FIR over 35/100 k che documentazione fornire II

Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.
Ho appena inviato messaggi privati ai forumer:
Xedron
il tempo
Dondruma
Per favore, rispondete...
 
Ricevuta, grazie e già confermata adesione al 100%
 
Sto esplorando una nuova strada per superare la maledetta questione del "periodo sospetto" di acquisto dei bond, che sinora ha penalizzato molti risparmiatori.
Chiedo a chi fosse interessato a perseguirla, di inviarmi messaggio privato
Ciao, anche io sono interessato ma non riesco a inviare messaggi privati. Come faccio a mettermi in contatto con un moderatore?
 
a Rottweiller .
Sono interessato a conoscere i termini della nuova procedura che stai valutando per avviare allaobiezione dei "periodi sospetti" Ti chiedo di parteciparmi gli elementi dela stessa. Grazie !
Langensiepen
 
Rottweiler, potresti inviare la tua idea anche a me?
Grazie
 
Pubblicato il 21/03/2023
N. 04949/2023 REG.PROV.COLL.

N. 10766/2022 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10766 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal sig.-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Carlo Canafoglia e Prof. Salvatore Menditto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze (e presso di esso la Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Consap S.p.A. (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gianluca Brancadoro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento

PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO

- degli atti, delle operazioni concernenti e dei provvedimenti relativi al procedimento di valutazione delle domande/istanze di indennizzo inoltrate dalla ricorrente alla CONSAP s.p.a. in relazione alle obbligazioni subordinate Banca delle Marche s.p.a. acquistate dalla stessa, affidate ex lege alla valutazione della Commissione Tecnica istituita presso il MEF;

IN PARTICOLARE, E COMUNQUE NEI TERMINI INDICATI NEL RICORSO

- del provvedimento reso dalla Commissione Tecnica, invero non conosciuto né trasmesso, ed appreso solo in quanto comunicato da CONSAP s.p.a., Unità di Business 3-Servizi Finanziari, Servizio Fondo Indennizzo Risparmiatori, mediante invio di pec al legale e domiciliatario indicato nelle domande, Avv. Carlo Canafoglia, in data 14.06.2022, con il quale la predetta domanda/istanza di indennizzo è stata integralmente rigettata;

IN OGNI CASO

- di tutti gli altri atti e/o provvedimenti, precedenti, successivi, connessi ed anche istruttori rispetto a quelli impugnati, ancorché non conosciuti, ove comunque funzionali e/o finalizzati all’istruttoria procedimentale ed alla successiva adozione del provvedimento di diniego e rigetto delle domande avanzate dalla ricorrente;

CON ESPRESSA E RITUALE RICHIESTA DI ACCERTAMENTO

- del diritto in capo alla ricorrente di ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge ed espressamente richiesto nelle domande/istanze inviate alla CONSAP s.p.a., nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso;

- del corrispondente obbligo in capo alle Amministrazioni resistenti di riconoscere e di corrispondere il predetto ulteriore indennizzo richiesto dalla ricorrente, nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso, e, in subordine, di risarcire il danno patito dalla stessa, nella misura del medesimo importo del contributo richiesto e non concesso; in ogni caso, oltre interessi e rivalutazione monetaria, come per Legge;

E, ANCORA, CON ESPRESSA E RITUALE RISERVA

- di reclamare, nel giudizio incardinato con l’odierno ricorso e/o in uno successivo, il risarcimento del danno ulteriore inferto alla ricorrente a fronte del complessivo modus operandi delle Amministrazioni resistenti.

PER QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI

- per l’annullamento degli stessi atti impugnati con il ricorso introduttivo;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Consap;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente ricorso, parte ricorrente – già titolare di obbligazioni subordinate emesse dalla ex Banca delle Marche s.p.a. – impugna l’atto in epigrafe con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, anche semplicemente “MEF”) ha respinto la domanda di accesso alle prestazioni del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), dalla stessa parte ricorrente avanzata ai sensi della l. n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss. (recante la procedura speciale per l’indennizzo degli investitori di alcune banche finite in “default”, tra cui, per quel che qui rileva, detto istituto bancario).

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

Il motivo su cui poggia il provvedimento di diniego risiede nel fatto che parte ricorrente si è già vista respingere con lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC la domanda presentata per l’analogo (ma formalmente diverso) indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo corrisposto dal Fondo di solidarietà di cui al decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Parte ricorrente insta non soltanto per l’annullamento dell’atto reiettivo impugnato, ma anche per l’accertamento del diritto (e la conseguente condanna) al pagamento dell’indennizzo previsto dalla legge n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss.

Il ricorso è affidato a due motivi di gravame, ciascuno dei quali a sua volta comprensivo di plurime e multiformi censure.

In estrema sintesi, le molteplici doglianze sollevate dalla parte ricorrente si possono compendiare nei termini che seguono:

(i) illegittimità dell’atto reiettivo impugnato per aver frapposto una causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo ex legge n. 145 del 2018 (e cioè il fatto che parte ricorrente avesse infruttuosamente incardinato in passato una procedura arbitrale innanzi all’ANAC per l’analogo indennizzo previsto dal decreto legge n. 59 del 2016) causa ostativa che non sarebbe in tesi affatto prevista dalla legge n. 145 del 2018 regolante l’indennizzo de quo;

(ii) eccesso di potere e difetto di motivazione dell’atto impugnato per aver invocato una motivazione reiettiva palesemente insufficiente e lacunosa, atteso che “la normativa a fondamento del fondo F.I.R, gestito da CONSAP e dalla Commissione tecnica per i ristori degli obbligazionisti subordinati delle Banche poste in liquidazione” (e cioè la legge n. 145 del 2018 e i relativi atti attuativi, nel cui campo di applicazione rientra l’atto de quo) “è differente da quella a corredo dei rimborsi elargiti dal F.I.T.D, a seguito di procedura arbitrale A.N.A.C.” (e cioè dalla normativa in base alla quale l’ANAC aveva respinto la richiesta dell’analogo indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016), sicchè il mero rinvio al lodo ANAC – privo di ulteriori specificazioni motivazionali – integrerebbe i presupposti di una motivazione acritica e apodittica. E ciò a maggior ragione ove si consideri che le discipline di riferimento dei due indennizzi in questione (da un lato quella regolante il “vecchio” indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016, e dall’altro lato quella regolante il “nuovo” indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 di cui si controverte oggi) non sono esattamente sovrapponibili tra loro;

(iii) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere lo stesso introdotto un’ingiustificata e arbitraria disparità di trattamento tra gli obbligazionisti che come la ricorrente avevano visto in passato negarsi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo ex D.L. n. 59 del 2016 (ai quali è stato ora negato anche il “nuovo” indennizzo ex legge n. 145 del 2018) e gli obbligazionisti che invece avevano visto riconoscersi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo, oppure che addirittura non lo avevano neppure richiesto. È stato in particolare lamentato che “la valutazione operata dall’organo preposto si appalesa anche del tutto illogica, e quindi ancora più ingiusta ed iniqua, considerato che andrebbe a premiare gli obbligazionisti “dormienti”, cioè quelli che non si erano attivati prima (con gli strumenti introdotti dalla L. n. 208/2015) o che, per difetto di requisiti, non avevano potuto farlo, rispetto a quelli “vigili”, cioè quelli che avevano diligentemente e tempestivamente curato i propri interessi, ricorrendo – appunto – all’arbitrato presso l’ANAC, anche se con esito negativo”;

(iv) eccesso di potere dell’atto impugnato per avere quest’ultimo disatteso l’“autovincolo” che l’Amministrazione si era data non soltanto con le c.d. Linee Guida approvate in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. d), primo paragrafo, D.M. 10/05/2019 (le quali trattano della tipizzazione delle c.d. “violazione massive”, ma che nulla dicono rispetto all’ulteriore requisito della pregressa reiezione da parte dell’ANAC del “vecchio” indennizzo ex DL n. 59 del 2016) ma anche con la Determinazione della Commissione tecnica del 13 gennaio 2022, mediante la quale si sarebbe stabilita una presunzione assoluta di spettanza del nuovo indennizzo ove la violazione massiva del TUF fosse avvenuta in un dato “arco temporale”.

(v) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere esso completamente omesso di valutare l’asserita inadeguatezza dei presidi informativi predisposti dall’istituto bancario nei confronti di parte ricorrente, nel momento in cui quest’ultima aveva effettuato gli investimenti obbligazionari da cui è scaturito il danno per il quale è stato poi richiesto l’indennizzo negato con l’atto ora impugnato. Tale inadeguatezza di presidi informativi (e anche di strumenti di profilatura della propensione al rischio di parte ricorrente) deporrebbe nel senso dell’illegittimità dell’atto con cui è stato negato l’indennizzo de quo agitur;

(vi) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere l’Amministrazione introdotto un’ulteriore ingiustificata disparità di trattamento tra gli obbligazionisti subordinati di Banca Marche come la ricorrente (rispetto ai quali il nuovo indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 è stato aprioristicamente negato per il semplice fatto che essi si erano visti negare dall’ANAC il vecchio indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016) e azionisti di Banca Marche a cui invece il nuovo indennizzo sarebbe stato riconosciuto nonostante l’esito negativo del lodo arbitrale ANAC in relazione al “vecchio” indennizzo.

Il MEF e CONSAP si sono ritualmente costituiti in giudizio instando per la reiezione del gravame, di cui è stata eccepita l’inammissibilità sotto plurimi profili e anche l’infondatezza nel merito.

Con successivi motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati, parte ricorrente esponeva di essere poi venuta a conoscenza – nelle more del presente giudizio e per effetto di un deposito effettuato dalle resistenti in un giudizio analogo rispetto a quello odierno – di una delibera assunta da Consap in data 23 febbraio 2022, con cui la stessa Consap avrebbe disposto che qualora l’obbligazionista si fosse preventivamente rivolto all’ANAC per ottenere il rimborso del “vecchio” indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016, lo stesso obbligazionista conservava comunque il diritto di “accedere al FIR” (e cioè al fondo indennizzo risparmiatori previsto dalla legge n. 145 del 2018, oggetto dell’odierna controversia). Detta delibera Consap del 23 febbraio 2022 stabiliva, inoltre, che se l’obbligazionista si fosse rivolto preventivamente all’ANAC “non ottenendo alcun indennizzo per il rigetto della domanda per motivi di merito” (oppure soltanto una parte di tale indennizzo), “la Commissione valuterà i lodi “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito”.

Con gli odierni motivi aggiunti, pertanto, parte ricorrente – facendo perno proprio sulla summenzionata delibera Consap del 23 febbraio 2022 – censurava nuovamente il provvedimento di reiezione dell’istanza di indennizzo ex legge n. 145 del 2018, in quanto detto provvedimento si è erroneamente limitato a prendere atto (in senso ostativo) del lodo arbitrale ANAC, senza invece utilizzarlo quale “fonte di accertamento” concorrente con altri elementi istruttori; elementi istruttori che non sono stati minimamente soppesati e valutati nell’ambito dell’impianto motivazionale dell’atto gravato.

Seguiva il deposito dei documenti e delle memorie conclusionali e di replica ex art. 73, comma 1, c.p.a.

All’udienza pubblica del 8 marzo 2022, pertanto, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis, il Collegio ritiene di dover respingere le eccezioni di rito sollevate dalle Amministrazioni resistenti, e ciò sulla scorta dell’orientamento già espresso in una causa analoga dal Consiglio di Stato (Sezione VII) con la recente sentenza n. 664 del 19 gennaio 2023, a cui il Collegio presta adesione.

Per quel che concerne, infatti, l’eccepito difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, l’esame della questione relativa al riparto di giurisdizione impone di valutare il petitum sostanziale, ossia l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo (v. ex plurimis, Cass. Sez. Un., 31 gennaio 2005, n. 6743; Cass. Sez. Un., 28 giugno2006, n. 14846).

In particolare, secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria 29 gennaio 2014, n. 6, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche (fattispecie assimilabili a quella in esame, almeno ai fini di giurisdizione) deve essere attuato (non configurandosi alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; inoltre, è configurabile una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse.

Il petitum sostanziale della presente controversia, chiaramente emergente dall’atto introduttivo del giudizio, attiene alla pretesa di parte ricorrente di ottenere una valutazione circa la spettanza dell’indennizzo previsto dalla l. n. 145 del 2018, sulla base della procedura ordinaria e, dunque, dell’accertamento, da parte della commissione tecnica prevista dalla disciplina di riferimento, della sussistenza di reiterate violazioni del TUF (decreto legislativo n. 58 del 1998) da parte dell’istituto bancario e del nesso causale tra le stesse ed il pregiudizio da lei subito.

Dunque, la situazione giuridica soggettiva ascrivibile all’odierna parte ricorrente deve essere qualificata in termini di interesse legittimo pretensivo, assumendo ai fini in esame rilievo il contenuto delle censure formulate con il ricorso, segnatamente riferite alla dedotta sussistenza di un obbligo dell’Amministrazione di valutare nel merito le violazioni massive del TUF commesse dall’istituto bancario e il nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio dell’investitore, insufficiente essendo il mero rinvio al lodo arbitrale con cui l’ANAC aveva respinto la richiesta di un diverso indennizzo.

Acclarata la piena sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo sulla causa de qua, va poi respinta l’eccezione con cui la società Consap, in house del Ministero dell’economia e delle finanze, ha dedotto la propria carenza di legittimazione passiva.

Va evidenziato, infatti, che se è vero che la titolarità del rapporto controverso fa capo alla Commissione tecnica, organo straordinario del Ministero, la Consap in conformità alle previsioni dell’art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018 (nonchè alla disciplina attuativa di cui al DM del 10 maggio 2019) svolge un’attività che non è limitata al mero supporto alla predetta Commissione, istituita ai sensi della citata disposizione, nell’espletamento dell’attività istruttoria e di acquisizione dei dati.

Come emerge, infatti, dall’art. 8, comma 5, del DM 10 maggio 2019, emanato in attuazione delle previsioni di cui all’art. 1, commi da 493 a 507, della l. n.145 del 2018, alla Consap non è demandata esclusivamente l’attività di segreteria, bensì anche un’attività di gestione che non si esaurisce nella predisposizione dei processi concernenti l’espletamento delle procedure, essendo la società incaricata, tra l’altro, dell’esecuzione delle delibere della Commissione tecnica.

Proprio il complesso delle attività espletate dalla società, tra le quali anche l’interlocuzione diretta con i richiedenti l’indennizzo, inducono a ritenere che correttamente la stessa sia stata evocata in giudizio insieme al Ministero, al quale come sopra esposto va riferita la titolarità del rapporto, tenuto conto peraltro dell’incidenza dei vincoli conformativi suscettibili di scaturire dalla pronuncia giurisdizionale sulla società.

Va parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sua mancata notifica ad almeno un controinteressato, da individuare negli altri soggetti che hanno presentato istanza per ottenere l’erogazione dell’indennizzo attraverso una procedura che rivestirebbe carattere selettivo in considerazione della limitatezza degli stanziamenti destinati alla misura di sostegno in questione.

Si evidenzia, infatti, che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. ex multis, da ultimo, sez. III, sentenza n. 5052/2020), il controinteressato da evocare in giudizio è il soggetto indicato nell’atto che si impugna, ovverosia il soggetto, facilmente individuabile, portatore di un interesse – concreto ed attuale – giuridicamente qualificato alla conservazione dell’atto, e dunque interessato a difendere una situazione giuridica di vantaggio uguale e contraria rispetto a quella del ricorrente.

Si afferma altresì che non occorre che il controinteressato sia espressamente individuato nell’atto, essendo sufficiente che sia comunque facilmente individuabile con l’ordinaria diligenza (Cons. St., sez. V, sentenza n. 4503/2019).

Nella fattispecie non consta in atti che sia stata stilata una graduatoria delle istanze ammissibili, né emergono elementi che consentano di ritenere agevolmente individuabili eventuali controinteressati, dovendosi quindi escludere la sussistenza della dedotta causa di inammissibilità in applicazione dell’art. 41, comma 2, c.p.a.

Va infine respinta anche l’eccezione di incompetenza territoriale di questo TAR genericamente sollevata dal Ministero resistente, non essendo revocabile in dubbio la competenza di questo TAR Lazio in ragione del criterio ordinario di competenza della sede dell’Amministrazione centrale da cui promana l’atto impugnato (cfr. art. 13 c.p.a.).

Ciò premesso, il Collegio può dunque procedere all’esame del merito del ricorso.

In proposito, è anzitutto necessario ricostruire brevemente il quadro normativo che disciplina l’indennizzo de quo agitur.

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

La summenzionata legge n. 145 del 2018 ha anzitutto previsto la misura dell’indennizzo e la platea dei beneficiari dello stesso, nonché una sorta di “corsia procedurale preferenziale” in favore di quei risparmiatori che – oltre ad essere in possesso delle azioni od obbligazioni emesse dalle banche individuate dalla legge (id est quelle in liquidazione coatta amministrativa) – hanno un reddito ed un patrimonio inferiori a specifiche soglie economiche minime (cfr. art. 1, comma 502 bis, della legge n. 145 del 2018).

Questa prima categoria di risparmiatori (c.d. “forfettari”) può accedere all’indennizzo de quo soltanto perché in possesso dei summenzionati requisiti reddituali e patrimoniali.

Viceversa, i risparmiatori privi di tali requisiti (come ad esempio l’odierna parte ricorrente) sono gravati dell’onere di dimostrare le violazioni massive del TUF commesse dalla loro banca (così come accertate in sede penale), nonché il concreto nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio da loro subito.

Il legislatore ha poi delegato alla potestà regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione di molti altri aspetti del procedimento di assegnazione dell’indennizzo de quo, essendo stato previsto che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono definite le modalità di presentazione della domanda di indennizzo nonché i piani di riparto delle risorse disponibili. Con il medesimo decreto è istituita e disciplinata una Commissione tecnica per: l’esame delle domande e l’ammissione all’indennizzo del FIR; la verifica delle violazioni massive, nonché della sussistenza del nesso di causalità tra le medesime e il danno subito dai risparmiatori; l’erogazione dell’indennizzo da parte del FIR. Le suddette verifiche possono avvenire anche attraverso la preventiva tipizzazione delle violazioni massive e la corrispondente identificazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi in presenza dei quali l'indennizzo può essere direttamente erogato” (cfr. art. 1, comma 501, della legge n. 145 del 2018).

In attuazione di tale previsione legale è appunto intervenuto il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019, il cui art. 7, comma 1, prevede (sotto la rubrica “Commissione tecnica”) che “è istituita la Commissione tecnica prevista dall’art. 1, comma 501, legge 30 dicembre 2018, n. 145, competente per l’esame e l’ammissione delle domande di indennizzo del FIR”, alla quale è affidato anche il compito di stabilire i “criteri generali e linee guida per la tipizzazione delle violazioni massive, individuali o di portata generale, di natura contrattuale o extracontrattuale, e la corrispondente modulazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi nonché dei periodi temporali di riferimento in presenza dei quali, anche tenendo conto delle diverse tipologie di violazione in concreto prese in esame, sussistono il danno subito da ciascun istante e il nesso causale tra le suddette violazioni e tale danno”.

L’indennizzo de quo agitur trova la sua compiuta disciplina, pertanto, nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018, nonché nel Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019 e nelle Linee Guida adottate dalla Commissione Tecnica all’uopo istituita (con cui sono state tipizzate le violazioni massive del TUF in presenza delle quali può essere erogato l’indennizzo ai risparmiatori/investitori).

Ai fini di causa è importante evidenziare che l’indennizzo in parola è formalmente autonomo e distinto rispetto al precedente indennizzo previsto dagli artt. 8 e 9 del d.l. n. 59 del 2016.

Ciò in quanto diversi sono i fondi e gli stanziamenti a cui i due indennizzi attingono: il “nuovo” indennizzo ora in esame attinge infatti al Fondo Indennizzo Risparmiatori (nel prosieguo anche “FIR”) istituito dalla summenzionata legge n. 145 del 2018, mentre il “vecchio” indennizzo previsto dal d.l. n. 59 del 2016 attinge al Fondo di Solidarietà istituito dall’art. 1, comma 855, della legge n. 208 del 2015 (nel prosieguo anche il “Fondo di Solidarietà”, il quale è a sua volta alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 del TUF, giusta quanto previsto dall’art. 1, comma 856, della legge n. 208 del 2015).

Ciò premesso in linea generale, il presente ricorso appare fondato e va quindi accolto con riferimento alle prime due doglianze sintetizzate nella parte in fatto della presente sentenza, con cui parte ricorrente si duole del fatto che la motivazione dedotta a sostegno del diniego del “nuovo” indennizzo finanziato dal FIR ex legge n. 145 del 2018 (secondo la quale parte ricorrente ha già visto negarsi in passato il “vecchio” indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà ex DL n. 59 del 2016) è al contempo illegittima e argomentativamente carente.

Detta motivazione è infatti “condensata” – lo si ripete – nel mero rinvio al lodo arbitrale ANAC con cui era stata respinta la richiesta del “vecchio” indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo finanziato dal Fondo di solidarietà istituito con la legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Il Collegio rileva che detta motivazione provvedimentale può prestarsi in astratto a due diverse letture, e cioè in particolare:

(i) una prima lettura secondo cui il lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC – seppur riferito all’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà (e cioè a un indennizzo formalmente diverso rispetto a quello finanziato dal FIR che viene ora negato con il provvedimento impugnato) – è ex se ostativa all’erogazione dell’indennizzo del FIR;

(ii) una seconda lettura secondo cui il lodo arbitrale con cui l’ANAC ha respinto la richiesta dell’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà è stato un elemento istruttorio che – in concorso con altri elementi e all’esito di una specifica istruttoria procedimentale – ha condotto l’Amministrazione a respingere la richiesta dell’indennizzo finanziato dal FIR.

Se il provvedimento impugnato intendesse dire ciò che emerge dalla prima delle due letture testè prospettate, non è revocabile in dubbio che esso sarebbe sicuramente illegittimo, non trovando tale lettura conforto in alcun referente né legislativo né regolamentare.

Sono tuttavia le stesse parti resistenti ad escludere, con le loro stesse difese, che il significato dell’atto impugnato sia quello riconducibile alla prima lettura menzionata.

Il che trova conferma anche in alcune deliberazioni della Commissione Tecnica ritualmente depositate in atti.

Si veda, a titolo meramente esemplificativo, il verbale del 23 febbraio 2022 con cui la Commissione Tecnica conclude che “la rilevanza da attribuire ai lodi Anac, così come a quelli AFC, sia quella di elemento di valutazione utile ai fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF”.

Ad ulteriore conferma di quanto precede, giova rammentare che la Commissione Tecnica si è espressa nel senso di: (i) riconoscere la “rilevanza (…) di precedenti decisioni relative ai medesimi istanti e agli stessi strumenti finanziari per i quali si chiede l’indennizzo del Fondo” e istruire l’istanza “tenendo conto di quanto accertato da eventuali sentenze giudiziarie e/o lodi arbitrali resi dal FITD o dall’ACF” (cfr. determina del 30 gennaio 2020); (ii) valutare le decisioni di merito “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito” (cfr. determina del 21 maggio 2020); (iii) attribuire ai lodi ANAC e/o ACF la rilevanza di “elemento di valutazione utile a fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF (…). In ogni caso sono fatti salvi gli ulteriori approfondimenti e le diverse valutazioni della Commissione rispetto (…) ai singoli casi di specie” (cfr. determina del 23 febbraio 2022).

Va da sé che l’unico significato astrattamente ammissibile e legittimo della motivazione contenuta nell’atto reiettivo impugnato è quello per cui il lodo arbitrale ANAC è stato soltanto un “pezzo del mosaico” su cui l’Amministrazione ha fatto leva per respingere l’istanza avente ad oggetto l’indennizzo finanziato dal FIR.

Ciò, del resto, in piena coerenza con l’art. 7, comma 1, lettera C, del DM del 10 maggio 2019, a rigore del quale la Commissione Tecnica “verifica la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 3 nonché delle violazioni massive del T.U.F. che hanno causato un pregiudizio ingiusto agli aventi diritto da parte di banche in liquidazione ai risparmiatori e, per conseguenza, agli altri eventuali aventi diritto, anche acquisendo d’ufficio apposita documentazione bancaria o amministrativa o giudiziale, tra cui sentenze di giudizi penali o civili, pronunce emesse da arbitrati promossi dalle parti, tra i quali l’arbitrato bancario e finanziario della Banca d’Italia, l’arbitrato per le controversie finanziarie della Consob, provvedimenti sanzionatori o atti ispettivi della Banca d’Italia o della Consob, documenti ricognitivi dei commissari delle liquidazioni coatte amministrative, documenti acquisiti dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario» prodotti dai soggetti intervenuti, documentazione bancaria sulla profilatura e informativa della clientela e sui contratti di acquisto”.

Se dunque il lodo arbitrale ANAC di reiezione della domanda di indennizzo del Fondo di Solidarietà è soltanto un “elemento di valutazione” da soppesare in concorso con altri elementi (e non già un fattore da solo ostativo ed escludente) il Collegio non può non rilevare il deficit di motivazione ed istruttoria che affligge il provvedimento impugnato, atteso che:

(a) detto provvedimento non contiene la benché minima enunciazione delle ragioni per cui il percorso logico-argomentativo contenuto nel lodo arbitrale negativo dell’ANAC – quantunque riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – dispieghi una sua concreta rilevanza anche nel procedimento amministrativo di rigetto della domanda di indennizzo del FIR. Né tale enunciazione può ricavarsi indirettamente dai chiarimenti aggiuntivi forniti soltanto nell’odierno giudizio dalle Amministrazioni resistenti, chiarimenti che il Collegio non può ovviamente valorizzare se non a pena di violazione del divieto di integrazione postuma giudiziale della motivazione provvedimentale originariamente carente;

(b) non v’è in atti alcuna evidenza dell’istruttoria che ha spinto l’Amministrazione a respingere l’istanza di parte ricorrente, risultando quindi palese che non v’è stata – né in seno alla fase istruttoria del procedimento amministrativo né nel corpo motivazionale del provvedimento finale – alcuna ponderazione e comparazione delle risultanze del lodo arbitrale ANAC rispetto ad altri concorrenti elementi istruttori. E se è pur vero che Consap aveva richiesto alla ricorrente l’invio di ulteriore documentazione comprovante l’esistenza delle violazioni massive del TUF, è però anche vero che non c’è alcuna prova di come Consap abbia valutato tale documentazione.

Ciò che emerge, pertanto, è che il lodo arbitrale negativo dell’ANAC – lodo riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – sia stato acriticamente e passivamente recepito come unico motivo ostativo all’erogazione dell’indennizzo del FIR.

Orbene, se da un lato è vero che la motivazione del provvedimento amministrativo ben può consistere in un rinvio per relationem ad un altro atto endo-procedimentale già noto (o comunque già reso accessibile) al privato istante, dall’altro lato è anche vero, però, che tale consolidato principio si basa sull’implicito presupposto che l’atto endo-procedimentale evocato sia afferente allo stesso identico procedimento a cui afferisce il provvedimento finale.

Presupposto che pacificamente non ricorre nel caso di specie.

In senso analogo deve dirsi rispetto all’eccezione di parte resistente incentrata sull’asserita autorità di cosa giudicata del lodo negativo ANAC a cui fa rinvio l’atto impugnato.

È evidente, infatti, che l’inerenza di tale lodo arbitrale ad un diverso procedimento amministrativo (e a un diverso indennizzo) impedisce allo stesso di acquisire qualsiasi crisma di intangibilità nel caso de quo.

A ciò si aggiunta che nessuna delle norme contenute nella legge n. 145 del 2018 e nel DM applicativo del 2019, prevede che il pregresso diniego da parte dell’ANAC dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà osti al riconoscimento dell’indennizzo del FIR, sicchè la censurata motivazione appare affetta – oltre che da una intrinseca insufficienza esplicativa – anche da una violazione di legge.

La concreta rilevanza del suesposto deficit motivazionale dell’atto impugnato risulta vieppiù confermata dalla parziale discrepanza tra due specifici ed “omologhi” indicatori di violazioni massive del TUF rispettivamente contenuti:

- da un lato nelle Linee Guida ANAC, per ciò che concerne l’indennizzo del Fondo di Solidarietà;

- dall’altro lato nell’art. 7 del DM del 10 maggio 2019, per ciò che concerne l’indennizzo del FIR oggetto di causa;

Le Linee Guida ANAC stabiliscono, con riferimento all’indennizzo del Fondo di Solidarietà, che “ai fini dell’accertamento, nell’ambito del procedimento arbitrale di cui al D.M. 9 maggio 2017, n. 83, delle violazioni degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento degli strumenti finanziari subordinati nonché per la determinazione arbitrale della prestazione, possono considerarsi elementi di valutazione rilevanti, tra gli altri … f) la concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie basse o medio basse, ovvero a categorie equivalenti; g) la concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie medie o medio alte, ovvero a categorie equivalenti”.

In base alle Linee Guida ANAC, pertanto, un elemento di valutazione di una possibile violazione massiva del TUF consiste:

- nella concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie basse o medio basse);

- nella concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie medie o medio alte).

Ciò che va valutato in base alle Linee Guida ANAC ai fini del riconoscimento dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà, pertanto, è il rapporto tra strumenti finanziari subordinati e patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore (rapporto che può dar luogo ad una violazione massiva del TUF soltanto se supera la soglia del 25% o 50%, a seconda del profilo dell’investitore).

Se si passa invece ad esaminare l’omologo “indicatore” di violazioni massive del TUF previsto dall’art. 7 del DM del 10 maggio 2019 in relazione al diverso indennizzo del FIR, appare evidente che detto indicatore non sia esattamente sovrapponibile al summenzionato criterio previsto dalle Linee Guida dell’ANAC, essendo declinato nel seguente modo: “la carente informazione o profilatura della clientela, ad esempio tramite l’assegnazione ai clienti di un grado di rischio e di un orizzonte temporale di investimento incongruo rispetto all'età ovvero alla composizione del loro patrimonio immobiliare o mobiliare, in particolare qualora quest'ultimo risulti concentrato in misura pari o superiore al 50% in strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca o del gruppo bancario, ovvero in misura pari o superiore al 30% nel caso di prestazione del servizio di gestione di portafogli da parte della banca emittente o di società del gruppo”.

Ciò che va quindi valutato ai fini dell’indennizzo del FIR in base all’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 e alle Linee Guida all’uopo adottate dalla Segreteria Tecnica, è invece il rapporto tra tutti gli strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca (quindi non soltanto quelli subordinati) e l’intero patrimonio immobiliare o mobiliare del risparmiatore.

