimento in queste obbligazioni, le quali risulteranno così più remunerative, a parità di rendimento lordo offerto.
 
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Da Luglio 2014 l’imposta sulle rendite finanziarie è salita dal 20% al 26%, con l’eccezione di quelle derivanti dalla compravendita dei titoli di stato, le quali continuano ad essere assoggettate a un’aliquota agevolata del 12,50%. Risulta essere solo l’ultima riforma di una fase di riordino del sistema di tassazione delle rendite finanziarie, che ha razionalizzato la normativa, evitando il più possibile differenze di trattamento tra le varie forme di investimento finanziario.

Con l’entrata in vigore del Decreto Legge n. 66 del 24 aprile 2014, la cui legge di conversione è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale in data 23 giugno 2014, infatti la tassazione di tutti titoli di Stato italiani resta ferma al 12,5% sia per quanto riguarda le cedole che per quanto riguarda le eventuali plusvalenze . Resta al 12,5% anche la tassazione di cedole e plusvalenze relative a bond emessi da amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo, enti territoriali, enti pubblici istituiti per l’esercizio diretto di servizi pubblici in regime di monopolio e enti sovranazionali, come Bei, Ceca, Birs, Euratom e Bers. Stessa tassazione al 12, 5% per gli Stati esteri che fanno parte dell’elenco degli Stati con i quali è attuabile lo scambio di informazioni ai sensi delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni sul reddito in vigore con la Repubblica italiana. In questo elenco troviamo
Albania
Alderney
Algeria
Andorra
Anguilla
Arabia Saudita
Argentina
Armenia
Aruba
Australia
Austria
Azerbaijan
Bangladesh
Barbados
Belgio
Belize
Bermuda
Bielorussia
Bosnia Erzegovina
Brasile
Bulgaria
Camerun
Canada
Cile
Cina
Cipro
Colombia
Congo
Corea del Sud
Costa d’Avorio
Costa Rica
Croazia
Curacao
Danimarca
Ecuador
Egitto
Emirati Arabi Uniti
Estonia
Etiopia
Federazione Russa
Filippine
Finlandia
Francia
Georgia
Germania
Ghana
Giappone
Gibilterra
Giordania
Grecia
Groenlandia
Guernsey
Herm
Hong Kong
India
Indonesia
Irlanda
Islanda
Isola di Man
Isole Cayman
Isole Cook
Isole Faroe
Isole Turks e Caicos
Isole Vergini Britanniche
Israele
Jersey
Kazakistan
Kirghizistan
Kuwait
Lettonia
Libano
Liechtenstein
Lituania
Lussemburgo
Macedonia
Malaysia
Malta
Marocco
Mauritius
Messico
Moldova
Monaco
Montenegro
Montserrat
Mozambico
Nauru
Nigeria
Niue
Norvegia
Nuova Zelanda
Oman
Paesi Bassi
Pakistan
Polonia
Portogallo
Qatar
Regno Unito
Repubblica Ceca
Repubblica Slovacca
Romania
Saint Kitts e Nevis
Saint Vincent e Grenadine
Samoa
San Marino
Senegal
Serbia
Seychelles
Singapore
Sint Maarten
Siria
Slovenia
Spagna
Sri Lanka
Stati Uniti d’America
Sud Africa
Svezia
Svizzera
Tagikistan
Taiwan
Tanzania
Thailandia
Trinitad e Tobago
Tunisia
Turchia
Turkmenistan
Ucraina
Uganda
Ungheria
Uruguay
Uzbekistan
Venezuela
Vietnam
Zambia

Per i titoli degli stati esteri non inclusi nella lista, le obbligazioni societarie e quelle bancarie, la tassazione è del 26%.

Prima di vedere come si tassano le obbligazioni, dobbiamo spiegare cosa intendiamo per rendita o rendimento di un bond.
Un titolo obbligazionario stacca periodicamente una cedola al possessore, ovvero un tasso di interesse. Queste cedole, in teoria, potranno a loro volta essere reinvestite lungo la durata del prestito obbligazionario e produrre ulteriori frutti in favore dell’obbligazionista. Inoltre, chi compra un bond, guadagna anche dall’eventuale differenza tra il maggiore prezzo di rimborso o di rivendita del titolo e quello di acquisto o di emissione.

Per esempio, se compro a 95 un’obbligazione che mi sarà rimborsata alla scadenza a 100, il 5 di differenza si somma alla cedola annualizzata e forma il rendimento complessivo del mio investimento. Il Fisco tassa proprio questo, ovvero la cedola o interesse e la differenza tra prezzo di rivendita o di rimborso e quello di acquisto o emissione.

Vediamo cosa succede se l’obbligazione viene acquistata a un prezzo superiore a quello a cui si è riusciti a rivenderla sul mercato secondario o a quello al quale verrà rimborsata alla scadenza. Il Fisco tasserà quella differenza ugualmente al 26%. Esempio, compro a 105 un titolo che mi sarà rimborsato a 100. Il valore netto di rimborso sarà 100 – 1,30 (0,26 x 5) = 98,70. In ogni caso, quindi, sarà applicata l’aliquota, in modo da evitare che la tassazione gravi solamente sull’ultimo possessore del titolo.

Quanto sopra detto vale indipendentemente dalla durata residua dell’obbligazione. Tuttavia, così come vengono tassate le plusvalenze, il legislatore ha consentito all’obbligazionista di portare in deduzione le perdite subite, abbassando il valore dei guadagni futuri entro i quattro esercizi successivi. Le condizioni perché tale deduzione sia fiscalmente possibile sono che le operazioni afferiscano allo stesso nominativo e che siano dello stesso tipo.

Dicevamo che i rendimenti dei titoli di stato continuano ad essere assoggettati all’aliquota agevolata del 12,50%. Lo stesso vale per i titoli assimilati, come i Buoni fruttiferi postali. Si tratta del chiaro tentativo del legislatore di rendere allettante l’investimento in queste obbligazioni, le quali risulteranno così più remunerative, a parità di rendimento lordo offerto.

grazie gentilissimo
 
Il 3 Maggio daranno risultati 1 trimestre 2022...mi aspetto una reazione del titolo...i dati dovrebbero essere buoni/ottimiOK!
 
Se continua cosi

Non è che ce la ritroviamo a 1 euro per i prossimi 5 anni?
 
ora il titolo ha svoltato....e' per quello che va tenuta...prospettive ottime a mio avviso e speriamo che non la delistino visto l'andazzo delle opa a sconto
 
ora il titolo ha svoltato....e' per quello che va tenuta...prospettive ottime a mio avviso e speriamo che non la delistino visto l'andazzo delle opa a sconto

Il nostro destino sarà deciso altrove..
Speriamo di essere fortunati...


