Giorgio Griffa 3.0

  • Creatore Discussione Membro cancellato 100749
  • Data di inizio
  • Ecco la 60° Edizione del settimanale "Le opportunità di Borsa" dedicato ai consulenti finanziari ed esperti di borsa.

    Questa settimana abbiamo assistito a nuovi record assoluti in Europa e a Wall Street. Il tutto, dopo una ottava che ha visto il susseguirsi di riunioni di banche centrali. Lunedì la Bank of Japan (BoJ) ha alzato i tassi per la prima volta dal 2007, mettendo fine all’era del costo del denaro negativo e al controllo della curva dei rendimenti. Mercoledì la Federal Reserve (Fed) ha confermato i tassi nel range 5,25%-5,50%, mentre i “dots”, le proiezioni dei funzionari sul costo del denaro, indicano sempre tre tagli nel corso del 2024. Il Fomc ha anche discusso in merito ad un possibile rallentamento del ritmo di riduzione del portafoglio titoli. Ieri la Bank of England (BoE) ha lasciato i tassi di interesse invariati al 5,25%. Per continuare a leggere visita il link

È giusto quello che sottolinei, Davy81. Ciò conferma che le opere storicamente più importanti di Griffa siano quelle degli anni ’70. Mi pare che tutti quelli intervenuti qui convengano su questo. Dire se saranno in futuro anche le opere più richieste e pagate è difficile. Probabilmente, come dici tu, se fra cent’anni a qualcuno importerà ancora di Griffa, sarà più per le opere storiche. Ma, come diceva Keynes, “Nel lungo periodo saremo tutti morti”.
Al di là del caso di Griffa, che nel breve/medio periodo ci sia una stretta corrispondenza tra importanza storica delle opere e quotazioni mi sembra non si possa sostenere con validità generale. Per esempio, se penso a Salvo le opere più importanti non sono certo quelle realizzate negli ultimi venticinque anni della carriera, ma credo che le opere più contese resteranno per lungo tempo i paesaggi con la chiesetta, la neve o le nuvolette al tramonto.

Concordo Stefano!
 
Grazie a te per la discussione.

Mi pare che in Europa, in generale, e in Italia, in particolare, ci sia un po’ la tendenza a credere che ci siano motivi nobili e altri meno nobili per comprare arte. Se compro un’opera per la storia dell’arte bene, se compro perché mi piace o perché voglio solo arredare la casa malissimo. Alla fine, però, il mercato non fa distinzioni ed una vendita è una vendita.

Anche io penso che Griffa resterà nella storia dell’arte per gli anni ’70, ma le persone non vivono in un museo. Se gli americani preferiscono opere grandi, colorate e piacevoli non ci vedo nulla di male. (Obiettivamente, gli anni ’70 di Griffa sono molto più comprensibili per noi che per loro).
Se, data la potenza commerciale americana, le opere recenti saranno quelle preferite dal mercato ce ne dobbiamo fare una ragione. Non possiamo preferire opere “meno commerciali” e stupirci che quelle “più commerciali” attirino più compratori.

Certo, in effetti, avevo mancato di sottolineare che gli americani o i nord europei sono liberissimi di spendere i loro soldi (e immagino non si impegnino la casa per comprare Griffa) come meglio credono. Io per primo penso che le opere "museali" stanno bene nei musei, e non esiste un modo giusto per comprare arte che valga per tutti. Non so se Griffa sia davvero un gigante dell'arte del dopo guerra (o del dopo Fontana) come qualcuno sostiene, non ho studiato abbastanza lui e gli anni dell'analitica (per semplificare) per avere certezze. Che Burri sia un gigante (per fare un nome), da ignorante e dopo avere visto 4 opere l'ho subito capito, con Griffa questa evidenza non mi viene naturale, anche dopo 5-6 anni di frequentazione dell'arte contemporanea (che sono ancora pochi), ma forse non ho studiato e compreso abbastanza la portata di quegli anni e della sua ricerca in particolare. Se è davvero un gigante costa ancora niente, e sarebbe sì da prendere a mani basse, ai prezzi italiani. Io purtroppo non riesco a comprare arte che non mi appassiona, per puro investimento, per cui lascerò andare quest'occasione, se lo è davvero ...
 
