i referendum

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Il leader radicale accusa: “Non ci meravigliamo, la partitocrazia ha ucciso i referendum”

di Gianni Marsilli

Chiedere a Marco Pannella una fotografia dello stato di salute dell'istituto referendario, all'indomani della consultazione sull'articolo 18, vuol dire avere in risposta un excursus storico che comincia negli anni '50, «quando il partito radicale venne creato sulla constatazione che già nel ’59 l’87 percento delle leggi venivano votate in sede di Commissione», che già all'epoca si viveva in uno stato di «Costituzione negata», che si stava creando «quella regola per la quale in Italia non esistono regole» che nel nostro paese le cose avvengono «di fatto, come i condoni» che l'assetto dei poteri «è sempre fuori legge, in maniera macroscopica e costante», e che tutto ciò è diventato oramai «caratteristica antropologica» dell'amata penisola. Se poi si insiste, e gli si chiede che cosa è cambiato dopo il non-voto degli italiani di domenica scorsa, risponde che la situazione «è esattamente lo specchio della non-democrazia italiana», ricorda che la nostra Costituzione, forte dell'esperienza dei regimi totalitari europei-continentali come il nazismo e il fascismo, «si era inventata che il cittadino disponesse di due schede: una per eleggere i parlamentari, l'altra per abrogare le leggi. Ebbene, i partiti unanimi hanno impedito fino alla fine degli anni ’60 la legge attuativa di questo secondo diritto... Solo il 20 marzo del ‘74 si riuscì a farlo nella Commissione Giustizia della Camera», e si andò al referendum sul divorzio, e lui vinse una scommessa con Enrico Berlinguer. Pannella diceva che si sarebbe vinto a mani basse, con il 60-65 percento, Berlinguer non la vedeva oltre il 51. Ma poi - continua Pannella - «la Corte Costituzionale cominciò i suoi golpe tecnici», con i quali impedì referendum come quello, per esempio, sull'abolizione del Concordato: «Su 90 nostre richieste la Corte Costituzionale ne ha fatte fuori 45». Gli si obietta allora che lui avrebbe voluto una repubblica referendaria, e che la pretesa era forse eccessiva, e lui risponde secco: «No, volevo solo attivare i sistemi democratici», e fu per questo che la Rai e i media cominciarono «a metterci il silenziatore», e ci fu «l'Italia negata, quella della sinistra liberale», quella di Ernesto Rossi e di Giustizia e Libertà. Per cui, in conclusione, quando va a votare neanche un quarto degli aventi diritto vuol dire che «non si può chiedere a un popolo di ignorare i comportamenti partitocratici» pluridecennali, e quindi non c'e molto da stupirsi. Gli sta a cuore allargare i termini delta faccenda: «Il nostro vero problema è una grande riforma del continente europeo», e tiene sempre a dire «Europa continentale»: perché? «Parlo dell’Europa cattolica, e stiamo attenti che continua a produrre danni», contrariamente «all'Europa anglosassone, quasi sempre nel giusto, e infatti fu lì che lord Beveridge s'inventò il Welfare».

A questo punto gli si chiede perché diamine, in un simile quadro, gli sia venuto in mente di offrire al governo in carica la partecipazione diretta dei radicali italiani e risponde: «Ho proposto un contratto politico, che si era già realizzato con Amato nel ‘93 ed era stato raccolto dal suo successore Berlusconi nel ‘94». E in cosa consiste il «contratto politico del 2003»? «Nel sapere che si deve fare qualcosa di clamorosamente realizzabile in pochissimo tempo: l’associazione di Israele all'Europa...». Pochissimo tempo? «Intendo l’avvio del percorso ufficiale, e poi l'offerta da parte dell’Italia dell'esilio a Saddam Hussein, e parlo di garanzia di incolumità, non di impunità. Ma non pare nutrire troppa fiducia e ricorda altri delitti delta partitocrazia, come quando «Berlusconi, D Alema e Prodi fecero fuori Emma Bonino quand'era capodelegazione all'Assemblea generate delle Nazioni Unite, perché troppo brava». Il suo rapporto con la sinistra, oggi, forse si rivela quando ci lascia liberi di pensare che «queste cose (l'offerta di andare al governo con quegli obiettivi, ndr) io le dica a Berlusconi nuora perché suocera, cioè la sinistra, intenda», ma non manca di sottolineare che «le cosa allucinante è che Berlusconi per il momento non capisce, ma la sinistra ancora di meno». Se infine gli si chiede un giudizio sull'operato dell'attuale governo e se non gli sembri che la coalizione si stia squagliando come neve al sole, trova l’ennesimo, industrioso paradosso: «Berlusconi è il grande salvatore dei suoi nemici», lo accusa di «aver salvato il partito eversivo dei giudici dall'ondata refererdaria», e ci aggiunge la «malafede cinica» di Cofferati quando scese in campo per difendere l'articolo 18 per fornire ancora una volta il quadro delta «partitocrazia imperante». Se poi si insiste nel chiedergli un giudizio politico sull'esecutivo, risponde che nel governo Berlusconi vede una riedizione dell'antico asse Almirante-Fanfani, che si oppose all'affermazione di diritti come quello di divorziare: «Il risultato fu che gli elettori italiani li mandarono a cagare».


www.radioradicale.it
 
mah, io penserei all'inflazionamento degli stessi prodotto dai radicali... credo che dovrebbero cercare le colpe più in casa loro piuttosto che stare a cianciare di Israele nell'UE
 
Il referendum e' un DIRITTO e in quanto tale non credo che la gente si dovrebbe annoiare nel dover andare a votare i vari quesiti, anche se riconosco che spesso lo strumento e' statao utilizato in modo improprio.
 
Scritto da Giorgiob75
Il referendum e' un DIRITTO e in quanto tale non credo che la gente si dovrebbe annoiare nel dover andare a votare i vari quesiti, anche se riconosco che spesso lo strumento e' statao utilizato in modo improprio.
comunque se non cambiano registro, di quorum da qui in avanti ne raggiungerranno ben pochi. Pare si sia innestato il meccanismo dell'astensione, a mio parere più per "protesta" che per qualinquismo o indicazioni di partito
 
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