Gas, "potenziale clamoroso". Carbone sarà prima fonte

  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

frankyone

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New York - La costante crescita della domanda mondiale, trascinata soprattutto da India e Cina, potrebbe trasformare il carbone nella prima fonte energetica globale nello spazio di pochi anni consentendo il raggiungimento di una sostanziale parità con il consumo di oro nero già nel 2017. È la conclusione raggiunta dagli analisti della Iea, l’Agenzia internazionale dell’energia, nell’ultimo Medium-Term Coal Market Report (Mcmr).

Entro il 2017, spiega lo studio, il consumo globale di carbone dovrebbe toccare quota 4,32 miliardi di "tonnellate equivalenti di petrolio" (la misura del potenziale energetico) all’anno contro le 4,4 dell’oro nero. Un aggancio in vetta, insomma, che dovrebbe essere il preludio a un successivo sorpasso.

Il dato appare decisamente preoccupante dal momento che rischia di complicare gli sforzi di riduzione delle emissione gassose, obiettivo, quest’ultimo, al centro dei programmi di sostenibilità ambientale lanciati a partire dal celebre Protocollo di Kyoto e tuttora particolarmente complesso da raggiungere. All’inizio del mese, il rapporto annuale del Global carbon project ha evidenziato per il 2012 una crescita delle emissioni di gas serra di origine industriale pari al 2,6% su scala mondiale.

Di fatto, ha notato il direttore esecutivo Iea Maria van der Hoeven, è come se il mondo fosse destinato da qui a 5 anni a "bruciare una quota annuale di carbone pari a 1,2 miliardi di tonnellate in più rispetto al volume odierno". Un aumento "equivalente alla somma dell’attuale consumo della Russia e di quello degli Stati Uniti". Come a dire che "se non interverranno cambiamenti alle attuali politiche, il carbone potrebbe raggiungere il petrolio entro un decennio".

Al cambio di politica energetica, a dire il vero, ci ha già pensato qualcuno. È il caso degli Stati Uniti, ormai lanciatissimi verso il comparto gas e petrolio. Nello scorso mese di marzo, gli analisti di Citigroup hanno predetto il sostanziale raddoppio della produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti da qui al 2020 (quando, secondo le stime, si dovrebbero toccare i 26,6 milioni di barili al giorno).

A novembre è stata la stessa Iea a confermare la previsione, ipotizzando la trasformazione degli Stati Uniti (l’unico Paese nel quale la domanda di carbone sia in calo) nel primo produttore mondiale di petrolio spazio di un decennio con il conseguente sorpasso dell’Arabia Saudita. Il ridimensionamento del carbone Usa consentirà alla Cina di diventare il primo consumatore di carbone nel corso del decennio davanti all’India, capace anch’essa di sorpassare in pochi anni gli Stati Uniti.

Ad orientare le strategie americane c’è lo sviluppo delle tecniche di estrazione utilizzate per le risorse energetiche sepolte nella roccia che coinvolgono il petrolio e soprattutto il cosiddetto "shale gas" sul cui impatto ambientale, tuttavia, sussistono ancora molte perplessità.

L’attenzione per questo genere di tecniche nasce dalla constatazione del potenziale clamoroso (ma tuttora fortemente ipotetico) del gas, sempre più al centro di molte politiche energetiche nazionali che puntano al risparmio dei costi. Non è un caso che nel citare l’esperienza americana, la stessa van der Hoeven abbia parlato proprio di "risorse interne non convenzionali prodotte in modo sostenibile". Ma il problema, come noto, rischia di essere tutto nell’ultimo aggettivo.

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