Il cibo è passione, è amore.

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"A me piacciono gli anfratti bui delle osterie dormienti, dove la gente culmina nell’eccesso del canto,
a me piacciono le cose bestemmiate e leggere, e i calici di vino profondi, dove la mente esulta, livello di magico pensiero....".

(Alda Merini)


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"Amo le tue labbra quando sono umide di vino
e rosse di selvaggio desiderio
;
amo i tuoi occhi quando luccicano d'amore,
accesi di fuoco appassionato.
Amo le tue braccia quando la carne bianca e calda
si stringe alla mia in un tenero abbraccio;
amo i tuoi capelli quando le ciocche si mischiano
tra i tuoi baci e la mia faccia. [....]"


(Ella Wheeler Wilcox)



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All'Osteria:
"Ciao vecio, come xea?"
"Par mi el soito".


Il bacaro (pron. bàcaro), o bacaréto, è un tipo di osteria veneziana a carattere popolare, dove si trova una vasta scelta di vini in calice (ómbre o bianchéti) e piccoli cibi e spuntini (cichéti), caratterizzata da pochi posti a sedere e da un lungo bancone vetrinato in cui sono esposti i prodotti in vendita. Più raro è il caso di bacari che servono piatti più elaborati o che offrono un vero e proprio servizio di ristorazione.

Frequentati sia da turisti sia da abitanti del luogo, i bacari, oltre al vino, servono anche le caratteristiche bevande note come "spritz", mentre raramente vengono offerti al pubblico i tipici tramezzini veneziani, destinati ad altri tipi di esercizi, perlopiù bar o locali specializzati.
L'esercizio tipico si è trasformato fino ad assumere una fisionomia mista, a metà fra l'osteria e il pub.
Il nome bacaro si vorrebbe derivato da Bacco, dio del vino. Secondo un'altra teoria, deriverebbe da "far bàcara", espressione veneziana per "festeggiare".

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"Bacari" era il nome attribuito, un tempo, ai vignaioli e ai vinai che venivano a Venezia con un barile di vino da vendere in Piazza San Marco insieme con dei piccoli spuntini. Il bicchiere di vino che si beveva si chiamava "ómbra", perché i venditori delle botteghe alla base del campanile di San Marco ne seguivano l'ombra per proteggere il vino dal sole.
"Bàcaro" era il vino duro, scuro ed amaro ed il termine passò a distinguere le mescite che alcuni vinai pugliesi aprirono in Venezia per vendere direttamente i loro prodotti. I "bacari" si distinguevano dalle "malvasie" cioè dai locali nei quali si vendeva la "malvasia", prodotto di pregio, che da secoli giungeva a Venezia in particolare dalla Grecia.

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I prodotti tipici del bacaro sono definiti cicheti, dal latino ciccus, ovvero "piccola quantità",di solito sono a base di pesce (ma anche di salumi, carne, e altro) e possono essere semplici o complessi. Tra i cicheti più ricorrenti vi sono i crostini di baccalà mantecato, alici marinate, misto mare o "folpetti" in umido. Ai cicheti a base di pane sono alternati quelli fritti: baccalà fritto, sarde in saor, verdure fritte ecc.



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L’amore è un pazzerello che vuol essere nutrito di riso e di giochi;
un cibo diverso lo fa morire di consunzione.

(Giacomo Casanova)



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JACQUES PRÉVERT
ALICANTE

Un’arancia sulla tavola
Il tuo vestito sul tappeto
E nel mio letto tu
Dolce presente del presente
Freschezza della notte
Calore della mia vita

(Alicante, da Parole, 1946)


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OSCAR WILDE
Oscar Wilde ne “L’importanza di chiamarsi Ernesto” l’autore ha portato i muffin sulle tavole del palcoscenico e,
tramite Algernon, che è uno dei protagonisti, dà le guidelines su come gustarli
:

“Io non posso mangiare muffins in modo agitato. Probabilmente mi finirebbe il burro sui polsini.
I muffins vanno mangiati con calma. E’ l’unico modo di gustarli. Quando mi trovo nei guai, mangiare è
la sola cosa che mi consola. Anzi: quando il guaio in cui mi trovo è veramente grosso, chiunque mi conosca
intimamente potrà dirti che rifiuto tutto ad eccezione del cibo e delle bevande. In questo momento, per esempio,
se mangio muffins è perché sono molto infelice. A parte il fatto che ne vado matto.”


