I Babbari

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un ipotetico conto alla rovescia partirà dall’anno zero, quando Roma era in piena espansione fino al 476 d.C. l’anno in cui venne deposto l’ultimo imperatore.
 
Augusto, il primo imperatore. Sotto il suo regno è nato Gesù Cristo, e sarà proprio l’anno zero, il nostro punto di partenza. Ormai tutto il Mediterraneo è sotto il dominio di Roma che è in piena espansione.

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Il segreto che permise all’Impero romano di vivere per altri 5 secoli non fu soltanto l’esercito(non c’erano legioni né soldati a sufficienza per difendere fisicamente tutte le frontiere) quanto un’intelligente politica con i barbari sottomessi e con quelli oltre le frontiere. Dopo una guerra, Roma sapeva far seguire la pace: spesso c’era il rispetto delle differenze linguistiche e religiose. I romani avevano imparato a sostituire la forza con l’influenza culturale. E ciò garantiva non solamente una longevità alle conquiste, ma in certi casi anche la voglia tra i popoli vinti di imitare Roma.


Con Augusto Roma raggiunse una potenza che poi non conobbe mai più. Ma, con la morte di Traiano, Roma fermò quest’espansione. L’imperatore che venne dopo, Adriano, decise saggiamente di bloccare le conquiste: non sarebbe stato possibile tenere insieme un impero così grande. E cominciò a consolidare le frontiere, per tenere il più lontano possibile il mondo primitivo delle tribù barbare, che premeva alle porte.
 
In effetti, intorno al 260 d.C. le frontiere vengono travolte in più punti da orde di barbari: ancora non si tratta di invasioni vere e proprie, ma di grandi incursioni. In altre parole, questi popoli non vengono a stabilirsi nell’Impero ma solo a cercare bottino. La società romana è sempre più decadente e ormai incapace di essere produttiva, ricca e aggressiva come ai tempi di Cesare o Traiano. E ne approfittano i barbari.

E’ chiaro che le due cose sono collegate: i barbari premevano già da secoli, e l’indebolimento dell’Impero apre loro le porte. In soli vent’anni (tra il 235 e il 253) si susseguono una dozzina di imperatori, un chiaro fattore d’instabilità interna. Come la polmonite che assale un paziente indebolito, l’Impero viene aggredito da più parti.

Per vent’anni i barbari fecero incursioni, spingendosi a volte sin nel cuore dell’Impero: non e’ facile descrivere tutte le incursioni che si sono succedute. E’ uno dei periodi piu’ confusi della Storia.
 
Questo periodo di grande instabilità durò fino al 271 circa, quando l’Imperatore Aureliano riuscì a rimettere a posto i cocci dell’Impero: cacciò via i barbari e riconquistò le province ribelli.



I problemi sono risolti? No, l’Impero continua la sua lenta decadenza. La vera instabilità è nelle stanze del potere. Aureliano viene ucciso e nel giro di appena 9 anni si susseguono 6 imperatori. Ci sono intrighi, uccisioni a volte anche sfortuna. Pensate che uno degli imperatori muore colpito da un fulmine. Tutto però cambia quando sulla scena entra un nuovo imperatore: è Diocleziano. Viene dalle file dell’esercito e ha le idee molto chiare.
 
Siamo nel 284 d.C. Diocleziano fa qualcosa che nessun altro imperatore aveva osato fare: divide l’impero in due. Capisce che l’Impero e’ troppo grande per essere gestito da una sola persona e forma un collegio, da lui diretto, formato da due imperatori (chiamati augusti) e due vice (chiamati cesari). Roma in quell’epoca scompare dalla geografia del potere. Diocleziano sceglie di diventare imperatore d’oriente, e si installa a Nicomedia, nell’attuale Turchia. Imperatore d’occidente diventa il suo fedele amico Massimiano, che si insedia a Milano. Le sedi dei due cesari sono Treviri e Salonicco. E’ una rivoluzione senza precedenti. Non solo, ma la parte orientale comincia a prendere sempre piu’ importanza, spianando la strada alla futura Bisanzio.

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Dopo aver provocato questo terremoto Diocleziano, caso unico nella storia di Roma, si dimette e va in pensione, a "coltivare cavoli", come dice lui stesso. Morira’ dieci anni dopo nel suo palazzo di Spalato, di morte naturale. Anche questo, visti i tempi, un caso raro.
 