Va da sé che in astratto lo stesso investitore di profilo medio o medio-alto potrebbe allo stesso tempo:

(i) non superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida ANAC (ai fini dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà), posto che tale soglia si riferisce ai soli strumenti finanziari subordinati;

(ii) superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica e dall’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 (ai fini dell’indennizzo del FIR), posto che tale soglia si riferisce a tutti gli strumenti finanziari sia subordinati che non.

Il che conferma che non c’è una piena ed integrale sovrapponibilità delle fattispecie di violazioni massive del TUF rispettivamente previste dalle Linee Guida ANAC (per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà) e dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica (per l’indennizzo del FIR).

Quanto precede rende ancor più rilevante il deficit istruttorio e motivazionale che affligge il provvedimento impugnato (deficit comunque già da solo sufficiente ai fini dell’annullamento dell’atto) atteso che gli accertamenti istruttori da compiersi in base al DM del 10 maggio del 2019 per l’indennizzo del FIR non coincidono sempre e comunque con quelli già compiuti dall’ANAC in base alle proprie Linee Guida per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà.

Né può invocarsi alcuna dequotazione formale del rilevato vizio di motivazione in forza del meccanismo di sanatoria processuale previsto dall’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, posto che la motivazione del provvedimento amministrativo discrezionale - come il Consiglio di Stato afferma secondo un orientamento ora recepito anche dal Giudice delle Leggi nelle ordinanze del 26 maggio 2015, n. 92, e del 17 marzo 2017, n. 58 - costituisce il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (cfr. quam multis Consiglio di Stato n. 7883 del 10 dicembre 2020 e Consiglio di Stato, sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629).

L’accoglimento delle due censure con cui si lamenta da un lato l’insufficienza motivazionale e dall’altro lato l’illegittimità dell’atto impugnato, conduce pertanto all’annullamento di quest’ultimo, annullamento che – in quanto ricadente su un atto lesivo di un interesse legittimo pretensivo connotato da discrezionalità tecnica – prelude ad un’inevitabile riedizione del potere.

Proprio la necessità di tale riedizione del potere (e dei margini di discrezionalità ad esso sottesi) impedisce al Collegio di scrutinare la doglianza con cui parte ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia valutato – in sede di delibazione della richiesta di erogazione dell’indennizzo del FIR – le carenze informative di cui si era resa originariamente responsabile la banca insolvente al momento degli investimenti contestati.

Ed infatti, qualsiasi valutazione resa dal Collegio in questa sede sulla sussistenza o meno di dette carenze informative finirebbe sostanzialmente per anticipare un accertamento che ancora non è stato effettuato dall’Amministrazione nel caso de quo e, quindi, per violare il divieto di esercizio di poteri amministrativi ancora non esercitati (cfr. art. 34, comma 2, c.p.a.).

Le doglianze sollevate sul punto dalla parte ricorrente sono pertanto inammissibili.

Inammissibile è anche la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere una condanna dell’Amministrazione al rilascio di un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo del FIR (o in subordine al pagamento di un risarcimento pari a tale indennizzo), atteso che pure tale domanda – laddove delibata nel merito – condurrebbe il Collegio a pronunziarsi rispetto a poteri amministrativi ancora non esercitati in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Non vi sono quindi i presupposti per adottare né una condanna ad emettere uno specifico provvedimento, né una condanna al risarcimento del danno, impossibile essendo la prognosi sulla spettanza del bene della vita.

Ciò chiarito, il Collegio rileva infine che l’accoglimento dell’azione annullatoria per difetto di motivazione e istruttoria determina l’assorbimento delle residue censure con cui parte ricorrente si è doluta di una presunta disparità di trattamento introdotta dall’atto impugnato, nonché delle doglianze sollevate con i motivi aggiunti.

Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e, per l’effetto, il provvedimento impugnato va annullato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini sopra indicati, fatto salvo il potere dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza della parte ricorrente.

Restano assorbiti i residui motivi di impugnazione, mentre va dichiarata invece inammissibile la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere l’indennizzo finanziato dal FIR, domanda che si infrange sul rilievo ostativo dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, avuto riguardo alla natura seriale del contenzioso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto ed integrato da motivi aggiunti, accoglie la domanda di annullamento dell’atto impugnato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini indicati in parte motiva.

Dichiara inammissibile la domanda di accertamento del diritto ad ottenere un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo per cui è causa (o un risarcimento commisurato a tale indennizzo).

Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Consap, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente in misura complessivamente pari ad € 800,00 (ottocento/00) oltre oneri accessori come per legge e rimborso del contributo unificato (ove versato).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:

Eleonora Monica, Presidente FF

Giovanna Vigliotti, Referendario

Michele Tecchia, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Michele Tecchia Eleonora Monica





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
 
Pubblicato il 21/03/2023
N. 04950/2023 REG.PROV.COLL.

N. 10767/2022 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10767 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla sig.ra -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli Avvocati Carlo Canafoglia e Prof. Salvatore Menditto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze (e presso di esso la Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Consap S.p.A. (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gianluca Brancadoro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento

PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO

- degli atti, delle operazioni concernenti e dei provvedimenti relativi al procedimento di valutazione delle domande/istanze di indennizzo inoltrate dalla ricorrente alla CONSAP s.p.a. in relazione alle obbligazioni subordinate Banca delle Marche s.p.a. acquistate dalla stessa, affidate ex lege alla valutazione della Commissione Tecnica istituita presso il MEF;

IN PARTICOLARE, E COMUNQUE NEI TERMINI INDICATI NEL RICORSO

- del provvedimento reso dalla Commissione Tecnica, invero non conosciuto né trasmesso, ed appreso solo in quanto comunicato da CONSAP s.p.a., Unità di Business 3-Servizi Finanziari, Servizio Fondo Indennizzo Risparmiatori, mediante invio di pec al legale e domiciliatario indicato nelle domande, Avv. Carlo Canafoglia, in data 14.06.2022, con il quale la predetta domanda/istanza di indennizzo è stata integralmente rigettata;

IN OGNI CASO

- di tutti gli altri atti e/o provvedimenti, precedenti, successivi, connessi ed anche istruttori rispetto a quelli impugnati, ancorché non conosciuti, ove comunque funzionali e/o finalizzati all’istruttoria procedimentale ed alla successiva adozione del provvedimento di diniego e rigetto delle domande avanzate dalla ricorrente;

CON ESPRESSA E RITUALE RICHIESTA DI ACCERTAMENTO

- del diritto in capo alla ricorrente di ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge ed espressamente richiesto nelle domande/istanze inviate alla CONSAP s.p.a., nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso;

- del corrispondente obbligo in capo alle Amministrazioni resistenti di riconoscere e di corrispondere il predetto ulteriore indennizzo richiesto dalla ricorrente, nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso, e, in subordine, di risarcire il danno patito dalla stessa, nella misura del medesimo importo del contributo richiesto e non concesso; in ogni caso, oltre interessi e rivalutazione monetaria, come per Legge;

E, ANCORA, CON ESPRESSA E RITUALE RISERVA

- di reclamare, nel giudizio incardinato con l’odierno ricorso e/o in uno successivo, il risarcimento del danno ulteriore inferto alla ricorrente a fronte del complessivo modus operandi delle Amministrazioni resistenti.

PER QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI

- per l’annullamento degli stessi atti impugnati con il ricorso introduttivo;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Consap;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente ricorso, parte ricorrente – già titolare di obbligazioni subordinate emesse dalla ex Banca delle Marche s.p.a. – impugna l’atto in epigrafe con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, anche semplicemente “MEF”) ha respinto la domanda di accesso alle prestazioni del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), dalla stessa parte ricorrente avanzata ai sensi della l. n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss. (recante la procedura speciale per l’indennizzo degli investitori di alcune banche finite in “default”, tra cui, per quel che qui rileva, detto istituto bancario).

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

Il motivo su cui poggia il provvedimento di diniego risiede nel fatto che parte ricorrente si è già vista respingere con lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC la domanda presentata per l’analogo (ma formalmente diverso) indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo corrisposto dal Fondo di solidarietà di cui al decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Parte ricorrente insta non soltanto per l’annullamento dell’atto reiettivo impugnato, ma anche per l’accertamento del diritto (e la conseguente condanna) al pagamento dell’indennizzo previsto dalla legge n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss.

Il ricorso è affidato a due motivi di gravame, ciascuno dei quali a sua volta comprensivo di plurime e multiformi censure.

In estrema sintesi, le molteplici doglianze sollevate dalla parte ricorrente si possono compendiare nei termini che seguono:

(i) illegittimità dell’atto reiettivo impugnato per aver frapposto una causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo ex legge n. 145 del 2018 (e cioè il fatto che parte ricorrente avesse infruttuosamente incardinato in passato una procedura arbitrale innanzi all’ANAC per l’analogo indennizzo previsto dal decreto legge n. 59 del 2016) causa ostativa che non sarebbe in tesi affatto prevista dalla legge n. 145 del 2018 regolante l’indennizzo de quo;

(ii) eccesso di potere e difetto di motivazione dell’atto impugnato per aver invocato una motivazione reiettiva palesemente insufficiente e lacunosa, atteso che “la normativa a fondamento del fondo F.I.R, gestito da CONSAP e dalla Commissione tecnica per i ristori degli obbligazionisti subordinati delle Banche poste in liquidazione” (e cioè la legge n. 145 del 2018 e i relativi atti attuativi, nel cui campo di applicazione rientra l’atto de quo) “è differente da quella a corredo dei rimborsi elargiti dal F.I.T.D, a seguito di procedura arbitrale A.N.A.C.” (e cioè dalla normativa in base alla quale l’ANAC aveva respinto la richiesta dell’analogo indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016), sicchè il mero rinvio al lodo ANAC – privo di ulteriori specificazioni motivazionali – integrerebbe i presupposti di una motivazione acritica e apodittica. E ciò a maggior ragione ove si consideri che le discipline di riferimento dei due indennizzi in questione (da un lato quella regolante il “vecchio” indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016, e dall’altro lato quella regolante il “nuovo” indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 di cui si controverte oggi) non sono esattamente sovrapponibili tra loro;

(iii) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere lo stesso introdotto un’ingiustificata e arbitraria disparità di trattamento tra gli obbligazionisti che come la ricorrente avevano visto in passato negarsi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo ex D.L. n. 59 del 2016 (ai quali è stato ora negato anche il “nuovo” indennizzo ex legge n. 145 del 2018) e gli obbligazionisti che invece avevano visto riconoscersi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo, oppure che addirittura non lo avevano neppure richiesto. È stato in particolare lamentato che “la valutazione operata dall’organo preposto si appalesa anche del tutto illogica, e quindi ancora più ingiusta ed iniqua, considerato che andrebbe a premiare gli obbligazionisti “dormienti”, cioè quelli che non si erano attivati prima (con gli strumenti introdotti dalla L. n. 208/2015) o che, per difetto di requisiti, non avevano potuto farlo, rispetto a quelli “vigili”, cioè quelli che avevano diligentemente e tempestivamente curato i propri interessi, ricorrendo – appunto – all’arbitrato presso l’ANAC, anche se con esito negativo”;

(iv) eccesso di potere dell’atto impugnato per avere quest’ultimo disatteso l’“autovincolo” che l’Amministrazione si era data non soltanto con le c.d. Linee Guida approvate in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. d), primo paragrafo, D.M. 10/05/2019 (le quali trattano della tipizzazione delle c.d. “violazione massive”, ma che nulla dicono rispetto all’ulteriore requisito della pregressa reiezione da parte dell’ANAC del “vecchio” indennizzo ex DL n. 59 del 2016) ma anche con la Determinazione della Commissione tecnica del 13 gennaio 2022, mediante la quale si sarebbe stabilita una presunzione assoluta di spettanza del nuovo indennizzo ove la violazione massiva del TUF fosse avvenuta in un dato “arco temporale”.

(v) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere esso completamente omesso di valutare l’asserita inadeguatezza dei presidi informativi predisposti dall’istituto bancario nei confronti di parte ricorrente, nel momento in cui quest’ultima aveva effettuato gli investimenti obbligazionari da cui è scaturito il danno per il quale è stato poi richiesto l’indennizzo negato con l’atto ora impugnato. Tale inadeguatezza di presidi informativi (e anche di strumenti di profilatura della propensione al rischio di parte ricorrente) deporrebbe nel senso dell’illegittimità dell’atto con cui è stato negato l’indennizzo de quo agitur;

(vi) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere l’Amministrazione introdotto un’ulteriore ingiustificata disparità di trattamento tra gli obbligazionisti subordinati di Banca Marche come la ricorrente (rispetto ai quali il nuovo indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 è stato aprioristicamente negato per il semplice fatto che essi si erano visti negare dall’ANAC il vecchio indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016) e azionisti di Banca Marche a cui invece il nuovo indennizzo sarebbe stato riconosciuto nonostante l’esito negativo del lodo arbitrale ANAC in relazione al “vecchio” indennizzo.

Il MEF e CONSAP si sono ritualmente costituiti in giudizio instando per la reiezione del gravame, di cui è stata eccepita l’inammissibilità sotto plurimi profili e anche l’infondatezza nel merito.

Con successivi motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati, parte ricorrente esponeva di essere poi venuta a conoscenza – nelle more del presente giudizio – di una delibera assunta da Consap in data 23 febbraio 2022, con cui la stessa Consap avrebbe disposto che qualora l’obbligazionista si fosse preventivamente rivolto all’ANAC per ottenere il rimborso del “vecchio” indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016, lo stesso obbligazionista conservava comunque il diritto di “accedere al FIR” (e cioè al fondo indennizzo risparmiatori previsto dalla legge n. 145 del 2018, oggetto dell’odierna controversia). Detta delibera Consap del 23 febbraio 2022 stabiliva, inoltre, che se l’obbligazionista si fosse rivolto preventivamente all’ANAC “non ottenendo alcun indennizzo per il rigetto della domanda per motivi di merito” (oppure soltanto una parte di tale indennizzo), “la Commissione valuterà i lodi “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito”.

Con gli odierni motivi aggiunti, pertanto, parte ricorrente – facendo perno proprio sulla summenzionata delibera Consap del 23 febbraio 2022 – censurava nuovamente il provvedimento di reiezione dell’istanza di indennizzo ex legge n. 145 del 2018, in quanto detto provvedimento si è erroneamente limitato a prendere atto (in senso ostativo) del lodo arbitrale ANAC, senza invece utilizzarlo quale “fonte di accertamento” concorrente con altri elementi istruttori; elementi istruttori che non sono stati minimamente soppesati e valutati nell’ambito dell’impianto motivazionale dell’atto gravato.

Seguiva il deposito dei documenti e delle memorie conclusionali e di replica ex art. 73, comma 1, c.p.a.

All’udienza pubblica del 8 marzo 2022, pertanto, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis, il Collegio ritiene di dover respingere le eccezioni di rito sollevate dalle Amministrazioni resistenti, e ciò sulla scorta dell’orientamento già espresso in una causa analoga dal Consiglio di Stato (Sezione VII) con la recente sentenza n. 664 del 19 gennaio 2023, a cui il Collegio presta adesione.

Per quel che concerne, infatti, l’eccepito difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, l’esame della questione relativa al riparto di giurisdizione impone di valutare il petitum sostanziale, ossia l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo (v. ex plurimis, Cass. Sez. Un., 31 gennaio 2005, n. 6743; Cass. Sez. Un., 28 giugno2006, n. 14846).

In particolare, secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria 29 gennaio 2014, n. 6, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche (fattispecie assimilabili a quella in esame, almeno ai fini di giurisdizione) deve essere attuato (non configurandosi alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; inoltre, è configurabile una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse.

Il petitum sostanziale della presente controversia, chiaramente emergente dall’atto introduttivo del giudizio, attiene alla pretesa di parte ricorrente di ottenere una valutazione circa la spettanza dell’indennizzo previsto dalla l. n. 145 del 2018, sulla base della procedura ordinaria e, dunque, dell’accertamento, da parte della commissione tecnica prevista dalla disciplina di riferimento, della sussistenza di reiterate violazioni del TUF (decreto legislativo n. 58 del 1998) da parte dell’istituto bancario e del nesso causale tra le stesse ed il pregiudizio da lei subito.

Dunque, la situazione giuridica soggettiva ascrivibile all’odierna parte ricorrente deve essere qualificata in termini di interesse legittimo pretensivo, assumendo ai fini in esame rilievo il contenuto delle censure formulate con il ricorso, segnatamente riferite alla dedotta sussistenza di un obbligo dell’Amministrazione di valutare nel merito le violazioni massive del TUF commesse dall’istituto bancario e il nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio dell’investitore, insufficiente essendo il mero rinvio al lodo arbitrale con cui l’ANAC aveva respinto la richiesta di un diverso indennizzo.

Acclarata la piena sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo sulla causa de qua, va poi respinta l’eccezione con cui la società Consap, in house del Ministero dell’economia e delle finanze, ha dedotto la propria carenza di legittimazione passiva.

Va evidenziato, infatti, che se è vero che la titolarità del rapporto controverso fa capo alla Commissione tecnica, organo straordinario del Ministero, la Consap in conformità alle previsioni dell’art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018 (nonchè alla disciplina attuativa di cui al DM del 10 maggio 2019) svolge un’attività che non è limitata al mero supporto alla predetta Commissione, istituita ai sensi della citata disposizione, nell’espletamento dell’attività istruttoria e di acquisizione dei dati.

Come emerge, infatti, dall’art. 8, comma 5, del DM 10 maggio 2019, emanato in attuazione delle previsioni di cui all’art. 1, commi da 493 a 507, della l. n.145 del 2018, alla Consap non è demandata esclusivamente l’attività di segreteria, bensì anche un’attività di gestione che non si esaurisce nella predisposizione dei processi concernenti l’espletamento delle procedure, essendo la società incaricata, tra l’altro, dell’esecuzione delle delibere della Commissione tecnica.

Proprio il complesso delle attività espletate dalla società, tra le quali anche l’interlocuzione diretta con i richiedenti l’indennizzo, inducono a ritenere che correttamente la stessa sia stata evocata in giudizio insieme al Ministero, al quale come sopra esposto va riferita la titolarità del rapporto, tenuto conto peraltro dell’incidenza dei vincoli conformativi suscettibili di scaturire dalla pronuncia giurisdizionale sulla società.

Va parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sua mancata notifica ad almeno un controinteressato, da individuare negli altri soggetti che hanno presentato istanza per ottenere l’erogazione dell’indennizzo attraverso una procedura che rivestirebbe carattere selettivo in considerazione della limitatezza degli stanziamenti destinati alla misura di sostegno in questione.

Si evidenzia, infatti, che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. ex multis, da ultimo, sez. III, sentenza n. 5052/2020), il controinteressato da evocare in giudizio è il soggetto indicato nell’atto che si impugna, ovverosia il soggetto, facilmente individuabile, portatore di un interesse – concreto ed attuale – giuridicamente qualificato alla conservazione dell’atto, e dunque interessato a difendere una situazione giuridica di vantaggio uguale e contraria rispetto a quella del ricorrente.

Si afferma altresì che non occorre che il controinteressato sia espressamente individuato nell’atto, essendo sufficiente che sia comunque facilmente individuabile con l’ordinaria diligenza (Cons. St., sez. V, sentenza n. 4503/2019).

Nella fattispecie non consta in atti che sia stata stilata una graduatoria delle istanze ammissibili, né emergono elementi che consentano di ritenere agevolmente individuabili eventuali controinteressati, dovendosi quindi escludere la sussistenza della dedotta causa di inammissibilità in applicazione dell’art. 41, comma 2, c.p.a.

Va infine respinta anche l’eccezione di incompetenza territoriale di questo TAR genericamente sollevata dal Ministero resistente, non essendo revocabile in dubbio la competenza di questo TAR Lazio in ragione del criterio ordinario di competenza della sede dell’Amministrazione centrale da cui promana l’atto impugnato (cfr. art. 13 c.p.a.).

Ciò premesso, il Collegio può dunque procedere all’esame del merito del ricorso.

In proposito, è anzitutto necessario ricostruire brevemente il quadro normativo che disciplina l’indennizzo de quo agitur.

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

La summenzionata legge n. 145 del 2018 ha anzitutto previsto la misura dell’indennizzo e la platea dei beneficiari dello stesso, nonché una sorta di “corsia procedurale preferenziale” in favore di quei risparmiatori che – oltre ad essere in possesso delle azioni od obbligazioni emesse dalle banche individuate dalla legge (id est quelle in liquidazione coatta amministrativa) – hanno un reddito ed un patrimonio inferiori a specifiche soglie economiche minime (cfr. art. 1, comma 502 bis, della legge n. 145 del 2018).

Questa prima categoria di risparmiatori (c.d. “forfettari”) può accedere all’indennizzo de quo soltanto perché in possesso dei summenzionati requisiti reddituali e patrimoniali.

Viceversa, i risparmiatori privi di tali requisiti (come ad esempio l’odierna parte ricorrente) sono gravati dell’onere di dimostrare le violazioni massive del TUF commesse dalla loro banca (così come accertate in sede penale), nonché il concreto nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio da loro subito.

Il legislatore ha poi delegato alla potestà regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione di molti altri aspetti del procedimento di assegnazione dell’indennizzo de quo, essendo stato previsto che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono definite le modalità di presentazione della domanda di indennizzo nonché i piani di riparto delle risorse disponibili. Con il medesimo decreto è istituita e disciplinata una Commissione tecnica per: l’esame delle domande e l’ammissione all’indennizzo del FIR; la verifica delle violazioni massive, nonché della sussistenza del nesso di causalità tra le medesime e il danno subito dai risparmiatori; l’erogazione dell’indennizzo da parte del FIR. Le suddette verifiche possono avvenire anche attraverso la preventiva tipizzazione delle violazioni massive e la corrispondente identificazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi in presenza dei quali l'indennizzo può essere direttamente erogato” (cfr. art. 1, comma 501, della legge n. 145 del 2018).

In attuazione di tale previsione legale è appunto intervenuto il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019, il cui art. 7, comma 1, prevede (sotto la rubrica “Commissione tecnica”) che “è istituita la Commissione tecnica prevista dall’art. 1, comma 501, legge 30 dicembre 2018, n. 145, competente per l’esame e l’ammissione delle domande di indennizzo del FIR”, alla quale è affidato anche il compito di stabilire i “criteri generali e linee guida per la tipizzazione delle violazioni massive, individuali o di portata generale, di natura contrattuale o extracontrattuale, e la corrispondente modulazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi nonché dei periodi temporali di riferimento in presenza dei quali, anche tenendo conto delle diverse tipologie di violazione in concreto prese in esame, sussistono il danno subito da ciascun istante e il nesso causale tra le suddette violazioni e tale danno”.

L’indennizzo de quo agitur trova la sua compiuta disciplina, pertanto, nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018, nonché nel Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019 e nelle Linee Guida adottate dalla Commissione Tecnica all’uopo istituita (con cui sono state tipizzate le violazioni massive del TUF in presenza delle quali può essere erogato l’indennizzo ai risparmiatori/investitori).

Ai fini di causa è importante evidenziare che l’indennizzo in parola è formalmente autonomo e distinto rispetto al precedente indennizzo previsto dagli artt. 8 e 9 del d.l. n. 59 del 2016.

Ciò in quanto diversi sono i fondi e gli stanziamenti a cui i due indennizzi attingono: il “nuovo” indennizzo ora in esame attinge infatti al Fondo Indennizzo Risparmiatori (nel prosieguo anche “FIR”) istituito dalla summenzionata legge n. 145 del 2018, mentre il “vecchio” indennizzo previsto dal d.l. n. 59 del 2016 attinge al Fondo di Solidarietà istituito dall’art. 1, comma 855, della legge n. 208 del 2015 (nel prosieguo anche il “Fondo di Solidarietà”, il quale è a sua volta alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 del TUF, giusta quanto previsto dall’art. 1, comma 856, della legge n. 208 del 2015).

Ciò premesso in linea generale, il presente ricorso appare fondato e va quindi accolto con riferimento alle prime due doglianze sintetizzate nella parte in fatto della presente sentenza, con cui parte ricorrente si duole del fatto che la motivazione dedotta a sostegno del diniego del “nuovo” indennizzo finanziato dal FIR ex legge n. 145 del 2018 (secondo la quale parte ricorrente ha già visto negarsi in passato il “vecchio” indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà ex DL n. 59 del 2016) è al contempo illegittima e argomentativamente carente.

Detta motivazione è infatti “condensata” – lo si ripete – nel mero rinvio al lodo arbitrale ANAC con cui era stata respinta la richiesta del “vecchio” indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo finanziato dal Fondo di solidarietà istituito con la legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Il Collegio rileva che detta motivazione provvedimentale può prestarsi in astratto a due diverse letture, e cioè in particolare:

(i) una prima lettura secondo cui il lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC – seppur riferito all’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà (e cioè a un indennizzo formalmente diverso rispetto a quello finanziato dal FIR che viene ora negato con il provvedimento impugnato) – è ex se ostativa all’erogazione dell’indennizzo del FIR;

(ii) una seconda lettura secondo cui il lodo arbitrale con cui l’ANAC ha respinto la richiesta dell’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà è stato un elemento istruttorio che – in concorso con altri elementi e all’esito di una specifica istruttoria procedimentale – ha condotto l’Amministrazione a respingere la richiesta dell’indennizzo finanziato dal FIR.

Se il provvedimento impugnato intendesse dire ciò che emerge dalla prima delle due letture testè prospettate, non è revocabile in dubbio che esso sarebbe sicuramente illegittimo, non trovando tale lettura conforto in alcun referente né legislativo né regolamentare.

Sono tuttavia le stesse parti resistenti ad escludere, con le loro stesse difese, che il significato dell’atto impugnato sia quello riconducibile alla prima lettura menzionata.

Il che trova conferma anche in alcune deliberazioni della Commissione Tecnica ritualmente depositate in atti.

Si veda, a titolo meramente esemplificativo, il verbale del 23 febbraio 2022 con cui la Commissione Tecnica conclude che “la rilevanza da attribuire ai lodi Anac, così come a quelli AFC, sia quella di elemento di valutazione utile ai fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF”.

Ad ulteriore conferma di quanto precede, giova rammentare che la Commissione Tecnica si è espressa nel senso di: (i) riconoscere la “rilevanza (…) di precedenti decisioni relative ai medesimi istanti e agli stessi strumenti finanziari per i quali si chiede l’indennizzo del Fondo” e istruire l’istanza “tenendo conto di quanto accertato da eventuali sentenze giudiziarie e/o lodi arbitrali resi dal FITD o dall’ACF” (cfr. determina del 30 gennaio 2020); (ii) valutare le decisioni di merito “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito” (cfr. determina del 21 maggio 2020); (iii) attribuire ai lodi ANAC e/o ACF la rilevanza di “elemento di valutazione utile a fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF (…). In ogni caso sono fatti salvi gli ulteriori approfondimenti e le diverse valutazioni della Commissione rispetto (…) ai singoli casi di specie” (cfr. determina del 23 febbraio 2022).

Va da sé che l’unico significato astrattamente ammissibile e legittimo della motivazione contenuta nell’atto reiettivo impugnato è quello per cui il lodo arbitrale ANAC è stato soltanto un “pezzo del mosaico” su cui l’Amministrazione ha fatto leva per respingere l’istanza avente ad oggetto l’indennizzo finanziato dal FIR.

Ciò, del resto, in piena coerenza con l’art. 7, comma 1, lettera C, del DM del 10 maggio 2019, a rigore del quale la Commissione Tecnica “verifica la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 3 nonché delle violazioni massive del T.U.F. che hanno causato un pregiudizio ingiusto agli aventi diritto da parte di banche in liquidazione ai risparmiatori e, per conseguenza, agli altri eventuali aventi diritto, anche acquisendo d’ufficio apposita documentazione bancaria o amministrativa o giudiziale, tra cui sentenze di giudizi penali o civili, pronunce emesse da arbitrati promossi dalle parti, tra i quali l’arbitrato bancario e finanziario della Banca d’Italia, l’arbitrato per le controversie finanziarie della Consob, provvedimenti sanzionatori o atti ispettivi della Banca d’Italia o della Consob, documenti ricognitivi dei commissari delle liquidazioni coatte amministrative, documenti acquisiti dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario» prodotti dai soggetti intervenuti, documentazione bancaria sulla profilatura e informativa della clientela e sui contratti di acquisto”.

Se dunque il lodo arbitrale ANAC di reiezione della domanda di indennizzo del Fondo di Solidarietà è soltanto un “elemento di valutazione” da soppesare in concorso con altri elementi (e non già un fattore da solo ostativo ed escludente) il Collegio non può non rilevare il deficit di motivazione ed istruttoria che affligge il provvedimento impugnato, atteso che:

(a) detto provvedimento non contiene la benché minima enunciazione delle ragioni per cui il percorso logico-argomentativo contenuto nel lodo arbitrale negativo dell’ANAC – quantunque riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – dispieghi una sua concreta rilevanza anche nel procedimento amministrativo di rigetto della domanda di indennizzo del FIR. Né tale enunciazione può ricavarsi indirettamente dai chiarimenti aggiuntivi forniti soltanto nell’odierno giudizio dalle Amministrazioni resistenti, chiarimenti che il Collegio non può ovviamente valorizzare se non a pena di violazione del divieto di integrazione postuma giudiziale della motivazione provvedimentale originariamente carente;

(b) non v’è in atti alcuna evidenza dell’istruttoria che ha spinto l’Amministrazione a respingere l’istanza di parte ricorrente, risultando quindi palese che non v’è stata – né in seno alla fase istruttoria del procedimento amministrativo né nel corpo motivazionale del provvedimento finale – alcuna ponderazione e comparazione delle risultanze del lodo arbitrale ANAC rispetto ad altri concorrenti elementi istruttori. E se è pur vero che Consap aveva richiesto alla ricorrente l’invio di ulteriore documentazione comprovante l’esistenza delle violazioni massive del TUF, è però anche vero che non c’è alcuna prova di come Consap abbia valutato tale documentazione.

Ciò che emerge, pertanto, è che il lodo arbitrale negativo dell’ANAC – lodo riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – sia stato acriticamente e passivamente recepito come unico motivo ostativo all’erogazione dell’indennizzo del FIR.

Orbene, se da un lato è vero che la motivazione del provvedimento amministrativo ben può consistere in un rinvio per relationem ad un altro atto endo-procedimentale già noto (o comunque già reso accessibile) al privato istante, dall’altro lato è anche vero, però, che tale consolidato principio si basa sull’implicito presupposto che l’atto endo-procedimentale evocato sia afferente allo stesso identico procedimento a cui afferisce il provvedimento finale.

Presupposto che pacificamente non ricorre nel caso di specie.

In senso analogo deve dirsi rispetto all’eccezione di parte resistente incentrata sull’asserita autorità di cosa giudicata del lodo negativo ANAC a cui fa rinvio l’atto impugnato.