Réformer EDF pour financer la relance du nucléaire : Paris prépare d’urgence son plan pour Bruxelles
EXCLUSIF- Après l’annonce d'Emmanuel Macron en février de lancer la construction de six réacteurs EPR, plus huit en option, la France va prochainement entamer les négociations avec la Commission européenne sur le financement du plan de relance du nucléaire et la réforme d'EDF qu'il implique. Au regard de l’ampleur des investissements nécessaires et de l’endettement élevé d’EDF, le financement ne pourra se faire sans un soutien massif de l’Etat. Alors qu’Emmanuel Macron a évoqué fin mars la nationalisation d'EDF, d'autres scénarios sont à l'étude. Tous devront satisfaire une double contrainte : répondre aux règles de la concurrence imposées par la Commission européenne, très attachée à la libéralisation du marché de l'électricité, et coller aux exigences de sûreté du gendarme du nucléaire. Urgente, la réforme d'EDF interroge aussi sur l’avenir des activités du groupe dans l’éolien et le solaire. Les syndicats s’inquiètent notamment d’un possible découpage, à l’image du projet « Hercule » abandonné l’an dernier. Explications.
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Juliette Raynal avec Marine Godelier
28 Avr 2022, 6:00
12 mn


(Crédits : CHARLES PLATIAU)
C'est un dossier brûlant que va très vite présenter le prochain gouvernement à la Commission européenne s'il veut tenir le calendrier du programme nucléaire d'Emmanuel Macron de construire six nouveaux EPR entre 2035 et 2042 (assortis de huit autres en option dans un second temps) : celui du financement du plan de relance du nucléaire et la réforme d'EDF qu'il implique nécessairement. Un dossier qui promet déjà un nouvelle passe d'armes entre Paris et Bruxelles non seulement sur le mécanisme de régulation du nucléaire mais aussi sur la structure de ce programme qui devra être compatible avec les règles européennes en matière d'aides d'Etat. Les besoins sont colossaux puisque pour la seule première partie du programme, la facture devrait s'élever à au moins 50 milliards d'euros, et pourrait grimper jusqu'à près de 64 milliards d'euros, selon un document révélé par Contexte.

Or, c'est une certitude : même s'il a été recapitalisé en février à hauteur de 3,1 milliards d'euros, le groupe EDF ne peut pas porter sur son bilan un programme nucléaire de plus de 50 milliards d'euros.

"Cette circonstance fait que, de toute façon, il faudra que nous intervenions massivement sur le financement de ce programme. Lorsque ces EPR produiront de l'électricité, il faut que celle-ci soit à un prix abordable et régulé. Cela va nous amener à négocier avec la Commission européenne la régulation du nouveau nucléaire", confie à La Tribune une source ministérielle.

Déjà endetté à hauteur de 43 milliards d'euros, l'électricien national n'a tout simplement pas les moyens de financer ce projet. D'autant plus qu'il s'apprête à traverser une année noire en raison non seulement de l'indisponibilité historique de son parc nucléaire liée, entre autres, à un problème de corrosion, mais aussi du bouclier tarifaire mis en place par l'Etat pour contrer la flambée des prix de l'électricité. Ce dispositif oblige l'entreprise à vendre à prix cassé un plus grand volume d'électricité nucléaire à ses concurrents, afin de limiter la hausse des factures pour les consommateurs. Au total, EDF anticipe ainsi un manque à gagner de quelque 26 milliards d'euros pour 2022.

Dans ce contexte, le président réélu a laissé entrevoir la possibilité d'une renationalisation d'EDF, dont le capital est déjà détenu par l'Etat à hauteur de 83,9%. "Je pense que sur une partie des activités les plus régaliennes, il faut considérer que l'Etat doit reprendre du capital, ce qui va d'ailleurs avec une réforme plus large du premier électricien français", a-t-il déclaré le 17 mars dernier.

Lire aussi 4 mnNationalisation d'EDF : ce que le candidat Macron a en tête

Faire baisser le coût du financement
La nationalisation, partielle ou complète, d'EDF présente plusieurs intérêts. D'abord, aucun investisseur privé ne souhaiterait investir dans un tel projet nucléaire tant le risque d'exécution est grand.

"Il y a un vrai risque de stop and go. Le premier béton du premier EPR ne sera posé qu'entre 2027 et 2028, soit à la prochaine mandature. Autrement dit, il sera techniquement possible de stopper le projet car rien ne sera encore construit", pointe Nicolas Goldberg, expert énergie au sein du cabinet Colombus Consulting.

Par ailleurs, un financement public permettrait de diminuer sensiblement le coût de financement, l'Etat pouvant emprunter sur les marchés sur le long terme à des taux très bas, même s'ils ont remonté ces derniers mois. "Entre maintenant et la mise en service du dernier EPR, il s'écoule à peu près 20 ans. Le coût de financement est donc évidemment très lourd dans le prix de sortie du kilowattheure", souligne un proche du dossier. "Une variation de 1 ou 2% du taux d'intérêt a une conséquence énorme sur le prix du mégawattheure de sortie", abonde un expert du secteur.

L'objectif du gouvernement consiste donc à présenter "un programme avec un financement public très important, pour avoir un coût de financement qui soit le plus bas possible". L'exécutif souhaite également que la production nucléaire soit immunisée contre la volatilité des marchés. "Il faut alors trouver un système de régulation qui fixe dans le temps les prix de sortie des kilowattheures produits par les nouvelles centrales", explique la même source ministérielle.

En parallèle, l'Etat français devra trouver la structure financière, capitalistique et industrielle qui répondra aux exigences de la Commission européenne. Car une régulation spécifique du nouveau nucléaire s'apparentera à une aide d'Etat. Or, Bruxelles est extrêmement attaché à la libéralisation du marché de l'électricité et voudra, à coup sûr, des "chinese walls" (garde-fous) très clairs entre les activités qui font l'objet d'une régulation et les autres activités. En d'autres termes, que les activités nucléaires, subventionnées par l'argent public, ne financent pas les activités d'énergies renouvelables.

Cette renationalisation pourrait s'opérer par un rachat du capital d'EDF coté en Bourse (soit environ 15% du capital) pour quelque 5 milliards d'euros. "Le coût serait assez supportable. Cela représente la moitié du coût de construction d'un EPR", relève Phuc-Vinh Nguyen, chercheur sur les politiques de l'énergie européenne et française au sein du centre énergie de l'institut Jacques Delors. L'Etat peut aussi souscrire massivement à une augmentation de capital afin qu'EDF investisse par ce biais là. "Mais cela déclenchera automatiquement une offre publique d'achat, ce qui revient à une nationalisation in fine", note un expert du secteur.

Jeu d'équilibriste entre Bruxelles et le gendarme nucléaire
D'autres scénarios sont envisageables.

"Le financement du nouveau nucléaire peut passer par EDF ou par des tuyaux différents", explique un connaisseur du dossier, proche du groupe.

L'exécutif examine ainsi la possibilité de créer un Specific purpose vehicle (SPV). C'est-à-dire une structure financière entièrement dédiée au nouveau nucléaire.

"Ce SPV pourrait être financé par l'Etat et EDF investirait pour un montant bien inférieur. De par les règles de gouvernance, il pourrait même être consolidé chez EDF. La capacité de décision opérationnelle reviendrait alors à l'électricien, sans avoir de dette à rentrer puisque l'Etat serait au capital", développe cette source.