Alla abdicazione di Diocleziano, si scatena una lotta furibonda per il potere, ne uscira’ vincitore Costantino che passera’ alla storia per due rivoluzioni che avranno molto peso sul futuro dell’Impero: il Cristianesimo e la nascita di una nuova Capitale.

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Nel 330 d.C. infatti la capitale dell’Impero si sposta a Oriente, sulle rive del Bosforo, dove si trovava l’antica colonia greca Bisanzio, che diventa una nuova potente città: Costantinopoli, l’attuale Istanbul. I vantaggi sono ovvi: la posizione è più consona alla geografia dell’Impero, per meglio comandare e meglio difendersi. Ma non sfugge a nessuno che questo trasloco del potere illustra bene lo spostamento del centro di gravità dell’Impero. Le province orientali diventano sempre più importanti a discapito di quelle occidentali che perdono importanza. E questo avrà un grande peso in futuro per la caduta di Roma.
 
Con Costantino l’Impero conobbe l’ultimo grande periodo di forza e splendore.

Ma c’è un fenomeno inquietante che striscia nella società romana da qualche generazione e che avrà un peso enorme nella caduta dell’Impero: più nessuno vuole fare il soldato. Se ai tempi di Cesare Roma era aggressiva e guerriera, ora nel 4° secolo non è più così. In un certo senso il romano, cioe’ il cittadino dell’Impero, si è "seduto". E non è facile tirare su un esercito.


Cosa fare? Ci si rivolge a chi ha ancora tanta voglia di combattere, e cioè ai barbari. E loro accettano, perché è anche un modo per integrarsi nel mondo romano. E fare carriera. Nessuno sa che un giorno sarà proprio un generale barbaro che aveva raggiunto i vertici dell’esercito romano a deporre l’ultimo imperatore, a sua volta figlio di un generale barbaro.E’ con Costantino che inizia la massiccia immissione di soldati germanici nell’esercito romano e questo accelera un processo gia’ in corso da tempo. Nelle forze armate entrano sempre piu’ truppe e comandanti di origine straniera, fino a occupare completamente la piramide dalla base al vertice.
 
Si verifica cosi’ una situazione paradossale: l’esercito romano e’ costituito da Germani che difendono le frontiere contro altri germani.
E cambia anche il modo di combattere: le reclute germane mal si adattano alla disciplina e alle tecniche di combattimento delle legioni. Preferiscono combattere con le loro armi: il gladio sparisce in favore della spatha, la lunga spada tipica dei Germani. Compaiono grandi scudi tondi. Il soldato cambia aspetto, e non solo.
Anche nel modo di combattere l’esercito e sempre più barbaro. In passato le legioni erano famose per vincere le battaglie muovendo i reparti come in una partita a scacchi, con grande coordinazione e disciplina. Ora, invece, si predilige la forza d’urto con grandi assalti: ci si affida alle capacità di combattimento dei singoli e alla violenza dell’impatto, il modo di combattere tipico dei barbari. E’ un esercito indubbiamente più debole e disunito rispetto a quello dei secoli precedenti. E soprattutto molto meno motivato.
Molti ritengono che proprio sotto Costantino cominciarono a delinearsi quelle crepe che poi avrebbero portato al cedimento dell’Impero. Ma forse, vista l’epoca, non si poteva fare altrimenti: Diocleziano e Costantino non fecero altro che portare soluzioni rimandando senza saperlo un declino inevitabile. L’Impero si stava evolvendo verso il Medioevo.
 
La parola barbari fu inventata dai greci e in origine voleva dire "coloro che balbettano", perche’ non sanno parlare il greco.


Da qui piu’ in generale passo’ a indicare tutti gli stranieri e fu con questo significato che la parola fu presa dai romani, per i quali "barbari" erano tutti i popoli che avevano usi e costumi diversi dai loro.

In realta’, esistevano moltissime popolazioni diverse dai barbari, distribuite lungo tutti i confini dell’immenso Impero e dotate di livelli culturali differenti. Alcune furono completamente sottomesse e romanizzate, ma altre resistettero e impegnarono i romani in guerre interminabili.