È evidente, infatti, che l’inerenza di tale lodo arbitrale ad un diverso procedimento amministrativo (e a un diverso indennizzo) impedisce allo stesso di acquisire qualsiasi crisma di intangibilità nel caso de quo.

A ciò si aggiunta che nessuna delle norme contenute nella legge n. 145 del 2018 e nel DM applicativo del 2019, prevede che il pregresso diniego da parte dell’ANAC dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà osti al riconoscimento dell’indennizzo del FIR, sicchè la censurata motivazione appare affetta – oltre che da una intrinseca insufficienza esplicativa – anche da una violazione di legge.

La concreta rilevanza del suesposto deficit motivazionale dell’atto impugnato risulta vieppiù confermata dalla parziale discrepanza tra due specifici ed “omologhi” indicatori di violazioni massive del TUF rispettivamente contenuti:

- da un lato nelle Linee Guida ANAC, per ciò che concerne l’indennizzo del Fondo di Solidarietà;

- dall’altro lato nell’art. 7 del DM del 10 maggio 2019, per ciò che concerne l’indennizzo del FIR oggetto di causa;

Le Linee Guida ANAC stabiliscono, con riferimento all’indennizzo del Fondo di Solidarietà, che “ai fini dell’accertamento, nell’ambito del procedimento arbitrale di cui al D.M. 9 maggio 2017, n. 83, delle violazioni degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento degli strumenti finanziari subordinati nonché per la determinazione arbitrale della prestazione, possono considerarsi elementi di valutazione rilevanti, tra gli altri … f) la concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie basse o medio basse, ovvero a categorie equivalenti; g) la concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie medie o medio alte, ovvero a categorie equivalenti”.

In base alle Linee Guida ANAC, pertanto, un elemento di valutazione di una possibile violazione massiva del TUF consiste:

- nella concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie basse o medio basse);

- nella concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie medie o medio alte).

Ciò che va valutato in base alle Linee Guida ANAC ai fini del riconoscimento dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà, pertanto, è il rapporto tra strumenti finanziari subordinati e patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore (rapporto che può dar luogo ad una violazione massiva del TUF soltanto se supera la soglia del 25% o 50%, a seconda del profilo dell’investitore).

Se si passa invece ad esaminare l’omologo “indicatore” di violazioni massive del TUF previsto dall’art. 7 del DM del 10 maggio 2019 in relazione al diverso indennizzo del FIR, appare evidente che detto indicatore non sia esattamente sovrapponibile al summenzionato criterio previsto dalle Linee Guida dell’ANAC, essendo declinato nel seguente modo: “la carente informazione o profilatura della clientela, ad esempio tramite l’assegnazione ai clienti di un grado di rischio e di un orizzonte temporale di investimento incongruo rispetto all'età ovvero alla composizione del loro patrimonio immobiliare o mobiliare, in particolare qualora quest'ultimo risulti concentrato in misura pari o superiore al 50% in strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca o del gruppo bancario, ovvero in misura pari o superiore al 30% nel caso di prestazione del servizio di gestione di portafogli da parte della banca emittente o di società del gruppo”.

Ciò che va quindi valutato ai fini dell’indennizzo del FIR in base all’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 e alle Linee Guida all’uopo adottate dalla Segreteria Tecnica, è invece il rapporto tra tutti gli strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca (quindi non soltanto quelli subordinati) e l’intero patrimonio immobiliare o mobiliare del risparmiatore.

Va da sé che in astratto lo stesso investitore di profilo medio o medio-alto potrebbe allo stesso tempo:

(i) non superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida ANAC (ai fini dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà), posto che tale soglia si riferisce ai soli strumenti finanziari subordinati;

(ii) superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica e dall’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 (ai fini dell’indennizzo del FIR), posto che tale soglia si riferisce a tutti gli strumenti finanziari sia subordinati che non.

Il che conferma che non c’è una piena ed integrale sovrapponibilità delle fattispecie di violazioni massive del TUF rispettivamente previste dalle Linee Guida ANAC (per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà) e dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica (per l’indennizzo del FIR).

Quanto precede rende ancor più rilevante il deficit istruttorio e motivazionale che affligge il provvedimento impugnato (deficit comunque già da solo sufficiente ai fini dell’annullamento dell’atto) atteso che gli accertamenti istruttori da compiersi in base al DM del 10 maggio del 2019 per l’indennizzo del FIR non coincidono sempre e comunque con quelli già compiuti dall’ANAC in base alle proprie Linee Guida per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà.

Né può invocarsi alcuna dequotazione formale del rilevato vizio di motivazione in forza del meccanismo di sanatoria processuale previsto dall’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, posto che la motivazione del provvedimento amministrativo discrezionale - come il Consiglio di Stato afferma secondo un orientamento ora recepito anche dal Giudice delle Leggi nelle ordinanze del 26 maggio 2015, n. 92, e del 17 marzo 2017, n. 58 - costituisce il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (cfr. quam multis Consiglio di Stato n. 7883 del 10 dicembre 2020 e Consiglio di Stato, sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629).

L’accoglimento delle due censure con cui si lamenta da un lato l’insufficienza motivazionale e dall’altro lato l’illegittimità dell’atto impugnato, conduce pertanto all’annullamento di quest’ultimo, annullamento che – in quanto ricadente su un atto lesivo di un interesse legittimo pretensivo connotato da discrezionalità tecnica – prelude ad un’inevitabile riedizione del potere.

Proprio la necessità di tale riedizione del potere (e dei margini di discrezionalità ad esso sottesi) impedisce al Collegio di scrutinare la doglianza con cui parte ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia valutato – in sede di delibazione della richiesta di erogazione dell’indennizzo del FIR – le carenze informative di cui si era resa originariamente responsabile la banca insolvente al momento degli investimenti contestati.

Ed infatti, qualsiasi valutazione resa dal Collegio in questa sede sulla sussistenza o meno di dette carenze informative finirebbe sostanzialmente per anticipare un accertamento che ancora non è stato effettuato dall’Amministrazione nel caso de quo e, quindi, per violare il divieto di esercizio di poteri amministrativi ancora non esercitati (cfr. art. 34, comma 2, c.p.a.).

Le doglianze sollevate sul punto dalla parte ricorrente sono pertanto inammissibili.

Inammissibile è anche la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere una condanna dell’Amministrazione al rilascio di un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo del FIR (o in subordine al pagamento di un risarcimento pari a tale indennizzo), atteso che pure tale domanda – laddove delibata nel merito – condurrebbe il Collegio a pronunziarsi rispetto a poteri amministrativi ancora non esercitati in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Non vi sono quindi i presupposti per adottare né una condanna ad emettere uno specifico provvedimento, né una condanna al risarcimento del danno, impossibile essendo la prognosi sulla spettanza del bene della vita.

Ciò chiarito, il Collegio rileva infine che l’accoglimento dell’azione annullatoria per difetto di motivazione e istruttoria determina l’assorbimento delle residue censure con cui parte ricorrente si è doluta di una presunta disparità di trattamento introdotta dall’atto impugnato, nonché delle doglianze sollevate con i motivi aggiunti.

Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e, per l’effetto, il provvedimento impugnato va annullato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini sopra indicati, fatto salvo il potere dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza della parte ricorrente.

Restano assorbiti i residui motivi di impugnazione, mentre va dichiarata invece inammissibile la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere l’indennizzo finanziato dal FIR, domanda che si infrange sul rilievo ostativo dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, avuto riguardo alla natura seriale del contenzioso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto ed integrato da motivi aggiunti, accoglie la domanda di annullamento dell’atto impugnato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini indicati in parte motiva.

Dichiara inammissibile la domanda di accertamento del diritto ad ottenere un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo per cui è causa (o un risarcimento commisurato a tale indennizzo).

Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Consap, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente in misura complessivamente pari ad € 800,00 (ottocento/00) oltre oneri accessori come per legge e rimborso del contributo unificato (ove versato).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:

Eleonora Monica, Presidente FF

Giovanna Vigliotti, Referendario

Michele Tecchia, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Michele Tecchia Eleonora Monica





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
 
Pubblicato il 21/03/2023
N. 04948/2023 REG.PROV.COLL.

N. 15414/2022 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15414 del 2022, proposto dal sig. -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Carlo Canafoglia e Prof. Salvatore Menditto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze (e presso di esso la Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Consap S.p.A. (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per l'annullamento

- degli atti, delle operazioni concernenti e dei provvedimenti relativi al procedimento di valutazione delle domande/istanze di indennizzo inoltrate dalla ricorrente alla CONSAP s.p.a. in relazione alle obbligazioni subordinate Banca delle Marche s.p.a. acquistate dalla stessa, affidate ex lege alla valutazione della Commissione Tecnica istituita presso il MEF;

IN PARTICOLARE, E COMUNQUE NEI TERMINI INDICATI NEL RICORSO

- del provvedimento reso dalla Commissione Tecnica, invero non conosciuto né trasmesso, ed appreso solo in quanto comunicato da CONSAP s.p.a., Unità di Business 3-Servizi Finanziari, Servizio Fondo Indennizzo Risparmiatori, mediante invio di pec al legale e domiciliatario indicato nelle domande, Avv. Carlo Canafoglia, in data 15.09.2022, con il quale la predetta domanda/istanza di indennizzo è stata integralmente rigettata;

IN OGNI CASO

- di tutti gli altri atti e/o provvedimenti, precedenti, successivi, connessi ed anche istruttori rispetto a quelli impugnati, ancorché non conosciuti, ove comunque funzionali e/o finalizzati all’istruttoria procedimentale ed alla successiva adozione del provvedimento di diniego e rigetto delle domande avanzate dalla ricorrente;

CON ESPRESSA E RITUALE RICHIESTA DI ACCERTAMENTO

- del diritto in capo alla ricorrente di ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge ed espressamente richiesto nelle domande/istanze inviate alla CONSAP s.p.a., nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso;

- del corrispondente obbligo in capo alle Amministrazioni resistenti di riconoscere e di corrispondere il predetto ulteriore indennizzo richiesto dalla ricorrente, nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso, e, in subordine, di risarcire il danno patito dalla stessa, nella misura del medesimo importo del contributo richiesto e non concesso; in ogni caso, oltre interessi e rivalutazione monetaria, come per Legge;

E, ANCORA, CON ESPRESSA E RITUALE RISERVA

- di reclamare, nel giudizio incardinato con l’odierno ricorso e/o in uno successivo, il risarcimento del danno ulteriore inferto alla ricorrente a fronte del complessivo modus operandi delle Amministrazioni resistenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente ricorso, parte ricorrente – già titolare di obbligazioni subordinate emesse dalla ex Banca delle Marche s.p.a. – impugna l’atto in epigrafe con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, anche semplicemente “MEF”) ha parzialmente respinto la domanda di accesso alle prestazioni del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), dalla stessa parte ricorrente avanzata ai sensi della l. n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss. (recante la procedura speciale per l’indennizzo degli investitori di alcune banche finite in “default”, tra cui, per quel che qui rileva, detto istituto bancario).

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

Il motivo su cui poggia il provvedimento di diniego risiede nel fatto che parte ricorrente si è già vista respingere con lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC la domanda presentata per l’analogo (ma formalmente diverso) indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo corrisposto dal Fondo di solidarietà di cui al decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Parte ricorrente insta non soltanto per l’annullamento dell’atto parzialmente reiettivo impugnato, ma anche per l’accertamento del diritto (e la conseguente condanna) al pagamento dell’indennizzo previsto dalla legge n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss.

Il ricorso è affidato a due motivi di gravame, ciascuno dei quali a sua volta comprensivo di plurime e multiformi censure.

In estrema sintesi, le molteplici doglianze sollevate dalla parte ricorrente si possono compendiare nei termini che seguono:

(i) illegittimità dell’atto reiettivo impugnato per aver frapposto una causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo ex legge n. 145 del 2018 (e cioè il fatto che parte ricorrente avesse infruttuosamente incardinato in passato una procedura arbitrale innanzi all’ANAC per l’analogo indennizzo previsto dal decreto legge n. 59 del 2016) causa ostativa che non sarebbe in tesi affatto prevista dalla legge n. 145 del 2018 regolante l’indennizzo de quo;

(ii) eccesso di potere e difetto di motivazione dell’atto impugnato per aver invocato una motivazione reiettiva palesemente insufficiente e lacunosa, atteso che “la normativa a fondamento del fondo F.I.R, gestito da CONSAP e dalla Commissione tecnica per i ristori degli obbligazionisti subordinati delle Banche poste in liquidazione” (e cioè la legge n. 145 del 2018 e i relativi atti attuativi, nel cui campo di applicazione rientra l’atto de quo) “è differente da quella a corredo dei rimborsi elargiti dal F.I.T.D, a seguito di procedura arbitrale A.N.A.C.” (e cioè dalla normativa in base alla quale l’ANAC aveva respinto la richiesta dell’analogo indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016), sicchè il mero rinvio al lodo ANAC – privo di ulteriori specificazioni motivazionali – integrerebbe i presupposti di una motivazione acritica e apodittica. E ciò a maggior ragione ove si consideri che le discipline di riferimento dei due indennizzi in questione (da un lato quella regolante il “vecchio” indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016, e dall’altro lato quella regolante il “nuovo” indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 di cui si controverte oggi) non sono esattamente sovrapponibili tra loro;

(iii) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere lo stesso introdotto un’ingiustificata e arbitraria disparità di trattamento tra gli obbligazionisti che come la ricorrente avevano visto in passato negarsi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo ex D.L. n. 59 del 2016 (ai quali è stato ora negato anche il “nuovo” indennizzo ex legge n. 145 del 2018) e gli obbligazionisti che invece avevano visto riconoscersi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo, oppure che addirittura non lo avevano neppure richiesto. È stato in particolare lamentato che “la valutazione operata dall’organo preposto si appalesa anche del tutto illogica, e quindi ancora più ingiusta ed iniqua, considerato che andrebbe a premiare gli obbligazionisti “dormienti”, cioè quelli che non si erano attivati prima (con gli strumenti introdotti dalla L. n. 208/2015) o che, per difetto di requisiti, non avevano potuto farlo, rispetto a quelli “vigili”, cioè quelli che avevano diligentemente e tempestivamente curato i propri interessi, ricorrendo – appunto – all’arbitrato presso l’ANAC, anche se con esito negativo”;

(iv) eccesso di potere dell’atto impugnato per avere quest’ultimo disatteso l’“autovincolo” che l’Amministrazione si era data non soltanto con le c.d. Linee Guida approvate in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. d), primo paragrafo, D.M. 10/05/2019 (le quali trattano della tipizzazione delle c.d. “violazione massive”, ma che nulla dicono rispetto all’ulteriore requisito della pregressa reiezione da parte dell’ANAC del “vecchio” indennizzo ex DL n. 59 del 2016) ma anche con la Determinazione della Commissione tecnica del 13 gennaio 2022, mediante la quale si sarebbe stabilita una presunzione assoluta di spettanza del nuovo indennizzo ove la violazione massiva del TUF fosse avvenuta in un dato “arco temporale”.

(v) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere esso completamente omesso di valutare l’asserita inadeguatezza dei presidi informativi predisposti dall’istituto bancario nei confronti di parte ricorrente, nel momento in cui quest’ultima aveva effettuato gli investimenti obbligazionari da cui è scaturito il danno per il quale è stato poi richiesto l’indennizzo negato con l’atto ora impugnato. Tale inadeguatezza di presidi informativi (e anche di strumenti di profilatura della propensione al rischio di parte ricorrente) deporrebbe nel senso dell’illegittimità dell’atto con cui è stato negato l’indennizzo de quo agitur;

(vi) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere l’Amministrazione introdotto un’ulteriore ingiustificata disparità di trattamento tra gli obbligazionisti subordinati di Banca Marche come la ricorrente (rispetto ai quali il nuovo indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 è stato aprioristicamente negato per il semplice fatto che essi si erano visti negare dall’ANAC il vecchio indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016) e azionisti di Banca Marche a cui invece il nuovo indennizzo sarebbe stato riconosciuto nonostante l’esito negativo del lodo arbitrale ANAC in relazione al “vecchio” indennizzo;

(vii) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per essere lo stesso stato adottato in contrasto con l’autovincolo della deliberazione assunta da Consap in data 23 febbraio 2022, con cui la stessa Consap avrebbe disposto che qualora l’obbligazionista si fosse preventivamente rivolto all’ANAC per ottenere il rimborso del “vecchio” indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016, lo stesso obbligazionista conservava comunque il diritto di “accedere al FIR” (e cioè al fondo indennizzo risparmiatori previsto dalla legge n. 145 del 2018, oggetto dell’odierna controversia); detta delibera Consap del 23 febbraio 2022 stabiliva, inoltre, che se l’obbligazionista si fosse rivolto preventivamente all’ANAC “non ottenendo alcun indennizzo per il rigetto della domanda per motivi di merito” (oppure soltanto una parte di tale indennizzo), “la Commissione valuterà i lodi “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito”, sicchè l’atto impugnato si è erroneamente limitato a prendere atto (in senso ostativo) del lodo arbitrale ANAC, senza invece utilizzarlo quale “fonte di accertamento” concorrente con altri elementi istruttori; elementi istruttori che non sono stati minimamente soppesati e valutati nell’ambito dell’impianto motivazionale dell’atto gravato.

Il MEF si è ritualmente costituito in giudizio instando per la reiezione del gravame, di cui è stata eccepita l’inammissibilità sotto plurimi profili e anche l’infondatezza nel merito.

Seguiva il deposito dei documenti e delle memorie conclusionali e di replica ex art. 73, comma 1, c.p.a.

All’udienza pubblica del 8 marzo 2022, pertanto, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis, il Collegio ritiene di dover respingere le eccezioni di rito sollevate dalle Amministrazioni resistenti, e ciò sulla scorta dell’orientamento già espresso in una causa analoga dal Consiglio di Stato (Sezione VII) con la recente sentenza n. 664 del 19 gennaio 2023, a cui il Collegio presta adesione.

Per quel che concerne, infatti, l’eccepito difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, l’esame della questione relativa al riparto di giurisdizione impone di valutare il petitum sostanziale, ossia l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo (v. ex plurimis, Cass. Sez. Un., 31 gennaio 2005, n. 6743; Cass. Sez. Un., 28 giugno2006, n. 14846).

In particolare, secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria 29 gennaio 2014, n. 6, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche (fattispecie assimilabili a quella in esame, almeno ai fini di giurisdizione) deve essere attuato (non configurandosi alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; inoltre, è configurabile una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse.

Il petitum sostanziale della presente controversia, chiaramente emergente dall’atto introduttivo del giudizio, attiene alla pretesa di parte ricorrente di ottenere una valutazione circa la spettanza dell’indennizzo previsto dalla l. n. 145 del 2018, sulla base della procedura ordinaria e, dunque, dell’accertamento, da parte della commissione tecnica prevista dalla disciplina di riferimento, della sussistenza di reiterate violazioni del TUF (decreto legislativo n. 58 del 1998) da parte dell’istituto bancario e del nesso causale tra le stesse ed il pregiudizio da lei subito.

Dunque, la situazione giuridica soggettiva ascrivibile all’odierna parte ricorrente deve essere qualificata in termini di interesse legittimo pretensivo, assumendo ai fini in esame rilievo il contenuto delle censure formulate con il ricorso, segnatamente riferite alla dedotta sussistenza di un obbligo dell’Amministrazione di valutare nel merito le violazioni massive del TUF commesse dall’istituto bancario e il nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio dell’investitore, insufficiente essendo il mero rinvio al lodo arbitrale con cui l’ANAC aveva respinto la richiesta di un diverso indennizzo.

Acclarata la piena sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo sulla causa de qua, va poi respinta l’eccezione con cui la società Consap, in house del Ministero dell’economia e delle finanze, ha dedotto la propria carenza di legittimazione passiva.

Va evidenziato, infatti, che se è vero che la titolarità del rapporto controverso fa capo alla Commissione tecnica, organo straordinario del Ministero, la Consap in conformità alle previsioni dell’art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018 (nonchè alla disciplina attuativa di cui al DM del 10 maggio 2019) svolge un’attività che non è limitata al mero supporto alla predetta Commissione, istituita ai sensi della citata disposizione, nell’espletamento dell’attività istruttoria e di acquisizione dei dati.

Come emerge, infatti, dall’art. 8, comma 5, del DM 10 maggio 2019, emanato in attuazione delle previsioni di cui all’art. 1, commi da 493 a 507, della l. n.145 del 2018, alla Consap non è demandata esclusivamente l’attività di segreteria, bensì anche un’attività di gestione che non si esaurisce nella predisposizione dei processi concernenti l’espletamento delle procedure, essendo la società incaricata, tra l’altro, dell’esecuzione delle delibere della Commissione tecnica.

Proprio il complesso delle attività espletate dalla società, tra le quali anche l’interlocuzione diretta con i richiedenti l’indennizzo, inducono a ritenere che correttamente la stessa sia stata evocata in giudizio insieme al Ministero, al quale come sopra esposto va riferita la titolarità del rapporto, tenuto conto peraltro dell’incidenza dei vincoli conformativi suscettibili di scaturire dalla pronuncia giurisdizionale sulla società.

Va parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sua mancata notifica ad almeno un controinteressato, da individuare negli altri soggetti che hanno presentato istanza per ottenere l’erogazione dell’indennizzo attraverso una procedura che rivestirebbe carattere selettivo in considerazione della limitatezza degli stanziamenti destinati alla misura di sostegno in questione.

Si evidenzia, infatti, che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. ex multis, da ultimo, sez. III, sentenza n. 5052/2020), il controinteressato da evocare in giudizio è il soggetto indicato nell’atto che si impugna, ovverosia il soggetto, facilmente individuabile, portatore di un interesse – concreto ed attuale – giuridicamente qualificato alla conservazione dell’atto, e dunque interessato a difendere una situazione giuridica di vantaggio uguale e contraria rispetto a quella del ricorrente.

Si afferma altresì che non occorre che il controinteressato sia espressamente individuato nell’atto, essendo sufficiente che sia comunque facilmente individuabile con l’ordinaria diligenza (Cons. St., sez. V, sentenza n. 4503/2019).

Nella fattispecie non consta in atti che sia stata stilata una graduatoria delle istanze ammissibili, né emergono elementi che consentano di ritenere agevolmente individuabili eventuali controinteressati, dovendosi quindi escludere la sussistenza della dedotta causa di inammissibilità in applicazione dell’art. 41, comma 2, c.p.a.

Va infine respinta anche l’eccezione di incompetenza territoriale di questo TAR genericamente sollevata dal Ministero resistente, non essendo revocabile in dubbio la competenza di questo TAR Lazio in ragione del criterio ordinario di competenza della sede dell’Amministrazione centrale da cui promana l’atto impugnato (cfr. art. 13 c.p.a.).

Ciò premesso, il Collegio può dunque procedere all’esame del merito del ricorso.

In proposito, è anzitutto necessario ricostruire brevemente il quadro normativo che disciplina l’indennizzo de quo agitur.

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

La summenzionata legge n. 145 del 2018 ha anzitutto previsto la misura dell’indennizzo e la platea dei beneficiari dello stesso, nonché una sorta di “corsia procedurale preferenziale” in favore di quei risparmiatori che – oltre ad essere in possesso delle azioni od obbligazioni emesse dalle banche individuate dalla legge (id est quelle in liquidazione coatta amministrativa) – hanno un reddito ed un patrimonio inferiori a specifiche soglie economiche minime (cfr. art. 1, comma 502 bis, della legge n. 145 del 2018).

Questa prima categoria di risparmiatori (c.d. “forfettari”) può accedere all’indennizzo de quo soltanto perché in possesso dei summenzionati requisiti reddituali e patrimoniali.

Viceversa, i risparmiatori privi di tali requisiti (come ad esempio l’odierna parte ricorrente) sono gravati dell’onere di dimostrare le violazioni massive del TUF commesse dalla loro banca (così come accertate in sede penale), nonché il concreto nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio da loro subito.

Il legislatore ha poi delegato alla potestà regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione di molti altri aspetti del procedimento di assegnazione dell’indennizzo de quo, essendo stato previsto che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono definite le modalità di presentazione della domanda di indennizzo nonché i piani di riparto delle risorse disponibili. Con il medesimo decreto è istituita e disciplinata una Commissione tecnica per: l’esame delle domande e l’ammissione all’indennizzo del FIR; la verifica delle violazioni massive, nonché della sussistenza del nesso di causalità tra le medesime e il danno subito dai risparmiatori; l’erogazione dell’indennizzo da parte del FIR. Le suddette verifiche possono avvenire anche attraverso la preventiva tipizzazione delle violazioni massive e la corrispondente identificazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi in presenza dei quali l'indennizzo può essere direttamente erogato” (cfr. art. 1, comma 501, della legge n. 145 del 2018).

In attuazione di tale previsione legale è appunto intervenuto il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019, il cui art. 7, comma 1, prevede (sotto la rubrica “Commissione tecnica”) che “è istituita la Commissione tecnica prevista dall’art. 1, comma 501, legge 30 dicembre 2018, n. 145, competente per l’esame e l’ammissione delle domande di indennizzo del FIR”, alla quale è affidato anche il compito di stabilire i “criteri generali e linee guida per la tipizzazione delle violazioni massive, individuali o di portata generale, di natura contrattuale o extracontrattuale, e la corrispondente modulazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi nonché dei periodi temporali di riferimento in presenza dei quali, anche tenendo conto delle diverse tipologie di violazione in concreto prese in esame, sussistono il danno subito da ciascun istante e il nesso causale tra le suddette violazioni e tale danno”.

L’indennizzo de quo agitur trova la sua compiuta disciplina, pertanto, nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018, nonché nel Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019 e nelle Linee Guida adottate dalla Commissione Tecnica all’uopo istituita (con cui sono state tipizzate le violazioni massive del TUF in presenza delle quali può essere erogato l’indennizzo ai risparmiatori/investitori).

Ai fini di causa è importante evidenziare che l’indennizzo in parola è formalmente autonomo e distinto rispetto al precedente indennizzo previsto dagli artt. 8 e 9 del d.l. n. 59 del 2016.

Ciò in quanto diversi sono i fondi e gli stanziamenti a cui i due indennizzi attingono: il “nuovo” indennizzo ora in esame attinge infatti al Fondo Indennizzo Risparmiatori (nel prosieguo anche “FIR”) istituito dalla summenzionata legge n. 145 del 2018, mentre il “vecchio” indennizzo previsto dal d.l. n. 59 del 2016 attinge al Fondo di Solidarietà istituito dall’art. 1, comma 855, della legge n. 208 del 2015 (nel prosieguo anche il “Fondo di Solidarietà”, il quale è a sua volta alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 del TUF, giusta quanto previsto dall’art. 1, comma 856, della legge n. 208 del 2015).

Ciò premesso in linea generale, il presente ricorso appare fondato e va quindi accolto con riferimento alle prime due doglianze sintetizzate nella parte in fatto della presente sentenza, con cui parte ricorrente si duole del fatto che la motivazione dedotta a sostegno del diniego del “nuovo” indennizzo finanziato dal FIR ex legge n. 145 del 2018 (secondo la quale parte ricorrente ha già visto negarsi in passato il “vecchio” indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà ex DL n. 59 del 2016) è al contempo illegittima e argomentativamente carente.

Detta motivazione è infatti “condensata” – lo si ripete – nel mero rinvio al lodo arbitrale ANAC con cui era stata respinta la richiesta del “vecchio” indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo finanziato dal Fondo di solidarietà istituito con la legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Il Collegio rileva che detta motivazione provvedimentale può prestarsi in astratto a due diverse letture, e cioè in particolare:

(i) una prima lettura secondo cui il lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC – seppur riferito all’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà (e cioè a un indennizzo formalmente diverso rispetto a quello finanziato dal FIR che viene ora negato con il provvedimento impugnato) – è ex se ostativa all’erogazione dell’indennizzo del FIR;

(ii) una seconda lettura secondo cui il lodo arbitrale con cui l’ANAC ha respinto la richiesta dell’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà è stato un elemento istruttorio che – in concorso con altri elementi e all’esito di una specifica istruttoria procedimentale – ha condotto l’Amministrazione a respingere la richiesta dell’indennizzo finanziato dal FIR.

Se il provvedimento impugnato intendesse dire ciò che emerge dalla prima delle due letture testè prospettate, non è revocabile in dubbio che esso sarebbe sicuramente illegittimo, non trovando tale lettura conforto in alcun referente né legislativo né regolamentare.

Sono tuttavia le stesse parti resistenti ad escludere, con le loro stesse difese, che il significato dell’atto impugnato sia quello riconducibile alla prima lettura menzionata.

Il che trova conferma anche in alcune deliberazioni della Commissione Tecnica ritualmente depositate in atti.

Si veda, a titolo meramente esemplificativo, il verbale del 23 febbraio 2022 con cui la Commissione Tecnica conclude che “la rilevanza da attribuire ai lodi Anac, così come a quelli AFC, sia quella di elemento di valutazione utile ai fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF”.

Ad ulteriore conferma di quanto precede, giova rammentare che la Commissione Tecnica si è espressa nel senso di: (i) riconoscere la “rilevanza (…) di precedenti decisioni relative ai medesimi istanti e agli stessi strumenti finanziari per i quali si chiede l’indennizzo del Fondo” e istruire l’istanza “tenendo conto di quanto accertato da eventuali sentenze giudiziarie e/o lodi arbitrali resi dal FITD o dall’ACF” (cfr. determina del 30 gennaio 2020); (ii) valutare le decisioni di merito “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito” (cfr. determina del 21 maggio 2020); (iii) attribuire ai lodi ANAC e/o ACF la rilevanza di “elemento di valutazione utile a fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF (…). In ogni caso sono fatti salvi gli ulteriori approfondimenti e le diverse valutazioni della Commissione rispetto (…) ai singoli casi di specie” (cfr. determina del 23 febbraio 2022).

Va da sé che l’unico significato astrattamente ammissibile e legittimo della motivazione contenuta nell’atto reiettivo impugnato è quello per cui il lodo arbitrale ANAC è stato soltanto un “pezzo del mosaico” su cui l’Amministrazione ha fatto leva per respingere l’istanza avente ad oggetto l’indennizzo finanziato dal FIR.

Ciò, del resto, in piena coerenza con l’art. 7, comma 1, lettera C, del DM del 10 maggio 2019, a rigore del quale la Commissione Tecnica “verifica la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 3 nonché delle violazioni massive del T.U.F. che hanno causato un pregiudizio ingiusto agli aventi diritto da parte di banche in liquidazione ai risparmiatori e, per conseguenza, agli altri eventuali aventi diritto, anche acquisendo d’ufficio apposita documentazione bancaria o amministrativa o giudiziale, tra cui sentenze di giudizi penali o civili, pronunce emesse da arbitrati promossi dalle parti, tra i quali l’arbitrato bancario e finanziario della Banca d’Italia, l’arbitrato per le controversie finanziarie della Consob, provvedimenti sanzionatori o atti ispettivi della Banca d’Italia o della Consob, documenti ricognitivi dei commissari delle liquidazioni coatte amministrative, documenti acquisiti dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario» prodotti dai soggetti intervenuti, documentazione bancaria sulla profilatura e informativa della clientela e sui contratti di acquisto”.