Certo, in effetti, avevo mancato di sottolineare che gli americani o i nord europei sono liberissimi di spendere i loro soldi (e immagino non si impegnino la casa per comprare Griffa) come meglio credono. Io per primo penso che le opere "museali" stanno bene nei musei, e non esiste un modo giusto per comprare arte che valga per tutti. Non so se Griffa sia davvero un gigante dell'arte del dopo guerra (o del dopo Fontana) come qualcuno sostiene, non ho studiato abbastanza lui e gli anni dell'analitica (per semplificare) per avere certezze. Che Burri sia un gigante (per fare un nome), da ignorante e dopo avere visto 4 opere l'ho subito capito, con Griffa questa evidenza non mi viene naturale, anche dopo 5-6 anni di frequentazione dell'arte contemporanea (che sono ancora pochi), ma forse non ho studiato e compreso abbastanza la portata di quegli anni e della sua ricerca in particolare. Se è davvero un gigante costa ancora niente, e sarebbe sì da prendere a mani basse, ai prezzi italiani. Io purtroppo non riesco a comprare arte che non mi appassiona, per puro investimento, per cui lascerò andare quest'occasione, se lo è davvero ...

Guarda, Griffa è un ottimo artista che amo e ho in collezione, ma non è un gigante. Non so se ci sia qualcuno che lo paragoni come importanza a Burri, ma se esiste i suoi libri di storia dell'arte saranno andati in autocombustione.
Fai benissimo a comprare solo ciò che è nelle tue corde. C'è arte notevole per tutti i gusti.
 
Guarda, Griffa è un ottimo artista che amo e ho in collezione, ma non è un gigante. Non so se ci sia qualcuno che lo paragoni come importanza a Burri, ma se esiste i suoi libri di storia dell'arte saranno andati in autocombustione.
Fai benissimo a comprare solo ciò che è nelle tue corde. C'è arte notevole per tutti i gusti.

cm.150x223 del 1972 aggiudicato Euro 25.000 + diritti asta 923 Meeting Art
 
Riporto anche qui la notizia (con il nuovo forum faccio ancora fatica ad orientarmi):

Asta Dorotheum a Vienna del 1 dicembre 2022:

- Opera del 1973 (103x90) Prezzo finale: 39.600 Euro
- Opera del 2007 (56x68) Prezzo finale: 14.520 Euro
 
Mi permetto di postare un’opera di Griffa perché di alta qualità
in quanto molto rappresentativa del suo percorso,
passata di recente in asta a Zurigo,
opera “classicissima”, non facile da trovare sul mercato,
credo di non essere l’unico a pensarla così visto il prezzo di aggiudicazione….
 

Allegati

  • 9B4861FB-B3ED-45D4-AAAD-662BC82F141B.png
    9B4861FB-B3ED-45D4-AAAD-662BC82F141B.png
    633,9 KB · Visite: 115
  • 2ACAF963-854B-4516-B196-37308E6F68D6.png
    2ACAF963-854B-4516-B196-37308E6F68D6.png
    2 MB · Visite: 114
Mi sembra giusto segnalare anche l'opera del 1981 rimasta invenduta a Monaco. Stima troppo elevata, a quanto pare. Il lotto rimane disponibile nel dopo-asta a € 25.000.

Karl & Faber - Lotto 1108
 
Per chi fosse alla ricerca, una Linee orizzontali del 73, oltre a altre 2 tele anni 70 presentate stamattina da ArteAtelier, non so se confermate o meno, con la classica formula delle permute
 
Mi sembra giusto segnalare anche l'opera del 1981 rimasta invenduta a Monaco. Stima troppo elevata, a quanto pare. Il lotto rimane disponibile nel dopo-asta a € 25.000.