Intorno al 117 d.C, nel momento della massima espansione di Roma, la situazione era fondamentalmente questa:
In Francia c’erano i Galli, nell’attuale Gran Bretagna si trovavano i Britanni e in Germania i Germani. Piu’ o meno in Romania vivevano i Daci e nell’odierna Bulgaria i Traci. I temibilissimi Parti avevano un regno indipendente nell’attuale Iran e bloccavano l’ulteriore espansione romana verso est. Poi c’erano i Numidi, fra l’Algeria e Tunisia, i Mauritani in Marocco, i Nabatei nell’Arabia Nord Occidentale, i Quadi e i Marcomanni ai confini del Danubio, all’altezza dell’Austria e ancora moltissimi altri popoli: un complesso mosaico di barbari che costituivano altrettante spine nel fianco dell’Impero.
 
i barbari del Nord i cosiddetti "germani"furono quelli più legati alla caduta dell’Impero romano d’occidente. Ce n’erano di vari tipi, erano popolazioni molto diverse. Ma c’è un mito da sfatare: non apparvero solo alla fine provocando il crollo di Roma. In realtà furono un problema costante.

addirittura 6 secoli prima della sua caduta, Roma dovette già affrontare una prima invasione di questi barbari venuti dal profondo Nord, addirittura dalla Danimarca. Erano i Cimbri ed i Teutoni.
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Ma come si comportavano i romani con queste orde che migravano e spesso si stabilivano a ridosso della frontiera? Come abbiamo visto, da sempre facevano alleanze con le tribù più vicine, in modo da creare un cuscinetto di alleati lungo la frontiera che li avrebbero difesi contro nemici esterni, anzi ne avrebbero subito il primo urto. Ma i romani erano furbi. Tenevano queste tribù di frontiera in competizione tra loro, dando aiuti ad uno e non all’altro, alimentando discordie ecc in modo che non si sarebbero mai unite formando una potente forza d’invasione. E l’oro rimaneva il sistema migliore per tenere lontano i barbari dall’Impero.
 
Ma a questo punto della Storia ci troviamo di fronte a dei barbari più organizzati rispetto ai secoli passati, non più un orda confusa ma delle etnie ben definite: stiamo parlando in particolare dei visigoti e degli ostrogoti.


A questo proposito, un evento cruciale della Storia costringera’ proprio questi popoli a mettersi in movimento. Era il 376 d. C : gli unni, un’etnia venuta dalle steppe orientali, provocano infatti una sorta di tamponamento a catena tra le popolazioni barbare stazionate fuori dall’Impero Romano e spingono i visigoti ad entrare in territorio romano, anzi è una vera fuga in cerca di un rifugio. I romani già da tempo consentivano a piccoli gruppi di visigoti di stabilirsi, ma qui si trovano di fronte ad un esodo di massa.


Il passaggio dei visigoti è una fuga di massa: sono 200 mila a cercare un rifugio. I romani li lasciano stabilire nell’attuale Bulgaria. L’idea è geniale: così si eliminavano in un sol colpo dei nemici sul fronte trasformandoli in alleati pronti a combattere.
Con il tempo però questa decisione si rivela un grave errore perché una volta dentro l’Impero i visigoti da rifugiati si trasformeranno in invasori. Sconfiggono i romani in una battaglia rimasta famosa: Adrianopoli (l’odierna Edirne in Turchia), dove muore l’Imperatore d’Oriente Valente e con lui 2/3 dell’esercito. Poi compiono massacri indicibili in Grecia. E nel 401 d.C. guidati dal loro re Alarico entrano in Italia. Fortunatamente vengono sconfitti dalle legioni romane comandate da un grande generale: Flavio Stilicone. è un barbaro: un barbaro che difende l’impero da altri barbari. I visigoti, battuti ma non sconfitti, si ritirano a Nord.
 
Ormai è chiaro,i visigoti sono solo un segnale: la fine l’Impero Romano è imminente.

E comincia da un fronte completamente diverso dell’Impero, la Germania Renana. A Tréviri. E’ una notte apparentemente tranquilla: è la notte del 31 Dicembre del 406.