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I Beatles hanno menzionato in numerose canzoni il cibo
In “Lucy in the sky with diamonds” si parla di marshmallow pie, una torta succulenta

I marshmallow ( toffolette o cotone dolce) sono dei cilindretti di zucchero, forma evoluta di un dolce ricavato in origine dalla pianta Althaea officinalis e consumati principalmente negli Stati Uniti. Sono di solito di colore bianco e morbidi al tatto.

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Cerca la ragazza con il sole negli occhi
ma lei se n'è andata.
Lucy nel cielo con i diamanti.
Lucy nel cielo con i diamanti.
Lucy nel cielo con i diamanti.
Seguila laggiù ad un ponte accanto ad una fontana
Dove persone come cavalli a dondolo mangiano torte fatte con marshmallow
tutti sorridono mentre ti apri un varco tra i fiori
Che crescono incredibilmente alti.


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Alla dogana: "Un melograno al giorno porta bene. Lo mangio qui, sulla soglia del paese e mi porto la fortuna nello stomaco"


(dal film "Ararat", diretto nel 2002 da Atom Egoyan, presentato fuori concorso al 55º Festival di Cannes)

.

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Il melograno è un frutto proveniente dall'Asia, giunto a noi tramite i mercanti navigatori Fenici e poi attraverso gli arabi stanziati in Andalucia una decina di secoli fa, come si deduce dalla denominazione scientifica Punica Granatum (il nome della città di Granada deriva infatti dall'arabo Gar-anat, che significa «Collina dei pellegrini»).





Mentre passeggiate in Turchia o Medio Oriente vi capiterà facilmente di imbattervi in chioschi che preparano la deliziosa spremuta di melograno.

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Qualche chicco di melograno può inoltre impreziosire un arrosto di carne, come la faraona

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“Coltivare il piacere dei sensi è stato il primo obiettivo della mia vita”.

Si narra che Casanova mangiasse ogni giorno almeno una dozzina di ostriche

“ Per puro caso, un’ostrica che stavo per mettere in bocca ad Emilia sdrucciolò fuori dal guscio e
le cadde sul seno. La ragazza fece il gesto di raccoglierla con le dita, ma io glielo impedii,
reclamando il diritto di sbottonarle il corpetto per raccoglierla con le labbra nel fondo in cui era caduta…“.

Giacomo amava questo “giochino” con l’ostrica, che spesso e volentieri degenerava con scivolamenti,
apparentemente sbadati dei molluschi, sempre più in basso
."
 
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Risotto ai petali di rosa

160g riso Arborio
50g panna fresca
50g burro
3 boccioli di rosa edibile
vino rosato
Parmigiano Reggiano Dop
acqua di rose
sale
pepe

Preparazione
Per la ricetta del risotto con le rose, ricavate i petali di 2 boccioli di rosa e puliteli eliminando la parte bianca alla base, che è un po’ amara.
Fatene appassire metà in una casseruola, con una noce di burro.
Unite il riso e tostatelo per 1 minuto, quindi sfumate con 1/2 bicchiere di vino rosato.
Salate e bagnate con un mestolo di acqua bollente, quindi portate il riso a cottura in 15-18 minuti, aggiungendo acqua bollente, poca per volta. A fine cottura, aggiungete i petali rimasti.
Mantecate il risotto con 1 cucchiaiata di parmigiano grattugiato, la panna e il burro, 1 cucchiaio di acqua di rose.
Servite il risotto guarnendolo con i petali del terzo bocciolo e completando con una spolverata di pepe.