Karl & Faber - Lotto 11
Personalmente l’opera a me non entusiasma.
A parità di prezzo preferirei qualcosa di più rigoroso, magari anni 70, fosse anche più piccolo.
 
Non sono d'accordo, stima adeguata ma pezzo non all'altezza della vetrina internazionale, per armonia, ritmo e colori.
Penso, invece, che si possa essere abbastanza d'accordo. Non ho detto che un'opera del 1981 di quelle dimensioni non possa "reggere" una simile stima. Ma, come sottolinei bene tu, non si tratta solo di misura e anno. Io mi riferivo alla stima di quell'opera in particolare, che anche secondo me non è tra le più riuscite. E mi sembra lapalissiano che se la stima (di quell'opera) fosse stata adeguata, non sarebbe tuttora disponibile alla stima minima.
 
direi che stiamo parlando di un'opera che non incontra il mio piacere
 
Ancora auguri a tutti!

Sono ritornato dalla Svizzera a Torino per le Feste, ma mi sono beccato un bel febbrone. È stata l’occasione per fare una cura intensiva di televendite (seguo saltuariamente qualcosa in streaming anche da Zurigo, mentre invece di molte ignoravo proprio l’esistenza). Ciò mi ha portato a scrivere la lunghissima riflessione che segue. Mi scuso per la lunghezza e capisco chi non avrà voglia di leggerla, ma l’argomento non è facilmente sintetizzabile.

Trovo il racconto che viene fatto delle opere di Griffa degli anni ’70, stando almeno al campione che ho ascoltato, nel migliore dei casi una banalizzazione un po’ ridicola. Questo, essenzialmente, a causa della completa rimozione del pensiero politico di Griffa. Questa rimozione la si nota anche nei testi recenti sull’artista e nelle sue interviste. Non so se sia stato un punto perfino esplicitato nel suo contratto con Kaplan (e.g. non dovrà mai più comparire la parola “marxismo” associata all’opera dell’artista), ma non ne sarei neppure stupito. Mi sembra una delle tante conferme di una tendenza dei nostri tempi, in cui il pensiero politico degli artisti viene sottaciuto, per timore che possa comprometterne le vendite. Ecco allora che siamo di fronte a tanti artisti Vispe Terese che hanno prodotto opere in un certo modo senza avere un proprio pensiero politico. La politica è “divisiva” e non utile a piazzare il prodotto, quindi meglio fare finta che non esista.

Sia chiaro che non voglio biasimare nessuno. È legittimo che l’artista sia passato oltre, a nuove ricerche, e non voglia tornare su certi argomenti. Chi deve vendere, d’altra parte, utilizza le “narrazioni” che ritiene più efficaci. Qui, però, è uno spazio libero e dobbiamo cercare di non omettere le informazioni. Ho letto solo gli ultimi quasi 500 interventi su Griffa e non i 4000 precedenti, quindi la materia sarà magari già stata trattata in un passato non vicinissimo. Mi scuso con i forumisti storici se la ripropongo, ma spero sia utile a tutti coloro che continuano a leggere che le opere degli anni ’70 sono molto importanti e poi magari sentono certi discorsi in televisione.

Questi sono del tipo: “Era stato fatto l’azzeramento e poi dichiarata la morte della pittura. Per ricominciare, Griffa ha analizzato cosa serve per fare pittura, ha preso una superficie (la tela) e ha fatto un segno sopra. Quella è già pittura. Il telaio è già un di più, che non serve.”