Un capodanno che rimarrà per sempre sui libri di Storia: una colossale orda barbari sfonda le frontiere. Città come Magonza, Tréviri, Bonn, Colonia vengono travolte. Cominciano le grandi invasioni, ma soprattutto comincia la fine dell’Impero romano d’occidente. O meglio, e’ davvero il tramonto dell’Impero d’Occidente. L’imperatore ha trasferito la sua reggia di Milano a Ravenna, che è difesa dalle paludi e dalla malaria. E i visigoti tornano a farsi vivi: vogliono un territorio dove stabilirsi. Quindi paradossalmente non vogliono distruggere l’Impero, ma farne parte, diventare membri di questo mondo ricco e colto. Questo fa capire l’attrattiva che aveva l’Impero sui barbari. Ma l’imperatore non risponde, rimane asserragliato: ha dei pessimi ministri tra l’altro ha fatto uccidere l’unico che avrebbe potuto sconfiggere i visigoti, il generale Stilicone.


I visigoti a questo punto decidono di andare su Roma per saccheggiarla. D’accordo, da tempo non è più la capitale dell’Impero. Ma lo shock, per tutto il mondo antico, è tremendo. E’ la notte 24 Agosto 410.
 
Era la primavera del 410 (più precisamente il mese di Aprile), quando l'esercito di Alarico giunge nei pressi di Roma. Conoscono ormai alla perfezione ogni strada e ogni porta della capitale, che bloccano; come bloccano il Tevere e i rifornimenti di grano provenienti da Ostia che erano quasi giornalieri. La vogliono far capitolare per fame. Si accampano davanti alle mura e aspettano 5 mesi. Si arriva nell'afosa estate. Di quel che accadde entro le mura non esistono diari né lettere: nessuna testimonianza diretta. Tute le notizie sono posteriori. I commenti desolati che troviamo nelle lettere di San Girolamo e nei sermoni di Sant'Agostino riecheggiano i racconti, forzatamente frammentari, degli scampati. Notizie che, filtrate attraverso quelle fonti, non rappresentano altro che l'interpretazione cristiana dei fatti: il partito preso tipico degli apologisti di minimizzare le catastrofi dell'impero, per non essere incolpati.

I Romani sono costretti a cibarsi di gatti, topi, cani, e le malattie infettive seminano la morte. Si parla di mercato nero a prezzi esorbitanti, casi di peste, episodi di cannibalismo; dalla folla che, ad onta della situazione tragica, era ammassata nel circo, si levò un giorno una voce: "mettete un prezzo alla carne umana!". C'era chi, approfittando d'un momento di sosta o comprando il silenzio degli assedianti, era riuscito a raggiungere Ostia e si era rifugiato nelle isole dell'Arcipelago Toscano. Molti affamati che non hanno nulla da perdere, verso la fine di agosto si mettono d'accordo per dire basta!
 
Nella tarda notte del 24 Agosto, poco prima dell'alba, quando chi era in grado di farlo, dormiva profondamente, qualcuno apre la porta Salaria e 500.000 Goti entrano come fiume in piena, muovendo i primi passi sul suolo di Roma che, per quasi mille anni era stato inviolato. Inizia il saccheggio. Il cielo, una lastra di piombo infuocato; il Tevere lento e limaccioso, tra rive folte di vegetazione, deserto. La razzia durò 3 giorni. Fuori dalla città, da un altura, osservando la devastazione e la spoliazione e a disinteressarsi del tutto della cosa c'é Alarico, che forse sta pensando a come sono fugaci e deboli anche gli imperi che hanno 1000 anni di storia; bastono 3 giorni e un po' di schiavi arrabbiati per porre fine a un Impero già in agonia.


il sacco di Roma da parte di Alarico. Miniatura francese del XV° sec
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Più che i suoi uomini, i devastatori sono proprio gli schiavi che lo scorso anno Alarico aveva liberato e che si era poi trascinati dietro; sono i 50.000 che seminano morte e distruzione; vendette omicide contro gli ex padroni per le angherie subite; in branchi bestiali organizzano spedizioni punitive di massa, casa per casa, che solo loro conoscono bene nel dedalo delle vie della capitale dove sono vissuti una vita a fare i servi. Sono ricordate queste atrocità soprattutto dagli scrittori cristiani, dai vescovi e da un addolorato papa Innocenzo.