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"Bianche, gialle, vermiglie, brune. Alcune larghe e chiare, freschissime
e tutte imperlate, avevano non so che di vitreo tra foglia e foglia; altre
avevano petali densi; altre parevano pezzi di neve odorante e facevano
venire una strana voglia di morderle e d’ingoiarle; altre erano di carne,
veramente di carne, voluttuose come le più voluttuose forme d’un corpo di donna".
(Gabriele D'Annunzio)


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Gabriele D'Annunzio aveva dei gusti molto precisi: in cucina aveva messo «un’arpa cuciniera», cioè un telaio per la pasta alla chitarra, a ricordare la sua predilezione per le bontà abruzzesi.
Gli piacevano moltissimo le uova, al punto di dotare il Vittoriale di un pollaio ben fornito (arrivava a consumarne anche cinque o sei al giorno). Adorava le costolette di vitello sottili e croccanti con le patate altrettanto sottili e croccanti.
Inneggiava letteralmente ai cannelloni di Suor Intingola, non sdegnava la selvaggina, il pesce, i molluschi e i frutti di mare, consumava molta frutta e sulla sua tavola venivano serviti risotti specialissimi, come quello alla Duse, con gamberetti e tartufi: sì, il cibo come preludio all’amore, tanto che la cucina doveva essere aperta ventiquattr’ore su ventiquattro, per permettere al Vate di rifocillarsi dopo le fatiche sotto le lenzuola.
Lo zabaione, scriveva d’Annunzio, «raddrizza la schiena» dopo le fatiche dell’amore.

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Per lo zabaione
Sbattete i tuorli con lo zucchero e il Marsala, con una frusta.
Montateli con le fruste elettriche su un bagnomaria caldo, per circa 4-5 minuti.
Togliete lo zabaione dal fuoco e finite di montarlo per 1 minuto ancora.
Versatelo nelle coppe e spolverizzatelo a piacere con un pizzico di cannella.


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Ho fame della tua bocca, della tua voce, del tuoi capelli
e vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,

non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge,
cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno.

Sono affamato del tuo riso che scorre,
delle tue mani color di furioso granaio,

ho fame della pallida pietra delle tue unghie,
voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.

Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
il naso sovrano dell’aitante volto,

voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia
e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,
cercandoti, cercando il tuo cuore caldo
come un puma nella solitudine di Quitratúe.

Pablo Neruda


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"Ti amo come se mangiassi il pane
spruzzandolo di sale,

come se alzandomi la notte bruciante di febbre

bevessi l’acqua con le labbra sul rubinetto,

ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so che cosa contenga e da chi,
pieno di gioia, pieno di sospetto agitato,

ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo,
ti amo come qualche cosa che si muove in me
quando il crepuscolo scende su Istanbul poco a poco,

ti amo come se dicessi Dio sia lodato, son vivo."

(N. Hikmet, 1959)


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Se il Mediterraneo dovesse essere simboleggiato da aromi e profumi, questi sarebbero anzitutto quelli del pane, dell'olio e del vino.

Dal primo pane degli antichi Egizi, privo di lievito, la tradizione si è conservata e sviluppata sino ai giorni nostri. Nelle cascine del nostro Paese fare il pane era considerato un rito che tutte le settimane, al venerdì, si svolgeva nel forno comune. Ad accenderlo, a turno, era la famiglia che doveva provvedere anche alla fornitura di legna. Il lievito naturale si conservava, da una settimana all'altra, e veniva rigenerato con un po' d'acqua calda, rovesciandolo in mezzo alla farina. Le forme venivano impastate, coperte con un panno e, una volta lievitate, messe in forno.

Nel Meridione d'Italia la farina di grano duro è tradizionalmente usata anche per la pasta. In Sicilia il pane di semola di grano duro è aromatizzata con i semi di cumino, sesamo o anice. La varietà di forme e sapori del pane è simile ad un'orchestra che con sole sette note offre al pubblico delle opere musicali di indicibile bellezza ed armonia all'udito. Con soli due tipi di farina, semola e di grano duro, l'abilità del fornaio, con più tipi di lavorazione, crea le moltissime qualità e varietà di forme e di sapori che noi apprezziamo ogni giorno.

(dal web)



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SOPHIA LOREN: "CUCINO PERCHÈ AMO..."

Cucinare è un atto d’amore, parola di Sofia Loren:
«Nonna Luisa, durante i bombardamenti a Pozzuoli, continuava imperterrita a manovrare
le sue pentole, e io mi rifugiavo dietro le sue gonne come fosse una trincea.
Era un genio della cucina, sapeva fare manicaretti col niente che c’era: un po’ di mollica di
pane, una foglia di basilico, una goccia d’olio. In quegli anni ho imparato che il miglior
condimento è la fame: tutto squisito quando hai lo stomaco vuoto che fa male.
E ho imparato pure che cucinare è un atto d’amore, è un modo di dare, di nutrire, di proteggere».