Se dunque il lodo arbitrale ANAC di reiezione della domanda di indennizzo del Fondo di Solidarietà è soltanto un “elemento di valutazione” da soppesare in concorso con altri elementi (e non già un fattore da solo ostativo ed escludente) il Collegio non può non rilevare il deficit di motivazione ed istruttoria che affligge il provvedimento impugnato, atteso che:

(a) detto provvedimento non contiene la benché minima enunciazione delle ragioni per cui il percorso logico-argomentativo contenuto nel lodo arbitrale negativo dell’ANAC – quantunque riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – dispieghi una sua concreta rilevanza anche nel procedimento amministrativo di rigetto della domanda di indennizzo del FIR. Né tale enunciazione può ricavarsi indirettamente dai chiarimenti aggiuntivi forniti soltanto nell’odierno giudizio dalle Amministrazioni resistenti, chiarimenti che il Collegio non può ovviamente valorizzare se non a pena di violazione del divieto di integrazione postuma giudiziale della motivazione provvedimentale originariamente carente;

(b) non v’è in atti alcuna evidenza dell’istruttoria che ha spinto l’Amministrazione a respingere l’istanza di parte ricorrente, risultando quindi palese che non v’è stata – né in seno alla fase istruttoria del procedimento amministrativo né nel corpo motivazionale del provvedimento finale – alcuna ponderazione e comparazione delle risultanze del lodo arbitrale ANAC rispetto ad altri concorrenti elementi istruttori. E se è pur vero che Consap aveva richiesto alla ricorrente l’invio di ulteriore documentazione comprovante l’esistenza delle violazioni massive del TUF, è però anche vero che non c’è alcuna prova di come Consap abbia valutato tale documentazione.

Ciò che emerge, pertanto, è che il lodo arbitrale negativo dell’ANAC – lodo riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – sia stato acriticamente e passivamente recepito come unico motivo ostativo all’erogazione dell’indennizzo del FIR.

Orbene, se da un lato è vero che la motivazione del provvedimento amministrativo ben può consistere in un rinvio per relationem ad un altro atto endo-procedimentale già noto (o comunque già reso accessibile) al privato istante, dall’altro lato è anche vero, però, che tale consolidato principio si basa sull’implicito presupposto che l’atto endo-procedimentale evocato sia afferente allo stesso identico procedimento a cui afferisce il provvedimento finale.

Presupposto che pacificamente non ricorre nel caso di specie.

In senso analogo deve dirsi rispetto all’eccezione di parte resistente incentrata sull’asserita autorità di cosa giudicata del lodo negativo ANAC a cui fa rinvio l’atto impugnato.

È evidente, infatti, che l’inerenza di tale lodo arbitrale ad un diverso procedimento amministrativo (e a un diverso indennizzo) impedisce allo stesso di acquisire qualsiasi crisma di intangibilità nel caso de quo.

A ciò si aggiunta che nessuna delle norme contenute nella legge n. 145 del 2018 e nel DM applicativo del 2019, prevede che il pregresso diniego da parte dell’ANAC dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà osti al riconoscimento dell’indennizzo del FIR, sicchè la censurata motivazione appare affetta – oltre che da una intrinseca insufficienza esplicativa – anche da una violazione di legge.

La concreta rilevanza del suesposto deficit motivazionale dell’atto impugnato risulta vieppiù confermata dalla parziale discrepanza tra due specifici ed “omologhi” indicatori di violazioni massive del TUF rispettivamente contenuti:

- da un lato nelle Linee Guida ANAC, per ciò che concerne l’indennizzo del Fondo di Solidarietà;

- dall’altro lato nell’art. 7 del DM del 10 maggio 2019, per ciò che concerne l’indennizzo del FIR oggetto di causa;

Le Linee Guida ANAC stabiliscono, con riferimento all’indennizzo del Fondo di Solidarietà, che “ai fini dell’accertamento, nell’ambito del procedimento arbitrale di cui al D.M. 9 maggio 2017, n. 83, delle violazioni degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento degli strumenti finanziari subordinati nonché per la determinazione arbitrale della prestazione, possono considerarsi elementi di valutazione rilevanti, tra gli altri … f) la concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie basse o medio basse, ovvero a categorie equivalenti; g) la concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie medie o medio alte, ovvero a categorie equivalenti”.

In base alle Linee Guida ANAC, pertanto, un elemento di valutazione di una possibile violazione massiva del TUF consiste:

- nella concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie basse o medio basse);

- nella concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie medie o medio alte).

Ciò che va valutato in base alle Linee Guida ANAC ai fini del riconoscimento dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà, pertanto, è il rapporto tra strumenti finanziari subordinati e patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore (rapporto che può dar luogo ad una violazione massiva del TUF soltanto se supera la soglia del 25% o 50%, a seconda del profilo dell’investitore).

Se si passa invece ad esaminare l’omologo “indicatore” di violazioni massive del TUF previsto dall’art. 7 del DM del 10 maggio 2019 in relazione al diverso indennizzo del FIR, appare evidente che detto indicatore non sia esattamente sovrapponibile al summenzionato criterio previsto dalle Linee Guida dell’ANAC, essendo declinato nel seguente modo: “la carente informazione o profilatura della clientela, ad esempio tramite l’assegnazione ai clienti di un grado di rischio e di un orizzonte temporale di investimento incongruo rispetto all'età ovvero alla composizione del loro patrimonio immobiliare o mobiliare, in particolare qualora quest'ultimo risulti concentrato in misura pari o superiore al 50% in strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca o del gruppo bancario, ovvero in misura pari o superiore al 30% nel caso di prestazione del servizio di gestione di portafogli da parte della banca emittente o di società del gruppo”.

Ciò che va quindi valutato ai fini dell’indennizzo del FIR in base all’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 e alle Linee Guida all’uopo adottate dalla Segreteria Tecnica, è invece il rapporto tra tutti gli strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca (quindi non soltanto quelli subordinati) e l’intero patrimonio immobiliare o mobiliare del risparmiatore.

Va da sé che in astratto lo stesso investitore di profilo medio o medio-alto potrebbe allo stesso tempo:

(i) non superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida ANAC (ai fini dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà), posto che tale soglia si riferisce ai soli strumenti finanziari subordinati;

(ii) superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica e dall’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 (ai fini dell’indennizzo del FIR), posto che tale soglia si riferisce a tutti gli strumenti finanziari sia subordinati che non.

Il che conferma che non c’è una piena ed integrale sovrapponibilità delle fattispecie di violazioni massive del TUF rispettivamente previste dalle Linee Guida ANAC (per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà) e dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica (per l’indennizzo del FIR).

Quanto precede rende ancor più rilevante il deficit istruttorio e motivazionale che affligge il provvedimento impugnato (deficit comunque già da solo sufficiente ai fini dell’annullamento dell’atto) atteso che gli accertamenti istruttori da compiersi in base al DM del 10 maggio del 2019 per l’indennizzo del FIR non coincidono sempre e comunque con quelli già compiuti dall’ANAC in base alle proprie Linee Guida per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà.

Né può invocarsi alcuna dequotazione formale del rilevato vizio di motivazione in forza del meccanismo di sanatoria processuale previsto dall’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, posto che la motivazione del provvedimento amministrativo discrezionale - come il Consiglio di Stato afferma secondo un orientamento ora recepito anche dal Giudice delle Leggi nelle ordinanze del 26 maggio 2015, n. 92, e del 17 marzo 2017, n. 58 - costituisce il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (cfr. quam multis Consiglio di Stato n. 7883 del 10 dicembre 2020 e Consiglio di Stato, sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629).

L’accoglimento delle due censure con cui si lamenta da un lato l’insufficienza motivazionale e dall’altro lato l’illegittimità dell’atto impugnato, conduce pertanto all’annullamento di quest’ultimo, annullamento che – in quanto ricadente su un atto lesivo di un interesse legittimo pretensivo connotato da discrezionalità tecnica – prelude ad un’inevitabile riedizione del potere.

Proprio la necessità di tale riedizione del potere (e dei margini di discrezionalità ad esso sottesi) impedisce al Collegio di scrutinare la doglianza con cui parte ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia valutato – in sede di delibazione della richiesta di erogazione dell’indennizzo del FIR – le carenze informative di cui si era resa originariamente responsabile la banca insolvente al momento degli investimenti contestati.

Ed infatti, qualsiasi valutazione resa dal Collegio in questa sede sulla sussistenza o meno di dette carenze informative finirebbe sostanzialmente per anticipare un accertamento che ancora non è stato effettuato dall’Amministrazione nel caso de quo e, quindi, per violare il divieto di esercizio di poteri amministrativi ancora non esercitati (cfr. art. 34, comma 2, c.p.a.).

Le doglianze sollevate sul punto dalla parte ricorrente sono pertanto inammissibili.

Inammissibile è anche la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere una condanna dell’Amministrazione al rilascio di un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo del FIR (o in subordine al pagamento di un risarcimento pari a tale indennizzo), atteso che pure tale domanda – laddove delibata nel merito – condurrebbe il Collegio a pronunziarsi rispetto a poteri amministrativi ancora non esercitati in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Non vi sono quindi i presupposti per adottare né una condanna ad emettere uno specifico provvedimento, né una condanna al risarcimento del danno, impossibile essendo la prognosi sulla spettanza del bene della vita.

Ciò chiarito, il Collegio rileva infine che l’accoglimento dell’azione annullatoria per difetto di motivazione e istruttoria determina l’assorbimento delle residue censure con cui parte ricorrente si è doluta di una presunta disparità di trattamento introdotta dall’atto impugnato.

Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e, per l’effetto, il provvedimento impugnato va annullato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini sopra indicati, fatto salvo il potere dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza della parte ricorrente.

Restano assorbiti i residui motivi di impugnazione, mentre va dichiarata invece inammissibile la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere l’indennizzo finanziato dal FIR, domanda che si infrange sul rilievo ostativo dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, avuto riguardo alla natura seriale del contenzioso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie la domanda di annullamento dell’atto impugnato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini indicati in parte motiva.

Dichiara inammissibile la domanda di accertamento del diritto ad ottenere un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo per cui è causa (o un risarcimento commisurato a tale indennizzo).

Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Consap, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente in misura complessivamente pari ad € 800,00 (ottocento/00) oltre oneri accessori come per legge e rimborso del contributo unificato (ove versato).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:

Eleonora Monica, Presidente FF

Giovanna Vigliotti, Referendario

Michele Tecchia, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Michele Tecchia Eleonora Monica





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei s
 
Pubblicato il 21/03/2023
N. 04947/2023 REG.PROV.COLL.

N. 15412/2022 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15412 del 2022, proposto dal sig.-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Carlo Canafoglia e Prof. Salvatore Menditto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze (e presso di esso la Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Consap S.p.A. (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per l'annullamento

- degli atti, delle operazioni concernenti e dei provvedimenti relativi al procedimento di valutazione delle domande/istanze di indennizzo inoltrate dalla ricorrente alla CONSAP s.p.a. in relazione alle obbligazioni subordinate Banca delle Marche s.p.a. acquistate dalla stessa, affidate ex lege alla valutazione della Commissione Tecnica istituita presso il MEF;

IN PARTICOLARE, E COMUNQUE NEI TERMINI INDICATI NEL RICORSO

- del provvedimento reso dalla Commissione Tecnica, invero non conosciuto né trasmesso, ed appreso solo in quanto comunicato da CONSAP s.p.a., Unità di Business 3-Servizi Finanziari, Servizio Fondo Indennizzo Risparmiatori, mediante invio di pec al legale e domiciliatario indicato nelle domande, Avv. Carlo Canafoglia, in data 15.09.2022, con il quale la predetta domanda/istanza di indennizzo è stata integralmente rigettata;

IN OGNI CASO

- di tutti gli altri atti e/o provvedimenti, precedenti, successivi, connessi ed anche istruttori rispetto a quelli impugnati, ancorché non conosciuti, ove comunque funzionali e/o finalizzati all’istruttoria procedimentale ed alla successiva adozione del provvedimento di diniego e rigetto delle domande avanzate dalla ricorrente;

CON ESPRESSA E RITUALE RICHIESTA DI ACCERTAMENTO

- del diritto in capo alla ricorrente di ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge ed espressamente richiesto nelle domande/istanze inviate alla CONSAP s.p.a., nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso;

- del corrispondente obbligo in capo alle Amministrazioni resistenti di riconoscere e di corrispondere il predetto ulteriore indennizzo richiesto dalla ricorrente, nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso, e, in subordine, di risarcire il danno patito dalla stessa, nella misura del medesimo importo del contributo richiesto e non concesso; in ogni caso, oltre interessi e rivalutazione monetaria, come per Legge;

E, ANCORA, CON ESPRESSA E RITUALE RISERVA

- di reclamare, nel giudizio incardinato con l’odierno ricorso e/o in uno successivo, il risarcimento del danno ulteriore inferto alla ricorrente a fronte del complessivo modus operandi delle Amministrazioni resistenti.


Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente ricorso, parte ricorrente – già titolare di obbligazioni subordinate emesse dalla ex Banca delle Marche s.p.a. – impugna l’atto in epigrafe con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, anche semplicemente “MEF”) ha parzialmente respinto la domanda di accesso alle prestazioni del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), dalla stessa parte ricorrente avanzata ai sensi della l. n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss. (recante la procedura speciale per l’indennizzo degli investitori di alcune banche finite in “default”, tra cui, per quel che qui rileva, detto istituto bancario).

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

Il motivo su cui poggia il provvedimento di diniego risiede nel fatto che parte ricorrente si è già vista respingere con lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC la domanda presentata per l’analogo (ma formalmente diverso) indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo corrisposto dal Fondo di solidarietà di cui al decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Parte ricorrente insta non soltanto per l’annullamento dell’atto parzialmente reiettivo impugnato, ma anche per l’accertamento del diritto (e la conseguente condanna) al pagamento dell’indennizzo previsto dalla legge n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss.

Il ricorso è affidato a due motivi di gravame, ciascuno dei quali a sua volta comprensivo di plurime e multiformi censure.

In estrema sintesi, le molteplici doglianze sollevate dalla parte ricorrente si possono compendiare nei termini che seguono:

(i) illegittimità dell’atto reiettivo impugnato per aver frapposto una causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo ex legge n. 145 del 2018 (e cioè il fatto che parte ricorrente avesse infruttuosamente incardinato in passato una procedura arbitrale innanzi all’ANAC per l’analogo indennizzo previsto dal decreto legge n. 59 del 2016) causa ostativa che non sarebbe in tesi affatto prevista dalla legge n. 145 del 2018 regolante l’indennizzo de quo;

(ii) eccesso di potere e difetto di motivazione dell’atto impugnato per aver invocato una motivazione reiettiva palesemente insufficiente e lacunosa, atteso che “la normativa a fondamento del fondo F.I.R, gestito da CONSAP e dalla Commissione tecnica per i ristori degli obbligazionisti subordinati delle Banche poste in liquidazione” (e cioè la legge n. 145 del 2018 e i relativi atti attuativi, nel cui campo di applicazione rientra l’atto de quo) “è differente da quella a corredo dei rimborsi elargiti dal F.I.T.D, a seguito di procedura arbitrale A.N.A.C.” (e cioè dalla normativa in base alla quale l’ANAC aveva respinto la richiesta dell’analogo indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016), sicchè il mero rinvio al lodo ANAC – privo di ulteriori specificazioni motivazionali – integrerebbe i presupposti di una motivazione acritica e apodittica. E ciò a maggior ragione ove si consideri che le discipline di riferimento dei due indennizzi in questione (da un lato quella regolante il “vecchio” indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016, e dall’altro lato quella regolante il “nuovo” indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 di cui si controverte oggi) non sono esattamente sovrapponibili tra loro;

(iii) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere lo stesso introdotto un’ingiustificata e arbitraria disparità di trattamento tra gli obbligazionisti che come la ricorrente avevano visto in passato negarsi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo ex D.L. n. 59 del 2016 (ai quali è stato ora negato anche il “nuovo” indennizzo ex legge n. 145 del 2018) e gli obbligazionisti che invece avevano visto riconoscersi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo, oppure che addirittura non lo avevano neppure richiesto. È stato in particolare lamentato che “la valutazione operata dall’organo preposto si appalesa anche del tutto illogica, e quindi ancora più ingiusta ed iniqua, considerato che andrebbe a premiare gli obbligazionisti “dormienti”, cioè quelli che non si erano attivati prima (con gli strumenti introdotti dalla L. n. 208/2015) o che, per difetto di requisiti, non avevano potuto farlo, rispetto a quelli “vigili”, cioè quelli che avevano diligentemente e tempestivamente curato i propri interessi, ricorrendo – appunto – all’arbitrato presso l’ANAC, anche se con esito negativo”;

(iv) eccesso di potere dell’atto impugnato per avere quest’ultimo disatteso l’“autovincolo” che l’Amministrazione si era data non soltanto con le c.d. Linee Guida approvate in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. d), primo paragrafo, D.M. 10/05/2019 (le quali trattano della tipizzazione delle c.d. “violazione massive”, ma che nulla dicono rispetto all’ulteriore requisito della pregressa reiezione da parte dell’ANAC del “vecchio” indennizzo ex DL n. 59 del 2016) ma anche con la Determinazione della Commissione tecnica del 13 gennaio 2022, mediante la quale si sarebbe stabilita una presunzione assoluta di spettanza del nuovo indennizzo ove la violazione massiva del TUF fosse avvenuta in un dato “arco temporale”.

(v) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere esso completamente omesso di valutare l’asserita inadeguatezza dei presidi informativi predisposti dall’istituto bancario nei confronti di parte ricorrente, nel momento in cui quest’ultima aveva effettuato gli investimenti obbligazionari da cui è scaturito il danno per il quale è stato poi richiesto l’indennizzo negato con l’atto ora impugnato. Tale inadeguatezza di presidi informativi (e anche di strumenti di profilatura della propensione al rischio di parte ricorrente) deporrebbe nel senso dell’illegittimità dell’atto con cui è stato negato l’indennizzo de quo agitur;

(vi) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere l’Amministrazione introdotto un’ulteriore ingiustificata disparità di trattamento tra gli obbligazionisti subordinati di Banca Marche come la ricorrente (rispetto ai quali il nuovo indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 è stato aprioristicamente negato per il semplice fatto che essi si erano visti negare dall’ANAC il vecchio indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016) e azionisti di Banca Marche a cui invece il nuovo indennizzo sarebbe stato riconosciuto nonostante l’esito negativo del lodo arbitrale ANAC in relazione al “vecchio” indennizzo;

(vii) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per essere lo stesso stato adottato in contrasto con l’autovincolo della deliberazione assunta da Consap in data 23 febbraio 2022, con cui la stessa Consap avrebbe disposto che qualora l’obbligazionista si fosse preventivamente rivolto all’ANAC per ottenere il rimborso del “vecchio” indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016, lo stesso obbligazionista conservava comunque il diritto di “accedere al FIR” (e cioè al fondo indennizzo risparmiatori previsto dalla legge n. 145 del 2018, oggetto dell’odierna controversia); detta delibera Consap del 23 febbraio 2022 stabiliva, inoltre, che se l’obbligazionista si fosse rivolto preventivamente all’ANAC “non ottenendo alcun indennizzo per il rigetto della domanda per motivi di merito” (oppure soltanto una parte di tale indennizzo), “la Commissione valuterà i lodi “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito”, sicchè l’atto impugnato si è erroneamente limitato a prendere atto (in senso ostativo) del lodo arbitrale ANAC, senza invece utilizzarlo quale “fonte di accertamento” concorrente con altri elementi istruttori; elementi istruttori che non sono stati minimamente soppesati e valutati nell’ambito dell’impianto motivazionale dell’atto gravato.

Il MEF si è ritualmente costituito in giudizio instando per la reiezione del gravame, di cui è stata eccepita l’inammissibilità sotto plurimi profili e anche l’infondatezza nel merito.

Seguiva il deposito dei documenti e delle memorie conclusionali e di replica ex art. 73, comma 1, c.p.a.

All’udienza pubblica del 8 marzo 2022, pertanto, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis, il Collegio ritiene di dover respingere le eccezioni di rito sollevate dalle Amministrazioni resistenti, e ciò sulla scorta dell’orientamento già espresso in una causa analoga dal Consiglio di Stato (Sezione VII) con la recente sentenza n. 664 del 19 gennaio 2023, a cui il Collegio presta adesione.

Per quel che concerne, infatti, l’eccepito difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, l’esame della questione relativa al riparto di giurisdizione impone di valutare il petitum sostanziale, ossia l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo (v. ex plurimis, Cass. Sez. Un., 31 gennaio 2005, n. 6743; Cass. Sez. Un., 28 giugno2006, n. 14846).

In particolare, secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria 29 gennaio 2014, n. 6, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche (fattispecie assimilabili a quella in esame, almeno ai fini di giurisdizione) deve essere attuato (non configurandosi alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; inoltre, è configurabile una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse.

Il petitum sostanziale della presente controversia, chiaramente emergente dall’atto introduttivo del giudizio, attiene alla pretesa di parte ricorrente di ottenere una valutazione circa la spettanza dell’indennizzo previsto dalla l. n. 145 del 2018, sulla base della procedura ordinaria e, dunque, dell’accertamento, da parte della commissione tecnica prevista dalla disciplina di riferimento, della sussistenza di reiterate violazioni del TUF (decreto legislativo n. 58 del 1998) da parte dell’istituto bancario e del nesso causale tra le stesse ed il pregiudizio da lei subito.

Dunque, la situazione giuridica soggettiva ascrivibile all’odierna parte ricorrente deve essere qualificata in termini di interesse legittimo pretensivo, assumendo ai fini in esame rilievo il contenuto delle censure formulate con il ricorso, segnatamente riferite alla dedotta sussistenza di un obbligo dell’Amministrazione di valutare nel merito le violazioni massive del TUF commesse dall’istituto bancario e il nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio dell’investitore, insufficiente essendo il mero rinvio al lodo arbitrale con cui l’ANAC aveva respinto la richiesta di un diverso indennizzo.

Acclarata la piena sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo sulla causa de qua, va poi respinta l’eccezione con cui la società Consap, in house del Ministero dell’economia e delle finanze, ha dedotto la propria carenza di legittimazione passiva.

Va evidenziato, infatti, che se è vero che la titolarità del rapporto controverso fa capo alla Commissione tecnica, organo straordinario del Ministero, la Consap in conformità alle previsioni dell’art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018 (nonchè alla disciplina attuativa di cui al DM del 10 maggio 2019) svolge un’attività che non è limitata al mero supporto alla predetta Commissione, istituita ai sensi della citata disposizione, nell’espletamento dell’attività istruttoria e di acquisizione dei dati.

Come emerge, infatti, dall’art. 8, comma 5, del DM 10 maggio 2019, emanato in attuazione delle previsioni di cui all’art. 1, commi da 493 a 507, della l. n.145 del 2018, alla Consap non è demandata esclusivamente l’attività di segreteria, bensì anche un’attività di gestione che non si esaurisce nella predisposizione dei processi concernenti l’espletamento delle procedure, essendo la società incaricata, tra l’altro, dell’esecuzione delle delibere della Commissione tecnica.

Proprio il complesso delle attività espletate dalla società, tra le quali anche l’interlocuzione diretta con i richiedenti l’indennizzo, inducono a ritenere che correttamente la stessa sia stata evocata in giudizio insieme al Ministero, al quale come sopra esposto va riferita la titolarità del rapporto, tenuto conto peraltro dell’incidenza dei vincoli conformativi suscettibili di scaturire dalla pronuncia giurisdizionale sulla società.

Va parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sua mancata notifica ad almeno un controinteressato, da individuare negli altri soggetti che hanno presentato istanza per ottenere l’erogazione dell’indennizzo attraverso una procedura che rivestirebbe carattere selettivo in considerazione della limitatezza degli stanziamenti destinati alla misura di sostegno in questione.

Si evidenzia, infatti, che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. ex multis, da ultimo, sez. III, sentenza n. 5052/2020), il controinteressato da evocare in giudizio è il soggetto indicato nell’atto che si impugna, ovverosia il soggetto, facilmente individuabile, portatore di un interesse – concreto ed attuale – giuridicamente qualificato alla conservazione dell’atto, e dunque interessato a difendere una situazione giuridica di vantaggio uguale e contraria rispetto a quella del ricorrente.

Si afferma altresì che non occorre che il controinteressato sia espressamente individuato nell’atto, essendo sufficiente che sia comunque facilmente individuabile con l’ordinaria diligenza (Cons. St., sez. V, sentenza n. 4503/2019).

Nella fattispecie non consta in atti che sia stata stilata una graduatoria delle istanze ammissibili, né emergono elementi che consentano di ritenere agevolmente individuabili eventuali controinteressati, dovendosi quindi escludere la sussistenza della dedotta causa di inammissibilità in applicazione dell’art. 41, comma 2, c.p.a.

Va infine respinta anche l’eccezione di incompetenza territoriale di questo TAR genericamente sollevata dal Ministero resistente, non essendo revocabile in dubbio la competenza di questo TAR Lazio in ragione del criterio ordinario di competenza della sede dell’Amministrazione centrale da cui promana l’atto impugnato (cfr. art. 13 c.p.a.).

Ciò premesso, il Collegio può dunque procedere all’esame del merito del ricorso.

In proposito, è anzitutto necessario ricostruire brevemente il quadro normativo che disciplina l’indennizzo de quo agitur.

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

La summenzionata legge n. 145 del 2018 ha anzitutto previsto la misura dell’indennizzo e la platea dei beneficiari dello stesso, nonché una sorta di “corsia procedurale preferenziale” in favore di quei risparmiatori che – oltre ad essere in possesso delle azioni od obbligazioni emesse dalle banche individuate dalla legge (id est quelle in liquidazione coatta amministrativa) – hanno un reddito ed un patrimonio inferiori a specifiche soglie economiche minime (cfr. art. 1, comma 502 bis, della legge n. 145 del 2018).

Questa prima categoria di risparmiatori (c.d. “forfettari”) può accedere all’indennizzo de quo soltanto perché in possesso dei summenzionati requisiti reddituali e patrimoniali.

Viceversa, i risparmiatori privi di tali requisiti (come ad esempio l’odierna parte ricorrente) sono gravati dell’onere di dimostrare le violazioni massive del TUF commesse dalla loro banca (così come accertate in sede penale), nonché il concreto nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio da loro subito.

Il legislatore ha poi delegato alla potestà regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione di molti altri aspetti del procedimento di assegnazione dell’indennizzo de quo, essendo stato previsto che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono definite le modalità di presentazione della domanda di indennizzo nonché i piani di riparto delle risorse disponibili. Con il medesimo decreto è istituita e disciplinata una Commissione tecnica per: l’esame delle domande e l’ammissione all’indennizzo del FIR; la verifica delle violazioni massive, nonché della sussistenza del nesso di causalità tra le medesime e il danno subito dai risparmiatori; l’erogazione dell’indennizzo da parte del FIR. Le suddette verifiche possono avvenire anche attraverso la preventiva tipizzazione delle violazioni massive e la corrispondente identificazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi in presenza dei quali l'indennizzo può essere direttamente erogato” (cfr. art. 1, comma 501, della legge n. 145 del 2018).

In attuazione di tale previsione legale è appunto intervenuto il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019, il cui art. 7, comma 1, prevede (sotto la rubrica “Commissione tecnica”) che “è istituita la Commissione tecnica prevista dall’art. 1, comma 501, legge 30 dicembre 2018, n. 145, competente per l’esame e l’ammissione delle domande di indennizzo del FIR”, alla quale è affidato anche il compito di stabilire i “criteri generali e linee guida per la tipizzazione delle violazioni massive, individuali o di portata generale, di natura contrattuale o extracontrattuale, e la corrispondente modulazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi nonché dei periodi temporali di riferimento in presenza dei quali, anche tenendo conto delle diverse tipologie di violazione in concreto prese in esame, sussistono il danno subito da ciascun istante e il nesso causale tra le suddette violazioni e tale danno”.

L’indennizzo de quo agitur trova la sua compiuta disciplina, pertanto, nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018, nonché nel Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019 e nelle Linee Guida adottate dalla Commissione Tecnica all’uopo istituita (con cui sono state tipizzate le violazioni massive del TUF in presenza delle quali può essere erogato l’indennizzo ai risparmiatori/investitori).

Ai fini di causa è importante evidenziare che l’indennizzo in parola è formalmente autonomo e distinto rispetto al precedente indennizzo previsto dagli artt. 8 e 9 del d.l. n. 59 del 2016.

Ciò in quanto diversi sono i fondi e gli stanziamenti a cui i due indennizzi attingono: il “nuovo” indennizzo ora in esame attinge infatti al Fondo Indennizzo Risparmiatori (nel prosieguo anche “FIR”) istituito dalla summenzionata legge n. 145 del 2018, mentre il “vecchio” indennizzo previsto dal d.l. n. 59 del 2016 attinge al Fondo di Solidarietà istituito dall’art. 1, comma 855, della legge n. 208 del 2015 (nel prosieguo anche il “Fondo di Solidarietà”, il quale è a sua volta alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 del TUF, giusta quanto previsto dall’art. 1, comma 856, della legge n. 208 del 2015).

Ciò premesso in linea generale, il presente ricorso appare fondato e va quindi accolto con riferimento alle prime due doglianze sintetizzate nella parte in fatto della presente sentenza, con cui parte ricorrente si duole del fatto che la motivazione dedotta a sostegno del diniego del “nuovo” indennizzo finanziato dal FIR ex legge n. 145 del 2018 (secondo la quale parte ricorrente ha già visto negarsi in passato il “vecchio” indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà ex DL n. 59 del 2016) è al contempo illegittima e argomentativamente carente.

Detta motivazione è infatti “condensata” – lo si ripete – nel mero rinvio al lodo arbitrale ANAC con cui era stata respinta la richiesta del “vecchio” indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo finanziato dal Fondo di solidarietà istituito con la legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Il Collegio rileva che detta motivazione provvedimentale può prestarsi in astratto a due diverse letture, e cioè in particolare:

(i) una prima lettura secondo cui il lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC – seppur riferito all’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà (e cioè a un indennizzo formalmente diverso rispetto a quello finanziato dal FIR che viene ora negato con il provvedimento impugnato) – è ex se ostativa all’erogazione dell’indennizzo del FIR;

(ii) una seconda lettura secondo cui il lodo arbitrale con cui l’ANAC ha respinto la richiesta dell’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà è stato un elemento istruttorio che – in concorso con altri elementi e all’esito di una specifica istruttoria procedimentale – ha condotto l’Amministrazione a respingere la richiesta dell’indennizzo finanziato dal FIR.