Ce schéma répondrait alors aux exigences de Bruxelles puisque qu'un tel véhicule financier permettrait de tracer les flux. La Commission européenne pourrait ainsi facilement s'assurer que l'argent injecté par l'Etat n'est pas utilisé pour financer d'autres activités car il demeure dans une structure financière précise.

En revanche, cette option ne permettrait pas de répondre aux exigences de l'Autorité de sûreté nucléaire (ASN). Le gendarme français du secteur doit, en effet, s'assurer de la bonne application de la régulation INB (Installations nucléaires de base). L'exploitant doit alors prouver qu'il dispose de toutes les ressources et des capacités nécessaires pour assurer la maintenance et la sûreté de la centrale jusqu'à son démantèlement.

"Si vous avez une structure financière complètement séparée de la structure d'ingénierie et de maintenance, vous ne répondez pas à cette contrainte", pointe un proche du gouvernement.

Une autre possibilité consisterait à embarquer, dans ce SPV, le nucléaire historique aux côtés du nouveau nucléaire.

"Si on embarque le nucléaire existant, cela signifie qu'on embarque toute la compétence existante. On se rapproche alors de la réglementation INB, mais on s'éloigne des exigences de Bruxelles. Il n'y a aucune solution qui coche toutes les cases", déplore cette même source.

Par ailleurs, la création d'une structure purement étatique qui regrouperait tout le nucléaire ressemblerait au feu projet Hercule, qui consistait à rassembler toutes les activités nucléaires d'EDF et le réseau de transport d'électricité dans une entité 100% publique. Projet qui a finalement été abandonné l'été dernier après plus de deux années de négociations avec Bruxelles.

Céder les actifs d'EDF Renouvelables à Engie ?
Enfin, un dernier scénario évoqué dans la presse consisterait à renationaliser EDF puis à revendre ses activités dans les énergies renouvelables (hors hydraulique) à un autre champion français de l'énergie : Engie. Pour l'heure, cette hypothèse a été formellement démentie aussi bien par l'Etat (également actionnaire d'Engie à hauteur de 23,64%) que par l'électricien. "Ce n'est pas à l'ordre du jour", a coupé court Jean-Bernard Lévy, le PDG d'EDF, critiquant des "spéculations qui n'ont pas grand sens".

Reste qu'Engie, à l'occasion de son assemblée générale le 21 avril dernier, n'a pas caché son vif intérêt pour les actifs renouvelables de son concurrent, sans néanmoins les nommer directement. Par ailleurs, l'Etat n'exclut pas pour Engie "une opération de croissance externe significative", mais considère davantage une concentration au niveau européen "plutôt que franco-française".

Alors ce scénario est-il plausible ? Certains experts y voient une vision trop court-termiste. "C'est un moyen pour EDF de se faire de l'argent très rapidement, mais sur le long terme, cela le prive d'une partie de ses revenus", estime Phuc-Vinh Nguyen de l'institut Jacques Delors.

"En termes d'image, ce serait très négatif. Cela signifierait aux yeux de l'opinion que l'Etat n'est pas capable d'accompagner un fleuron français. Ce serait un aveu d'échec terrible", abonde un autre expert.

De fait, l'opération risquerait, in fine, de détériorer un peu plus la situation d'EDF, qui se trouverait déplumé de ses activités dans l'éolien et le solaire. Car rien ne prouve qu'un gouvernement ne pourrait pas, dans le futur, revenir sur l'intérêt de l'atome en France et stopper les nouveaux projets dans le domaine. Ce qui signifie qu'EDF gèrerait en grande majorité des actifs potentiellement échoués à terme, tandis qu'Engie se développerait sur un marché de plus en plus dynamique.

"L'option du nucléaire n'est pas inscrite dans le marbre. Macron lui-même voulait fermer 14 réacteurs en moins de dix ans au début de son mandat, comme décidé sous François Hollande", rappelle ainsi Jacques Percebois, directeur du Centre de recherche en économie et en droit (CREDEN).

Une "déclaration de guerre" pour les syndicats
D'autant que les installations productrices d'énergie renouvelable intermittente, qu'EDF céderait donc dans ce scénario, commencent enfin à être rentables du fait de la flambée des prix des hydrocarbures, et pourraient même permettre à l'Etat français d'engranger des recettes nettes dès 2025 après avoir profité de fortes subventions. "Cela pourrait donner le sentiment qu'après avoir beaucoup aidé les renouvelables, on retire à l'opérateur historique un actif qui devient vraiment intéressant", souligne Jacques Percebois. Autrement dit, comme le dénoncent régulièrement les syndicalistes, l'opération pourrait être interprétée comme une volonté de "nationaliser les pertes et privatiser les profits".

Reste qu'EDF doit faire des choix. Les énergies renouvelables, elles aussi, constituent une industrie très capitalistique et la priorité pour l'électricien est avant tout la construction des nouveaux EPR et l'entretien des réseaux. Enedis, filiale à 100% d'EDF, a ainsi investi quelque 4,3 milliards d'euros en 2021 et prévoit d'augmenter ce budget dans les années à venir.

"Pour les syndicats, la revente des activités renouvelables d'EDF à Engie serait perçue comme une déclaration de guerre", prévient un observateur.

Céder à Engie cette activité serait en effet inacceptable pour Anne Debrégeas, ingénieure chercheuse à EDF R&D et membre de SUD Energie. "Ce serait accepter un impôt privé qui est gigantesque", alerte-t-elle, en faisant référence à la gestion par Engie de la Compagnie nationale du Rhône (CNR), filiale détenue à 50% par le spécialiste du gaz. "Le rapport de la Cour des comptes, publié en février dernier, est hallucinant. Il montre que la rémunération du capital est de 24%", dénonce-t-elle. La syndicaliste plaide, elle, pour une nationalisation complète d'EDF et une sortie de la concurrence de l'ensemble du système électrique.

Un dossier aussi épineux qu'urgent
Véritable casse-tête, le dossier EDF repose sur une équation économique et politique périlleuse minée d'injonctions contradictoires. Pourtant, il faudra la résoudre au plus vite. Le premier EPR doit entrer en fonctionnement à l'horizon 2035-2036, cela signifie que le premier béton doit être sorti en 2027-2028. Mais il faut pour cela obtenir un décret d'autorisation de construction (DAC), qui intervient lui-même après une consultation publique, sans compter le long travail à mener auprès de l'ASN.

Par ailleurs, de nombreuses entreprises se retrouvent aujourd'hui dans une impasse par manque de visibilité sur le prix de l'électricité.

"L'Arenh [le système qui oblige EDF à vendre un certain volume d'électricité nucléaire à ses concurrents à bas prix, ndlr] prend fin en 2026. Or, certains industriels achètent de d'électricité à 4 ans. Là, ils ne peuvent plus acheter d'électricité pour 2026. C'est dramatique", alerte Nicolas Goldberg.

Arenh

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Quel sera vraiment l'impact du relèvement du plafond de l'ARENH sur les consommateurs ?

