Sul Corriere della Sera di oggi:
La ricerca italiana? Pagata dal Nasdaq
La Gentium di Como fa oggi il salto sul listino tecnologico di Wall Street
È piccola ma pensa in grande. E punta a conquistare grossi investitori finanziari, che possano garantire la sua attività di ricerca. Gentium, società biofarmaceutica comasca, prima, nel giugno scorso, è sbarcata all’American stock exchange di New York, e ora è pronta per il grande salto: da oggi sarà quotata al Nasdaq con il simbolo Gent. «Un traguardo importante, una pietra miliare per la compagnia - spiega Laura Ferro, amministratore delegato della società che ha fondato nel 2001 e di cui è azionista (al 38%) -. L’Amex è un mercato specialista che decide il prezzo del titolo con un mix tra domanda e offerta. Il Nasdaq è più grande, telematico, senza intermediazione e più veloce nelle operazioni. Per questo preferito dai grossi investitori». Coloro che danno linfa vitale per la sopravvivenza della compagnia.
Dalle rive del Lario a quelle dell’Hudson river, senza fermarsi sui Navigli. «Negli Stati Uniti sono numerose le società di biotecnologia quotate, in Italia sono rare. A Piazza Affari non c’è molta sensibilità verso il biotech perché più rischioso: investire in biotecnologie significa puntare su aspettative future. In Italia piacciono di più le società che danno dividendi immediati». Con un passato da psichiatra l’imprenditrice cinquantaquattrenne nel 1991 è entrata nell’azienda di famiglia, la Crinos Industria Farmacobiologica, attiva dal 1944 e ha pensato bene di ristrutturarla. Nel 2001 lo spin off, la costituzione di Gentium e il passaggio alla nuova società dei brevetti e del personale di ricerca. Nel 2002 la vendita di Crinos a una società commerciale tedesca, con cui continua a collaborare con un prodotto in licenza.
La strategia vincente di Gentium è la sua ricerca di nicchia. Il motto? Avere buoni risultati scientifici in fase clinica e uno stabilimento all’avanguardia («vi abbiamo investito 10 milioni di dollari per aggiornarlo secondo le norme stabilite dalla Food and drug administration, l’ente di regolamentazione dei farmaci statunitense») a Villa Guardia, vicino a Como, con due laboratori in cui testare nuovi farmaci, una trentina di ricercatori e altrettanti dipendenti.
Il prodotto di punta è il Defibrotide, per il trattamento della trombosi arteriosa e dei disturbi cardiovascolari, ma sono allo studio altre applicazioni del farmaco per il trattamento di patologie derivanti dalle terapie antitumorali quali la chemioterapia. In particolare il trattamento della malattia veno-occlusiva epatica («Vod») che rappresenta un’opportunità di mercato del valore di 70 milioni di dollari a livello globale.
«Siamo ancora in fase preregistrativa. E alla fine della fase III presenteremo il dossier alla Food and drug administration per l’approvazione». Che dovrebbe arrivare a metà del 2007. Fondamentale anche il patrimonio di relazioni. La società guidata dalla Ferro ha sviluppato numerose collaborazioni con università, centri di ricerca, ospedali in Italia, Stati Uniti e Israele. Il Defibrotide è ovviamente solo il primo prodotto. E i ricavi? Derivano dalla produzione e vendita di principi attivi ma fondamentali sono i prodotti in fase pre-clinica. Tradotto, i ricavi sono bassissimi al momento: la società comasca ha chiuso il 2005 con un fatturato di 3,64 milioni di euro (3,70 milioni nel 2004), un utilizzo di cassa per attività operative per 8,7 milioni e una perdita di 7,38 milioni. Ma è proprio grazie alla quotazione al di là dell’Atlantico che la società ha potuto raccogliere 24,3 milioni di dollari con l’Ipo del 2005, a ottobre scorso un’ulteriore sottoscrizione per 11 milioni di dollari («abbiamo cassa a sufficienza per il 2006»). E ora la nuova avventura al Nasdaq. Per arrivare alla fase III di sviluppo clinico: il lancio di veri e propri prodotti sul mercato e quindi i profitti. E la soddisfazione degli azionisti.