Se il provvedimento impugnato intendesse dire ciò che emerge dalla prima delle due letture testè prospettate, non è revocabile in dubbio che esso sarebbe sicuramente illegittimo, non trovando tale lettura conforto in alcun referente né legislativo né regolamentare.

Sono tuttavia le stesse parti resistenti ad escludere, con le loro stesse difese, che il significato dell’atto impugnato sia quello riconducibile alla prima lettura menzionata.

Il che trova conferma anche in alcune deliberazioni della Commissione Tecnica ritualmente depositate in atti.

Si veda, a titolo meramente esemplificativo, il verbale del 23 febbraio 2022 con cui la Commissione Tecnica conclude che “la rilevanza da attribuire ai lodi Anac, così come a quelli AFC, sia quella di elemento di valutazione utile ai fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF”.

Ad ulteriore conferma di quanto precede, giova rammentare che la Commissione Tecnica si è espressa nel senso di: (i) riconoscere la “rilevanza (…) di precedenti decisioni relative ai medesimi istanti e agli stessi strumenti finanziari per i quali si chiede l’indennizzo del Fondo” e istruire l’istanza “tenendo conto di quanto accertato da eventuali sentenze giudiziarie e/o lodi arbitrali resi dal FITD o dall’ACF” (cfr. determina del 30 gennaio 2020); (ii) valutare le decisioni di merito “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito” (cfr. determina del 21 maggio 2020); (iii) attribuire ai lodi ANAC e/o ACF la rilevanza di “elemento di valutazione utile a fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF (…). In ogni caso sono fatti salvi gli ulteriori approfondimenti e le diverse valutazioni della Commissione rispetto (…) ai singoli casi di specie” (cfr. determina del 23 febbraio 2022).

Va da sé che l’unico significato astrattamente ammissibile e legittimo della motivazione contenuta nell’atto reiettivo impugnato è quello per cui il lodo arbitrale ANAC è stato soltanto un “pezzo del mosaico” su cui l’Amministrazione ha fatto leva per respingere l’istanza avente ad oggetto l’indennizzo finanziato dal FIR.

Ciò, del resto, in piena coerenza con l’art. 7, comma 1, lettera C, del DM del 10 maggio 2019, a rigore del quale la Commissione Tecnica “verifica la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 3 nonché delle violazioni massive del T.U.F. che hanno causato un pregiudizio ingiusto agli aventi diritto da parte di banche in liquidazione ai risparmiatori e, per conseguenza, agli altri eventuali aventi diritto, anche acquisendo d’ufficio apposita documentazione bancaria o amministrativa o giudiziale, tra cui sentenze di giudizi penali o civili, pronunce emesse da arbitrati promossi dalle parti, tra i quali l’arbitrato bancario e finanziario della Banca d’Italia, l’arbitrato per le controversie finanziarie della Consob, provvedimenti sanzionatori o atti ispettivi della Banca d’Italia o della Consob, documenti ricognitivi dei commissari delle liquidazioni coatte amministrative, documenti acquisiti dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario» prodotti dai soggetti intervenuti, documentazione bancaria sulla profilatura e informativa della clientela e sui contratti di acquisto”.

Se dunque il lodo arbitrale ANAC di reiezione della domanda di indennizzo del Fondo di Solidarietà è soltanto un “elemento di valutazione” da soppesare in concorso con altri elementi (e non già un fattore da solo ostativo ed escludente) il Collegio non può non rilevare il deficit di motivazione ed istruttoria che affligge il provvedimento impugnato, atteso che:

(a) detto provvedimento non contiene la benché minima enunciazione delle ragioni per cui il percorso logico-argomentativo contenuto nel lodo arbitrale negativo dell’ANAC – quantunque riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – dispieghi una sua concreta rilevanza anche nel procedimento amministrativo di rigetto della domanda di indennizzo del FIR. Né tale enunciazione può ricavarsi indirettamente dai chiarimenti aggiuntivi forniti soltanto nell’odierno giudizio dalle Amministrazioni resistenti, chiarimenti che il Collegio non può ovviamente valorizzare se non a pena di violazione del divieto di integrazione postuma giudiziale della motivazione provvedimentale originariamente carente;

(b) non v’è in atti alcuna evidenza dell’istruttoria che ha spinto l’Amministrazione a respingere l’istanza di parte ricorrente, risultando quindi palese che non v’è stata – né in seno alla fase istruttoria del procedimento amministrativo né nel corpo motivazionale del provvedimento finale – alcuna ponderazione e comparazione delle risultanze del lodo arbitrale ANAC rispetto ad altri concorrenti elementi istruttori. E se è pur vero che Consap aveva richiesto alla ricorrente l’invio di ulteriore documentazione comprovante l’esistenza delle violazioni massive del TUF, è però anche vero che non c’è alcuna prova di come Consap abbia valutato tale documentazione.

Ciò che emerge, pertanto, è che il lodo arbitrale negativo dell’ANAC – lodo riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – sia stato acriticamente e passivamente recepito come unico motivo ostativo all’erogazione dell’indennizzo del FIR.

Orbene, se da un lato è vero che la motivazione del provvedimento amministrativo ben può consistere in un rinvio per relationem ad un altro atto endo-procedimentale già noto (o comunque già reso accessibile) al privato istante, dall’altro lato è anche vero, però, che tale consolidato principio si basa sull’implicito presupposto che l’atto endo-procedimentale evocato sia afferente allo stesso identico procedimento a cui afferisce il provvedimento finale.

Presupposto che pacificamente non ricorre nel caso di specie.

In senso analogo deve dirsi rispetto all’eccezione di parte resistente incentrata sull’asserita autorità di cosa giudicata del lodo negativo ANAC a cui fa rinvio l’atto impugnato.

È evidente, infatti, che l’inerenza di tale lodo arbitrale ad un diverso procedimento amministrativo (e a un diverso indennizzo) impedisce allo stesso di acquisire qualsiasi crisma di intangibilità nel caso de quo.

A ciò si aggiunta che nessuna delle norme contenute nella legge n. 145 del 2018 e nel DM applicativo del 2019, prevede che il pregresso diniego da parte dell’ANAC dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà osti al riconoscimento dell’indennizzo del FIR, sicchè la censurata motivazione appare affetta – oltre che da una intrinseca insufficienza esplicativa – anche da una violazione di legge.

La concreta rilevanza del suesposto deficit motivazionale dell’atto impugnato risulta vieppiù confermata dalla parziale discrepanza tra due specifici ed “omologhi” indicatori di violazioni massive del TUF rispettivamente contenuti:

- da un lato nelle Linee Guida ANAC, per ciò che concerne l’indennizzo del Fondo di Solidarietà;

- dall’altro lato nell’art. 7 del DM del 10 maggio 2019, per ciò che concerne l’indennizzo del FIR oggetto di causa;

Le Linee Guida ANAC stabiliscono, con riferimento all’indennizzo del Fondo di Solidarietà, che “ai fini dell’accertamento, nell’ambito del procedimento arbitrale di cui al D.M. 9 maggio 2017, n. 83, delle violazioni degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento degli strumenti finanziari subordinati nonché per la determinazione arbitrale della prestazione, possono considerarsi elementi di valutazione rilevanti, tra gli altri … f) la concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie basse o medio basse, ovvero a categorie equivalenti; g) la concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie medie o medio alte, ovvero a categorie equivalenti”.

In base alle Linee Guida ANAC, pertanto, un elemento di valutazione di una possibile violazione massiva del TUF consiste:

- nella concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie basse o medio basse);

- nella concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie medie o medio alte).

Ciò che va valutato in base alle Linee Guida ANAC ai fini del riconoscimento dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà, pertanto, è il rapporto tra strumenti finanziari subordinati e patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore (rapporto che può dar luogo ad una violazione massiva del TUF soltanto se supera la soglia del 25% o 50%, a seconda del profilo dell’investitore).

Se si passa invece ad esaminare l’omologo “indicatore” di violazioni massive del TUF previsto dall’art. 7 del DM del 10 maggio 2019 in relazione al diverso indennizzo del FIR, appare evidente che detto indicatore non sia esattamente sovrapponibile al summenzionato criterio previsto dalle Linee Guida dell’ANAC, essendo declinato nel seguente modo: “la carente informazione o profilatura della clientela, ad esempio tramite l’assegnazione ai clienti di un grado di rischio e di un orizzonte temporale di investimento incongruo rispetto all'età ovvero alla composizione del loro patrimonio immobiliare o mobiliare, in particolare qualora quest'ultimo risulti concentrato in misura pari o superiore al 50% in strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca o del gruppo bancario, ovvero in misura pari o superiore al 30% nel caso di prestazione del servizio di gestione di portafogli da parte della banca emittente o di società del gruppo”.

Ciò che va quindi valutato ai fini dell’indennizzo del FIR in base all’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 e alle Linee Guida all’uopo adottate dalla Segreteria Tecnica, è invece il rapporto tra tutti gli strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca (quindi non soltanto quelli subordinati) e l’intero patrimonio immobiliare o mobiliare del risparmiatore.

Va da sé che in astratto lo stesso investitore di profilo medio o medio-alto potrebbe allo stesso tempo:

(i) non superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida ANAC (ai fini dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà), posto che tale soglia si riferisce ai soli strumenti finanziari subordinati;

(ii) superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica e dall’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 (ai fini dell’indennizzo del FIR), posto che tale soglia si riferisce a tutti gli strumenti finanziari sia subordinati che non.

Il che conferma che non c’è una piena ed integrale sovrapponibilità delle fattispecie di violazioni massive del TUF rispettivamente previste dalle Linee Guida ANAC (per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà) e dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica (per l’indennizzo del FIR).

Quanto precede rende ancor più rilevante il deficit istruttorio e motivazionale che affligge il provvedimento impugnato (deficit comunque già da solo sufficiente ai fini dell’annullamento dell’atto) atteso che gli accertamenti istruttori da compiersi in base al DM del 10 maggio del 2019 per l’indennizzo del FIR non coincidono sempre e comunque con quelli già compiuti dall’ANAC in base alle proprie Linee Guida per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà.

Né può invocarsi alcuna dequotazione formale del rilevato vizio di motivazione in forza del meccanismo di sanatoria processuale previsto dall’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, posto che la motivazione del provvedimento amministrativo discrezionale - come il Consiglio di Stato afferma secondo un orientamento ora recepito anche dal Giudice delle Leggi nelle ordinanze del 26 maggio 2015, n. 92, e del 17 marzo 2017, n. 58 - costituisce il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (cfr. quam multis Consiglio di Stato n. 7883 del 10 dicembre 2020 e Consiglio di Stato, sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629).

L’accoglimento delle due censure con cui si lamenta da un lato l’insufficienza motivazionale e dall’altro lato l’illegittimità dell’atto impugnato, conduce pertanto all’annullamento di quest’ultimo, annullamento che – in quanto ricadente su un atto lesivo di un interesse legittimo pretensivo connotato da discrezionalità tecnica – prelude ad un’inevitabile riedizione del potere.

Proprio la necessità di tale riedizione del potere (e dei margini di discrezionalità ad esso sottesi) impedisce al Collegio di scrutinare la doglianza con cui parte ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia valutato – in sede di delibazione della richiesta di erogazione dell’indennizzo del FIR – le carenze informative di cui si era resa originariamente responsabile la banca insolvente al momento degli investimenti contestati.

Ed infatti, qualsiasi valutazione resa dal Collegio in questa sede sulla sussistenza o meno di dette carenze informative finirebbe sostanzialmente per anticipare un accertamento che ancora non è stato effettuato dall’Amministrazione nel caso de quo e, quindi, per violare il divieto di esercizio di poteri amministrativi ancora non esercitati (cfr. art. 34, comma 2, c.p.a.).

Le doglianze sollevate sul punto dalla parte ricorrente sono pertanto inammissibili.

Inammissibile è anche la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere una condanna dell’Amministrazione al rilascio di un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo del FIR (o in subordine al pagamento di un risarcimento pari a tale indennizzo), atteso che pure tale domanda – laddove delibata nel merito – condurrebbe il Collegio a pronunziarsi rispetto a poteri amministrativi ancora non esercitati in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Non vi sono quindi i presupposti per adottare né una condanna ad emettere uno specifico provvedimento, né una condanna al risarcimento del danno, impossibile essendo la prognosi sulla spettanza del bene della vita.

Ciò chiarito, il Collegio rileva infine che l’accoglimento dell’azione annullatoria per difetto di motivazione e istruttoria determina l’assorbimento delle residue censure con cui parte ricorrente si è doluta di una presunta disparità di trattamento introdotta dall’atto impugnato.

Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e, per l’effetto, il provvedimento impugnato va annullato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini sopra indicati, fatto salvo il potere dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza della parte ricorrente.

Restano assorbiti i residui motivi di impugnazione, mentre va dichiarata invece inammissibile la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere l’indennizzo finanziato dal FIR, domanda che si infrange sul rilievo ostativo dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, avuto riguardo alla natura seriale del contenzioso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie la domanda di annullamento dell’atto impugnato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini indicati in parte motiva.

Dichiara inammissibile la domanda di accertamento del diritto ad ottenere un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo per cui è causa (o un risarcimento commisurato a tale indennizzo).

Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Consap, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente in misura complessivamente pari ad € 800,00 (ottocento/00) oltre oneri accessori come per legge e rimborso del contributo unificato (ove versato).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:

Eleonora Monica, Presidente FF

Giovanna Vigliotti, Referendario

Michele Tecchia, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Michele Tecchia Eleonora Monica





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati
 
Pubblicato il 21/03/2023
N. 04946/2023 REG.PROV.COLL.

N. 10763/2022 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10763 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla signora -OMISSIS- -OMISSIS- -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli Avvocati Carlo Canafoglia e Prof. Salvatore Menditto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze (e presso di esso la Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Consap S.p.A. (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gianluca Brancadoro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento

PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO

- degli atti, delle operazioni concernenti e dei provvedimenti relativi al procedimento di valutazione delle domande/istanze di indennizzo inoltrate dalla ricorrente alla CONSAP s.p.a. in relazione alle obbligazioni subordinate Banca delle Marche s.p.a. acquistate dalla stessa, affidate ex lege alla valutazione della Commissione Tecnica istituita presso il MEF;

IN PARTICOLARE, E COMUNQUE NEI TERMINI INDICATI NEL RICORSO

- del provvedimento reso dalla Commissione Tecnica, invero non conosciuto né trasmesso, ed appreso solo in quanto comunicato da CONSAP s.p.a., Unità di Business 3-Servizi Finanziari, Servizio Fondo Indennizzo Risparmiatori, mediante invio di pec al legale e domiciliatario indicato nelle domande, Avv. Carlo Canafoglia, in data 14.06.2022, con il quale la predetta domanda/istanza di indennizzo è stata integralmente rigettata;

IN OGNI CASO

- di tutti gli altri atti e/o provvedimenti, precedenti, successivi, connessi ed anche istruttori rispetto a quelli impugnati, ancorché non conosciuti, ove comunque funzionali e/o finalizzati all’istruttoria procedimentale ed alla successiva adozione del provvedimento di diniego e rigetto delle domande avanzate dalla ricorrente;

CON ESPRESSA E RITUALE RICHIESTA DI ACCERTAMENTO

- del diritto in capo alla ricorrente di ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge ed espressamente richiesto nelle domande/istanze inviate alla CONSAP s.p.a., nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso;

- del corrispondente obbligo in capo alle Amministrazioni resistenti di riconoscere e di corrispondere il predetto ulteriore indennizzo richiesto dalla ricorrente, nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso, e, in subordine, di risarcire il danno patito dalla stessa, nella misura del medesimo importo del contributo richiesto e non concesso; in ogni caso, oltre interessi e rivalutazione monetaria, come per Legge;

E, ANCORA, CON ESPRESSA E RITUALE RISERVA

- di reclamare, nel giudizio incardinato con l’odierno ricorso e/o in uno successivo, il risarcimento del danno ulteriore inferto alla ricorrente a fronte del complessivo modus operandi delle Amministrazioni resistenti.

PER QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI

- per l’annullamento degli stessi atti impugnati con il ricorso introduttivo;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Consap S.p.A.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente ricorso, parte ricorrente – già titolare di obbligazioni subordinate emesse dalla ex Banca delle Marche s.p.a. – impugna l’atto in epigrafe con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, anche semplicemente “MEF”) ha respinto la domanda di accesso alle prestazioni del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), dalla stessa parte ricorrente avanzata ai sensi della l. n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss. (recante la procedura speciale per l’indennizzo degli investitori di alcune banche finite in “default”, tra cui, per quel che qui rileva, detto istituto bancario).

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

Il motivo su cui poggia il provvedimento di diniego risiede nel fatto che parte ricorrente si è già vista respingere con lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC la domanda presentata per l’analogo (ma formalmente diverso) indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo corrisposto dal Fondo di solidarietà di cui al decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Parte ricorrente insta non soltanto per l’annullamento dell’atto reiettivo impugnato, ma anche per l’accertamento del diritto (e la conseguente condanna) al pagamento dell’indennizzo previsto dalla legge n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss.

Il ricorso è affidato a due motivi di gravame, ciascuno dei quali a sua volta comprensivo di plurime e multiformi censure.

In estrema sintesi, le molteplici doglianze sollevate dalla parte ricorrente si possono compendiare nei termini che seguono:

(i) illegittimità dell’atto reiettivo impugnato per aver frapposto una causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo ex legge n. 145 del 2018 (e cioè il fatto che parte ricorrente avesse infruttuosamente incardinato in passato una procedura arbitrale innanzi all’ANAC per l’analogo indennizzo previsto dal decreto legge n. 59 del 2016) causa ostativa che non sarebbe in tesi affatto prevista dalla legge n. 145 del 2018 regolante l’indennizzo de quo;

(ii) eccesso di potere e difetto di motivazione dell’atto impugnato per aver invocato una motivazione reiettiva palesemente insufficiente e lacunosa, atteso che “la normativa a fondamento del fondo F.I.R, gestito da CONSAP e dalla Commissione tecnica per i ristori degli obbligazionisti subordinati delle Banche poste in liquidazione” (e cioè la legge n. 145 del 2018 e i relativi atti attuativi, nel cui campo di applicazione rientra l’atto de quo) “è differente da quella a corredo dei rimborsi elargiti dal F.I.T.D, a seguito di procedura arbitrale A.N.A.C.” (e cioè dalla normativa in base alla quale l’ANAC aveva respinto la richiesta dell’analogo indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016), sicchè il mero rinvio al lodo ANAC – privo di ulteriori specificazioni motivazionali – integrerebbe i presupposti di una motivazione acritica e apodittica. E ciò a maggior ragione ove si consideri che le discipline di riferimento dei due indennizzi in questione (da un lato quella regolante il “vecchio” indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016, e dall’altro lato quella regolante il “nuovo” indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 di cui si controverte oggi) non sono esattamente sovrapponibili tra loro;

(iii) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere lo stesso introdotto un’ingiustificata e arbitraria disparità di trattamento tra gli obbligazionisti che come la ricorrente avevano visto in passato negarsi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo ex D.L. n. 59 del 2016 (ai quali è stato ora negato anche il “nuovo” indennizzo ex legge n. 145 del 2018) e gli obbligazionisti che invece avevano visto riconoscersi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo, oppure che addirittura non lo avevano neppure richiesto. È stato in particolare lamentato che “la valutazione operata dall’organo preposto si appalesa anche del tutto illogica, e quindi ancora più ingiusta ed iniqua, considerato che andrebbe a premiare gli obbligazionisti “dormienti”, cioè quelli che non si erano attivati prima (con gli strumenti introdotti dalla L. n. 208/2015) o che, per difetto di requisiti, non avevano potuto farlo, rispetto a quelli “vigili”, cioè quelli che avevano diligentemente e tempestivamente curato i propri interessi, ricorrendo – appunto – all’arbitrato presso l’ANAC, anche se con esito negativo”;

(iv) eccesso di potere dell’atto impugnato per avere quest’ultimo disatteso l’“autovincolo” che l’Amministrazione si era data non soltanto con le c.d. Linee Guida approvate in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. d), primo paragrafo, D.M. 10/05/2019 (le quali trattano della tipizzazione delle c.d. “violazione massive”, ma che nulla dicono rispetto all’ulteriore requisito della pregressa reiezione da parte dell’ANAC del “vecchio” indennizzo ex DL n. 59 del 2016) ma anche con la Determinazione della Commissione tecnica del 13 gennaio 2022, mediante la quale si sarebbe stabilita una presunzione assoluta di spettanza del nuovo indennizzo ove la violazione massiva del TUF fosse avvenuta in un dato “arco temporale”.

(v) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere esso completamente omesso di valutare l’asserita inadeguatezza dei presidi informativi predisposti dall’istituto bancario nei confronti di parte ricorrente, nel momento in cui quest’ultima aveva effettuato gli investimenti obbligazionari da cui è scaturito il danno per il quale è stato poi richiesto l’indennizzo negato con l’atto ora impugnato. Tale inadeguatezza di presidi informativi (e anche di strumenti di profilatura della propensione al rischio di parte ricorrente) deporrebbe nel senso dell’illegittimità dell’atto con cui è stato negato l’indennizzo de quo agitur;

(vi) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere l’Amministrazione introdotto un’ulteriore ingiustificata disparità di trattamento tra gli obbligazionisti subordinati di Banca Marche come la ricorrente (rispetto ai quali il nuovo indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 è stato aprioristicamente negato per il semplice fatto che essi si erano visti negare dall’ANAC il vecchio indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016) e azionisti di Banca Marche a cui invece il nuovo indennizzo sarebbe stato riconosciuto nonostante l’esito negativo del lodo arbitrale ANAC in relazione al “vecchio” indennizzo.

Il MEF e CONSAP si sono ritualmente costituiti in giudizio instando per la reiezione del gravame, di cui è stata eccepita l’inammissibilità sotto plurimi profili e anche l’infondatezza nel merito.

Con successivi motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati, parte ricorrente esponeva di essere poi venuta a conoscenza – nelle more del presente giudizio e per effetto di un deposito effettuato dalle resistenti in un giudizio analogo rispetto a quello odierno – di una delibera assunta da Consap in data 23 febbraio 2022, con cui la stessa Consap avrebbe disposto che qualora l’obbligazionista si fosse preventivamente rivolto all’ANAC per ottenere il rimborso del “vecchio” indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016, lo stesso obbligazionista conservava comunque il diritto di “accedere al FIR” (e cioè al fondo indennizzo risparmiatori previsto dalla legge n. 145 del 2018, oggetto dell’odierna controversia). Detta delibera Consap del 23 febbraio 2022 stabiliva, inoltre, che se l’obbligazionista si fosse rivolto preventivamente all’ANAC “non ottenendo alcun indennizzo per il rigetto della domanda per motivi di merito” (oppure soltanto una parte di tale indennizzo), “la Commissione valuterà i lodi “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito”.

Con gli odierni motivi aggiunti, pertanto, parte ricorrente – facendo perno proprio sulla summenzionata delibera Consap del 23 febbraio 2022 – censurava nuovamente il provvedimento di reiezione dell’istanza di indennizzo ex legge n. 145 del 2018, in quanto detto provvedimento si è erroneamente limitato a prendere atto (in senso ostativo) del lodo arbitrale ANAC, senza invece utilizzarlo quale “fonte di accertamento” concorrente con altri elementi istruttori; elementi istruttori che non sono stati minimamente soppesati e valutati nell’ambito dell’impianto motivazionale dell’atto gravato.

Seguiva il deposito dei documenti e delle memorie conclusionali e di replica ex art. 73, comma 1, c.p.a.

All’udienza pubblica del 8 marzo 2022, pertanto, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis, il Collegio ritiene di dover respingere le eccezioni di rito sollevate dalle Amministrazioni resistenti, e ciò sulla scorta dell’orientamento già espresso in una causa analoga dal Consiglio di Stato (Sezione VII) con la recente sentenza n. 664 del 19 gennaio 2023, a cui il Collegio presta adesione.

Per quel che concerne, infatti, l’eccepito difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, l’esame della questione relativa al riparto di giurisdizione impone di valutare il petitum sostanziale, ossia l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo (v. ex plurimis, Cass. Sez. Un., 31 gennaio 2005, n. 6743; Cass. Sez. Un., 28 giugno2006, n. 14846).

In particolare, secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria 29 gennaio 2014, n. 6, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche (fattispecie assimilabili a quella in esame, almeno ai fini di giurisdizione) deve essere attuato (non configurandosi alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; inoltre, è configurabile una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse.

Il petitum sostanziale della presente controversia, chiaramente emergente dall’atto introduttivo del giudizio, attiene alla pretesa di parte ricorrente di ottenere una valutazione circa la spettanza dell’indennizzo previsto dalla l. n. 145 del 2018, sulla base della procedura ordinaria e, dunque, dell’accertamento, da parte della commissione tecnica prevista dalla disciplina di riferimento, della sussistenza di reiterate violazioni del TUF (decreto legislativo n. 58 del 1998) da parte dell’istituto bancario e del nesso causale tra le stesse ed il pregiudizio da lei subito.

Dunque, la situazione giuridica soggettiva ascrivibile all’odierna parte ricorrente deve essere qualificata in termini di interesse legittimo pretensivo, assumendo ai fini in esame rilievo il contenuto delle censure formulate con il ricorso, segnatamente riferite alla dedotta sussistenza di un obbligo dell’Amministrazione di valutare nel merito le violazioni massive del TUF commesse dall’istituto bancario e il nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio dell’investitore, insufficiente essendo il mero rinvio al lodo arbitrale con cui l’ANAC aveva respinto la richiesta di un diverso indennizzo.

Acclarata la piena sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo sulla causa de qua, va poi respinta l’eccezione con cui la società Consap, in house del Ministero dell’economia e delle finanze, ha dedotto la propria carenza di legittimazione passiva.

Va evidenziato, infatti, che se è vero che la titolarità del rapporto controverso fa capo alla Commissione tecnica, organo straordinario del Ministero, la Consap in conformità alle previsioni dell’art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018 (nonchè alla disciplina attuativa di cui al DM del 10 maggio 2019) svolge un’attività che non è limitata al mero supporto alla predetta Commissione, istituita ai sensi della citata disposizione, nell’espletamento dell’attività istruttoria e di acquisizione dei dati.

Come emerge, infatti, dall’art. 8, comma 5, del DM 10 maggio 2019, emanato in attuazione delle previsioni di cui all’art. 1, commi da 493 a 507, della l. n.145 del 2018, alla Consap non è demandata esclusivamente l’attività di segreteria, bensì anche un’attività di gestione che non si esaurisce nella predisposizione dei processi concernenti l’espletamento delle procedure, essendo la società incaricata, tra l’altro, dell’esecuzione delle delibere della Commissione tecnica.

Proprio il complesso delle attività espletate dalla società, tra le quali anche l’interlocuzione diretta con i richiedenti l’indennizzo, inducono a ritenere che correttamente la stessa sia stata evocata in giudizio insieme al Ministero, al quale come sopra esposto va riferita la titolarità del rapporto, tenuto conto peraltro dell’incidenza dei vincoli conformativi suscettibili di scaturire dalla pronuncia giurisdizionale sulla società.

Va parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sua mancata notifica ad almeno un controinteressato, da individuare negli altri soggetti che hanno presentato istanza per ottenere l’erogazione dell’indennizzo attraverso una procedura che rivestirebbe carattere selettivo in considerazione della limitatezza degli stanziamenti destinati alla misura di sostegno in questione.

Si evidenzia, infatti, che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. ex multis, da ultimo, sez. III, sentenza n. 5052/2020), il controinteressato da evocare in giudizio è il soggetto indicato nell’atto che si impugna, ovverosia il soggetto, facilmente individuabile, portatore di un interesse – concreto ed attuale – giuridicamente qualificato alla conservazione dell’atto, e dunque interessato a difendere una situazione giuridica di vantaggio uguale e contraria rispetto a quella del ricorrente.

Si afferma altresì che non occorre che il controinteressato sia espressamente individuato nell’atto, essendo sufficiente che sia comunque facilmente individuabile con l’ordinaria diligenza (Cons. St., sez. V, sentenza n. 4503/2019).

Nella fattispecie non consta in atti che sia stata stilata una graduatoria delle istanze ammissibili, né emergono elementi che consentano di ritenere agevolmente individuabili eventuali controinteressati, dovendosi quindi escludere la sussistenza della dedotta causa di inammissibilità in applicazione dell’art. 41, comma 2, c.p.a.

Va infine respinta anche l’eccezione di incompetenza territoriale di questo TAR genericamente sollevata dal Ministero resistente, non essendo revocabile in dubbio la competenza di questo TAR Lazio in ragione del criterio ordinario di competenza della sede dell’Amministrazione centrale da cui promana l’atto impugnato (cfr. art. 13 c.p.a.).

Ciò premesso, il Collegio può dunque procedere all’esame del merito del ricorso.

In proposito, è anzitutto necessario ricostruire brevemente il quadro normativo che disciplina l’indennizzo de quo agitur.

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

La summenzionata legge n. 145 del 2018 ha anzitutto previsto la misura dell’indennizzo e la platea dei beneficiari dello stesso, nonché una sorta di “corsia procedurale preferenziale” in favore di quei risparmiatori che – oltre ad essere in possesso delle azioni od obbligazioni emesse dalle banche individuate dalla legge (id est quelle in liquidazione coatta amministrativa) – hanno un reddito ed un patrimonio inferiori a specifiche soglie economiche minime (cfr. art. 1, comma 502 bis, della legge n. 145 del 2018).

Questa prima categoria di risparmiatori (c.d. “forfettari”) può accedere all’indennizzo de quo soltanto perché in possesso dei summenzionati requisiti reddituali e patrimoniali.

Viceversa, i risparmiatori privi di tali requisiti (come ad esempio l’odierna parte ricorrente) sono gravati dell’onere di dimostrare le violazioni massive del TUF commesse dalla loro banca (così come accertate in sede penale), nonché il concreto nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio da loro subito.

Il legislatore ha poi delegato alla potestà regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione di molti altri aspetti del procedimento di assegnazione dell’indennizzo de quo, essendo stato previsto che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono definite le modalità di presentazione della domanda di indennizzo nonché i piani di riparto delle risorse disponibili. Con il medesimo decreto è istituita e disciplinata una Commissione tecnica per: l’esame delle domande e l’ammissione all’indennizzo del FIR; la verifica delle violazioni massive, nonché della sussistenza del nesso di causalità tra le medesime e il danno subito dai risparmiatori; l’erogazione dell’indennizzo da parte del FIR. Le suddette verifiche possono avvenire anche attraverso la preventiva tipizzazione delle violazioni massive e la corrispondente identificazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi in presenza dei quali l'indennizzo può essere direttamente erogato” (cfr. art. 1, comma 501, della legge n. 145 del 2018).