A ces considérations industrielles et économiques, s'ajoute le calendrier européen. Les prochaines élections auront lieu au printemps 2024, dans deux ans seulement. "Il faut arriver à un accord avant 2024 car l'exécutif européen va changer. Or, aujourd'hui c'est Margrethe Vestager qui suit le sujet et elle le connaît très bien", pointe Phuc-Vinh Nguyen.

"Le temps est extrêmement tendu", reconnaît-on au sein de l'Etat.

Le bras de fer engagé avec Bruxelles et abandonné l'été dernier sera-t-il aussi difficile sous ce nouveau mandat ? "L'élément qui change, par rapport à l'été dernier, c'est la guerre en Ukraine. L'indépendance énergétique redevient un point majeur dans la position des pays européens, et en particulier de la France. On voit mal comment la Commission européenne pourrait rester sur des positions qu'elle avait il y a quatre mois", avance-t-on au sein de l'exécutif.
Juliette Raynal avec Marine Godelier
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Speriamo....poi rimane sempre l anomalia dell' essere quotata solo la risparmio....e poi ora l azienda e' risanatoa e strategica quindi tutti elementi che possono far si che si decida una volta x tutte di delistarla:cool:


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Réformer EDF pour financer la relance du nucléaire : Paris prépare d’urgence son plan pour Bruxelles
EXCLUSIF- Après l’annonce d'Emmanuel Macron en février de lancer la construction de six réacteurs EPR, plus huit en option, la France va prochainement entamer les négociations avec la Commission européenne sur le financement du plan de relance du nucléaire et la réforme d'EDF qu'il implique. Au regard de l’ampleur des investissements nécessaires et de l’endettement élevé d’EDF, le financement ne pourra se faire sans un soutien massif de l’Etat. Alors qu’Emmanuel Macron a évoqué fin mars la nationalisation d'EDF, d'autres scénarios sont à l'étude. Tous devront satisfaire une double contrainte : répondre aux règles de la concurrence imposées par la Commission européenne, très attachée à la libéralisation du marché de l'électricité, et coller aux exigences de sûreté du gendarme du nucléaire. Urgente, la réforme d'EDF interroge aussi sur l’avenir des activités du groupe dans l’éolien et le solaire. Les syndicats s’inquiètent notamment d’un possible découpage, à l’image du projet « Hercule » abandonné l’an dernier. Explications.
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Juliette Raynal avec Marine Godelier
28 Avr 2022, 6:00
12 mn


(Crédits : CHARLES PLATIAU)
C'est un dossier brûlant que va très vite présenter le prochain gouvernement à la Commission européenne s'il veut tenir le calendrier du programme nucléaire d'Emmanuel Macron de construire six nouveaux EPR entre 2035 et 2042 (assortis de huit autres en option dans un second temps) : celui du financement du plan de relance du nucléaire et la réforme d'EDF qu'il implique nécessairement. Un dossier qui promet déjà un nouvelle passe d'armes entre Paris et Bruxelles non seulement sur le mécanisme de régulation du nucléaire mais aussi sur la structure de ce programme qui devra être compatible avec les règles européennes en matière d'aides d'Etat. Les besoins sont colossaux puisque pour la seule première partie du programme, la facture devrait s'élever à au moins 50 milliards d'euros, et pourrait grimper jusqu'à près de 64 milliards d'euros, selon un document révélé par Contexte.

Or, c'est une certitude : même s'il a été recapitalisé en février à hauteur de 3,1 milliards d'euros, le groupe EDF ne peut pas porter sur son bilan un programme nucléaire de plus de 50 milliards d'euros.

"Cette circonstance fait que, de toute façon, il faudra que nous intervenions massivement sur le financement de ce programme. Lorsque ces EPR produiront de l'électricité, il faut que celle-ci soit à un prix abordable et régulé. Cela va nous amener à négocier avec la Commission européenne la régulation du nouveau nucléaire", confie à La Tribune une source ministérielle.

Déjà endetté à hauteur de 43 milliards d'euros, l'électricien national n'a tout simplement pas les moyens de financer ce projet. D'autant plus qu'il s'apprête à traverser une année noire en raison non seulement de l'indisponibilité historique de son parc nucléaire liée, entre autres, à un problème de corrosion, mais aussi du bouclier tarifaire mis en place par l'Etat pour contrer la flambée des prix de l'électricité. Ce dispositif oblige l'entreprise à vendre à prix cassé un plus grand volume d'électricité nucléaire à ses concurrents, afin de limiter la hausse des factures pour les consommateurs. Au total, EDF anticipe ainsi un manque à gagner de quelque 26 milliards d'euros pour 2022.

Dans ce contexte, le président réélu a laissé entrevoir la possibilité d'une renationalisation d'EDF, dont le capital est déjà détenu par l'Etat à hauteur de 83,9%. "Je pense que sur une partie des activités les plus régaliennes, il faut considérer que l'Etat doit reprendre du capital, ce qui va d'ailleurs avec une réforme plus large du premier électricien français", a-t-il déclaré le 17 mars dernier.

Lire aussi 4 mnNationalisation d'EDF : ce que le candidat Macron a en tête

Faire baisser le coût du financement
La nationalisation, partielle ou complète, d'EDF présente plusieurs intérêts. D'abord, aucun investisseur privé ne souhaiterait investir dans un tel projet nucléaire tant le risque d'exécution est grand.

"Il y a un vrai risque de stop and go. Le premier béton du premier EPR ne sera posé qu'entre 2027 et 2028, soit à la prochaine mandature. Autrement dit, il sera techniquement possible de stopper le projet car rien ne sera encore construit", pointe Nicolas Goldberg, expert énergie au sein du cabinet Colombus Consulting.

Par ailleurs, un financement public permettrait de diminuer sensiblement le coût de financement, l'Etat pouvant emprunter sur les marchés sur le long terme à des taux très bas, même s'ils ont remonté ces derniers mois. "Entre maintenant et la mise en service du dernier EPR, il s'écoule à peu près 20 ans. Le coût de financement est donc évidemment très lourd dans le prix de sortie du kilowattheure", souligne un proche du dossier. "Une variation de 1 ou 2% du taux d'intérêt a une conséquence énorme sur le prix du mégawattheure de sortie", abonde un expert du secteur.

L'objectif du gouvernement consiste donc à présenter "un programme avec un financement public très important, pour avoir un coût de financement qui soit le plus bas possible". L'exécutif souhaite également que la production nucléaire soit immunisée contre la volatilité des marchés. "Il faut alors trouver un système de régulation qui fixe dans le temps les prix de sortie des kilowattheures produits par les nouvelles centrales", explique la même source ministérielle.

En parallèle, l'Etat français devra trouver la structure financière, capitalistique et industrielle qui répondra aux exigences de la Commission européenne. Car une régulation spécifique du nouveau nucléaire s'apparentera à une aide d'Etat. Or, Bruxelles est extrêmement attaché à la libéralisation du marché de l'électricité et voudra, à coup sûr, des "chinese walls" (garde-fous) très clairs entre les activités qui font l'objet d'une régulation et les autres activités. En d'autres termes, que les activités nucléaires, subventionnées par l'argent public, ne financent pas les activités d'énergies renouvelables.

