Giorgio Griffa 3.0

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Il saggio di Menna ammettiamolo risulta già ostico e poco digeribile per chi è interessato o appassionato di Pittura Analitica. Tra l'altro lo stesso Griffa, ripescando alcune interviste perchè cerco sempre di andare alla fonte quindi al dichiarato dagli stessi artisti più che fidarmi del giudizio dei critici, a proposito di influenze afferma:

Ho avuto la fortuna di imparare molto da molti. Nell’area analitica, da Filiberto Menna, che pur mi avrebbe voluto più vicino al suo pensiero, a vari pittori, Claudio Verna, Carlo Battaglia, Claudio Olivieri e altri. Penso di aver imparato da loro a mettere la memoria della pittura davanti alla memoria mia... Poi parla di Arte Povera e Support-Surface, minimalismo e chiude con Oggi a 84 anni credo, o mi illudo, di non aver ancora smesso di imparare.

E a proposito di Pittura Analitica: È stato un fenomeno dal quale ho sempre preso un po’ le distanze, anche se mi ha consentito di fare mostre da tutte le parti. In qualche modo era molto riduttivo rispetto alle capacità della pittura, perché – a parte le analisi molto alte di Filiberto Menna – nel lavoro dei singoli – a parte i pittori a tutto campo come Claudio Verna, Claudio Olivieri, Riccardo Guarneri – c’è stato anche un avvilimento delle capacità della pittura. Perché quell’aspetto concettuale è stato sovrapposto alle qualità stesse della pittura.
Ciao Loryred. Sono felice di dialogare con te e che tu abbia di nuovo voglia di intervenire qui.

Confermo tutte le tue fonti, ovviamente. Forse un malinteso nasce dal fatto che Menna ha scritto quel saggio con il titolo che sembra alludere alla Pittura Analitica, poi ha organizzato mostre con artisti che sarebbero successivamente stati etichettati “Pittura Analitica”. Ma sono cose separate. Il rapporto è analogo a quello di un professore universitario che scrive un libro, “Fisica generale”, e poi organizza il Dipartimento di Fisica della propria università, riunendo quelli che ritiene i migliori ricercatori. Il fatto che Tizio fosse tra i migliori ricercatori e venisse citato nel libro, non implica che debba risiedere nel nuovo Dipartimento. Griffa persegue la “linea analitica dell’arte moderna” (come Paolini, per Menna; mica Paolini è nella Pittura Analitica!), ma sono d’accordo con lui che non abbia mai fatto parte di un “gruppo”. Ha qualche punto di contatto giusto con Gastini e Verna, per quanto già ricordato. E le vicinanze che rivendica, Arte Povera e Supports/Surfaces, confermano proprio l’adesione a dei modelli che all’epoca si dicevano marxisti e strutturalisti. Poi se oggi anche Arte Povera e Supports/Surfaces diventano movimenti apolitici, ne prendo atto.
 
Arrivo all’ultimo e forse più sconcertante punto udito nei discorsi televisivi finalizzati a vendere Griffa e presunti analitici.

Si arriva a dire una cosa del tipo: “Negli anni ’60 c’è l’Arte Povera, che costa già tanto, negli anni ’80 c’è la Transavanguardia, che costa pure tanto, la Pittura Analitica, negli anni '70, è “schiacciata” in mezzo, in attesa di rivalutazione”.

Qui l’operazione di marketing diventa sfacciata: si piega la cronologia degli eventi all’esigenza commerciale di far percepire al pubblico che esista un “gap” nelle quotazioni, che porterà a premiare inevitabilmente gli Analitici. L’idea di una storia dell’arte che procede progressivamente l’abbiamo in testa perché siamo stati abituati a scuola a studiare un argomento dopo l’altro, in ordine cronologico. È però facile verificare che l’Arte Povera nasce ufficialmente nel 1967. Griffa ha la prima personale nel ’68, ma nel ’69, da Sperone, ha già trovato la propria cifra. E molti artisti dell’Arte Povera sono più giovani di lui e di altri esponenti analitici. Insomma, brutte notizie per i commercianti: sembra che i due fenomeni siano pressoché contemporanei. A loro, ovviamente, questo non piace: dà subito l’idea che uno sia stato vincente e l’altro no, e si perde così quella sensazione di sicurezza che le quotazioni dell’Analitica debbano per forza risalire.

