Premetto che Gérard Schneider è un ottimo artista. Quando però partono queste operazioni di mercato, si fa presto a riscrivere la storia e a far apparire l’artista di turno come un genio assoluto.
Ho provato a fare un “punto nave” sull’artista guardando alcuni testi di storia dell’arte.
Uno dei testi di riferimento in lingua inglese è “Art since 1900”, pubblicato da Thames & Hudson, Londra, e curato da Hal Foster, Rosalind Krauss, Yve-Alain Bois, Benjamin Buchloh e David Joselit.
Il testo è organizzato cronologicamente e, al 1946, dedica un intero capitolo a Dubuffet, Wols e Fautrier, cioè i padri dell’informel. Gérard Schneider non è mai citato nel libro.
Hartung, che qualcuno ha nominato qui nelle pagine precedenti, ha solo due citazioni e la seconda è molto dura, se pensiamo a Schneider. Traduco dall’inglese:
La “Giovane Scuola di Parigi” è un’espressione-ombrello ripetutamente usata negli anni ’50 per indicare il tipo d’astrazione (gestuale, post-cubista o post-Klee) avviato da artisti del calibro di Pierre Soulages, Jean Bazaine, Alfred Manessier, Viera da Silva, Serge Poliakoff, Jean (sic, penso si intenda Maurice) Esteve, Bram van Velde e Hans Hartung nell’immediato dopoguerra e poi emulato da un esercito di imitatori accademici (questo fenomeno è paragonabile alla produzione di massa di opere annacquate dell’Espressionismo Astratto nella New York degli anni ’50, una produzione che Clement Greenberg spregiativamente etichettava come arte “della Decima Strada” con riferimento al proliferare di gallerie d’arte proprio in quel luogo).
Gérard Schneider non solo non è citato, ma rischia di apparire tra quelli che si sono adeguati a un certo stile, senza apportare elementi di originalità. Faccio anche notare che, al contrario, vengono fatti nomi che in Italia non si sentono mai nominare.
A proposito d’Italia, nel vecchio testo di Dorfles il nome Gérard Schneider ha tre citazioni (ma ad altri artisti, compreso Hartung, sono dedicate intere sezioni).
Combinazione, sto leggendo un libro recente della storica dell’arte Béatrice Joyeux-Prunel che si concentra proprio sull’arte tra il 1945 e il 1970. Sarebbe il terreno ideale per una rivalutazione di Gérard Schneider: non solo l’autrice insegna all’università di Ginevra e il testo è pubblicato in francese a Parigi (l’artista è di origine svizzero-francofona, poi naturalizzato francese), ma vuole dimostrare la centralità dell’Europa contro il mito dell’arte che si sarebbe spostata negli Stati Uniti dopo la guerra. Anche in questo caso, a Gérard Schneider toccano però solo quattro citazioni del nome.
Mi fermo e mi scuso per la lunghezza.