bart_simpson ha scritto:
Mio nonno dice che se Alitalia si ritira a Fiumicino, questa diventa la compagnia di bandiera della padania.
Bonomi presidente di Eurofly diventa presidente di Sea...
Mizzega nonno, e io che pensavo che era tutta farina del tu sacco...
La festa è finita, lo Stato se ne va
Lo Stato imprenditore inizia la ritirata dall'Alitalia e riconosce così la più grave delle sue sconfitte. Con l'intervento di ieri, all'incontro con i sindacati sull'Alitalia, Romano Prodi ha dato un aut aut a tutti: niente più soldi e basta parlare di ristrutturazioni se prima non si definiscono le alleanze internazionali di quel che resta della compagnia di bandiera. E' una presa di posizione che va letta alla luce dei conti di oggi e della storia di ieri.
Poiché in Borsa vale un miliardo di euro o poco più, l'Alitalia non è in grado di stringere nessuna alleanza alla pari. Air France-Klm, il partner più gettonato, capitalizza oltre 6,5 miliardi. British Airways idem. Si parla di alleanze, ma, in pratica, si sta preparando la vendita dell'Alitalia. E a questo punto vendere è un bene. I governi, infatti, hanno esaurito la fiducia che anche i più nostalgici difensori della compagnia di bandiera potevano ancora avere nella ristrutturazione di un'azienda un tempo — un tempo lontano — esemplare e florida. La politica si è rivelata incapace di scegliere e di sostenere un management e un piano. Fare ora le pulci a Giancarlo Cimoli sarebbe ingeneroso, oltre che inutile. Ma come si arriva alla vendita? Congelare tutto fino all'individuazione dell'«alleato», che dovrebbe avvenire entro il 31 gennaio 2007, significa prendere tempo con il duplice effetto di evitare destabilizzanti conflitti sindacali nel trasporto aereo durante la discussione della legge finanziaria, e di bruciare, giorno dopo giorno, quanto resta dell'ultimo aumento di capitale. Se le previsioni sono giuste, la cassa finirà a marzo. E' dunque possibile che il termine di gennaio slitti ancora un po'. Ma non cambierebbe granché: con la fine della cassa finiranno le illusioni.
Al dunque, l'Alitalia senza più un euro, e con la Commissione europea che ne impedirebbe la ricapitalizzazione a opera dello Stato, sarà pronta per essere ceduta all'«alleato». E l'evidente alternativa del fallimento ridurrà a miti consigli anche i sindacati interni. I riflessi di un simile esito sull'industria italiana del trasporto aereo, che comprende l'Alitalia ma anche le altre compagnie e il sistema aeroportuale, non saranno entusiasmanti. Senza una forte compagnia di riferimento (lasciamo perdere la bandiera), nessuno dei due grandi scali italiani diventerà mai un hub sul modello di Parigi, Amsterdam, Francoforte e Londra. Ma la nuova stagione che si prospetta per i resti dell'Alitalia iscrive un punto di domanda anche sui processi avviati negli ultimi tempi.
Gli aeroporti internazionali di Malpensa e Fiumicino, sui quali sono state investite ingenti risorse pubbliche e private, possono forse trovare una nuova prospettiva nella rifocalizzazione dell'Alitalia sull'aeroporto romano e nella rinascita imprenditoriale di quello milanese, magari con un secondo vettore italiano, che, in teoria, potrebbe essere Eurofly, o con i vettori asiatici come già si pensava negli anni Novanta. In fondo, l'accordo tra Alitalia e il Comune di Roma per riportare a Fiumicino voli internazionali per 3 milioni di passeggeri oggi dislocati a Malpensa obbediva a questa logica. Ma anche gli aeroporti non possono pensare di fare profitti perché qualcuno paga sempre il conto dell'Alitalia. La festa sta finendo. Eppure, l'ultima ora dell'Alitalia può rappresentare un'opportunità per quanti abbiano voglia di investire e provare le proprie capacità imprenditoriali. E in questo novero vanno compresi, per una parte, anche gli azionisti degli scali, se vogliono fare qualcosa di più che sfruttare i loro monopoli naturali. Altrimenti, vive la France!, e non se ne parli più.
Massimo Mucchetti
11 ottobre 2006