Mettere in fila in questo modo, uno dietro l’altro, i tre movimenti mi fa sorridere anche pensando alle televendite che vedevo quando ero giovane: nessuno trattava la Pittura Analitica, e allora mi ricordo che la Transavanguardia veniva venduta come il “ritorno alla pittura”. Poi è arrivata l’Analitica, il “ritorno alla pittura” è stato arretrato di una decina d’anni, agli anni ’70, e la Transavanguardia è stata declassata a “ritorno al colore” (“o alla gioia del colore”, per i più poetici).

Qua chiudo veramente il cerchio: se facciamo finta che l’Arte Povera e la Pittura Analitica non abbiano un pensiero filosofico dietro, allora diventa incomprensibile anche quello che avviene dopo, con Lyotard e il post-moderno. Il venir meno delle grandi narrazioni è insignificante se pensiamo che tali ideologie già non contassero per descrivere il mondo.
 
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A proposito dei decenni mi sembra che il collezionismo stesso si appiattisca su una certa necessità di riferirsi a "categorie temporali", per cui se di un artista o un movimento ascritto, es., agli anni '60, si vende un'opera del 1969 piuttosto che del 1970, la prima ha una valutazione di non poco superiore (percentualmente) rispetto alla seconda, quando magari sono state realizzate a 2-3 mesi di distanza. Sarà ben meglio un'opera con curriculum e qualità elevati del '75 piuttosto che una malriuscita e senza nessuna storia del '69, ma la narrazione comune è (quasi) sempre che quella del '69 va preferita e vale di più perché è del decennio che conta. Mi sembra che i movimenti artistici più significativi ascritti agli anni '70 originano da ricerche cominciate nella seconda metà degli anni '60, eppure sembra che alla fine di ogni decennio si debba tracciare una linea per cui una cosa o si colloca prima e lì deve concludersi, o va collocata dopo il 1 gennaio del nuovo decennio. Insomma la semplificazione impera, e non solo in TV.
 
Arrivo all’ultimo e forse più sconcertante punto udito nei discorsi televisivi finalizzati a vendere Griffa e presunti analitici.

Si arriva a dire una cosa del tipo: “Negli anni ’60 c’è l’Arte Povera, che costa già tanto, negli anni ’80 c’è la Transavanguardia, che costa pure tanto, la Pittura Analitica, negli anni '70, è “schiacciata” in mezzo, in attesa di rivalutazione”.

Qui l’operazione di marketing diventa sfacciata: si piega la cronologia degli eventi all’esigenza commerciale di far percepire al pubblico che esista un “gap” nelle quotazioni, che porterà a premiare inevitabilmente gli Analitici. L’idea di una storia dell’arte che procede progressivamente l’abbiamo in testa perché siamo stati abituati a scuola a studiare un argomento dopo l’altro, in ordine cronologico. È però facile verificare che l’Arte Povera nasce ufficialmente nel 1967. Griffa ha la prima personale nel ’68, ma nel ’69, da Sperone, ha già trovato la propria cifra. E molti artisti dell’Arte Povera sono più giovani di lui e di altri esponenti analitici. Insomma, brutte notizie per i commercianti: sembra che i due fenomeni siano pressoché contemporanei. A loro, ovviamente, questo non piace: dà subito l’idea che uno sia stato vincente e l’altro no, e si perde così quella sensazione di sicurezza che le quotazioni dell’Analitica debbano per forza risalire.

Mettere in fila in questo modo, uno dietro l’altro, i tre movimenti mi fa sorridere anche pensando alle televendite che vedevo quando ero giovane: nessuno trattava la Pittura Analitica, e allora mi ricordo che la Transavanguardia veniva venduta come il “ritorno alla pittura”. Poi è arrivata l’Analitica, il “ritorno alla pittura” è stato arretrato di una decina d’anni, agli anni ’70, e la Transavanguardia è stata declassata a “ritorno al colore” (“o alla gioia del colore”, per i più poetici).

Qua chiudo veramente il cerchio: se facciamo finta che l’Arte Povera e la Pittura Analitica non abbiano un pensiero filosofico dietro, allora diventa incomprensibile anche quello che avviene dopo, con Lyotard e il post-moderno. Il venir meno delle grandi narrazioni è insignificante se pensiamo che tali ideologie già non contassero per descrivere il mondo.
Ciao Stefano, grazie come al solito per i tuoi interventi.A tal proposito ti chiedo se hai qualche libro di testo da consigliare e che approfondisca il contesto storico culturale di cui parli. Filiberto Menna l'ho letto ma, vuoi un po' per limiti miei e un po' per la presisposizione credo innata dello scrittore di non farsi capire, l'ho trovato un po' "duro" .
Direi che se sommiamo tutti i pranzi di questi giorni il livello di digeribilità risulta comunque migliore rispetto ad un testo di Menna. 😁
 
Ciao Stefano, grazie come al solito per i tuoi interventi.A tal proposito ti chiedo se hai qualche libro di testo da consigliare e che approfondisca il contesto storico culturale di cui parli. Filiberto Menna l'ho letto ma, vuoi un po' per limiti miei e un po' per la presisposizione credo innata dello scrittore di non farsi capire, l'ho trovato un po' "duro" .
Direi che se sommiamo tutti i pranzi di questi giorni il livello di digeribilità risulta comunque migliore rispetto ad un testo di Menna. 😁
Ciao Davy81.
È una domanda difficile, forse si può provare con qualche manuale del liceo, ma non saprei quale consigliare.