Cette renationalisation pourrait s'opérer par un rachat du capital d'EDF coté en Bourse (soit environ 15% du capital) pour quelque 5 milliards d'euros. "Le coût serait assez supportable. Cela représente la moitié du coût de construction d'un EPR", relève Phuc-Vinh Nguyen, chercheur sur les politiques de l'énergie européenne et française au sein du centre énergie de l'institut Jacques Delors. L'Etat peut aussi souscrire massivement à une augmentation de capital afin qu'EDF investisse par ce biais là. "Mais cela déclenchera automatiquement une offre publique d'achat, ce qui revient à une nationalisation in fine", note un expert du secteur.

Jeu d'équilibriste entre Bruxelles et le gendarme nucléaire
D'autres scénarios sont envisageables.

"Le financement du nouveau nucléaire peut passer par EDF ou par des tuyaux différents", explique un connaisseur du dossier, proche du groupe.

L'exécutif examine ainsi la possibilité de créer un Specific purpose vehicle (SPV). C'est-à-dire une structure financière entièrement dédiée au nouveau nucléaire.

"Ce SPV pourrait être financé par l'Etat et EDF investirait pour un montant bien inférieur. De par les règles de gouvernance, il pourrait même être consolidé chez EDF. La capacité de décision opérationnelle reviendrait alors à l'électricien, sans avoir de dette à rentrer puisque l'Etat serait au capital", développe cette source.

Ce schéma répondrait alors aux exigences de Bruxelles puisque qu'un tel véhicule financier permettrait de tracer les flux. La Commission européenne pourrait ainsi facilement s'assurer que l'argent injecté par l'Etat n'est pas utilisé pour financer d'autres activités car il demeure dans une structure financière précise.

En revanche, cette option ne permettrait pas de répondre aux exigences de l'Autorité de sûreté nucléaire (ASN). Le gendarme français du secteur doit, en effet, s'assurer de la bonne application de la régulation INB (Installations nucléaires de base). L'exploitant doit alors prouver qu'il dispose de toutes les ressources et des capacités nécessaires pour assurer la maintenance et la sûreté de la centrale jusqu'à son démantèlement.

"Si vous avez une structure financière complètement séparée de la structure d'ingénierie et de maintenance, vous ne répondez pas à cette contrainte", pointe un proche du gouvernement.

Une autre possibilité consisterait à embarquer, dans ce SPV, le nucléaire historique aux côtés du nouveau nucléaire.

"Si on embarque le nucléaire existant, cela signifie qu'on embarque toute la compétence existante. On se rapproche alors de la réglementation INB, mais on s'éloigne des exigences de Bruxelles. Il n'y a aucune solution qui coche toutes les cases", déplore cette même source.

Par ailleurs, la création d'une structure purement étatique qui regrouperait tout le nucléaire ressemblerait au feu projet Hercule, qui consistait à rassembler toutes les activités nucléaires d'EDF et le réseau de transport d'électricité dans une entité 100% publique. Projet qui a finalement été abandonné l'été dernier après plus de deux années de négociations avec Bruxelles.

Céder les actifs d'EDF Renouvelables à Engie ?
Enfin, un dernier scénario évoqué dans la presse consisterait à renationaliser EDF puis à revendre ses activités dans les énergies renouvelables (hors hydraulique) à un autre champion français de l'énergie : Engie. Pour l'heure, cette hypothèse a été formellement démentie aussi bien par l'Etat (également actionnaire d'Engie à hauteur de 23,64%) que par l'électricien. "Ce n'est pas à l'ordre du jour", a coupé court Jean-Bernard Lévy, le PDG d'EDF, critiquant des "spéculations qui n'ont pas grand sens".

Reste qu'Engie, à l'occasion de son assemblée générale le 21 avril dernier, n'a pas caché son vif intérêt pour les actifs renouvelables de son concurrent, sans néanmoins les nommer directement. Par ailleurs, l'Etat n'exclut pas pour Engie "une opération de croissance externe significative", mais considère davantage une concentration au niveau européen "plutôt que franco-française".

Alors ce scénario est-il plausible ? Certains experts y voient une vision trop court-termiste. "C'est un moyen pour EDF de se faire de l'argent très rapidement, mais sur le long terme, cela le prive d'une partie de ses revenus", estime Phuc-Vinh Nguyen de l'institut Jacques Delors.

"En termes d'image, ce serait très négatif. Cela signifierait aux yeux de l'opinion que l'Etat n'est pas capable d'accompagner un fleuron français. Ce serait un aveu d'échec terrible", abonde un autre expert.

De fait, l'opération risquerait, in fine, de détériorer un peu plus la situation d'EDF, qui se trouverait déplumé de ses activités dans l'éolien et le solaire. Car rien ne prouve qu'un gouvernement ne pourrait pas, dans le futur, revenir sur l'intérêt de l'atome en France et stopper les nouveaux projets dans le domaine. Ce qui signifie qu'EDF gèrerait en grande majorité des actifs potentiellement échoués à terme, tandis qu'Engie se développerait sur un marché de plus en plus dynamique.

"L'option du nucléaire n'est pas inscrite dans le marbre. Macron lui-même voulait fermer 14 réacteurs en moins de dix ans au début de son mandat, comme décidé sous François Hollande", rappelle ainsi Jacques Percebois, directeur du Centre de recherche en économie et en droit (CREDEN).

Une "déclaration de guerre" pour les syndicats
D'autant que les installations productrices d'énergie renouvelable intermittente, qu'EDF céderait donc dans ce scénario, commencent enfin à être rentables du fait de la flambée des prix des hydrocarbures, et pourraient même permettre à l'Etat français d'engranger des recettes nettes dès 2025 après avoir profité de fortes subventions. "Cela pourrait donner le sentiment qu'après avoir beaucoup aidé les renouvelables, on retire à l'opérateur historique un actif qui devient vraiment intéressant", souligne Jacques Percebois. Autrement dit, comme le dénoncent régulièrement les syndicalistes, l'opération pourrait être interprétée comme une volonté de "nationaliser les pertes et privatiser les profits".

Reste qu'EDF doit faire des choix. Les énergies renouvelables, elles aussi, constituent une industrie très capitalistique et la priorité pour l'électricien est avant tout la construction des nouveaux EPR et l'entretien des réseaux. Enedis, filiale à 100% d'EDF, a ainsi investi quelque 4,3 milliards d'euros en 2021 et prévoit d'augmenter ce budget dans les années à venir.

"Pour les syndicats, la revente des activités renouvelables d'EDF à Engie serait perçue comme une déclaration de guerre", prévient un observateur.

Céder à Engie cette activité serait en effet inacceptable pour Anne Debrégeas, ingénieure chercheuse à EDF R&D et membre de SUD Energie. "Ce serait accepter un impôt privé qui est gigantesque", alerte-t-elle, en faisant référence à la gestion par Engie de la Compagnie nationale du Rhône (CNR), filiale détenue à 50% par le spécialiste du gaz. "Le rapport de la Cour des comptes, publié en février dernier, est hallucinant. Il montre que la rémunération du capital est de 24%", dénonce-t-elle. La syndicaliste plaide, elle, pour une nationalisation complète d'EDF et une sortie de la concurrence de l'ensemble du système électrique.