Qualcosa non quadra in questo discorso. Se davvero la pittura fosse non solo stata dichiarata morta, ma fosse stata anche seppellita, allora l’immagine di uno che per riportarla fuori dalla tomba inizia con pochi segni sulla tela sarebbe anche suggestiva. Purtroppo, però, basta fare mente locale un attimo per accorgersi di come, in realtà, fosse pieno di gente che stava dipingendo: artisti delle generazioni precedenti, anche quelli considerati da qualcuno precursori dell’Analitica (Dorazio, Nigro, Aricò), artisti che verranno affiancati a Griffa (Guarneri, Verna, Olivieri, ecc.), artisti più o meno della stessa generazione, ma non analitici, che hanno bazzicato le stesse gallerie di Griffa (Vago, Raciti, Madella, Forgioli, ecc.), per non parlare di pittori della stessa generazione, ma molto più lontani negli esiti (e.g. Valerio Adami). Insomma, un ampio panorama in cui ho citato volutamente autori non di pari livello, dove non si può dire che regnasse una sclerotica pittura accademica: nessuno di questi e dei molti altri che si potrebbero citare praticava una figurazione vecchio stampo o l’informale più trito. Eppure, possiamo dire che dipingessero molto di più di Griffa.

Quindi, non si riesce a capire il nesso: se altri dipingevano, perché Griffa non si è messo a dipingere come gli altri suoi colleghi? E, per converso, perché uno che fa pochi segni su una tela è più interessante e importante di molti suoi colleghi che sono molto più generosi nel dipingere?

La risposta a questi quesiti sta nel clima culturale e politico dell’epoca. Se si rimuove questo elemento, secondo me le ragioni della ricerca di Griffa faticano a rendersi comprensibili.

In Francia si erano sviluppate le teorie strutturaliste: de Saussure in linguistica, Lévi-Strauss in antropologia, Althusser nella rilettura di Marx, Foucault nella storiografia, Lacan nella lettura di Freud, Barthes nella critica letteraria. Filiberto Menna parla di una “rottura epistemologica”. La pittura non vuole rimanere indietro rispetto a questi nuovi paradigmi e Griffa riflette proprio sul linguaggio pittorico, i suoi elementi e le sue strutture, esattamente come veniva fatto in linguistica.

Ogni scelta operata da Griffa in quegli anni è politica e può essere interpretata come tale. Anche il famoso “iononrappresentonullaiodipingo” può essere letto con gli occhiali del materialismo dialettico. Ma l’ha detto molto bene Marco Meneguzzo nel saggio “Sentieri ininterrotti” contenuto nel bel libro Silvana Editoriale/Galleria Fumagalli, credo una delle ultime occasioni in cui si esplicita il significato politico delle opere degli anni ’70 e la matrice marxista della Pittura Analitica.

Un piccolo estratto: “(…) il pittore -come un operaio- produceva quadri come beni, e nel contempo prendeva coscienza dei modi, dei tempi, degli strumenti del produrre e quindi della propria collocazione all’interno del sistema lavoro. Si parla di sistema lavoro, e non di sistema capitalistico, proprio perché i margini di libertà che l’artista percepisce per sé, e alcune anomalie nel campo della produzione – prima fra tutte il fatto che egli sia contemporaneamente il lavoratore e anche il proprietario dei mezzi di produzione, cosa inconcepibile nel sistema capitalistico, così come lo aveva identificato il marxismo – fanno pensare all’arte e alla sua produzione anche come una possibile variante libertaria nei confronti dei sistemi di produzione vigenti, benché sempre riconducibile (…) a una sorta di concessione da parte del sistema che poteva sopportare al suo interno anche qualche area apparentemente fuori controllo.”

Scusate la lunghezza. Ho ancora ulteriori riflessioni, che farò, eventualmente, un’altra volta.
 
Che la narrazione "televisiva" della pittura analitica (o di quello che ad essa si riconduce) sia banalotta in effetti l'ho sempre pensato anche io che non sono certo uno studioso della materia. Il motivo per cui Griffa si è limitato a pochi segni sulla tela mi sembra lo spiega lui stesso in modo molto chiaro in poche parole (es. "segni che possono appartenere alla mano di tutti, primato della pittura e della sua memoria millenaria sul pittore e sulla sua memoria breve"), sull'influenza del clima intellettuale e politico su questa scelta in effetti non avevo mai letto o sentito (contrariamente al caso per es. di Cacciola), anche se in quel decennio non stupisce. Personalmente (quindi conta meno che nulla) trovo il "progetto" intellettuale di Griffa molto interessante, ma molto meno il modo in cui lo ha svolto nelle sue tele, in quegli anni (70) e ancora meno nel seguito, ma è certamente un mio limite.
 