Un testo classico è “À quoi reconnaît-on le structuralisme ?” di Gilles Deleuze, uscito in italiano dall’editore SE sotto il titolo “Lo strutturalismo”. Ma non è molto più leggero di Menna.
Se ti interessano i vari ambiti, puoi provare ad approfondire quelli. A suo tempo avevo letto “Antropologia strutturale” di Claude Lévi-Strauss. Un mio amico che s’interessa di linguistica aveva trovato interessante “Ferdinand de Saussure” di Massimo Prampolini, ma io non l'ho letto.
 
Si approfondisce sui libri di testo non guardando le televendite. Chi deve vendere la mette sul commerciale, smorza qualche aspetto magari poco gradevole, evidenzia i punti forti dell'artista. Nulla di strano, è insolito invece che si prendano delle televendite come riferimento per l'approfondimento del lavoro di un'artista. Meglio comprare un libro od un catalogo (e naturalmente leggerlo).
 
alla meetingart

a me piace molto

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Staccata la testa dalla fiera di Bologna, non posso non ricordare il successo della mostra in corso “Giotto e il Novecento” al MART di Rovereto e che terminerà il 1 maggio.
Il Maestro Griffa è esposto accanto a mostri sacri come Klein, Fontana, Albers e Rothko e due sue opere sono pubblicate a piena pagina nel voluminoso catalogo della mostra curato da Alessandra Tiddia e Vittorio Sgarbi.
 
Ultima modifica:
Staccata la testa dalla fiera di Bologna, non posso non ricordare il successo della mostra in corso “Giotto e il Novecento” al MART di Rovereto e che terminerà il 1 maggio.
Il Maestro Griffa è esposto accanto a mostri sacri come Klein, Fontana, Albers e Rothko e due sue opere sono pubblicate a piena pagina nel voluminoso catalogo della mostra curato da Alessandra Tiddia e Vittorio Sgarbi.
Ho visitato la mostra al MART e sicuramente è una splendida mostra, che include alcuni Capolavori assoluti del Novecento.
Griffa è presente con un'importante opera a righe oblique celesti, mi pare della fine degli anni '60, esposta proprio vicino alle opere di Yves Klein.

Peccato secondo me per il titolo della mostra: molte persone si chiedevano - giustamente - dove fossero le opere di Giotto.
Ma in effetti non c'è esposta nessuna opera di Giotto, nemmeno una micro tavoletta, nonostante il titolo sia "GIOTTO e il Novecento".
Capisco che spostare un'opera di Giotto non sia cosa semplice, eppure in alcune mostre alcune piccole tavole si sono viste.
Meglio sarebbe stato intitolarla "L'eredità di Giotto sul Novecento" o qualcosa di similare, per non indurre i visitatori a pensare che ci sia anche qualcosa di Giotto (presente unicamente tramite una superlativa ricostruzione video in un'intera stanza).
 
Ho visitato la mostra al MART e sicuramente è una splendida mostra, che include alcuni Capolavori assoluti del Novecento.
Griffa è presente con un'importante opera a righe oblique celesti, mi pare della fine degli anni '60, esposta proprio vicino alle opere di Yves Klein.

Peccato secondo me per il titolo della mostra: molte persone si chiedevano - giustamente - dove fossero le opere di Giotto.
Ma in effetti non c'è esposta nessuna opera di Giotto, nemmeno una micro tavoletta, nonostante il titolo sia "GIOTTO e il Novecento".
Capisco che spostare un'opera di Giotto non sia cosa semplice, eppure in alcune mostre alcune piccole tavole si sono viste.
Meglio sarebbe stato intitolarla "L'eredità di Giotto sul Novecento" o qualcosa di similare, per non indurre i visitatori a pensare che ci sia anche qualcosa di Giotto (presente unicamente tramite una superlativa ricostruzione video in un'intera stanza).
Sì, l'opera di Griffa è esposta accanto a due ‘Antropometrie’ di Yves Klein in una sala in cui sono presenti i grandi maestri sopra citati. OK!
 