Un dossier aussi épineux qu'urgent
Véritable casse-tête, le dossier EDF repose sur une équation économique et politique périlleuse minée d'injonctions contradictoires. Pourtant, il faudra la résoudre au plus vite. Le premier EPR doit entrer en fonctionnement à l'horizon 2035-2036, cela signifie que le premier béton doit être sorti en 2027-2028. Mais il faut pour cela obtenir un décret d'autorisation de construction (DAC), qui intervient lui-même après une consultation publique, sans compter le long travail à mener auprès de l'ASN.

Par ailleurs, de nombreuses entreprises se retrouvent aujourd'hui dans une impasse par manque de visibilité sur le prix de l'électricité.

"L'Arenh [le système qui oblige EDF à vendre un certain volume d'électricité nucléaire à ses concurrents à bas prix, ndlr] prend fin en 2026. Or, certains industriels achètent de d'électricité à 4 ans. Là, ils ne peuvent plus acheter d'électricité pour 2026. C'est dramatique", alerte Nicolas Goldberg.

Arenh

Lire aussi
9 mn
Quel sera vraiment l'impact du relèvement du plafond de l'ARENH sur les consommateurs ?

A ces considérations industrielles et économiques, s'ajoute le calendrier européen. Les prochaines élections auront lieu au printemps 2024, dans deux ans seulement. "Il faut arriver à un accord avant 2024 car l'exécutif européen va changer. Or, aujourd'hui c'est Margrethe Vestager qui suit le sujet et elle le connaît très bien", pointe Phuc-Vinh Nguyen.

"Le temps est extrêmement tendu", reconnaît-on au sein de l'Etat.

Le bras de fer engagé avec Bruxelles et abandonné l'été dernier sera-t-il aussi difficile sous ce nouveau mandat ? "L'élément qui change, par rapport à l'été dernier, c'est la guerre en Ukraine. L'indépendance énergétique redevient un point majeur dans la position des pays européens, et en particulier de la France. On voit mal comment la Commission européenne pourrait rester sur des positions qu'elle avait il y a quatre mois", avance-t-on au sein de l'exécutif.
Juliette Raynal avec Marine Godelier
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Trimestrale

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Da noi sembra che la tassa sugli extra profitti sia al 75 percento..:D
Intanto la cassa è piena. :D
 
Il nostro destino sarà deciso altrove..
Speriamo di essere fortunati...


Réformer EDF pour financer la relance du nucléaire : Paris prépare d’urgence son plan pour Bruxelles
EXCLUSIF- Après l’annonce d'Emmanuel Macron en février de lancer la construction de six réacteurs EPR, plus huit en option, la France va prochainement entamer les négociations avec la Commission européenne sur le financement du plan de relance du nucléaire et la réforme d'EDF qu'il implique. Au regard de l’ampleur des investissements nécessaires et de l’endettement élevé d’EDF, le financement ne pourra se faire sans un soutien massif de l’Etat. Alors qu’Emmanuel Macron a évoqué fin mars la nationalisation d'EDF, d'autres scénarios sont à l'étude. Tous devront satisfaire une double contrainte : répondre aux règles de la concurrence imposées par la Commission européenne, très attachée à la libéralisation du marché de l'électricité, et coller aux exigences de sûreté du gendarme du nucléaire. Urgente, la réforme d'EDF interroge aussi sur l’avenir des activités du groupe dans l’éolien et le solaire. Les syndicats s’inquiètent notamment d’un possible découpage, à l’image du projet « Hercule » abandonné l’an dernier. Explications.
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00:00/00:00
Juliette Raynal avec Marine Godelier
28 Avr 2022, 6:00
12 mn


(Crédits : CHARLES PLATIAU)
C'est un dossier brûlant que va très vite présenter le prochain gouvernement à la Commission européenne s'il veut tenir le calendrier du programme nucléaire d'Emmanuel Macron de construire six nouveaux EPR entre 2035 et 2042 (assortis de huit autres en option dans un second temps) : celui du financement du plan de relance du nucléaire et la réforme d'EDF qu'il implique nécessairement. Un dossier qui promet déjà un nouvelle passe d'armes entre Paris et Bruxelles non seulement sur le mécanisme de régulation du nucléaire mais aussi sur la structure de ce programme qui devra être compatible avec les règles européennes en matière d'aides d'Etat. Les besoins sont colossaux puisque pour la seule première partie du programme, la facture devrait s'élever à au moins 50 milliards d'euros, et pourrait grimper jusqu'à près de 64 milliards d'euros, selon un document révélé par Contexte.

Or, c'est une certitude : même s'il a été recapitalisé en février à hauteur de 3,1 milliards d'euros, le groupe EDF ne peut pas porter sur son bilan un programme nucléaire de plus de 50 milliards d'euros.

"Cette circonstance fait que, de toute façon, il faudra que nous intervenions massivement sur le financement de ce programme. Lorsque ces EPR produiront de l'électricité, il faut que celle-ci soit à un prix abordable et régulé. Cela va nous amener à négocier avec la Commission européenne la régulation du nouveau nucléaire", confie à La Tribune une source ministérielle.

Déjà endetté à hauteur de 43 milliards d'euros, l'électricien national n'a tout simplement pas les moyens de financer ce projet. D'autant plus qu'il s'apprête à traverser une année noire en raison non seulement de l'indisponibilité historique de son parc nucléaire liée, entre autres, à un problème de corrosion, mais aussi du bouclier tarifaire mis en place par l'Etat pour contrer la flambée des prix de l'électricité. Ce dispositif oblige l'entreprise à vendre à prix cassé un plus grand volume d'électricité nucléaire à ses concurrents, afin de limiter la hausse des factures pour les consommateurs. Au total, EDF anticipe ainsi un manque à gagner de quelque 26 milliards d'euros pour 2022.

Dans ce contexte, le président réélu a laissé entrevoir la possibilité d'une renationalisation d'EDF, dont le capital est déjà détenu par l'Etat à hauteur de 83,9%. "Je pense que sur une partie des activités les plus régaliennes, il faut considérer que l'Etat doit reprendre du capital, ce qui va d'ailleurs avec une réforme plus large du premier électricien français", a-t-il déclaré le 17 mars dernier.

Lire aussi 4 mnNationalisation d'EDF : ce que le candidat Macron a en tête

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La nationalisation, partielle ou complète, d'EDF présente plusieurs intérêts. D'abord, aucun investisseur privé ne souhaiterait investir dans un tel projet nucléaire tant le risque d'exécution est grand.

"Il y a un vrai risque de stop and go. Le premier béton du premier EPR ne sera posé qu'entre 2027 et 2028, soit à la prochaine mandature. Autrement dit, il sera techniquement possible de stopper le projet car rien ne sera encore construit", pointe Nicolas Goldberg, expert énergie au sein du cabinet Colombus Consulting.