In attuazione di tale previsione legale è appunto intervenuto il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019, il cui art. 7, comma 1, prevede (sotto la rubrica “Commissione tecnica”) che “è istituita la Commissione tecnica prevista dall’art. 1, comma 501, legge 30 dicembre 2018, n. 145, competente per l’esame e l’ammissione delle domande di indennizzo del FIR”, alla quale è affidato anche il compito di stabilire i “criteri generali e linee guida per la tipizzazione delle violazioni massive, individuali o di portata generale, di natura contrattuale o extracontrattuale, e la corrispondente modulazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi nonché dei periodi temporali di riferimento in presenza dei quali, anche tenendo conto delle diverse tipologie di violazione in concreto prese in esame, sussistono il danno subito da ciascun istante e il nesso causale tra le suddette violazioni e tale danno”.

L’indennizzo de quo agitur trova la sua compiuta disciplina, pertanto, nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018, nonché nel Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019 e nelle Linee Guida adottate dalla Commissione Tecnica all’uopo istituita (con cui sono state tipizzate le violazioni massive del TUF in presenza delle quali può essere erogato l’indennizzo ai risparmiatori/investitori).

Ai fini di causa è importante evidenziare che l’indennizzo in parola è formalmente autonomo e distinto rispetto al precedente indennizzo previsto dagli artt. 8 e 9 del d.l. n. 59 del 2016.

Ciò in quanto diversi sono i fondi e gli stanziamenti a cui i due indennizzi attingono: il “nuovo” indennizzo ora in esame attinge infatti al Fondo Indennizzo Risparmiatori (nel prosieguo anche “FIR”) istituito dalla summenzionata legge n. 145 del 2018, mentre il “vecchio” indennizzo previsto dal d.l. n. 59 del 2016 attinge al Fondo di Solidarietà istituito dall’art. 1, comma 855, della legge n. 208 del 2015 (nel prosieguo anche il “Fondo di Solidarietà”, il quale è a sua volta alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 del TUF, giusta quanto previsto dall’art. 1, comma 856, della legge n. 208 del 2015).

Ciò premesso in linea generale, il presente ricorso appare fondato e va quindi accolto con riferimento alle prime due doglianze sintetizzate nella parte in fatto della presente sentenza, con cui parte ricorrente si duole del fatto che la motivazione dedotta a sostegno del diniego del “nuovo” indennizzo finanziato dal FIR ex legge n. 145 del 2018 (secondo la quale parte ricorrente ha già visto negarsi in passato il “vecchio” indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà ex DL n. 59 del 2016) è al contempo illegittima e argomentativamente carente.

Detta motivazione è infatti “condensata” – lo si ripete – nel mero rinvio al lodo arbitrale ANAC con cui era stata respinta la richiesta del “vecchio” indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo finanziato dal Fondo di solidarietà istituito con la legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Il Collegio rileva che detta motivazione provvedimentale può prestarsi in astratto a due diverse letture, e cioè in particolare:

(i) una prima lettura secondo cui il lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC – seppur riferito all’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà (e cioè a un indennizzo formalmente diverso rispetto a quello finanziato dal FIR che viene ora negato con il provvedimento impugnato) – è ex se ostativa all’erogazione dell’indennizzo del FIR;

(ii) una seconda lettura secondo cui il lodo arbitrale con cui l’ANAC ha respinto la richiesta dell’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà è stato un elemento istruttorio che – in concorso con altri elementi e all’esito di una specifica istruttoria procedimentale – ha condotto l’Amministrazione a respingere la richiesta dell’indennizzo finanziato dal FIR.

Se il provvedimento impugnato intendesse dire ciò che emerge dalla prima delle due letture testè prospettate, non è revocabile in dubbio che esso sarebbe sicuramente illegittimo, non trovando tale lettura conforto in alcun referente né legislativo né regolamentare.

Sono tuttavia le stesse parti resistenti ad escludere, con le loro stesse difese, che il significato dell’atto impugnato sia quello riconducibile alla prima lettura menzionata.

Il che trova conferma anche in alcune deliberazioni della Commissione Tecnica ritualmente depositate in atti.

Si veda, a titolo meramente esemplificativo, il verbale del 23 febbraio 2022 con cui la Commissione Tecnica conclude che “la rilevanza da attribuire ai lodi Anac, così come a quelli AFC, sia quella di elemento di valutazione utile ai fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF”.

Ad ulteriore conferma di quanto precede, giova rammentare che la Commissione Tecnica si è espressa nel senso di: (i) riconoscere la “rilevanza (…) di precedenti decisioni relative ai medesimi istanti e agli stessi strumenti finanziari per i quali si chiede l’indennizzo del Fondo” e istruire l’istanza “tenendo conto di quanto accertato da eventuali sentenze giudiziarie e/o lodi arbitrali resi dal FITD o dall’ACF” (cfr. determina del 30 gennaio 2020); (ii) valutare le decisioni di merito “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito” (cfr. determina del 21 maggio 2020); (iii) attribuire ai lodi ANAC e/o ACF la rilevanza di “elemento di valutazione utile a fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF (…). In ogni caso sono fatti salvi gli ulteriori approfondimenti e le diverse valutazioni della Commissione rispetto (…) ai singoli casi di specie” (cfr. determina del 23 febbraio 2022).

Va da sé che l’unico significato astrattamente ammissibile e legittimo della motivazione contenuta nell’atto reiettivo impugnato è quello per cui il lodo arbitrale ANAC è stato soltanto un “pezzo del mosaico” su cui l’Amministrazione ha fatto leva per respingere l’istanza avente ad oggetto l’indennizzo finanziato dal FIR.

Ciò, del resto, in piena coerenza con l’art. 7, comma 1, lettera C, del DM del 10 maggio 2019, a rigore del quale la Commissione Tecnica “verifica la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 3 nonché delle violazioni massive del T.U.F. che hanno causato un pregiudizio ingiusto agli aventi diritto da parte di banche in liquidazione ai risparmiatori e, per conseguenza, agli altri eventuali aventi diritto, anche acquisendo d’ufficio apposita documentazione bancaria o amministrativa o giudiziale, tra cui sentenze di giudizi penali o civili, pronunce emesse da arbitrati promossi dalle parti, tra i quali l’arbitrato bancario e finanziario della Banca d’Italia, l’arbitrato per le controversie finanziarie della Consob, provvedimenti sanzionatori o atti ispettivi della Banca d’Italia o della Consob, documenti ricognitivi dei commissari delle liquidazioni coatte amministrative, documenti acquisiti dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario» prodotti dai soggetti intervenuti, documentazione bancaria sulla profilatura e informativa della clientela e sui contratti di acquisto”.

Se dunque il lodo arbitrale ANAC di reiezione della domanda di indennizzo del Fondo di Solidarietà è soltanto un “elemento di valutazione” da soppesare in concorso con altri elementi (e non già un fattore da solo ostativo ed escludente) il Collegio non può non rilevare il deficit di motivazione ed istruttoria che affligge il provvedimento impugnato, atteso che:

(a) detto provvedimento non contiene la benché minima enunciazione delle ragioni per cui il percorso logico-argomentativo contenuto nel lodo arbitrale negativo dell’ANAC – quantunque riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – dispieghi una sua concreta rilevanza anche nel procedimento amministrativo di rigetto della domanda di indennizzo del FIR. Né tale enunciazione può ricavarsi indirettamente dai chiarimenti aggiuntivi forniti soltanto nell’odierno giudizio dalle Amministrazioni resistenti, chiarimenti che il Collegio non può ovviamente valorizzare se non a pena di violazione del divieto di integrazione postuma giudiziale della motivazione provvedimentale originariamente carente;

(b) non v’è in atti alcuna evidenza dell’istruttoria che ha spinto l’Amministrazione a respingere l’istanza di parte ricorrente, risultando quindi palese che non v’è stata – né in seno alla fase istruttoria del procedimento amministrativo né nel corpo motivazionale del provvedimento finale – alcuna ponderazione e comparazione delle risultanze del lodo arbitrale ANAC rispetto ad altri concorrenti elementi istruttori. E se è pur vero che Consap aveva richiesto alla ricorrente l’invio di ulteriore documentazione comprovante l’esistenza delle violazioni massive del TUF, è però anche vero che non c’è alcuna prova di come Consap abbia valutato tale documentazione.

Ciò che emerge, pertanto, è che il lodo arbitrale negativo dell’ANAC – lodo riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – sia stato acriticamente e passivamente recepito come unico motivo ostativo all’erogazione dell’indennizzo del FIR.

Orbene, se da un lato è vero che la motivazione del provvedimento amministrativo ben può consistere in un rinvio per relationem ad un altro atto endo-procedimentale già noto (o comunque già reso accessibile) al privato istante, dall’altro lato è anche vero, però, che tale consolidato principio si basa sull’implicito presupposto che l’atto endo-procedimentale evocato sia afferente allo stesso identico procedimento a cui afferisce il provvedimento finale.

Presupposto che pacificamente non ricorre nel caso di specie.

In senso analogo deve dirsi rispetto all’eccezione di parte resistente incentrata sull’asserita autorità di cosa giudicata del lodo negativo ANAC a cui fa rinvio l’atto impugnato.

È evidente, infatti, che l’inerenza di tale lodo arbitrale ad un diverso procedimento amministrativo (e a un diverso indennizzo) impedisce allo stesso di acquisire qualsiasi crisma di intangibilità nel caso de quo.

A ciò si aggiunta che nessuna delle norme contenute nella legge n. 145 del 2018 e nel DM applicativo del 2019, prevede che il pregresso diniego da parte dell’ANAC dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà osti al riconoscimento dell’indennizzo del FIR, sicchè la censurata motivazione appare affetta – oltre che da una intrinseca insufficienza esplicativa – anche da una violazione di legge.

La concreta rilevanza del suesposto deficit motivazionale dell’atto impugnato risulta vieppiù confermata dalla parziale discrepanza tra due specifici ed “omologhi” indicatori di violazioni massive del TUF rispettivamente contenuti:

- da un lato nelle Linee Guida ANAC, per ciò che concerne l’indennizzo del Fondo di Solidarietà;

- dall’altro lato nell’art. 7 del DM del 10 maggio 2019, per ciò che concerne l’indennizzo del FIR oggetto di causa;

Le Linee Guida ANAC stabiliscono, con riferimento all’indennizzo del Fondo di Solidarietà, che “ai fini dell’accertamento, nell’ambito del procedimento arbitrale di cui al D.M. 9 maggio 2017, n. 83, delle violazioni degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento degli strumenti finanziari subordinati nonché per la determinazione arbitrale della prestazione, possono considerarsi elementi di valutazione rilevanti, tra gli altri … f) la concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie basse o medio basse, ovvero a categorie equivalenti; g) la concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie medie o medio alte, ovvero a categorie equivalenti”.

In base alle Linee Guida ANAC, pertanto, un elemento di valutazione di una possibile violazione massiva del TUF consiste:

- nella concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie basse o medio basse);

- nella concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie medie o medio alte).

Ciò che va valutato in base alle Linee Guida ANAC ai fini del riconoscimento dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà, pertanto, è il rapporto tra strumenti finanziari subordinati e patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore (rapporto che può dar luogo ad una violazione massiva del TUF soltanto se supera la soglia del 25% o 50%, a seconda del profilo dell’investitore).

Se si passa invece ad esaminare l’omologo “indicatore” di violazioni massive del TUF previsto dall’art. 7 del DM del 10 maggio 2019 in relazione al diverso indennizzo del FIR, appare evidente che detto indicatore non sia esattamente sovrapponibile al summenzionato criterio previsto dalle Linee Guida dell’ANAC, essendo declinato nel seguente modo: “la carente informazione o profilatura della clientela, ad esempio tramite l’assegnazione ai clienti di un grado di rischio e di un orizzonte temporale di investimento incongruo rispetto all'età ovvero alla composizione del loro patrimonio immobiliare o mobiliare, in particolare qualora quest'ultimo risulti concentrato in misura pari o superiore al 50% in strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca o del gruppo bancario, ovvero in misura pari o superiore al 30% nel caso di prestazione del servizio di gestione di portafogli da parte della banca emittente o di società del gruppo”.

Ciò che va quindi valutato ai fini dell’indennizzo del FIR in base all’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 e alle Linee Guida all’uopo adottate dalla Segreteria Tecnica, è invece il rapporto tra tutti gli strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca (quindi non soltanto quelli subordinati) e l’intero patrimonio immobiliare o mobiliare del risparmiatore.

Va da sé che in astratto lo stesso investitore di profilo medio o medio-alto potrebbe allo stesso tempo:

(i) non superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida ANAC (ai fini dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà), posto che tale soglia si riferisce ai soli strumenti finanziari subordinati;

(ii) superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica e dall’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 (ai fini dell’indennizzo del FIR), posto che tale soglia si riferisce a tutti gli strumenti finanziari sia subordinati che non.

Il che conferma che non c’è una piena ed integrale sovrapponibilità delle fattispecie di violazioni massive del TUF rispettivamente previste dalle Linee Guida ANAC (per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà) e dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica (per l’indennizzo del FIR).

Quanto precede rende ancor più rilevante il deficit istruttorio e motivazionale che affligge il provvedimento impugnato (deficit comunque già da solo sufficiente ai fini dell’annullamento dell’atto) atteso che gli accertamenti istruttori da compiersi in base al DM del 10 maggio del 2019 per l’indennizzo del FIR non coincidono sempre e comunque con quelli già compiuti dall’ANAC in base alle proprie Linee Guida per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà.

Né può invocarsi alcuna dequotazione formale del rilevato vizio di motivazione in forza del meccanismo di sanatoria processuale previsto dall’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, posto che la motivazione del provvedimento amministrativo discrezionale - come il Consiglio di Stato afferma secondo un orientamento ora recepito anche dal Giudice delle Leggi nelle ordinanze del 26 maggio 2015, n. 92, e del 17 marzo 2017, n. 58 - costituisce il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (cfr. quam multis Consiglio di Stato n. 7883 del 10 dicembre 2020 e Consiglio di Stato, sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629).

L’accoglimento delle due censure con cui si lamenta da un lato l’insufficienza motivazionale e dall’altro lato l’illegittimità dell’atto impugnato, conduce pertanto all’annullamento di quest’ultimo, annullamento che – in quanto ricadente su un atto lesivo di un interesse legittimo pretensivo connotato da discrezionalità tecnica – prelude ad un’inevitabile riedizione del potere.

Proprio la necessità di tale riedizione del potere (e dei margini di discrezionalità ad esso sottesi) impedisce al Collegio di scrutinare la doglianza con cui parte ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia valutato – in sede di delibazione della richiesta di erogazione dell’indennizzo del FIR – le carenze informative di cui si era resa originariamente responsabile la banca insolvente al momento degli investimenti contestati.

Ed infatti, qualsiasi valutazione resa dal Collegio in questa sede sulla sussistenza o meno di dette carenze informative finirebbe sostanzialmente per anticipare un accertamento che ancora non è stato effettuato dall’Amministrazione nel caso de quo e, quindi, per violare il divieto di esercizio di poteri amministrativi ancora non esercitati (cfr. art. 34, comma 2, c.p.a.).

Le doglianze sollevate sul punto dalla parte ricorrente sono pertanto inammissibili.

Inammissibile è anche la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere una condanna dell’Amministrazione al rilascio di un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo del FIR (o in subordine al pagamento di un risarcimento pari a tale indennizzo), atteso che pure tale domanda – laddove delibata nel merito – condurrebbe il Collegio a pronunziarsi rispetto a poteri amministrativi ancora non esercitati in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Non vi sono quindi i presupposti per adottare né una condanna ad emettere uno specifico provvedimento, né una condanna al risarcimento del danno, impossibile essendo la prognosi sulla spettanza del bene della vita.

Ciò chiarito, il Collegio rileva infine che l’accoglimento dell’azione annullatoria per difetto di motivazione e istruttoria determina l’assorbimento delle residue censure con cui parte ricorrente si è doluta di una presunta disparità di trattamento introdotta dall’atto impugnato, nonché delle doglianze sollevate con i motivi aggiunti.

Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e, per l’effetto, il provvedimento impugnato va annullato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini sopra indicati, fatto salvo il potere dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza della parte ricorrente.

Restano assorbiti i residui motivi di impugnazione, mentre va dichiarata invece inammissibile la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere l’indennizzo finanziato dal FIR, domanda che si infrange sul rilievo ostativo dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, avuto riguardo alla natura seriale del contenzioso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto ed integrato da motivi aggiunti, accoglie la domanda di annullamento dell’atto impugnato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini indicati in parte motiva.

Dichiara inammissibile la domanda di accertamento del diritto ad ottenere un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo per cui è causa (o un risarcimento commisurato a tale indennizzo).

Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Consap, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente in misura complessivamente pari ad € 800,00 (ottocento/00) oltre oneri accessori come per legge e rimborso del contributo unificato (ove versato).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:

Eleonora Monica, Presidente FF

Giovanna Vigliotti, Referendario

Michele Tecchia, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Michele Tecchia Eleonora Monica





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
 
Pubblicato il 21/03/2023
N. 04945/2023 REG.PROV.COLL.

N. 10764/2022 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10764 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dalla signora -OMISSIS-, a cui è succeduta in corso di causa mortis causa in qualità di unica erede legittima la sig.ra -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli Avvocati Carlo Canafoglia e Prof. Salvatore Menditto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze (e presso di esso la Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Consap S.p.A. (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gianluca Brancadoro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento

PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO

- degli atti, delle operazioni concernenti e dei provvedimenti relativi al procedimento di valutazione delle domande/istanze di indennizzo inoltrate dalla ricorrente alla CONSAP s.p.a. in relazione alle obbligazioni subordinate Banca delle Marche s.p.a. acquistate dalla stessa, affidate ex lege alla valutazione della Commissione Tecnica istituita presso il MEF;

IN PARTICOLARE, E COMUNQUE NEI TERMINI INDICATI NEL RICORSO

- del provvedimento reso dalla Commissione Tecnica, invero non conosciuto né trasmesso, ed appreso solo in quanto comunicato da CONSAP s.p.a., Unità di Business 3-Servizi Finanziari, Servizio Fondo Indennizzo Risparmiatori, mediante invio di pec al legale e domiciliatario indicato nelle domande, Avv. Carlo Canafoglia, in data 14.06.2022, con il quale la predetta domanda/istanza di indennizzo è stata integralmente rigettata;

IN OGNI CASO

- di tutti gli altri atti e/o provvedimenti, precedenti, successivi, connessi ed anche istruttori rispetto a quelli impugnati, ancorché non conosciuti, ove comunque funzionali e/o finalizzati all’istruttoria procedimentale ed alla successiva adozione del provvedimento di diniego e rigetto delle domande avanzate dalla ricorrente;

CON ESPRESSA E RITUALE RICHIESTA DI ACCERTAMENTO

- del diritto in capo alla ricorrente di ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge ed espressamente richiesto nelle domande/istanze inviate alla CONSAP s.p.a., nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso;

- del corrispondente obbligo in capo alle Amministrazioni resistenti di riconoscere e di corrispondere il predetto ulteriore indennizzo richiesto dalla ricorrente, nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso, e, in subordine, di risarcire il danno patito dalla stessa, nella misura del medesimo importo del contributo richiesto e non concesso; in ogni caso, oltre interessi e rivalutazione monetaria, come per Legge;

E, ANCORA, CON ESPRESSA E RITUALE RISERVA

- di reclamare, nel giudizio incardinato con l’odierno ricorso e/o in uno successivo, il risarcimento del danno ulteriore inferto alla ricorrente a fronte del complessivo modus operandi delle Amministrazioni resistenti.

PER QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI

- per l’annullamento degli stessi atti impugnati con il ricorso introduttivo;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Consap Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici Spa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente ricorso, parte ricorrente – già titolare di obbligazioni subordinate emesse dalla ex Banca delle Marche s.p.a. – impugna l’atto in epigrafe con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, anche semplicemente “MEF”) ha respinto la domanda di accesso alle prestazioni del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), dalla stessa parte ricorrente avanzata ai sensi della l. n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss. (recante la procedura speciale per l’indennizzo degli investitori di alcune banche finite in “default”, tra cui, per quel che qui rileva, detto istituto bancario).

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

Il motivo su cui poggia il provvedimento di diniego risiede nel fatto che parte ricorrente si è già vista respingere con lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC la domanda presentata per l’analogo (ma formalmente diverso) indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo corrisposto dal Fondo di solidarietà di cui al decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Parte ricorrente insta non soltanto per l’annullamento dell’atto reiettivo impugnato, ma anche per l’accertamento del diritto (e la conseguente condanna) al pagamento dell’indennizzo previsto dalla legge n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss.

Il ricorso è affidato a due motivi di gravame, ciascuno dei quali a sua volta comprensivo di plurime e multiformi censure.

In estrema sintesi, le molteplici doglianze sollevate dalla parte ricorrente si possono compendiare nei termini che seguono:

(i) illegittimità dell’atto reiettivo impugnato per aver frapposto una causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo ex legge n. 145 del 2018 (e cioè il fatto che parte ricorrente avesse infruttuosamente incardinato in passato una procedura arbitrale innanzi all’ANAC per l’analogo indennizzo previsto dal decreto legge n. 59 del 2016) causa ostativa che non sarebbe in tesi affatto prevista dalla legge n. 145 del 2018 regolante l’indennizzo de quo;

(ii) eccesso di potere e difetto di motivazione dell’atto impugnato per aver invocato una motivazione reiettiva palesemente insufficiente e lacunosa, atteso che “la normativa a fondamento del fondo F.I.R, gestito da CONSAP e dalla Commissione tecnica per i ristori degli obbligazionisti subordinati delle Banche poste in liquidazione” (e cioè la legge n. 145 del 2018 e i relativi atti attuativi, nel cui campo di applicazione rientra l’atto de quo) “è differente da quella a corredo dei rimborsi elargiti dal F.I.T.D, a seguito di procedura arbitrale A.N.A.C.” (e cioè dalla normativa in base alla quale l’ANAC aveva respinto la richiesta dell’analogo indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016), sicchè il mero rinvio al lodo ANAC – privo di ulteriori specificazioni motivazionali – integrerebbe i presupposti di una motivazione acritica e apodittica. E ciò a maggior ragione ove si consideri che le discipline di riferimento dei due indennizzi in questione (da un lato quella regolante il “vecchio” indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016, e dall’altro lato quella regolante il “nuovo” indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 di cui si controverte oggi) non sono esattamente sovrapponibili tra loro;

(iii) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere lo stesso introdotto un’ingiustificata e arbitraria disparità di trattamento tra gli obbligazionisti che come la ricorrente avevano visto in passato negarsi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo ex D.L. n. 59 del 2016 (ai quali è stato ora negato anche il “nuovo” indennizzo ex legge n. 145 del 2018) e gli obbligazionisti che invece avevano visto riconoscersi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo, oppure che addirittura non lo avevano neppure richiesto. È stato in particolare lamentato che “la valutazione operata dall’organo preposto si appalesa anche del tutto illogica, e quindi ancora più ingiusta ed iniqua, considerato che andrebbe a premiare gli obbligazionisti “dormienti”, cioè quelli che non si erano attivati prima (con gli strumenti introdotti dalla L. n. 208/2015) o che, per difetto di requisiti, non avevano potuto farlo, rispetto a quelli “vigili”, cioè quelli che avevano diligentemente e tempestivamente curato i propri interessi, ricorrendo – appunto – all’arbitrato presso l’ANAC, anche se con esito negativo”;

(iv) eccesso di potere dell’atto impugnato per avere quest’ultimo disatteso l’“autovincolo” che l’Amministrazione si era data non soltanto con le c.d. Linee Guida approvate in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. d), primo paragrafo, D.M. 10/05/2019 (le quali trattano della tipizzazione delle c.d. “violazione massive”, ma che nulla dicono rispetto all’ulteriore requisito della pregressa reiezione da parte dell’ANAC del “vecchio” indennizzo ex DL n. 59 del 2016) ma anche con la Determinazione della Commissione tecnica del 13 gennaio 2022, mediante la quale si sarebbe stabilita una presunzione assoluta di spettanza del nuovo indennizzo ove la violazione massiva del TUF fosse avvenuta in un dato “arco temporale”.

(v) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere esso completamente omesso di valutare l’asserita inadeguatezza dei presidi informativi predisposti dall’istituto bancario nei confronti di parte ricorrente, nel momento in cui quest’ultima aveva effettuato gli investimenti obbligazionari da cui è scaturito il danno per il quale è stato poi richiesto l’indennizzo negato con l’atto ora impugnato. Tale inadeguatezza di presidi informativi (e anche di strumenti di profilatura della propensione al rischio di parte ricorrente) deporrebbe nel senso dell’illegittimità dell’atto con cui è stato negato l’indennizzo de quo agitur;

(vi) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere l’Amministrazione introdotto un’ulteriore ingiustificata disparità di trattamento tra gli obbligazionisti subordinati di Banca Marche come la ricorrente (rispetto ai quali il nuovo indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 è stato aprioristicamente negato per il semplice fatto che essi si erano visti negare dall’ANAC il vecchio indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016) e azionisti di Banca Marche a cui invece il nuovo indennizzo sarebbe stato riconosciuto nonostante l’esito negativo del lodo arbitrale ANAC in relazione al “vecchio” indennizzo.

Il MEF e CONSAP si sono ritualmente costituiti in giudizio instando per la reiezione del gravame, di cui è stata eccepita l’inammissibilità sotto plurimi profili e anche l’infondatezza nel merito.

Con successivi motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati, parte ricorrente esponeva di essere poi venuta a conoscenza – nelle more del presente giudizio e per effetto di un deposito effettuato dalle resistenti in un giudizio analogo rispetto a quello odierno – di una delibera assunta da Consap in data 23 febbraio 2022, con cui la stessa Consap avrebbe disposto che qualora l’obbligazionista si fosse preventivamente rivolto all’ANAC per ottenere il rimborso del “vecchio” indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016, lo stesso obbligazionista conservava comunque il diritto di “accedere al FIR” (e cioè al fondo indennizzo risparmiatori previsto dalla legge n. 145 del 2018, oggetto dell’odierna controversia). Detta delibera Consap del 23 febbraio 2022 stabiliva, inoltre, che se l’obbligazionista si fosse rivolto preventivamente all’ANAC “non ottenendo alcun indennizzo per il rigetto della domanda per motivi di merito” (oppure soltanto una parte di tale indennizzo), “la Commissione valuterà i lodi “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito”.

Con gli odierni motivi aggiunti, pertanto, parte ricorrente – facendo perno proprio sulla summenzionata delibera Consap del 23 febbraio 2022 – censurava nuovamente il provvedimento di reiezione dell’istanza di indennizzo ex legge n. 145 del 2018, in quanto detto provvedimento si è erroneamente limitato a prendere atto (in senso ostativo) del lodo arbitrale ANAC, senza invece utilizzarlo quale “fonte di accertamento” concorrente con altri elementi istruttori; elementi istruttori che non sono stati minimamente soppesati e valutati nell’ambito dell’impianto motivazionale dell’atto gravato.

Seguiva il deposito dei documenti e delle memorie conclusionali e di replica ex art. 73, comma 1, c.p.a.

All’udienza pubblica del 8 marzo 2022, pertanto, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis, il Collegio ritiene di dover respingere le eccezioni di rito sollevate dalle Amministrazioni resistenti, e ciò sulla scorta dell’orientamento già espresso in una causa analoga dal Consiglio di Stato (Sezione VII) con la recente sentenza n. 664 del 19 gennaio 2023, a cui il Collegio presta adesione.

Per quel che concerne, infatti, l’eccepito difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, l’esame della questione relativa al riparto di giurisdizione impone di valutare il petitum sostanziale, ossia l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo (v. ex plurimis, Cass. Sez. Un., 31 gennaio 2005, n. 6743; Cass. Sez. Un., 28 giugno2006, n. 14846).

In particolare, secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria 29 gennaio 2014, n. 6, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche (fattispecie assimilabili a quella in esame, almeno ai fini di giurisdizione) deve essere attuato (non configurandosi alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; inoltre, è configurabile una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse.

Il petitum sostanziale della presente controversia, chiaramente emergente dall’atto introduttivo del giudizio, attiene alla pretesa di parte ricorrente di ottenere una valutazione circa la spettanza dell’indennizzo previsto dalla l. n. 145 del 2018, sulla base della procedura ordinaria e, dunque, dell’accertamento, da parte della commissione tecnica prevista dalla disciplina di riferimento, della sussistenza di reiterate violazioni del TUF (decreto legislativo n. 58 del 1998) da parte dell’istituto bancario e del nesso causale tra le stesse ed il pregiudizio da lei subito.

Dunque, la situazione giuridica soggettiva ascrivibile all’odierna parte ricorrente deve essere qualificata in termini di interesse legittimo pretensivo, assumendo ai fini in esame rilievo il contenuto delle censure formulate con il ricorso, segnatamente riferite alla dedotta sussistenza di un obbligo dell’Amministrazione di valutare nel merito le violazioni massive del TUF commesse dall’istituto bancario e il nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio dell’investitore, insufficiente essendo il mero rinvio al lodo arbitrale con cui l’ANAC aveva respinto la richiesta di un diverso indennizzo.

Acclarata la piena sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo sulla causa de qua, va poi respinta l’eccezione con cui la società Consap, in house del Ministero dell’economia e delle finanze, ha dedotto la propria carenza di legittimazione passiva.

Va evidenziato, infatti, che se è vero che la titolarità del rapporto controverso fa capo alla Commissione tecnica, organo straordinario del Ministero, la Consap in conformità alle previsioni dell’art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018 (nonchè alla disciplina attuativa di cui al DM del 10 maggio 2019) svolge un’attività che non è limitata al mero supporto alla predetta Commissione, istituita ai sensi della citata disposizione, nell’espletamento dell’attività istruttoria e di acquisizione dei dati.

Come emerge, infatti, dall’art. 8, comma 5, del DM 10 maggio 2019, emanato in attuazione delle previsioni di cui all’art. 1, commi da 493 a 507, della l. n.145 del 2018, alla Consap non è demandata esclusivamente l’attività di segreteria, bensì anche un’attività di gestione che non si esaurisce nella predisposizione dei processi concernenti l’espletamento delle procedure, essendo la società incaricata, tra l’altro, dell’esecuzione delle delibere della Commissione tecnica.