Lui stesso, il Papa, dopo un incontro con Alarico, ricevette dalle sue mani un messaggio da consegnare a Onorio. In questa lettera, che si conserva ancora oggi in Vaticano, il "barbaro" Alarico affermava "....esorto l'imperatore ad essere ragionevole e a non permettere che la città di Roma che ha governato il mondo per più di mille anni, sia saccheggiata e incendiata non dai miei uomini, ma da quelli che fino a ieri dei romani erano schiavi, che ora io guido, ma che mi é impossibile placare l'odio che Roma ha fatto dentro di loro nascere".

Il sacco di Roma cominciò il 24 e terminò il 27 agosto. Agostino (in “de civitate dei”) riferisce che coloro che si rifugiarono nelle chiese furono risparmiati. Inoltre nella "Storia della città di Roma nel medioevo" (8 voll.), scritta nel 1872 dal tedesco F. Gregorovius ma che è tradotta in italiano (1972), si legge, a proposito del ruolo che dovette avere anche papa Innocenzo I (401-417) nel mitigare le presunte violenze dei barbari: "Alarico aveva dato ai suoi guerrieri piena libertà di saccheggio, ordinando tuttavia di risparmiare la vita degli abitanti e di rispettare le chiese e in particolare le basiliche dei due apostoli usate dai cittadini come luogo di rifugio". Ma non venne ascoltato. Dalla basilica di S.Pietro vennero trafugati gli oggetti di culto più importanti, anche quelli gelosamente custoditi nei sotteranei blindati.
 
L’impero è in preda ai barbari: visigoti, ostrogoti alamanni, alani, svevi, franchi attraversarono l’Europa come fuochi devastatori.

Una di queste tribù barbare ha un nome che è rimasto nella mente di tutti per le devastazioni che arrecò: i vandali. Furono quelli che andarono più lontano di tutti, attraversarono tutto l’Impero per arrivare addirittura in Africa e lì stabilire un regno. Il Regno vandalo.


In Europa l’Impero d’occidente è ormai in frantumi e si sono formati dei regni barbari a se stanti. In realtà l’Impero esisteva ancora ma era ormai confinato quasi solo alla penisola italiana.
Un aspetto saliente di questo periodo è il progressivo abbandono delle città per sfuggire alla mancanza di sicurezza. I grandi proprietari terrieri si ritirano in campagna in grandi dimore spesso fortificate con una piccola popolazione di schiavi e di coloni. Ed a volte con dei loro piccolissimi eserciti privati. Ci si avvicina a qualcosa che vedremo soprattutto nel Medioevo.


Si era in pieno declino. Peggio di così non poteva andare. O forse si. Perché è proprio a questo punto che si delinea all’orizzonte un pericolo ancora più grande: sono gli unni.


Erano talmente feroci da far paura persino agli altri barbari. Erano stati proprio loro ad aver spinto le varie tribù germaniche ad entrare nell’Impero romano dando il via alle grandi invasioni. Poi per qualche tempo erano rimasti tranquilli: ora si erano risvegliati. A guidarli era Attila che puntava al dominio assoluto in Europa, un uomo talmente spietato da essere soprannominato il "Flagello di Dio".

La loro invasione spaventosa e sanguinaria subi’ pero’ una terribile sconfitta a seguito della feroce battaglia dei Campi Catalaunici nel 451: crollava il mito della invincibilita’ degli Unni.
 
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Vissuto fra il 440 circa ed il 453 d.C., Attila fu re degli Unni a partire dal 443. Per la sua ferocia fu detto "flagellum dei". Durante il suo regno Attila sottomise molte popolazioni germaniche e riuscì a costituire una potenza militare tale da imporre tributi agli imperi d'oriente e d'occidente.

Quando Attila lanciò i suoi barbari sull'Occidente (erano circa 700.000) fu come un vasto e irresistibile torrente di fuoco. Egli passò il Reno, mise a ferro e fuoco il Belgio, distrusse Metz e 20 altre fiorenti città. Prese da un terrore indicibile le popolazioni fuggirono davanti agli unni. La storia ci tramanda che in questa tempesta di fuoco e di sangue i santi furono gli unici protettori delle popolazioni spaventate.

Troyes venne salvata dal suo vescovo S. Lupo. Davanti all'approssimarsi dei barbari, il santo riunì il popolo e comandò che si facessero pubbliche preghiere. Poi, quando Attila giunse alla porta della città, gli andò incontro rivestito degli abiti pontificali. Attila, soggiogato dalla sua autorità, passò per la città senza compiere alcun eccesso.