Par ailleurs, un financement public permettrait de diminuer sensiblement le coût de financement, l'Etat pouvant emprunter sur les marchés sur le long terme à des taux très bas, même s'ils ont remonté ces derniers mois. "Entre maintenant et la mise en service du dernier EPR, il s'écoule à peu près 20 ans. Le coût de financement est donc évidemment très lourd dans le prix de sortie du kilowattheure", souligne un proche du dossier. "Une variation de 1 ou 2% du taux d'intérêt a une conséquence énorme sur le prix du mégawattheure de sortie", abonde un expert du secteur.

L'objectif du gouvernement consiste donc à présenter "un programme avec un financement public très important, pour avoir un coût de financement qui soit le plus bas possible". L'exécutif souhaite également que la production nucléaire soit immunisée contre la volatilité des marchés. "Il faut alors trouver un système de régulation qui fixe dans le temps les prix de sortie des kilowattheures produits par les nouvelles centrales", explique la même source ministérielle.

En parallèle, l'Etat français devra trouver la structure financière, capitalistique et industrielle qui répondra aux exigences de la Commission européenne. Car une régulation spécifique du nouveau nucléaire s'apparentera à une aide d'Etat. Or, Bruxelles est extrêmement attaché à la libéralisation du marché de l'électricité et voudra, à coup sûr, des "chinese walls" (garde-fous) très clairs entre les activités qui font l'objet d'une régulation et les autres activités. En d'autres termes, que les activités nucléaires, subventionnées par l'argent public, ne financent pas les activités d'énergies renouvelables.

Cette renationalisation pourrait s'opérer par un rachat du capital d'EDF coté en Bourse (soit environ 15% du capital) pour quelque 5 milliards d'euros. "Le coût serait assez supportable. Cela représente la moitié du coût de construction d'un EPR", relève Phuc-Vinh Nguyen, chercheur sur les politiques de l'énergie européenne et française au sein du centre énergie de l'institut Jacques Delors. L'Etat peut aussi souscrire massivement à une augmentation de capital afin qu'EDF investisse par ce biais là. "Mais cela déclenchera automatiquement une offre publique d'achat, ce qui revient à une nationalisation in fine", note un expert du secteur.

Jeu d'équilibriste entre Bruxelles et le gendarme nucléaire
D'autres scénarios sont envisageables.

"Le financement du nouveau nucléaire peut passer par EDF ou par des tuyaux différents", explique un connaisseur du dossier, proche du groupe.

L'exécutif examine ainsi la possibilité de créer un Specific purpose vehicle (SPV). C'est-à-dire une structure financière entièrement dédiée au nouveau nucléaire.

"Ce SPV pourrait être financé par l'Etat et EDF investirait pour un montant bien inférieur. De par les règles de gouvernance, il pourrait même être consolidé chez EDF. La capacité de décision opérationnelle reviendrait alors à l'électricien, sans avoir de dette à rentrer puisque l'Etat serait au capital", développe cette source.

Ce schéma répondrait alors aux exigences de Bruxelles puisque qu'un tel véhicule financier permettrait de tracer les flux. La Commission européenne pourrait ainsi facilement s'assurer que l'argent injecté par l'Etat n'est pas utilisé pour financer d'autres activités car il demeure dans une structure financière précise.

En revanche, cette option ne permettrait pas de répondre aux exigences de l'Autorité de sûreté nucléaire (ASN). Le gendarme français du secteur doit, en effet, s'assurer de la bonne application de la régulation INB (Installations nucléaires de base). L'exploitant doit alors prouver qu'il dispose de toutes les ressources et des capacités nécessaires pour assurer la maintenance et la sûreté de la centrale jusqu'à son démantèlement.

"Si vous avez une structure financière complètement séparée de la structure d'ingénierie et de maintenance, vous ne répondez pas à cette contrainte", pointe un proche du gouvernement.

Une autre possibilité consisterait à embarquer, dans ce SPV, le nucléaire historique aux côtés du nouveau nucléaire.

"Si on embarque le nucléaire existant, cela signifie qu'on embarque toute la compétence existante. On se rapproche alors de la réglementation INB, mais on s'éloigne des exigences de Bruxelles. Il n'y a aucune solution qui coche toutes les cases", déplore cette même source.

Par ailleurs, la création d'une structure purement étatique qui regrouperait tout le nucléaire ressemblerait au feu projet Hercule, qui consistait à rassembler toutes les activités nucléaires d'EDF et le réseau de transport d'électricité dans une entité 100% publique. Projet qui a finalement été abandonné l'été dernier après plus de deux années de négociations avec Bruxelles.

Céder les actifs d'EDF Renouvelables à Engie ?
Enfin, un dernier scénario évoqué dans la presse consisterait à renationaliser EDF puis à revendre ses activités dans les énergies renouvelables (hors hydraulique) à un autre champion français de l'énergie : Engie. Pour l'heure, cette hypothèse a été formellement démentie aussi bien par l'Etat (également actionnaire d'Engie à hauteur de 23,64%) que par l'électricien. "Ce n'est pas à l'ordre du jour", a coupé court Jean-Bernard Lévy, le PDG d'EDF, critiquant des "spéculations qui n'ont pas grand sens".

Reste qu'Engie, à l'occasion de son assemblée générale le 21 avril dernier, n'a pas caché son vif intérêt pour les actifs renouvelables de son concurrent, sans néanmoins les nommer directement. Par ailleurs, l'Etat n'exclut pas pour Engie "une opération de croissance externe significative", mais considère davantage une concentration au niveau européen "plutôt que franco-française".

Alors ce scénario est-il plausible ? Certains experts y voient une vision trop court-termiste. "C'est un moyen pour EDF de se faire de l'argent très rapidement, mais sur le long terme, cela le prive d'une partie de ses revenus", estime Phuc-Vinh Nguyen de l'institut Jacques Delors.

"En termes d'image, ce serait très négatif. Cela signifierait aux yeux de l'opinion que l'Etat n'est pas capable d'accompagner un fleuron français. Ce serait un aveu d'échec terrible", abonde un autre expert.

De fait, l'opération risquerait, in fine, de détériorer un peu plus la situation d'EDF, qui se trouverait déplumé de ses activités dans l'éolien et le solaire. Car rien ne prouve qu'un gouvernement ne pourrait pas, dans le futur, revenir sur l'intérêt de l'atome en France et stopper les nouveaux projets dans le domaine. Ce qui signifie qu'EDF gèrerait en grande majorité des actifs potentiellement échoués à terme, tandis qu'Engie se développerait sur un marché de plus en plus dynamique.

"L'option du nucléaire n'est pas inscrite dans le marbre. Macron lui-même voulait fermer 14 réacteurs en moins de dix ans au début de son mandat, comme décidé sous François Hollande", rappelle ainsi Jacques Percebois, directeur du Centre de recherche en économie et en droit (CREDEN).

Une "déclaration de guerre" pour les syndicats
D'autant que les installations productrices d'énergie renouvelable intermittente, qu'EDF céderait donc dans ce scénario, commencent enfin à être rentables du fait de la flambée des prix des hydrocarbures, et pourraient même permettre à l'Etat français d'engranger des recettes nettes dès 2025 après avoir profité de fortes subventions. "Cela pourrait donner le sentiment qu'après avoir beaucoup aidé les renouvelables, on retire à l'opérateur historique un actif qui devient vraiment intéressant", souligne Jacques Percebois. Autrement dit, comme le dénoncent régulièrement les syndicalistes, l'opération pourrait être interprétée comme une volonté de "nationaliser les pertes et privatiser les profits".