Proprio il complesso delle attività espletate dalla società, tra le quali anche l’interlocuzione diretta con i richiedenti l’indennizzo, inducono a ritenere che correttamente la stessa sia stata evocata in giudizio insieme al Ministero, al quale come sopra esposto va riferita la titolarità del rapporto, tenuto conto peraltro dell’incidenza dei vincoli conformativi suscettibili di scaturire dalla pronuncia giurisdizionale sulla società.

Va parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sua mancata notifica ad almeno un controinteressato, da individuare negli altri soggetti che hanno presentato istanza per ottenere l’erogazione dell’indennizzo attraverso una procedura che rivestirebbe carattere selettivo in considerazione della limitatezza degli stanziamenti destinati alla misura di sostegno in questione.

Si evidenzia, infatti, che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. ex multis, da ultimo, sez. III, sentenza n. 5052/2020), il controinteressato da evocare in giudizio è il soggetto indicato nell’atto che si impugna, ovverosia il soggetto, facilmente individuabile, portatore di un interesse – concreto ed attuale – giuridicamente qualificato alla conservazione dell’atto, e dunque interessato a difendere una situazione giuridica di vantaggio uguale e contraria rispetto a quella del ricorrente.

Si afferma altresì che non occorre che il controinteressato sia espressamente individuato nell’atto, essendo sufficiente che sia comunque facilmente individuabile con l’ordinaria diligenza (Cons. St., sez. V, sentenza n. 4503/2019).

Nella fattispecie non consta in atti che sia stata stilata una graduatoria delle istanze ammissibili, né emergono elementi che consentano di ritenere agevolmente individuabili eventuali controinteressati, dovendosi quindi escludere la sussistenza della dedotta causa di inammissibilità in applicazione dell’art. 41, comma 2, c.p.a.

Va infine respinta anche l’eccezione di incompetenza territoriale di questo TAR genericamente sollevata dal Ministero resistente, non essendo revocabile in dubbio la competenza di questo TAR Lazio in ragione del criterio ordinario di competenza della sede dell’Amministrazione centrale da cui promana l’atto impugnato (cfr. art. 13 c.p.a.).

Ciò premesso, il Collegio può dunque procedere all’esame del merito del ricorso.

In proposito, è anzitutto necessario ricostruire brevemente il quadro normativo che disciplina l’indennizzo de quo agitur.

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

La summenzionata legge n. 145 del 2018 ha anzitutto previsto la misura dell’indennizzo e la platea dei beneficiari dello stesso, nonché una sorta di “corsia procedurale preferenziale” in favore di quei risparmiatori che – oltre ad essere in possesso delle azioni od obbligazioni emesse dalle banche individuate dalla legge (id est quelle in liquidazione coatta amministrativa) – hanno un reddito ed un patrimonio inferiori a specifiche soglie economiche minime (cfr. art. 1, comma 502 bis, della legge n. 145 del 2018).

Questa prima categoria di risparmiatori (c.d. “forfettari”) può accedere all’indennizzo de quo soltanto perché in possesso dei summenzionati requisiti reddituali e patrimoniali.

Viceversa, i risparmiatori privi di tali requisiti (come ad esempio l’odierna parte ricorrente) sono gravati dell’onere di dimostrare le violazioni massive del TUF commesse dalla loro banca (così come accertate in sede penale), nonché il concreto nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio da loro subito.

Il legislatore ha poi delegato alla potestà regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione di molti altri aspetti del procedimento di assegnazione dell’indennizzo de quo, essendo stato previsto che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono definite le modalità di presentazione della domanda di indennizzo nonché i piani di riparto delle risorse disponibili. Con il medesimo decreto è istituita e disciplinata una Commissione tecnica per: l’esame delle domande e l’ammissione all’indennizzo del FIR; la verifica delle violazioni massive, nonché della sussistenza del nesso di causalità tra le medesime e il danno subito dai risparmiatori; l’erogazione dell’indennizzo da parte del FIR. Le suddette verifiche possono avvenire anche attraverso la preventiva tipizzazione delle violazioni massive e la corrispondente identificazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi in presenza dei quali l'indennizzo può essere direttamente erogato” (cfr. art. 1, comma 501, della legge n. 145 del 2018).

In attuazione di tale previsione legale è appunto intervenuto il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019, il cui art. 7, comma 1, prevede (sotto la rubrica “Commissione tecnica”) che “è istituita la Commissione tecnica prevista dall’art. 1, comma 501, legge 30 dicembre 2018, n. 145, competente per l’esame e l’ammissione delle domande di indennizzo del FIR”, alla quale è affidato anche il compito di stabilire i “criteri generali e linee guida per la tipizzazione delle violazioni massive, individuali o di portata generale, di natura contrattuale o extracontrattuale, e la corrispondente modulazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi nonché dei periodi temporali di riferimento in presenza dei quali, anche tenendo conto delle diverse tipologie di violazione in concreto prese in esame, sussistono il danno subito da ciascun istante e il nesso causale tra le suddette violazioni e tale danno”.

L’indennizzo de quo agitur trova la sua compiuta disciplina, pertanto, nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018, nonché nel Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019 e nelle Linee Guida adottate dalla Commissione Tecnica all’uopo istituita (con cui sono state tipizzate le violazioni massive del TUF in presenza delle quali può essere erogato l’indennizzo ai risparmiatori/investitori).

Ai fini di causa è importante evidenziare che l’indennizzo in parola è formalmente autonomo e distinto rispetto al precedente indennizzo previsto dagli artt. 8 e 9 del d.l. n. 59 del 2016.

Ciò in quanto diversi sono i fondi e gli stanziamenti a cui i due indennizzi attingono: il “nuovo” indennizzo ora in esame attinge infatti al Fondo Indennizzo Risparmiatori (nel prosieguo anche “FIR”) istituito dalla summenzionata legge n. 145 del 2018, mentre il “vecchio” indennizzo previsto dal d.l. n. 59 del 2016 attinge al Fondo di Solidarietà istituito dall’art. 1, comma 855, della legge n. 208 del 2015 (nel prosieguo anche il “Fondo di Solidarietà”, il quale è a sua volta alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 del TUF, giusta quanto previsto dall’art. 1, comma 856, della legge n. 208 del 2015).

Ciò premesso in linea generale, il presente ricorso appare fondato e va quindi accolto con riferimento alle prime due doglianze sintetizzate nella parte in fatto della presente sentenza, con cui parte ricorrente si duole del fatto che la motivazione dedotta a sostegno del diniego del “nuovo” indennizzo finanziato dal FIR ex legge n. 145 del 2018 (secondo la quale parte ricorrente ha già visto negarsi in passato il “vecchio” indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà ex DL n. 59 del 2016) è al contempo illegittima e argomentativamente carente.

Detta motivazione è infatti “condensata” – lo si ripete – nel mero rinvio al lodo arbitrale ANAC con cui era stata respinta la richiesta del “vecchio” indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo finanziato dal Fondo di solidarietà istituito con la legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Il Collegio rileva che detta motivazione provvedimentale può prestarsi in astratto a due diverse letture, e cioè in particolare:

(i) una prima lettura secondo cui il lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC – seppur riferito all’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà (e cioè a un indennizzo formalmente diverso rispetto a quello finanziato dal FIR che viene ora negato con il provvedimento impugnato) – è ex se ostativa all’erogazione dell’indennizzo del FIR;

(ii) una seconda lettura secondo cui il lodo arbitrale con cui l’ANAC ha respinto la richiesta dell’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà è stato un elemento istruttorio che – in concorso con altri elementi e all’esito di una specifica istruttoria procedimentale – ha condotto l’Amministrazione a respingere la richiesta dell’indennizzo finanziato dal FIR.

Se il provvedimento impugnato intendesse dire ciò che emerge dalla prima delle due letture testè prospettate, non è revocabile in dubbio che esso sarebbe sicuramente illegittimo, non trovando tale lettura conforto in alcun referente né legislativo né regolamentare.

Sono tuttavia le stesse parti resistenti ad escludere, con le loro stesse difese, che il significato dell’atto impugnato sia quello riconducibile alla prima lettura menzionata.

Il che trova conferma anche in alcune deliberazioni della Commissione Tecnica ritualmente depositate in atti.

Si veda, a titolo meramente esemplificativo, il verbale del 23 febbraio 2022 con cui la Commissione Tecnica conclude che “la rilevanza da attribuire ai lodi Anac, così come a quelli AFC, sia quella di elemento di valutazione utile ai fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF”.

Ad ulteriore conferma di quanto precede, giova rammentare che la Commissione Tecnica si è espressa nel senso di: (i) riconoscere la “rilevanza (…) di precedenti decisioni relative ai medesimi istanti e agli stessi strumenti finanziari per i quali si chiede l’indennizzo del Fondo” e istruire l’istanza “tenendo conto di quanto accertato da eventuali sentenze giudiziarie e/o lodi arbitrali resi dal FITD o dall’ACF” (cfr. determina del 30 gennaio 2020); (ii) valutare le decisioni di merito “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito” (cfr. determina del 21 maggio 2020); (iii) attribuire ai lodi ANAC e/o ACF la rilevanza di “elemento di valutazione utile a fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF (…). In ogni caso sono fatti salvi gli ulteriori approfondimenti e le diverse valutazioni della Commissione rispetto (…) ai singoli casi di specie” (cfr. determina del 23 febbraio 2022).

Va da sé che l’unico significato astrattamente ammissibile e legittimo della motivazione contenuta nell’atto reiettivo impugnato è quello per cui il lodo arbitrale ANAC è stato soltanto un “pezzo del mosaico” su cui l’Amministrazione ha fatto leva per respingere l’istanza avente ad oggetto l’indennizzo finanziato dal FIR.

Ciò, del resto, in piena coerenza con l’art. 7, comma 1, lettera C, del DM del 10 maggio 2019, a rigore del quale la Commissione Tecnica “verifica la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 3 nonché delle violazioni massive del T.U.F. che hanno causato un pregiudizio ingiusto agli aventi diritto da parte di banche in liquidazione ai risparmiatori e, per conseguenza, agli altri eventuali aventi diritto, anche acquisendo d’ufficio apposita documentazione bancaria o amministrativa o giudiziale, tra cui sentenze di giudizi penali o civili, pronunce emesse da arbitrati promossi dalle parti, tra i quali l’arbitrato bancario e finanziario della Banca d’Italia, l’arbitrato per le controversie finanziarie della Consob, provvedimenti sanzionatori o atti ispettivi della Banca d’Italia o della Consob, documenti ricognitivi dei commissari delle liquidazioni coatte amministrative, documenti acquisiti dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario» prodotti dai soggetti intervenuti, documentazione bancaria sulla profilatura e informativa della clientela e sui contratti di acquisto”.

Se dunque il lodo arbitrale ANAC di reiezione della domanda di indennizzo del Fondo di Solidarietà è soltanto un “elemento di valutazione” da soppesare in concorso con altri elementi (e non già un fattore da solo ostativo ed escludente) il Collegio non può non rilevare il deficit di motivazione ed istruttoria che affligge il provvedimento impugnato, atteso che:

(a) detto provvedimento non contiene la benché minima enunciazione delle ragioni per cui il percorso logico-argomentativo contenuto nel lodo arbitrale negativo dell’ANAC – quantunque riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – dispieghi una sua concreta rilevanza anche nel procedimento amministrativo di rigetto della domanda di indennizzo del FIR. Né tale enunciazione può ricavarsi indirettamente dai chiarimenti aggiuntivi forniti soltanto nell’odierno giudizio dalle Amministrazioni resistenti, chiarimenti che il Collegio non può ovviamente valorizzare se non a pena di violazione del divieto di integrazione postuma giudiziale della motivazione provvedimentale originariamente carente;

(b) non v’è in atti alcuna evidenza dell’istruttoria che ha spinto l’Amministrazione a respingere l’istanza di parte ricorrente, risultando quindi palese che non v’è stata – né in seno alla fase istruttoria del procedimento amministrativo né nel corpo motivazionale del provvedimento finale – alcuna ponderazione e comparazione delle risultanze del lodo arbitrale ANAC rispetto ad altri concorrenti elementi istruttori. E se è pur vero che Consap aveva richiesto alla ricorrente l’invio di ulteriore documentazione comprovante l’esistenza delle violazioni massive del TUF, è però anche vero che non c’è alcuna prova di come Consap abbia valutato tale documentazione.

Ciò che emerge, pertanto, è che il lodo arbitrale negativo dell’ANAC – lodo riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – sia stato acriticamente e passivamente recepito come unico motivo ostativo all’erogazione dell’indennizzo del FIR.

Orbene, se da un lato è vero che la motivazione del provvedimento amministrativo ben può consistere in un rinvio per relationem ad un altro atto endo-procedimentale già noto (o comunque già reso accessibile) al privato istante, dall’altro lato è anche vero, però, che tale consolidato principio si basa sull’implicito presupposto che l’atto endo-procedimentale evocato sia afferente allo stesso identico procedimento a cui afferisce il provvedimento finale.

Presupposto che pacificamente non ricorre nel caso di specie.

In senso analogo deve dirsi rispetto all’eccezione di parte resistente incentrata sull’asserita autorità di cosa giudicata del lodo negativo ANAC a cui fa rinvio l’atto impugnato.

È evidente, infatti, che l’inerenza di tale lodo arbitrale ad un diverso procedimento amministrativo (e a un diverso indennizzo) impedisce allo stesso di acquisire qualsiasi crisma di intangibilità nel caso de quo.

A ciò si aggiunta che nessuna delle norme contenute nella legge n. 145 del 2018 e nel DM applicativo del 2019, prevede che il pregresso diniego da parte dell’ANAC dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà osti al riconoscimento dell’indennizzo del FIR, sicchè la censurata motivazione appare affetta – oltre che da una intrinseca insufficienza esplicativa – anche da una violazione di legge.

La concreta rilevanza del suesposto deficit motivazionale dell’atto impugnato risulta vieppiù confermata dalla parziale discrepanza tra due specifici ed “omologhi” indicatori di violazioni massive del TUF rispettivamente contenuti:

- da un lato nelle Linee Guida ANAC, per ciò che concerne l’indennizzo del Fondo di Solidarietà;

- dall’altro lato nell’art. 7 del DM del 10 maggio 2019, per ciò che concerne l’indennizzo del FIR oggetto di causa;

Le Linee Guida ANAC stabiliscono, con riferimento all’indennizzo del Fondo di Solidarietà, che “ai fini dell’accertamento, nell’ambito del procedimento arbitrale di cui al D.M. 9 maggio 2017, n. 83, delle violazioni degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento degli strumenti finanziari subordinati nonché per la determinazione arbitrale della prestazione, possono considerarsi elementi di valutazione rilevanti, tra gli altri … f) la concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie basse o medio basse, ovvero a categorie equivalenti; g) la concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie medie o medio alte, ovvero a categorie equivalenti”.

In base alle Linee Guida ANAC, pertanto, un elemento di valutazione di una possibile violazione massiva del TUF consiste:

- nella concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie basse o medio basse);

- nella concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie medie o medio alte).

Ciò che va valutato in base alle Linee Guida ANAC ai fini del riconoscimento dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà, pertanto, è il rapporto tra strumenti finanziari subordinati e patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore (rapporto che può dar luogo ad una violazione massiva del TUF soltanto se supera la soglia del 25% o 50%, a seconda del profilo dell’investitore).

Se si passa invece ad esaminare l’omologo “indicatore” di violazioni massive del TUF previsto dall’art. 7 del DM del 10 maggio 2019 in relazione al diverso indennizzo del FIR, appare evidente che detto indicatore non sia esattamente sovrapponibile al summenzionato criterio previsto dalle Linee Guida dell’ANAC, essendo declinato nel seguente modo: “la carente informazione o profilatura della clientela, ad esempio tramite l’assegnazione ai clienti di un grado di rischio e di un orizzonte temporale di investimento incongruo rispetto all'età ovvero alla composizione del loro patrimonio immobiliare o mobiliare, in particolare qualora quest'ultimo risulti concentrato in misura pari o superiore al 50% in strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca o del gruppo bancario, ovvero in misura pari o superiore al 30% nel caso di prestazione del servizio di gestione di portafogli da parte della banca emittente o di società del gruppo”.

Ciò che va quindi valutato ai fini dell’indennizzo del FIR in base all’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 e alle Linee Guida all’uopo adottate dalla Segreteria Tecnica, è invece il rapporto tra tutti gli strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca (quindi non soltanto quelli subordinati) e l’intero patrimonio immobiliare o mobiliare del risparmiatore.

Va da sé che in astratto lo stesso investitore di profilo medio o medio-alto potrebbe allo stesso tempo:

(i) non superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida ANAC (ai fini dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà), posto che tale soglia si riferisce ai soli strumenti finanziari subordinati;

(ii) superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica e dall’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 (ai fini dell’indennizzo del FIR), posto che tale soglia si riferisce a tutti gli strumenti finanziari sia subordinati che non.

Il che conferma che non c’è una piena ed integrale sovrapponibilità delle fattispecie di violazioni massive del TUF rispettivamente previste dalle Linee Guida ANAC (per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà) e dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica (per l’indennizzo del FIR).

Quanto precede rende ancor più rilevante il deficit istruttorio e motivazionale che affligge il provvedimento impugnato (deficit comunque già da solo sufficiente ai fini dell’annullamento dell’atto) atteso che gli accertamenti istruttori da compiersi in base al DM del 10 maggio del 2019 per l’indennizzo del FIR non coincidono sempre e comunque con quelli già compiuti dall’ANAC in base alle proprie Linee Guida per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà.

Né può invocarsi alcuna dequotazione formale del rilevato vizio di motivazione in forza del meccanismo di sanatoria processuale previsto dall’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, posto che la motivazione del provvedimento amministrativo discrezionale - come il Consiglio di Stato afferma secondo un orientamento ora recepito anche dal Giudice delle Leggi nelle ordinanze del 26 maggio 2015, n. 92, e del 17 marzo 2017, n. 58 - costituisce il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (cfr. quam multis Consiglio di Stato n. 7883 del 10 dicembre 2020 e Consiglio di Stato, sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629).

L’accoglimento delle due censure con cui si lamenta da un lato l’insufficienza motivazionale e dall’altro lato l’illegittimità dell’atto impugnato, conduce pertanto all’annullamento di quest’ultimo, annullamento che – in quanto ricadente su un atto lesivo di un interesse legittimo pretensivo connotato da discrezionalità tecnica – prelude ad un’inevitabile riedizione del potere.

Proprio la necessità di tale riedizione del potere (e dei margini di discrezionalità ad esso sottesi) impedisce al Collegio di scrutinare la doglianza con cui parte ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia valutato – in sede di delibazione della richiesta di erogazione dell’indennizzo del FIR – le carenze informative di cui si era resa originariamente responsabile la banca insolvente al momento degli investimenti contestati.

Ed infatti, qualsiasi valutazione resa dal Collegio in questa sede sulla sussistenza o meno di dette carenze informative finirebbe sostanzialmente per anticipare un accertamento che ancora non è stato effettuato dall’Amministrazione nel caso de quo e, quindi, per violare il divieto di esercizio di poteri amministrativi ancora non esercitati (cfr. art. 34, comma 2, c.p.a.).

Le doglianze sollevate sul punto dalla parte ricorrente sono pertanto inammissibili.

Inammissibile è anche la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere una condanna dell’Amministrazione al rilascio di un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo del FIR (o in subordine al pagamento di un risarcimento pari a tale indennizzo), atteso che pure tale domanda – laddove delibata nel merito – condurrebbe il Collegio a pronunziarsi rispetto a poteri amministrativi ancora non esercitati in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Non vi sono quindi i presupposti per adottare né una condanna ad emettere uno specifico provvedimento, né una condanna al risarcimento del danno, impossibile essendo la prognosi sulla spettanza del bene della vita.

Ciò chiarito, il Collegio rileva infine che l’accoglimento dell’azione annullatoria per difetto di motivazione e istruttoria determina l’assorbimento delle residue censure con cui parte ricorrente si è doluta di una presunta disparità di trattamento introdotta dall’atto impugnato, nonché delle doglianze sollevate con i motivi aggiunti.

Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e, per l’effetto, il provvedimento impugnato va annullato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini sopra indicati, fatto salvo il potere dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza della parte ricorrente.

Restano assorbiti i residui motivi di impugnazione, mentre va dichiarata invece inammissibile la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere l’indennizzo finanziato dal FIR, domanda che si infrange sul rilievo ostativo dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, avuto riguardo alla natura seriale del contenzioso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto ed integrato da motivi aggiunti, accoglie la domanda di annullamento dell’atto impugnato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini indicati in parte motiva.

Dichiara inammissibile la domanda di accertamento del diritto ad ottenere un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo per cui è causa (o un risarcimento commisurato a tale indennizzo).

Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Consap, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente in misura complessivamente pari ad € 800,00 (ottocento/00) oltre oneri accessori come per legge e rimborso del contributo unificato (ove versato).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:

Eleonora Monica, Presidente FF

Giovanna Vigliotti, Referendario

Michele Tecchia, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Michele Tecchia Eleonora Monica





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei t
 
Pubblicato il 21/03/2023
N. 04944/2023 REG.PROV.COLL.

N. 10765/2022 REG.RIC.



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10765 del 2022, integrato da motivi aggiunti, proposto dal sig.-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli Avvocati Carlo Canafoglia e Prof. Salvatore Menditto, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro

Ministero dell’Economia e delle Finanze (e presso di esso la Commissione Tecnica del Fondo Indennizzo Risparmiatori), in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
Consap S.p.A. (Concessionaria Servizi Assicurativi Pubblici S.p.A.), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocato Gianluca Brancadoro, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento

PER QUANTO RIGUARDA IL RICORSO INTRODUTTIVO

- degli atti, delle operazioni concernenti e dei provvedimenti relativi al procedimento di valutazione delle domande/istanze di indennizzo inoltrate dalla ricorrente alla CONSAP s.p.a. in relazione alle obbligazioni subordinate Banca delle Marche s.p.a. acquistate dalla stessa, affidate ex lege alla valutazione della Commissione Tecnica istituita presso il MEF;

IN PARTICOLARE, E COMUNQUE NEI TERMINI INDICATI NEL RICORSO

- del provvedimento reso dalla Commissione Tecnica, invero non conosciuto né trasmesso, ed appreso solo in quanto comunicato da CONSAP s.p.a., Unità di Business 3-Servizi Finanziari, Servizio Fondo Indennizzo Risparmiatori, mediante invio di pec al legale e domiciliatario indicato nelle domande, Avv. Carlo Canafoglia, in data 14.06.2022, con il quale la predetta domanda/istanza di indennizzo è stata integralmente rigettata;

IN OGNI CASO

- di tutti gli altri atti e/o provvedimenti, precedenti, successivi, connessi ed anche istruttori rispetto a quelli impugnati, ancorché non conosciuti, ove comunque funzionali e/o finalizzati all’istruttoria procedimentale ed alla successiva adozione del provvedimento di diniego e rigetto delle domande avanzate dalla ricorrente;

CON ESPRESSA E RITUALE RICHIESTA DI ACCERTAMENTO

- del diritto in capo alla ricorrente di ottenere l’indennizzo previsto dalla Legge ed espressamente richiesto nelle domande/istanze inviate alla CONSAP s.p.a., nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso;

- del corrispondente obbligo in capo alle Amministrazioni resistenti di riconoscere e di corrispondere il predetto ulteriore indennizzo richiesto dalla ricorrente, nei termini e secondo gli importi specificatamente indicati nelle stesse e nell’odierno ricorso, e, in subordine, di risarcire il danno patito dalla stessa, nella misura del medesimo importo del contributo richiesto e non concesso; in ogni caso, oltre interessi e rivalutazione monetaria, come per Legge;

E, ANCORA, CON ESPRESSA E RITUALE RISERVA

- di reclamare, nel giudizio incardinato con l’odierno ricorso e/o in uno successivo, il risarcimento del danno ulteriore inferto alla ricorrente a fronte del complessivo modus operandi delle Amministrazioni resistenti.

PER QUANTO RIGUARDA I MOTIVI AGGIUNTI

- per l’annullamento degli stessi atti impugnati con il ricorso introduttivo;


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero dell'Economia e delle Finanze e di Consap S.p.A. - Quale Segreteria Tecnica della Commissione Fondo Indennizzo Risparmiatori;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 marzo 2023 il dott. Michele Tecchia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con il presente ricorso, parte ricorrente – già titolare di obbligazioni subordinate emesse dalla ex Banca delle Marche s.p.a. – impugna l’atto in epigrafe con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito, anche semplicemente “MEF”) ha respinto la domanda di accesso alle prestazioni del Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), dalla stessa parte ricorrente avanzata ai sensi della l. n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss. (recante la procedura speciale per l’indennizzo degli investitori di alcune banche finite in “default”, tra cui, per quel che qui rileva, detto istituto bancario).

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

Il motivo su cui poggia il provvedimento di diniego risiede nel fatto che parte ricorrente si è già vista respingere con lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC la domanda presentata per l’analogo (ma formalmente diverso) indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo corrisposto dal Fondo di solidarietà di cui al decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Parte ricorrente insta non soltanto per l’annullamento dell’atto reiettivo impugnato, ma anche per l’accertamento del diritto (e la conseguente condanna) al pagamento dell’indennizzo previsto dalla legge n. 145/2018, art. 1, commi 493 e ss.

Il ricorso è affidato a due motivi di gravame, ciascuno dei quali a sua volta comprensivo di plurime e multiformi censure.

In estrema sintesi, le molteplici doglianze sollevate dalla parte ricorrente si possono compendiare nei termini che seguono:

(i) illegittimità dell’atto reiettivo impugnato per aver frapposto una causa ostativa al riconoscimento dell’indennizzo ex legge n. 145 del 2018 (e cioè il fatto che parte ricorrente avesse infruttuosamente incardinato in passato una procedura arbitrale innanzi all’ANAC per l’analogo indennizzo previsto dal decreto legge n. 59 del 2016) causa ostativa che non sarebbe in tesi affatto prevista dalla legge n. 145 del 2018 regolante l’indennizzo de quo;

(ii) eccesso di potere e difetto di motivazione dell’atto impugnato per aver invocato una motivazione reiettiva palesemente insufficiente e lacunosa, atteso che “la normativa a fondamento del fondo F.I.R, gestito da CONSAP e dalla Commissione tecnica per i ristori degli obbligazionisti subordinati delle Banche poste in liquidazione” (e cioè la legge n. 145 del 2018 e i relativi atti attuativi, nel cui campo di applicazione rientra l’atto de quo) “è differente da quella a corredo dei rimborsi elargiti dal F.I.T.D, a seguito di procedura arbitrale A.N.A.C.” (e cioè dalla normativa in base alla quale l’ANAC aveva respinto la richiesta dell’analogo indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016), sicchè il mero rinvio al lodo ANAC – privo di ulteriori specificazioni motivazionali – integrerebbe i presupposti di una motivazione acritica e apodittica. E ciò a maggior ragione ove si consideri che le discipline di riferimento dei due indennizzi in questione (da un lato quella regolante il “vecchio” indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016, e dall’altro lato quella regolante il “nuovo” indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 di cui si controverte oggi) non sono esattamente sovrapponibili tra loro;

(iii) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere lo stesso introdotto un’ingiustificata e arbitraria disparità di trattamento tra gli obbligazionisti che come la ricorrente avevano visto in passato negarsi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo ex D.L. n. 59 del 2016 (ai quali è stato ora negato anche il “nuovo” indennizzo ex legge n. 145 del 2018) e gli obbligazionisti che invece avevano visto riconoscersi dall’ANAC il “vecchio” indennizzo, oppure che addirittura non lo avevano neppure richiesto. È stato in particolare lamentato che “la valutazione operata dall’organo preposto si appalesa anche del tutto illogica, e quindi ancora più ingiusta ed iniqua, considerato che andrebbe a premiare gli obbligazionisti “dormienti”, cioè quelli che non si erano attivati prima (con gli strumenti introdotti dalla L. n. 208/2015) o che, per difetto di requisiti, non avevano potuto farlo, rispetto a quelli “vigili”, cioè quelli che avevano diligentemente e tempestivamente curato i propri interessi, ricorrendo – appunto – all’arbitrato presso l’ANAC, anche se con esito negativo”;

(iv) eccesso di potere dell’atto impugnato per avere quest’ultimo disatteso l’“autovincolo” che l’Amministrazione si era data non soltanto con le c.d. Linee Guida approvate in attuazione dell’art. 1, comma 7, lett. d), primo paragrafo, D.M. 10/05/2019 (le quali trattano della tipizzazione delle c.d. “violazione massive”, ma che nulla dicono rispetto all’ulteriore requisito della pregressa reiezione da parte dell’ANAC del “vecchio” indennizzo ex DL n. 59 del 2016) ma anche con la Determinazione della Commissione tecnica del 13 gennaio 2022, mediante la quale si sarebbe stabilita una presunzione assoluta di spettanza del nuovo indennizzo ove la violazione massiva del TUF fosse avvenuta in un dato “arco temporale”.

(v) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere esso completamente omesso di valutare l’asserita inadeguatezza dei presidi informativi predisposti dall’istituto bancario nei confronti di parte ricorrente, nel momento in cui quest’ultima aveva effettuato gli investimenti obbligazionari da cui è scaturito il danno per il quale è stato poi richiesto l’indennizzo negato con l’atto ora impugnato. Tale inadeguatezza di presidi informativi (e anche di strumenti di profilatura della propensione al rischio di parte ricorrente) deporrebbe nel senso dell’illegittimità dell’atto con cui è stato negato l’indennizzo de quo agitur;

(vi) illegittimità e/o eccesso di potere dell’atto impugnato per avere l’Amministrazione introdotto un’ulteriore ingiustificata disparità di trattamento tra gli obbligazionisti subordinati di Banca Marche come la ricorrente (rispetto ai quali il nuovo indennizzo previsto dalla legge n. 145 del 2018 è stato aprioristicamente negato per il semplice fatto che essi si erano visti negare dall’ANAC il vecchio indennizzo previsto dal D.L. n. 59 del 2016) e azionisti di Banca Marche a cui invece il nuovo indennizzo sarebbe stato riconosciuto nonostante l’esito negativo del lodo arbitrale ANAC in relazione al “vecchio” indennizzo.

Il MEF e CONSAP si sono ritualmente costituiti in giudizio instando per la reiezione del gravame, di cui è stata eccepita l’inammissibilità sotto plurimi profili e anche l’infondatezza nel merito.