Occorre tenere conto del contesto/contenitore, Griffa è "poco televisivo" per caratteristiche delle opere e per una ricerca complessa poco adatta ad un pubblico generalista, una semplificazione è necessaria e funzionale alla vendita.

La pittura è un linguaggio ed è innegabile vada contestualizzata nel periodo storico se tuttavia negli artisti di Forma 1 ad es. la posizione politica è esplicita e il "fare arte" rappresenta anche un modo per rivendicarlo in Griffa questo è molto attenuato. Se vogliamo anzi in diverse interviste si "smarca" rispetto alla collocazione all'interno della pittura analitica, trovando più analogie con artisti e ispirazioni anche estranei a quel movimento. Direi in sintesi avere attinto da molti ma sviluppo di un percorso autonomo e originale ma in continuità rispetto a diversi che in quel gruppo "analitico" o si sono tot staccati o hanno continuato a riprodurre se stessi.

P.S. Opera Karl & Faber non mi piace per niente.
 
Ultima modifica:
Altro punto, anche questo probabilmente non nuovo su questo forum.

Nelle televendite viene citato il saggio di Filiberto Menna “La linea analitica dell’arte moderna. Le figure e le icone”, che è del 1975 (nel seguito mi riferisco all’edizione che ho io, ristampata nel 2001). Da come ne parlano i televenditori, sembrerebbe che questo sia il testo fondativo della Pittura Analitica e che ci siano dentro i protagonisti, un po’ come l’articolo di Bonito Oliva su Flash Art del ’79 è stato fondativo della Transavanguardia.

Naturalmente, il libro non è niente di tutto questo e, ancora una volta, l’elemento politico è del tutto omesso dal racconto televisivo. Che Menna fosse un critico militante, formatosi con Argan, eletto consigliere come indipendente del Partito Comunista non sono cose funzionali alla vendita.

Ad ogni modo, cos’è questo libro che tutti nominano e non so quanti abbiano letto? È proprio il tentativo di portare la pittura al passo delle altre scienze umane attraversate dalle proposte strutturaliste. Già nell’introduzione, Menna dice che riconosce l’appartenenza del testo all’“avventura strutturalista del XX secolo”. Che viene così spiegata: “Si tratta di una concezione che assegna anche alle scienze dell’uomo il compito di acquisire “un vocabolario tecnico perfetto”, di spostare i termini dal “loro senso corrente al gergo scientifico””. E vengono esplicitamente citati Althusser e la rilettura di Marx e de Saussure. In particolare, il Corso di linguistica generale scritto da quest’ultimo e uscito in traduzione italiana nel 1967 costituisce il “termine di riferimento” per l’operazione strutturale. Dopodiché, il saggio fa quello che promette. Un tentativo di sistemazione “scientifica” della pittura precedente, secondo i nuovi paradigmi, partendo dalla Grande Jatte di Seurat.

Nel libro sono menzionati, con due o tre righe ciascuno, a pagina 83, solo Gastini, Griffa e Verna. Che, in effetti, sono coloro che in Italia portano avanti un’analisi strutturalista della pittura.

Il saggio si conclude, poi, significativamente, con il gruppo Supports/Surfaces, che perseguiva gli stessi obiettivi in Francia.