A Parigi fu un'umile pastorella, Santa Geneviève, a trattenere il torrente con la forza delle sue suppliche.

Gli Unni marciarono su Orleans; là il vescovo S. Agnano fece sì che il suo popolo compisse prodigi di valore. Le mura di cinta, che erano semidistrutte, vennero ricostruite e tutti si prepararono a sostenere il terribile scontro animati da lui. Orleans non avrebbe potuto comunque reggere l'assalto, ma S. Agnano chiese l'aiuto del generale romano Ezio, e mantenendo la resistenza fino alla fine, vide giungere i soccorsi prima della caduta della città. Ezio accorse con un esercito composto da romani e da loro alleati barbari: visigoti, franchi, poari, francosari e burgundi. Tali espedienti (alleare alle truppe romane delle popolazioni barbare per difendersi da altri barbari) ben mostrano la marcescenza dell'Impero. Attila indietreggiò, cercando un campo di battaglia più favorevole nella piana di Chalan-sur-Saone. Là tutte le razze si mescolarono in una lotta terribile, e, al termine, 160.000 morti coprirono il campo in questa carneficina: Attila fu vinto. Egli si ritirò in un campo circondandosi di carri, e, al mattino del giorno seguente i vincitori videro in questo campo un'enorme pira fatta con delle selle di cavallo: Attila vi era sopra e i suoi unni, reggendo delle torce accese, erano pronti ad incendiarla qualora il recinto fosse stato forzato; come un leone inseguito dai cacciatori fino all'ingresso della tana si volse indietro e lanciò i suoi terribili ruggiti. I romani non osarono affrontare la disperazione degli unni e lasciarono che Attila rientrasse in Germania.

L'anno dopo, il 452, il "flagello di Dio" uscì dal suo rifugio ebbro di nuovo furore e penetrò in Italia devastandola e distruggendone le città, in particolare espugnò Aquileia e devastò il Veneto.

Roma era perduta, non possedendo i popoli italici un esercito per difenderla, ma Papa San Leone Magno si adoperò per la sua salvezza, andando intrepidamente fino al campo di Attila con i rappresentanti dell'Imperatore. Contro ogni previsione umana, Attila, a cui non bastava che far avanzare il cavallo per prendere la città dei cesari, magnifico oggetto a cui ambivano i barbari, concesse a S. Leone la pace e la sua ritirata dall'Italia. Interrogato più tardi sul motivo di questa concessione al Papa, Attila risponse di aver visto, a fianco del grande pontefice, un altro personaggio in abiti sacerdotali e con una spada nella mano che lo minacciava di morte qualora non avesse ceduto: Attila mantenne la sua promessa e la moltitudine dei barbari, avidi di sangue e di rapina, riattraversò il Danubio.
 
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Francesco Borgani (1614) Lo storico incontro di S. Leone con il Re Attila alle foci del Mincio
Olio su tela conservato presso la parrocchiale di Governolo.
 
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Vaticano: nella Sala delle mappe cinquecentesche affrescate, il territorio mantovano presenta la località Governolo dove è disegnato sopra lo storico incontro di Papa Leone con Attila.
 
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Regia
Pietro Francisci
Cast
Anthony Quinn, Sophia Loren, Henry Vidal, Irene Papas, Ettore Manni, Christian Marquand, Eduardo Cianelli
Sceneggiatura
Ennio de Concini, Primo Zeglio
Musica
Enzo Masetti
Fotografia
Aldo Tonti


Nell'anno 441 d.c. in Gallia, il generale romano Ezio ferma le orde barbariche degli Unni riuscendo a stringere un accordo con il capo Bleda; ma Attila, fratello di Bleda è smanioso di annientare l'impero romano. Distrutta Ravenna il "flagello di Dio" marcia verso Roma. Lo ferma alle porte della città Papa Leone I.
Attendibilità storica pressoché nulla in questa sfarzosissima emulazione al genere in costume americano molto in voga nel periodo. In ogni modo il film possiede una giusta tonalità drammatica, interpretato da un folto cast di celebrità e diretto con mestiere da un esperto operaio del cinema. Il lavoro è incorniciato da un gran numero di comparse e dagli squadroni dei Carabinieri a cavallo. I dialoghi della Loren, completamente fuori parte, sono insopportabili.
 
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