Fondo pubblico di previdenza complementare
Infine, si rappresenta che l’Istituto non ha competenze specifiche sulla previdenza sanitaria integrativa, ma compiti potenziali sulla gestione della previdenza complementare sui quali si propone la creazione di un fondo pubblico gestito dall'INPS per la previdenza complementare.
La previdenza complementare (o di secondo pilastro) è stata introdotta nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124.
Con l’introduzione del secondo pilastro, il legislatore intendeva perseguire un duplice intento coinvolgere il più ampio numero possibile di lavoratori in un sistema che avrebbe permesso un aumento dell’importo delle prestazioni pensionistiche e modernizzare un mercato finanziario, come quello italiano, considerato povero di investitori istituzionali e poco efficace nel fornire alle imprese nazionali il necessario capitale di rischio.
I numeri delle adesioni rimangono ben al di sotto degli obiettivi del legislatore e una parte prevalente dei fondi raccolti non viene convogliata verso investimenti utili allo sviluppo del sistema produttivo nazionale.
Ad oggi, il numero di adesioni alle diverse forme di previdenza complementare risulta molto limitato e sensibilmente inferiore rispetto alle attese del legislatore.
Il complessivo risparmio previdenziale complementare supera i 270 miliardi di euro e riguarda circa dieci milioni di soggetti tra iscritti e pensionati.
Nel 2019, il 66% del patrimonio complessivo veniva investito all’estero e solo una parte minoritaria in Italia.
Ad oggi, il numero di adesioni alle diverse forme di previdenza complementare risulta molto limitato e sensibilmente inferiore rispetto alle attese del legislatore.
I dati contenuti nella Relazione per l’anno 2021 della Covip ci dicono che, a fine 2021, risultano iscritti alla previdenza complementare circa 8,7 milioni di soggetti, il 34,7% per cento delle forze di lavoro, ma circa 2,3 milioni di iscritti, pari al 26,8% del totale, non ha effettuato nessuna contribuzione nell’anno.
Alcune categorie di lavoratori, stando ai dati forniti dalla Covip, sembrano particolarmente svantaggiate dal punto di vista della previdenza complementare.
Si tratta, in particolare, dei lavoratori autonomi, dei giovani, dei lavoratori del Mezzogiorno e delle donne.
Gli autonomi fanno registrare una contribuzione particolarmente discontinua, mentre per giovani, lavoratori meridionali e donne, i tassi di partecipazione sono particolarmente bassi.
Questi dati riflettono le difficoltà che queste categorie di lavoratrici e lavoratori trovano nel moderno mercato del lavoro: alti tassi di disoccupazione, soprattutto tra i giovani e le donne, lavoro precario, basse retribuzioni, garanzie contrattuali scarse o nulle – soprattutto per gli autonomi.
Il vigente sistema di previdenza complementare non sembra essere stato in grado di convogliare una adeguata quantità di risorse nel sistema produttivo italiano.
Gli investimenti nazionali sono ampiamente minoritari.
Infine, l’attuale sistema di previdenza complementare affidato al settore privato non sembra essere stato in grado di garantire adeguati rendimenti. Infatti, in molti casi l’investimento in strumenti di previdenza complementare non è riuscito a garantire rendimenti superiori alla rivalutazione del TFR.
Anche se nel 2021 tale rendimento è stato superiore, resta l’esigenza di un sistema per evitare che i risparmi per la vecchiaia abbiano rendimenti eccessivamente modesti o troppo esposti alle fluttuazioni del mercato.
Una proposta per la previdenza complementare
Per superare i limiti riscontrati nelle forme attuali di previdenza complementare, si propone la creazione di un fondo pubblico gestito dall’INPS.
Tale fondo avrebbe un campo di applicazione potenzialmente più ampio rispetto agli strumenti attualmente a disposizione, perché aperto all’adesione non solo di tutti i lavoratori, ma anche dei cittadini inoccupati qualora essi, sebbene non ancora entrati nel circuito lavorativo, vogliano comunque iniziare a costruirsi una posizione previdenziale complementare, con versamenti diretti o indiretti (di terzi, genitori, nonni).
Un fondo siffatto dovrebbe essere strettamente collegato con la previdenza obbligatoria, in modo tale che l’adesione al fondo non si limiti a garantire all’aderente una misura pensionistica più alta, ma abbia implicazioni anche nel campo dei requisiti necessari ai fini della maturazione del diritto al trattamento pensionistico nel sistema contributivo.
Inoltre, occorrerebbe prevedere la possibilità di vantaggi e incentivi fiscali, socialmente orientati, individuati dal legislatore, tali da modificare in qualche modo l’attuale composizione della previdenza complementare.
La previdenza complementare pubblica avrebbe, dunque, anche una funzione anticiclica, e contribuirebbe a raggiungere una maggiore flessibilità in uscita dal mercato del lavoro.
La previsione di sistemi di investimento dei capitali nell’economia reale, raccolti in asset socialmente responsabili che siano in grado di assicurare adeguati rendimenti, dovrebbe essere la stella polare di questa proposta.
I risparmi raccolti attraverso il nuovo Fondo verrebbero amministrativamente gestiti da Inps, con un risparmio notevole di costi di gestione, molto alti nel settore privato.
La gestione degli investimenti potrebbe essere concessa a Cassa Depositi e Prestiti, che canalizzerebbe gli investimenti nel Paese, non solo in titoli di Stato ma anche in investimenti infrastrutturali e per la transizione energetica.
Capitali pazienti, con buoni rendimenti nel lungo periodo, adatti a soggetti altrettanto pazienti, da riscattare soltanto verso i 60/65 anni.