Ma, già che ci siamo, ci tengo a sottolineare il grandissimo spazio (relativamente al testo complessivo, di sole 113 pagine più illustrazioni) che Menna dedica, invece, a Giulio Paolini.
La sua opera viene definita “una delle più rigorosamente analitiche nel panorama artistico degli anni Sessanta (…), perché l’indagine di Paolini investe la totalità della pittura (e dell’arte)”. Segue un’acuta analisi del perché Paolini sia importante, anche da un punto di vista strutturalista. Addirittura, poi, nell’apparato iconografico, composto da 62 immagini d’arte del Novecento internazionale, Menna include e commenta due opere di Paolini.
Insomma, Paolini è fondamentale, indipendentemente dal microscopio con cui venga studiato: Concettuale, Arte Povera, Linea Analitica. Ora, qualcuno potrebbe pensare che Menna nel ’75 abbia dato più spazio a Paolini rispetto a Griffa per una questione di diversa anzianità. Sicuramente Paolini è maturato artisticamente prima; all’anagrafe, però, è di quattro anni più giovane. E questo mi porta all’ultima considerazione con cui vi volevo tediare, ma che rimando ad un prossimo post.
 
Ma, già che ci siamo, ci tengo a sottolineare il grandissimo spazio (relativamente al testo complessivo, di sole 113 pagine più illustrazioni) che Menna dedica, invece, a Giulio Paolini.
La sua opera viene definita “una delle più rigorosamente analitiche nel panorama artistico degli anni Sessanta (…), perché l’indagine di Paolini investe la totalità della pittura (e dell’arte)”. Segue un’acuta analisi del perché Paolini sia importante, anche da un punto di vista strutturalista. Addirittura, poi, nell’apparato iconografico, composto da 62 immagini d’arte del Novecento internazionale, Menna include e commenta due opere di Paolini.
Insomma, Paolini è fondamentale, indipendentemente dal microscopio con cui venga studiato: Concettuale, Arte Povera, Linea Analitica. Ora, qualcuno potrebbe pensare che Menna nel ’75 abbia dato più spazio a Paolini rispetto a Griffa per una questione di diversa anzianità. Sicuramente Paolini è maturato artisticamente prima; all’anagrafe, però, è di quattro anni più giovane. E questo mi porta all’ultima considerazione con cui vi volevo tediare, ma che rimando ad un prossimo post.
A prescindere che il mercato di Griffa non lo concepisco( idea personale),In paragone Paolini è assurdo che costi molto meno.
 
Il saggio di Menna ammettiamolo risulta già ostico e poco digeribile per chi è interessato o appassionato di Pittura Analitica. Tra l'altro lo stesso Griffa, ripescando alcune interviste perchè cerco sempre di andare alla fonte quindi al dichiarato dagli stessi artisti più che fidarmi del giudizio dei critici, a proposito di influenze afferma:

Ho avuto la fortuna di imparare molto da molti. Nell’area analitica, da Filiberto Menna, che pur mi avrebbe voluto più vicino al suo pensiero, a vari pittori, Claudio Verna, Carlo Battaglia, Claudio Olivieri e altri. Penso di aver imparato da loro a mettere la memoria della pittura davanti alla memoria mia... Poi parla di Arte Povera e Support-Surface, minimalismo e chiude con Oggi a 84 anni credo, o mi illudo, di non aver ancora smesso di imparare.

E a proposito di Pittura Analitica: È stato un fenomeno dal quale ho sempre preso un po’ le distanze, anche se mi ha consentito di fare mostre da tutte le parti. In qualche modo era molto riduttivo rispetto alle capacità della pittura, perché – a parte le analisi molto alte di Filiberto Menna – nel lavoro dei singoli – a parte i pittori a tutto campo come Claudio Verna, Claudio Olivieri, Riccardo Guarneri – c’è stato anche un avvilimento delle capacità della pittura. Perché quell’aspetto concettuale è stato sovrapposto alle qualità stesse della pittura.
 
A prescindere che il mercato di Griffa non lo concepisco( idea personale),In paragone Paolini è assurdo che costi molto meno.
Però nelle opere molto importanti, in particolare quelle tridimensionali, Paolini costa decisamente di più di Griffa.
E in realtà anche in tante opere storiche su carta.
Detto questo, il momento di mercato di Paolini è un po' che non brilla.
Mentre Griffa sembra avere in questa fase un buon riscontro.
 
Indietro