Reste qu'EDF doit faire des choix. Les énergies renouvelables, elles aussi, constituent une industrie très capitalistique et la priorité pour l'électricien est avant tout la construction des nouveaux EPR et l'entretien des réseaux. Enedis, filiale à 100% d'EDF, a ainsi investi quelque 4,3 milliards d'euros en 2021 et prévoit d'augmenter ce budget dans les années à venir.

"Pour les syndicats, la revente des activités renouvelables d'EDF à Engie serait perçue comme une déclaration de guerre", prévient un observateur.

Céder à Engie cette activité serait en effet inacceptable pour Anne Debrégeas, ingénieure chercheuse à EDF R&D et membre de SUD Energie. "Ce serait accepter un impôt privé qui est gigantesque", alerte-t-elle, en faisant référence à la gestion par Engie de la Compagnie nationale du Rhône (CNR), filiale détenue à 50% par le spécialiste du gaz. "Le rapport de la Cour des comptes, publié en février dernier, est hallucinant. Il montre que la rémunération du capital est de 24%", dénonce-t-elle. La syndicaliste plaide, elle, pour une nationalisation complète d'EDF et une sortie de la concurrence de l'ensemble du système électrique.

Un dossier aussi épineux qu'urgent
Véritable casse-tête, le dossier EDF repose sur une équation économique et politique périlleuse minée d'injonctions contradictoires. Pourtant, il faudra la résoudre au plus vite. Le premier EPR doit entrer en fonctionnement à l'horizon 2035-2036, cela signifie que le premier béton doit être sorti en 2027-2028. Mais il faut pour cela obtenir un décret d'autorisation de construction (DAC), qui intervient lui-même après une consultation publique, sans compter le long travail à mener auprès de l'ASN.

Par ailleurs, de nombreuses entreprises se retrouvent aujourd'hui dans une impasse par manque de visibilité sur le prix de l'électricité.

"L'Arenh [le système qui oblige EDF à vendre un certain volume d'électricité nucléaire à ses concurrents à bas prix, ndlr] prend fin en 2026. Or, certains industriels achètent de d'électricité à 4 ans. Là, ils ne peuvent plus acheter d'électricité pour 2026. C'est dramatique", alerte Nicolas Goldberg.

Arenh

Lire aussi
9 mn
Quel sera vraiment l'impact du relèvement du plafond de l'ARENH sur les consommateurs ?

A ces considérations industrielles et économiques, s'ajoute le calendrier européen. Les prochaines élections auront lieu au printemps 2024, dans deux ans seulement. "Il faut arriver à un accord avant 2024 car l'exécutif européen va changer. Or, aujourd'hui c'est Margrethe Vestager qui suit le sujet et elle le connaît très bien", pointe Phuc-Vinh Nguyen.

"Le temps est extrêmement tendu", reconnaît-on au sein de l'Etat.

Le bras de fer engagé avec Bruxelles et abandonné l'été dernier sera-t-il aussi difficile sous ce nouveau mandat ? "L'élément qui change, par rapport à l'été dernier, c'est la guerre en Ukraine. L'indépendance énergétique redevient un point majeur dans la position des pays européens, et en particulier de la France. On voit mal comment la Commission européenne pourrait rester sur des positions qu'elle avait il y a quatre mois", avance-t-on au sein de l'exécutif.
Juliette Raynal avec Marine Godelier
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Quindi delisting risp?
 
Edison – Nel 1Q 2022 EBITDA +41,7% a 105 mln ma utile netto -72% a 27 mln causa decreto ' Taglia prezzi”
Oggi 09:10 - MKI
Il Gruppo Edison archivia i primi tre mesi del 2022 con ricavi balzati a 7,1 miliardi, da 2,1 miliardi del pari periodo 2021, grazie al fronte del recupero delle attivita' industriali dopo le restrizioni imposte dalla pandemia.
L’EBITDA aumenta del 41,7% 105 milioni, per effetto soprattutto del contributo della produzione termoelettrica, delle attivita' gas e di alcuni effetti non ricorrenti. Risultato che ha piu' che compensato il calo della produzione idroelettrica, che ha sofferto la bassa idraulicita' del periodo, e l' impatto negativo del rialzo dei prezzi sulla marginalita' delle vendite ai clienti finali.
In questo scenario di incremento dei prezzi, Edison ha adottato “azioni di protezione dei clienti che hanno pesato sulla redditivita' delle attivita' downstream”.
L' utile netto di Gruppo registra una contrazione del 72% a 27 milioni, in conseguenza
dell' applicazione del decreto ' Taglia prezzi' (DL 21 marzo 2022, n.21), del Sostegni-ter (DL 21 marzo 2022, n.21) e del Sostegni-ter (DL 27 gennaio 2022, n.4 convertito nella legge 28 marzo 2022, n.5) che hanno un valore complessivo stimato di oltre 100 milioni nel primo trimestre.
La posizione finanziaria netta al 31 marzo 2022 evidenzia una liquidita' di 226 milioni (debito di 104 milioni a fine 2021). Tale esito riflette la positiva generazione di cassa dell' attivita' operativa, a fronte di investimenti per il rafforzamento nei business della transizione energetica.
Il contesto attuale, caratterizzato da una volatilita' molto elevata nei prezzi delle commodity e con alcuni interventi normativi sul settore energetico in corso di finalizzazione, non permette ancora di indicare una previsione annuale di Ebitda. Tuttavia, la societa' ritiene che la sua performance industriale dovrebbe rimanere prossima a quella dell' anno 2021.
 
Non conosco il francese, ma per cortesia mi spuagate perché avete dedotto che ci sarà conversione/delisting?
 
Non conosco il francese, ma per cortesia mi spuagate perché avete dedotto che ci sarà conversione/delisting?

L'articolo parla di una ipotetica riorganizzazione in casa EDF. Al momento ipotesi di delisting/conversione/ritorno in borsa di Edison NON hanno evidenza alcuna.

Vedremo come si evolverà la situazione...
 
Ultima modifica:
A parer mio quello di oggi è "rumore" da utilizzare per rientrare, ... troppo enfatizzato l'intervento governativo che in primis non potrà durare in eterno e che credo legalmente sia quantomeno discutibile ...
E' roba da partiti che sorreggono il governo, uno in particolare, che deve colpire chi produce .. per dare agli altri che spesso non fanno un c ... ...
Ma quando il prezzo scendeva, qualcuno ha "regalato" qualcosa alle aziende che soffrivano? mah ...io credo che una causa possa avere grandi possibilità di successo ...
E comunque quando il titolo era a 1,40 c'era qualche fenomeno che sosteneva che difficilmente sarebbe andata oltre .. invece abbiamo visto prezzi sopra 1,80 ...
Io credo che passata la tempesta oderemo (si può dire ? .... ah ah :) ) augelli far festa.
 
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