Sì, l'opera di Griffa è esposta accanto a due ‘Antropometrie’ di Yves Klein in una sala in cui sono presenti i grandi maestri sopra citati. OK!
Si si, mi ricordo che nella stessa sala c'erano due Fontana, di cui uno blu enorme, e uno tutto dorato spettacolare.
Tra l'altro Griffa era uno dei pochi artisti della sua generazione presente in mostra.

Probabilmente tra tutte le opere e capolavori altisonanti, l'opera che mi è piaciuta di più era il ritratto di Guidi alla moglie mentre riposava sulla sedia.
 
Staccata la testa dalla fiera di Bologna, non posso non ricordare il successo della mostra in corso “Giotto e il Novecento” al MART di Rovereto e che terminerà il 1 maggio.
Il Maestro Griffa è esposto accanto a mostri sacri come Klein, Fontana, Albers e Rothko e due sue opere sono pubblicate a piena pagina nel voluminoso catalogo della mostra curato da Alessandra Tiddia e Vittorio Sgarbi.
So che Klein, Fontana, Albers e Rothko hanno querelato :o
 
A proposito di fiere, è davvero una bellissima notizia sapere che ad ART-BASEL 2023 - la fiera più importante nel mondo - tutte le gallerie internazionali che rappresentano il maestro Griffa: Hufkens, Kaplan, Kewenig e O’Neill saranno presenti.
Non vediamo l'ora di conoscere quali saranno le opere che porteranno a giugno queste quattro gallerie nel contesto fieristico più prestigioso al mondo.
 
immagine_2023-04-21_173225574.png


Ad ARCOlisboa, fiera che può contare tra le altre cose su 11.000 visitatori e 70 gallerie, gli inviti sono così.
 
Salve a tutti. Da Martini attualmente in asta tre Griffa anni ‘70 più che dignitose, di dimensioni diverse, che tra base e stima si aggirano tutte attorno a coefficiente 7 o 8. Non vi sembra uno scarto troppo grande rispetto al coefficiente 20 del listino dell’artista? Anche facendo gara dubito che superino coefficiente 10…
 
Salve a tutti. Da Martini attualmente in asta tre Griffa anni ‘70 più che dignitose, di dimensioni diverse, che tra base e stima si aggirano tutte attorno a coefficiente 7 o 8. Non vi sembra uno scarto troppo grande rispetto al coefficiente 20 del listino dell’artista? Anche facendo gara dubito che superino coefficiente 10…
Da Ambrosiana pochi giorni fa questa tela 118x147 del '74
Giorgio GRIFFA : Linee orizzontali (1974) - acrilico su tela - Asta Arte Moderna e Contemporanea - Ambrosiana Casa D'aste
è stata aggiudicata (almeno battuta online) a 18k, se vogliamo parlare di coefficiente fa 8,5. Sentivo che le gallerie del "nord" addirittura lo hanno portato a 30 e che riempiranno Art Basel con le sue tele. Evidentemente le Alpi fermano molto dell'entusiasmo internazionale sull'artista.
 
Da Ambrosiana pochi giorni fa questa tela 118x147 del '74
Giorgio GRIFFA : Linee orizzontali (1974) - acrilico su tela - Asta Arte Moderna e Contemporanea - Ambrosiana Casa D'aste
è stata aggiudicata (almeno battuta online) a 18k, se vogliamo parlare di coefficiente fa 8,5. Sentivo che le gallerie del "nord" addirittura lo hanno portato a 30 e che riempiranno Art Basel con le sue tele. Evidentemente le Alpi fermano molto dell'entusiasmo internazionale sull'artista.
Gallerie e case d'aste fanno lavori diversi. Non credo si possa comparare il coefficiente con il prezzo che spunta in asta.
Chi compra in galleria sa bene che non potrà rivendere allo stesso prezzo nel breve-medio periodo quantomeno.
 
Gallerie e case d'aste fanno lavori diversi. Non credo si possa comparare il coefficiente con il prezzo che spunta in asta.
Chi compra in galleria sa bene che non potrà rivendere allo stesso prezzo nel breve-medio periodo quantomeno.
Dimentichiamo le gallerie e i loro coefficienti. Possiamo dire che in ragione di tutto quanto è stato detto e fatto su questo artista da alcuni anni a questa parte ci si poteva attendere ad oggi, su queste opere storiche, maggiore interesse in asta, in Italia, a questi prezzi? Poi a me non interessa che costi la metà o il doppio, non è proprio un interesse personale, sono osservatore disinteressato.
 
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