Antonia Jacchia
La ricerca italiana? Pagata dal Nasdaq
La Gentium di Como fa oggi il salto sul listino tecnologico di Wall Street
È piccola ma pensa in grande. E punta a conquistare grossi investitori finanziari, che possano garantire la sua attività di ricerca. Gentium, società biofarmaceutica comasca, prima, nel giugno scorso, è sbarcata all’American stock exchange di New York, e ora è pronta per il grande salto: da oggi sarà quotata al Nasdaq con il simbolo Gent. «Un traguardo importante, una pietra miliare per la compagnia - spiega Laura Ferro, amministratore delegato della società che ha fondato nel 2001 e di cui è azionista (al 38%) -. L’Amex è un mercato specialista che decide il prezzo del titolo con un mix tra domanda e offerta. Il Nasdaq è più grande, telematico, senza intermediazione e più veloce nelle operazioni. Per questo preferito dai grossi investitori». Coloro che danno linfa vitale per la sopravvivenza della compagnia.
Dalle rive del Lario a quelle dell’Hudson river, senza fermarsi sui Navigli. «Negli Stati Uniti sono numerose le società di biotecnologia quotate, in Italia sono rare. A Piazza Affari non c’è molta sensibilità verso il biotech perché più rischioso: investire in biotecnologie significa puntare su aspettative future. In Italia piacciono di più le società che danno dividendi immediati». Con un passato da psichiatra l’imprenditrice cinquantaquattrenne nel 1991 è entrata nell’azienda di famiglia, la Crinos Industria Farmacobiologica, attiva dal 1944 e ha pensato bene di ristrutturarla. Nel 2001 lo spin off, la costituzione di Gentium e il passaggio alla nuova società dei brevetti e del personale di ricerca. Nel 2002 la vendita di Crinos a una società commerciale tedesca, con cui continua a collaborare con un prodotto in licenza.
La strategia vincente di Gentium è la sua ricerca di nicchia. Il motto? Avere buoni risultati scientifici in fase clinica e uno stabilimento all’avanguardia («vi abbiamo investito 10 milioni di dollari per aggiornarlo secondo le norme stabilite dalla Food and drug administration, l’ente di regolamentazione dei farmaci statunitense») a Villa Guardia, vicino a Como, con due laboratori in cui testare nuovi farmaci, una trentina di ricercatori e altrettanti dipendenti.
Il prodotto di punta è il Defibrotide, per il trattamento della trombosi arteriosa e dei disturbi cardiovascolari, ma sono allo studio altre applicazioni del farmaco per il trattamento di patologie derivanti dalle terapie antitumorali quali la chemioterapia. In particolare il trattamento della malattia veno-occlusiva epatica («Vod») che rappresenta un’opportunità di mercato del valore di 70 milioni di dollari a livello globale.
«Siamo ancora in fase preregistrativa. E alla fine della fase III presenteremo il dossier alla Food and drug administration per l’approvazione». Che dovrebbe arrivare a metà del 2007. Fondamentale anche il patrimonio di relazioni. La società guidata dalla Ferro ha sviluppato numerose collaborazioni con università, centri di ricerca, ospedali in Italia, Stati Uniti e Israele. Il Defibrotide è ovviamente solo il primo prodotto. E i ricavi? Derivano dalla produzione e vendita di principi attivi ma fondamentali sono i prodotti in fase pre-clinica. Tradotto, i ricavi sono bassissimi al momento: la società comasca ha chiuso il 2005 con un fatturato di 3,64 milioni di euro (3,70 milioni nel 2004), un utilizzo di cassa per attività operative per 8,7 milioni e una perdita di 7,38 milioni. Ma è proprio grazie alla quotazione al di là dell’Atlantico che la società ha potuto raccogliere 24,3 milioni di dollari con l’Ipo del 2005, a ottobre scorso un’ulteriore sottoscrizione per 11 milioni di dollari («abbiamo cassa a sufficienza per il 2006»). E ora la nuova avventura al Nasdaq. Per arrivare alla fase III di sviluppo clinico: il lancio di veri e propri prodotti sul mercato e quindi i profitti. E la soddisfazione degli azionisti.
Antonia Jacchia