Con successivi motivi aggiunti ritualmente notificati e depositati, parte ricorrente esponeva di essere poi venuta a conoscenza – nelle more del presente giudizio e per effetto di un deposito effettuato dalle resistenti in un giudizio analogo rispetto a quello odierno – di una delibera assunta da Consap in data 23 febbraio 2022, con cui la stessa Consap avrebbe disposto che qualora l’obbligazionista si fosse preventivamente rivolto all’ANAC per ottenere il rimborso del “vecchio” indennizzo previsto dal DL n. 59 del 2016, lo stesso obbligazionista conservava comunque il diritto di “accedere al FIR” (e cioè al fondo indennizzo risparmiatori previsto dalla legge n. 145 del 2018, oggetto dell’odierna controversia). Detta delibera Consap del 23 febbraio 2022 stabiliva, inoltre, che se l’obbligazionista si fosse rivolto preventivamente all’ANAC “non ottenendo alcun indennizzo per il rigetto della domanda per motivi di merito” (oppure soltanto una parte di tale indennizzo), “la Commissione valuterà i lodi “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito”.

Con gli odierni motivi aggiunti, pertanto, parte ricorrente – facendo perno proprio sulla summenzionata delibera Consap del 23 febbraio 2022 – censurava nuovamente il provvedimento di reiezione dell’istanza di indennizzo ex legge n. 145 del 2018, in quanto detto provvedimento si è erroneamente limitato a prendere atto (in senso ostativo) del lodo arbitrale ANAC, senza invece utilizzarlo quale “fonte di accertamento” concorrente con altri elementi istruttori; elementi istruttori che non sono stati minimamente soppesati e valutati nell’ambito dell’impianto motivazionale dell’atto gravato.

Seguiva il deposito dei documenti e delle memorie conclusionali e di replica ex art. 73, comma 1, c.p.a.

All’udienza pubblica del 8 marzo 2022, pertanto, il Collegio ha introiettato la causa in decisione.

DIRITTO

In limine litis, il Collegio ritiene di dover respingere le eccezioni di rito sollevate dalle Amministrazioni resistenti, e ciò sulla scorta dell’orientamento già espresso in una causa analoga dal Consiglio di Stato (Sezione VII) con la recente sentenza n. 664 del 19 gennaio 2023, a cui il Collegio presta adesione.

Per quel che concerne, infatti, l’eccepito difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo, l’esame della questione relativa al riparto di giurisdizione impone di valutare il petitum sostanziale, ossia l’intrinseca consistenza della posizione soggettiva dedotta in giudizio, individuata dal giudice con riguardo alla sostanziale protezione accordata a quest’ultima dal diritto positivo (v. ex plurimis, Cass. Sez. Un., 31 gennaio 2005, n. 6743; Cass. Sez. Un., 28 giugno2006, n. 14846).

In particolare, secondo i principi espressi dall’Adunanza Plenaria 29 gennaio 2014, n. 6, il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche (fattispecie assimilabili a quella in esame, almeno ai fini di giurisdizione) deve essere attuato (non configurandosi alcuna ipotesi di giurisdizione esclusiva) sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che sussiste la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla pubblica amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione; inoltre, è configurabile una situazione soggettiva di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse.

Il petitum sostanziale della presente controversia, chiaramente emergente dall’atto introduttivo del giudizio, attiene alla pretesa di parte ricorrente di ottenere una valutazione circa la spettanza dell’indennizzo previsto dalla l. n. 145 del 2018, sulla base della procedura ordinaria e, dunque, dell’accertamento, da parte della commissione tecnica prevista dalla disciplina di riferimento, della sussistenza di reiterate violazioni del TUF (decreto legislativo n. 58 del 1998) da parte dell’istituto bancario e del nesso causale tra le stesse ed il pregiudizio da lei subito.

Dunque, la situazione giuridica soggettiva ascrivibile all’odierna parte ricorrente deve essere qualificata in termini di interesse legittimo pretensivo, assumendo ai fini in esame rilievo il contenuto delle censure formulate con il ricorso, segnatamente riferite alla dedotta sussistenza di un obbligo dell’Amministrazione di valutare nel merito le violazioni massive del TUF commesse dall’istituto bancario e il nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio dell’investitore, insufficiente essendo il mero rinvio al lodo arbitrale con cui l’ANAC aveva respinto la richiesta di un diverso indennizzo.

Acclarata la piena sussistenza della giurisdizione del Giudice Amministrativo sulla causa de qua, va poi respinta l’eccezione con cui la società Consap, in house del Ministero dell’economia e delle finanze, ha dedotto la propria carenza di legittimazione passiva.

Va evidenziato, infatti, che se è vero che la titolarità del rapporto controverso fa capo alla Commissione tecnica, organo straordinario del Ministero, la Consap in conformità alle previsioni dell’art. 1, comma 501, della l. n. 145 del 2018 (nonchè alla disciplina attuativa di cui al DM del 10 maggio 2019) svolge un’attività che non è limitata al mero supporto alla predetta Commissione, istituita ai sensi della citata disposizione, nell’espletamento dell’attività istruttoria e di acquisizione dei dati.

Come emerge, infatti, dall’art. 8, comma 5, del DM 10 maggio 2019, emanato in attuazione delle previsioni di cui all’art. 1, commi da 493 a 507, della l. n.145 del 2018, alla Consap non è demandata esclusivamente l’attività di segreteria, bensì anche un’attività di gestione che non si esaurisce nella predisposizione dei processi concernenti l’espletamento delle procedure, essendo la società incaricata, tra l’altro, dell’esecuzione delle delibere della Commissione tecnica.

Proprio il complesso delle attività espletate dalla società, tra le quali anche l’interlocuzione diretta con i richiedenti l’indennizzo, inducono a ritenere che correttamente la stessa sia stata evocata in giudizio insieme al Ministero, al quale come sopra esposto va riferita la titolarità del rapporto, tenuto conto peraltro dell’incidenza dei vincoli conformativi suscettibili di scaturire dalla pronuncia giurisdizionale sulla società.

Va parimenti respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso per sua mancata notifica ad almeno un controinteressato, da individuare negli altri soggetti che hanno presentato istanza per ottenere l’erogazione dell’indennizzo attraverso una procedura che rivestirebbe carattere selettivo in considerazione della limitatezza degli stanziamenti destinati alla misura di sostegno in questione.

Si evidenzia, infatti, che, secondo la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. ex multis, da ultimo, sez. III, sentenza n. 5052/2020), il controinteressato da evocare in giudizio è il soggetto indicato nell’atto che si impugna, ovverosia il soggetto, facilmente individuabile, portatore di un interesse – concreto ed attuale – giuridicamente qualificato alla conservazione dell’atto, e dunque interessato a difendere una situazione giuridica di vantaggio uguale e contraria rispetto a quella del ricorrente.

Si afferma altresì che non occorre che il controinteressato sia espressamente individuato nell’atto, essendo sufficiente che sia comunque facilmente individuabile con l’ordinaria diligenza (Cons. St., sez. V, sentenza n. 4503/2019).

Nella fattispecie non consta in atti che sia stata stilata una graduatoria delle istanze ammissibili, né emergono elementi che consentano di ritenere agevolmente individuabili eventuali controinteressati, dovendosi quindi escludere la sussistenza della dedotta causa di inammissibilità in applicazione dell’art. 41, comma 2, c.p.a.

Va infine respinta anche l’eccezione di incompetenza territoriale di questo TAR genericamente sollevata dal Ministero resistente, non essendo revocabile in dubbio la competenza di questo TAR Lazio in ragione del criterio ordinario di competenza della sede dell’Amministrazione centrale da cui promana l’atto impugnato (cfr. art. 13 c.p.a.).

Ciò premesso, il Collegio può dunque procedere all’esame del merito del ricorso.

In proposito, è anzitutto necessario ricostruire brevemente il quadro normativo che disciplina l’indennizzo de quo agitur.

Il potere di erogare detto indennizzo trova la sua fonte legale nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018 (al comma 493 si prevede, invero, che “per la tutela del risparmio e per il rispetto del dovere di disciplinare, coordinare e controllare l’esercizio del credito, nello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze è istituito un Fondo indennizzo risparmiatori (FIR), con una dotazione iniziale di 525 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il FIR eroga indennizzi a favore dei risparmiatori come definiti al comma 494 che hanno subìto un pregiudizio ingiusto da parte di banche e loro controllate aventi sede legale in Italia, poste in liquidazione coatta amministrativa dopo il 16 novembre 2015 e prima del 1°(gradi) gennaio 2018, in ragione delle violazioni massive degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza, buona fede oggettiva e trasparenza, ai sensi del testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58”).

La summenzionata legge n. 145 del 2018 ha anzitutto previsto la misura dell’indennizzo e la platea dei beneficiari dello stesso, nonché una sorta di “corsia procedurale preferenziale” in favore di quei risparmiatori che – oltre ad essere in possesso delle azioni od obbligazioni emesse dalle banche individuate dalla legge (id est quelle in liquidazione coatta amministrativa) – hanno un reddito ed un patrimonio inferiori a specifiche soglie economiche minime (cfr. art. 1, comma 502 bis, della legge n. 145 del 2018).

Questa prima categoria di risparmiatori (c.d. “forfettari”) può accedere all’indennizzo de quo soltanto perché in possesso dei summenzionati requisiti reddituali e patrimoniali.

Viceversa, i risparmiatori privi di tali requisiti (come ad esempio l’odierna parte ricorrente) sono gravati dell’onere di dimostrare le violazioni massive del TUF commesse dalla loro banca (così come accertate in sede penale), nonché il concreto nesso di causalità tra tali violazioni e il pregiudizio da loro subito.

Il legislatore ha poi delegato alla potestà regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze la definizione di molti altri aspetti del procedimento di assegnazione dell’indennizzo de quo, essendo stato previsto che “con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze sono definite le modalità di presentazione della domanda di indennizzo nonché i piani di riparto delle risorse disponibili. Con il medesimo decreto è istituita e disciplinata una Commissione tecnica per: l’esame delle domande e l’ammissione all’indennizzo del FIR; la verifica delle violazioni massive, nonché della sussistenza del nesso di causalità tra le medesime e il danno subito dai risparmiatori; l’erogazione dell’indennizzo da parte del FIR. Le suddette verifiche possono avvenire anche attraverso la preventiva tipizzazione delle violazioni massive e la corrispondente identificazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi in presenza dei quali l'indennizzo può essere direttamente erogato” (cfr. art. 1, comma 501, della legge n. 145 del 2018).

In attuazione di tale previsione legale è appunto intervenuto il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019, il cui art. 7, comma 1, prevede (sotto la rubrica “Commissione tecnica”) che “è istituita la Commissione tecnica prevista dall’art. 1, comma 501, legge 30 dicembre 2018, n. 145, competente per l’esame e l’ammissione delle domande di indennizzo del FIR”, alla quale è affidato anche il compito di stabilire i “criteri generali e linee guida per la tipizzazione delle violazioni massive, individuali o di portata generale, di natura contrattuale o extracontrattuale, e la corrispondente modulazione degli elementi oggettivi e/o soggettivi nonché dei periodi temporali di riferimento in presenza dei quali, anche tenendo conto delle diverse tipologie di violazione in concreto prese in esame, sussistono il danno subito da ciascun istante e il nesso causale tra le suddette violazioni e tale danno”.

L’indennizzo de quo agitur trova la sua compiuta disciplina, pertanto, nell’art. 1, commi 493 e seguenti, della legge n. 145 del 2018, nonché nel Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 10 maggio 2019 e nelle Linee Guida adottate dalla Commissione Tecnica all’uopo istituita (con cui sono state tipizzate le violazioni massive del TUF in presenza delle quali può essere erogato l’indennizzo ai risparmiatori/investitori).

Ai fini di causa è importante evidenziare che l’indennizzo in parola è formalmente autonomo e distinto rispetto al precedente indennizzo previsto dagli artt. 8 e 9 del d.l. n. 59 del 2016.

Ciò in quanto diversi sono i fondi e gli stanziamenti a cui i due indennizzi attingono: il “nuovo” indennizzo ora in esame attinge infatti al Fondo Indennizzo Risparmiatori (nel prosieguo anche “FIR”) istituito dalla summenzionata legge n. 145 del 2018, mentre il “vecchio” indennizzo previsto dal d.l. n. 59 del 2016 attinge al Fondo di Solidarietà istituito dall’art. 1, comma 855, della legge n. 208 del 2015 (nel prosieguo anche il “Fondo di Solidarietà”, il quale è a sua volta alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi istituito ai sensi dell’articolo 96 del TUF, giusta quanto previsto dall’art. 1, comma 856, della legge n. 208 del 2015).

Ciò premesso in linea generale, il presente ricorso appare fondato e va quindi accolto con riferimento alle prime due doglianze sintetizzate nella parte in fatto della presente sentenza, con cui parte ricorrente si duole del fatto che la motivazione dedotta a sostegno del diniego del “nuovo” indennizzo finanziato dal FIR ex legge n. 145 del 2018 (secondo la quale parte ricorrente ha già visto negarsi in passato il “vecchio” indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà ex DL n. 59 del 2016) è al contempo illegittima e argomentativamente carente.

Detta motivazione è infatti “condensata” – lo si ripete – nel mero rinvio al lodo arbitrale ANAC con cui era stata respinta la richiesta del “vecchio” indennizzo previsto dall’art. 9, comma 10, del decreto legge n. 59 del 2016 (e cioè l’indennizzo finanziato dal Fondo di solidarietà istituito con la legge 22 novembre 2015, n. 183, destinato agli investitori detentori di strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell’Etruria e del Lazio - Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa).

Il Collegio rileva che detta motivazione provvedimentale può prestarsi in astratto a due diverse letture, e cioè in particolare:

(i) una prima lettura secondo cui il lodo arbitrale reiettivo dell’ANAC – seppur riferito all’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà (e cioè a un indennizzo formalmente diverso rispetto a quello finanziato dal FIR che viene ora negato con il provvedimento impugnato) – è ex se ostativa all’erogazione dell’indennizzo del FIR;

(ii) una seconda lettura secondo cui il lodo arbitrale con cui l’ANAC ha respinto la richiesta dell’indennizzo finanziato dal Fondo di Solidarietà è stato un elemento istruttorio che – in concorso con altri elementi e all’esito di una specifica istruttoria procedimentale – ha condotto l’Amministrazione a respingere la richiesta dell’indennizzo finanziato dal FIR.

Se il provvedimento impugnato intendesse dire ciò che emerge dalla prima delle due letture testè prospettate, non è revocabile in dubbio che esso sarebbe sicuramente illegittimo, non trovando tale lettura conforto in alcun referente né legislativo né regolamentare.

Sono tuttavia le stesse parti resistenti ad escludere, con le loro stesse difese, che il significato dell’atto impugnato sia quello riconducibile alla prima lettura menzionata.

Il che trova conferma anche in alcune deliberazioni della Commissione Tecnica ritualmente depositate in atti.

Si veda, a titolo meramente esemplificativo, il verbale del 23 febbraio 2022 con cui la Commissione Tecnica conclude che “la rilevanza da attribuire ai lodi Anac, così come a quelli AFC, sia quella di elemento di valutazione utile ai fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF”.

Ad ulteriore conferma di quanto precede, giova rammentare che la Commissione Tecnica si è espressa nel senso di: (i) riconoscere la “rilevanza (…) di precedenti decisioni relative ai medesimi istanti e agli stessi strumenti finanziari per i quali si chiede l’indennizzo del Fondo” e istruire l’istanza “tenendo conto di quanto accertato da eventuali sentenze giudiziarie e/o lodi arbitrali resi dal FITD o dall’ACF” (cfr. determina del 30 gennaio 2020); (ii) valutare le decisioni di merito “quali fonti di accertamento utili al fine di stabilire o escludere l’esistenza di violazioni, il nesso causale o l’entità effettiva del pregiudizio concretamente subito” (cfr. determina del 21 maggio 2020); (iii) attribuire ai lodi ANAC e/o ACF la rilevanza di “elemento di valutazione utile a fini probatori, sul presupposto che il contesto oggetto del lodo non sia a priori sovrapponibile alla valutazione che la Commissione è chiamata a fare sulla sussistenza delle violazioni massive del TUF (…). In ogni caso sono fatti salvi gli ulteriori approfondimenti e le diverse valutazioni della Commissione rispetto (…) ai singoli casi di specie” (cfr. determina del 23 febbraio 2022).

Va da sé che l’unico significato astrattamente ammissibile e legittimo della motivazione contenuta nell’atto reiettivo impugnato è quello per cui il lodo arbitrale ANAC è stato soltanto un “pezzo del mosaico” su cui l’Amministrazione ha fatto leva per respingere l’istanza avente ad oggetto l’indennizzo finanziato dal FIR.

Ciò, del resto, in piena coerenza con l’art. 7, comma 1, lettera C, del DM del 10 maggio 2019, a rigore del quale la Commissione Tecnica “verifica la sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 3 nonché delle violazioni massive del T.U.F. che hanno causato un pregiudizio ingiusto agli aventi diritto da parte di banche in liquidazione ai risparmiatori e, per conseguenza, agli altri eventuali aventi diritto, anche acquisendo d’ufficio apposita documentazione bancaria o amministrativa o giudiziale, tra cui sentenze di giudizi penali o civili, pronunce emesse da arbitrati promossi dalle parti, tra i quali l’arbitrato bancario e finanziario della Banca d’Italia, l’arbitrato per le controversie finanziarie della Consob, provvedimenti sanzionatori o atti ispettivi della Banca d’Italia o della Consob, documenti ricognitivi dei commissari delle liquidazioni coatte amministrative, documenti acquisiti dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario» prodotti dai soggetti intervenuti, documentazione bancaria sulla profilatura e informativa della clientela e sui contratti di acquisto”.

Se dunque il lodo arbitrale ANAC di reiezione della domanda di indennizzo del Fondo di Solidarietà è soltanto un “elemento di valutazione” da soppesare in concorso con altri elementi (e non già un fattore da solo ostativo ed escludente) il Collegio non può non rilevare il deficit di motivazione ed istruttoria che affligge il provvedimento impugnato, atteso che:

(a) detto provvedimento non contiene la benché minima enunciazione delle ragioni per cui il percorso logico-argomentativo contenuto nel lodo arbitrale negativo dell’ANAC – quantunque riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – dispieghi una sua concreta rilevanza anche nel procedimento amministrativo di rigetto della domanda di indennizzo del FIR. Né tale enunciazione può ricavarsi indirettamente dai chiarimenti aggiuntivi forniti soltanto nell’odierno giudizio dalle Amministrazioni resistenti, chiarimenti che il Collegio non può ovviamente valorizzare se non a pena di violazione del divieto di integrazione postuma giudiziale della motivazione provvedimentale originariamente carente;

(b) non v’è in atti alcuna evidenza dell’istruttoria che ha spinto l’Amministrazione a respingere l’istanza di parte ricorrente, risultando quindi palese che non v’è stata – né in seno alla fase istruttoria del procedimento amministrativo né nel corpo motivazionale del provvedimento finale – alcuna ponderazione e comparazione delle risultanze del lodo arbitrale ANAC rispetto ad altri concorrenti elementi istruttori. E se è pur vero che Consap aveva richiesto alla ricorrente l’invio di ulteriore documentazione comprovante l’esistenza delle violazioni massive del TUF, è però anche vero che non c’è alcuna prova di come Consap abbia valutato tale documentazione.

Ciò che emerge, pertanto, è che il lodo arbitrale negativo dell’ANAC – lodo riferito al diverso indennizzo del Fondo di Solidarietà – sia stato acriticamente e passivamente recepito come unico motivo ostativo all’erogazione dell’indennizzo del FIR.

Orbene, se da un lato è vero che la motivazione del provvedimento amministrativo ben può consistere in un rinvio per relationem ad un altro atto endo-procedimentale già noto (o comunque già reso accessibile) al privato istante, dall’altro lato è anche vero, però, che tale consolidato principio si basa sull’implicito presupposto che l’atto endo-procedimentale evocato sia afferente allo stesso identico procedimento a cui afferisce il provvedimento finale.

Presupposto che pacificamente non ricorre nel caso di specie.

In senso analogo deve dirsi rispetto all’eccezione di parte resistente incentrata sull’asserita autorità di cosa giudicata del lodo negativo ANAC a cui fa rinvio l’atto impugnato.

È evidente, infatti, che l’inerenza di tale lodo arbitrale ad un diverso procedimento amministrativo (e a un diverso indennizzo) impedisce allo stesso di acquisire qualsiasi crisma di intangibilità nel caso de quo.

A ciò si aggiunta che nessuna delle norme contenute nella legge n. 145 del 2018 e nel DM applicativo del 2019, prevede che il pregresso diniego da parte dell’ANAC dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà osti al riconoscimento dell’indennizzo del FIR, sicchè la censurata motivazione appare affetta – oltre che da una intrinseca insufficienza esplicativa – anche da una violazione di legge.

La concreta rilevanza del suesposto deficit motivazionale dell’atto impugnato risulta vieppiù confermata dalla parziale discrepanza tra due specifici ed “omologhi” indicatori di violazioni massive del TUF rispettivamente contenuti:

- da un lato nelle Linee Guida ANAC, per ciò che concerne l’indennizzo del Fondo di Solidarietà;

- dall’altro lato nell’art. 7 del DM del 10 maggio 2019, per ciò che concerne l’indennizzo del FIR oggetto di causa;

Le Linee Guida ANAC stabiliscono, con riferimento all’indennizzo del Fondo di Solidarietà, che “ai fini dell’accertamento, nell’ambito del procedimento arbitrale di cui al D.M. 9 maggio 2017, n. 83, delle violazioni degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento relativi alla sottoscrizione e al collocamento degli strumenti finanziari subordinati nonché per la determinazione arbitrale della prestazione, possono considerarsi elementi di valutazione rilevanti, tra gli altri … f) la concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie basse o medio basse, ovvero a categorie equivalenti; g) la concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo (rappresentato dalla liquidità e dal portafoglio in strumenti finanziari) detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione nel caso in cui il profilo dell’investitore sia, anche di fatto, riconducibile a categorie medie o medio alte, ovvero a categorie equivalenti”.

In base alle Linee Guida ANAC, pertanto, un elemento di valutazione di una possibile violazione massiva del TUF consiste:

- nella concentrazione superiore al 25% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie basse o medio basse);

- nella concentrazione superiore al 50% dell’investimento in strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca rispetto al patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore alla data di conclusione dell’operazione (se il profilo dell’investitore è riconducibile a categorie medie o medio alte).

Ciò che va valutato in base alle Linee Guida ANAC ai fini del riconoscimento dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà, pertanto, è il rapporto tra strumenti finanziari subordinati e patrimonio complessivo detenuto per conto dell’investitore (rapporto che può dar luogo ad una violazione massiva del TUF soltanto se supera la soglia del 25% o 50%, a seconda del profilo dell’investitore).

Se si passa invece ad esaminare l’omologo “indicatore” di violazioni massive del TUF previsto dall’art. 7 del DM del 10 maggio 2019 in relazione al diverso indennizzo del FIR, appare evidente che detto indicatore non sia esattamente sovrapponibile al summenzionato criterio previsto dalle Linee Guida dell’ANAC, essendo declinato nel seguente modo: “la carente informazione o profilatura della clientela, ad esempio tramite l’assegnazione ai clienti di un grado di rischio e di un orizzonte temporale di investimento incongruo rispetto all'età ovvero alla composizione del loro patrimonio immobiliare o mobiliare, in particolare qualora quest'ultimo risulti concentrato in misura pari o superiore al 50% in strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca o del gruppo bancario, ovvero in misura pari o superiore al 30% nel caso di prestazione del servizio di gestione di portafogli da parte della banca emittente o di società del gruppo”.

Ciò che va quindi valutato ai fini dell’indennizzo del FIR in base all’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 e alle Linee Guida all’uopo adottate dalla Segreteria Tecnica, è invece il rapporto tra tutti gli strumenti di capitale o altri strumenti finanziari della banca (quindi non soltanto quelli subordinati) e l’intero patrimonio immobiliare o mobiliare del risparmiatore.

Va da sé che in astratto lo stesso investitore di profilo medio o medio-alto potrebbe allo stesso tempo:

(i) non superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida ANAC (ai fini dell’indennizzo del Fondo di Solidarietà), posto che tale soglia si riferisce ai soli strumenti finanziari subordinati;

(ii) superare la soglia del 50% stabilita dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica e dall’art. 7 del DM del 10 maggio del 2019 (ai fini dell’indennizzo del FIR), posto che tale soglia si riferisce a tutti gli strumenti finanziari sia subordinati che non.

Il che conferma che non c’è una piena ed integrale sovrapponibilità delle fattispecie di violazioni massive del TUF rispettivamente previste dalle Linee Guida ANAC (per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà) e dalle Linee Guida della Segreteria Tecnica (per l’indennizzo del FIR).

Quanto precede rende ancor più rilevante il deficit istruttorio e motivazionale che affligge il provvedimento impugnato (deficit comunque già da solo sufficiente ai fini dell’annullamento dell’atto) atteso che gli accertamenti istruttori da compiersi in base al DM del 10 maggio del 2019 per l’indennizzo del FIR non coincidono sempre e comunque con quelli già compiuti dall’ANAC in base alle proprie Linee Guida per l’indennizzo del Fondo di Solidarietà.

Né può invocarsi alcuna dequotazione formale del rilevato vizio di motivazione in forza del meccanismo di sanatoria processuale previsto dall’art. 21-octies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990, posto che la motivazione del provvedimento amministrativo discrezionale - come il Consiglio di Stato afferma secondo un orientamento ora recepito anche dal Giudice delle Leggi nelle ordinanze del 26 maggio 2015, n. 92, e del 17 marzo 2017, n. 58 - costituisce il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della legge n. 241 del 1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (cfr. quam multis Consiglio di Stato n. 7883 del 10 dicembre 2020 e Consiglio di Stato, sez. III, 7 aprile 2014, n. 1629).

L’accoglimento delle due censure con cui si lamenta da un lato l’insufficienza motivazionale e dall’altro lato l’illegittimità dell’atto impugnato, conduce pertanto all’annullamento di quest’ultimo, annullamento che – in quanto ricadente su un atto lesivo di un interesse legittimo pretensivo connotato da discrezionalità tecnica – prelude ad un’inevitabile riedizione del potere.

Proprio la necessità di tale riedizione del potere (e dei margini di discrezionalità ad esso sottesi) impedisce al Collegio di scrutinare la doglianza con cui parte ricorrente si duole del fatto che l’Amministrazione non abbia valutato – in sede di delibazione della richiesta di erogazione dell’indennizzo del FIR – le carenze informative di cui si era resa originariamente responsabile la banca insolvente al momento degli investimenti contestati.

Ed infatti, qualsiasi valutazione resa dal Collegio in questa sede sulla sussistenza o meno di dette carenze informative finirebbe sostanzialmente per anticipare un accertamento che ancora non è stato effettuato dall’Amministrazione nel caso de quo e, quindi, per violare il divieto di esercizio di poteri amministrativi ancora non esercitati (cfr. art. 34, comma 2, c.p.a.).

Le doglianze sollevate sul punto dalla parte ricorrente sono pertanto inammissibili.

Inammissibile è anche la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere una condanna dell’Amministrazione al rilascio di un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo del FIR (o in subordine al pagamento di un risarcimento pari a tale indennizzo), atteso che pure tale domanda – laddove delibata nel merito – condurrebbe il Collegio a pronunziarsi rispetto a poteri amministrativi ancora non esercitati in violazione dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Non vi sono quindi i presupposti per adottare né una condanna ad emettere uno specifico provvedimento, né una condanna al risarcimento del danno, impossibile essendo la prognosi sulla spettanza del bene della vita.

Ciò chiarito, il Collegio rileva infine che l’accoglimento dell’azione annullatoria per difetto di motivazione e istruttoria determina l’assorbimento delle residue censure con cui parte ricorrente si è doluta di una presunta disparità di trattamento introdotta dall’atto impugnato, nonché delle doglianze sollevate con i motivi aggiunti.

Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e, per l’effetto, il provvedimento impugnato va annullato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini sopra indicati, fatto salvo il potere dell’Amministrazione di rideterminarsi sull’istanza della parte ricorrente.

Restano assorbiti i residui motivi di impugnazione, mentre va dichiarata invece inammissibile la domanda di accertamento del diritto della parte ricorrente ad ottenere l’indennizzo finanziato dal FIR, domanda che si infrange sul rilievo ostativo dell’art. 34, comma 2, c.p.a.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, avuto riguardo alla natura seriale del contenzioso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto ed integrato da motivi aggiunti, accoglie la domanda di annullamento dell’atto impugnato per difetto di motivazione e istruttoria nei sensi e termini indicati in parte motiva.

Dichiara inammissibile la domanda di accertamento del diritto ad ottenere un provvedimento di attribuzione dell’indennizzo per cui è causa (o un risarcimento commisurato a tale indennizzo).

Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze e Consap, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di lite in favore di parte ricorrente in misura complessivamente pari ad € 800,00 (ottocento/00) oltre oneri accessori come per legge e rimborso del contributo unificato (ove versato).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità della parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2023 con l'intervento dei magistrati:

Eleonora Monica, Presidente FF

Giovanna Vigliotti, Referendario

Michele Tecchia, Referendario, Estensore



L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Michele Tecchia Eleonora Monica





IL SEGRETARIO



In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini i
 
Non riesco a capire se c'è una sentenza che riguarda chi ha comprato obbligazioni seccessivamente al periodo sospetto.
 
Ho pubblicato queste recenti sentenze del Tar con grande piacere.

Innanzi tutto un bravo all'avvocato Canafoglia!

Ed un consiglio a tutti gli altri: qui le cose non stanno andando per Voi bene oh Signori belli.

Le state buscando a ripetizione e difficilmente il Consiglio di Stato ribalterà questi arresti (ancorché Voi appelliate con il Vostro avvocato e non certo con il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato). Ora dovete rifare l'istruttoria per queste posizioni. Certo potete liquidarle tutte per il quieto vivere. O potete rigettarle tutte (o in parte): ma in questo caso nessuno si ferma.

Evidentemente la Vostra escogitazione dei periodi sospetti è un po' troppo "creativa".

Ma noi non vogliamo il Vostro male. Solo riavere i nostri soldi investiti in obbligazioni di una banca giudata da una sorta di associazione di mattacchioni (uso questo termine per non beccarmi una querela) che hanno avuto praterie libere per il disinteresse (e si auspica dovuto a colpa e non a dolo: ma pur sempre colpa e non certo lieve) dei verificatori e dei controllori.

Riavere ciò che è nostro è per noi un gesto di pace. E ci mettiamo una pietra sopra al passato. Ed amici più di prima.
 
Nessun altro interessato?
Come avrete letto, alcuni sono riusciti ad ottenere l'indennizzo per acquisti al di fuori del "periodo sospetto". Si tratta di tentare la stessa strada.
Rinnovo l'invito a chi non è stato indennizzato per questo motivo a contattarmi
Ciao, sono appena riuscito ad accedere (non trovavo più le password) ma comunque non concede nemmeno a me di aprire una conversazione in privato (e sono iscirtto da tempo)
 
Stato
Chiusa ad ulteriori risposte.
Indietro