Sofia è un’ottima cuoca e un suo libro di ricette è stato premiato in tutta Europa.

" Mi fanno pena quelli, soprattutto donne, che si privano di questo piacere per malintesi
problemi estetici, per paura di ingrassare. È naturale che si mangi e che si provi piacere
dal cibo. Certo, senza esagerare. Semmai bisogna adottare un ritmo di vita che non
favorisca l’accumulo di ciccia in eccesso".

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La pizza fritta è una specialità partenopea che fa tornare alla mente gli anni difficili del dopoguerra e la creatività del popolo napoletano.
Alla fine della seconda Guerra mondiale la tradizionale pizza rotonda a Napoli era diventata quasi un lusso: mancavano gli ingredienti per condirla e soprattutto i forni a legna, molti dei quali andati distrutti nei combattimenti per liberare la città. Così si pensò di friggere nell'olio bollente l'impasto, che si gonfiava e dava la sensazione di maggiore sazietà. Oggi la pizza fritta si farcisce con salumi, polpette, provola o friarielli, ai tempi ci si metteva dentro tutto quello che si aveva a disposizione, soprattutto ricotta, che arrivava dalle campagne a buon mercato, e i “ciccioli”, pezzi di grasso di maiale scartati dai tagli pregiati.

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La più famosa venditrice di pizza fritta è Sophia Loren, che nel film L'oro di Napoli, diretto da Vittorio De Sica nel 1954, grida “Mangi oggi e paghi fra otto giorni”, con la scollatura ben in vista. Proprio nell'impasto di una delle pizze fritte, dice al marito, le è caduto l'anello di fidanzamento, che ha in realtà dimenticato dal giovane amante.


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Prendiamo un croissant. La pasta è tiepida, quasi molle. Questa piccola ghiottoneria
nel freddo, mentre camminiamo: come se il mattino invernale diventasse croissant
dentro di noi, come se noi diventassimo forno, casa, rifugio. Procediamo più lentamente,
tutti impregnati di biondo per attraversare l'azzurro, il grigio, il rosa che si stempera.
Comincia il giorno, e ci siamo già presi il meglio.

(Philippe Delerm)



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Benito Mussolini: il duce riteneva il cibo francese 'insignificante' ed era appassionato di aglio.
Piatto preferito del dittatore italiano era una semplice insalata condita con aglio, olio e succo di limone.
Mussolini, raccontano le autrici, amava pranzare in famiglia in compagnia della moglie Rachele e dei cinque figli.
Il pranzo doveva essere servito in modo puntuale e i commensali dovevano essere già seduti e con il piatto pieno prima del suo arrivo.


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"Gli italiani hanno solo due cose per la testa: l'altra sono gli spaghetti."

(Catherine Deneuve)





"Gli spaghetti erano croccanti, e scivolavano in bocca quasi animati di vita propria. Quell’olio d’oliva aveva un sapore inebriante. Sembrava incredibile che quattro elementi così semplici, olio d’oliva, pasta, aglio e formaggio, potessero dar vita a un piatto talmente straordinario."

(Ruth Reichl, chef statunitense)


Vedi l'allegato 2817268
 
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"Gli italiani hanno solo due cose per la testa: l'altra sono gli spaghetti."

(Catherine Deneuve)





"Gli spaghetti erano croccanti, e scivolavano in bocca quasi animati di vita propria. Quell’olio d’oliva aveva un sapore inebriante. Sembrava incredibile che quattro elementi così semplici, olio d’oliva, pasta, aglio e formaggio, potessero dar vita a un piatto talmente straordinario."

(Ruth Reichl, chef statunitense)


Vedi l'allegato 2817268

ahahah!! eh sì , la C. Deneuve è una che la sa lunga ....:D:D;)
 
Wrangel e Diago siete "birichini e maliziosi":D



Nel film Pelle d’Asino c'è una sequenza deliziosa: la giovane Catherine Deneuve, raffinata principessa costretta da un sortilegio a fare la sguattera vestita appunto con una pelle d’asino, decide di preparare la «cake d’amour», una torta per far innamorare il suo principe azzurro.
Per oltre tre minuti la nostra eroina illustra cantando per filo e per segno i segreti della ricetta.
Il film è tratto da una fiaba di Perrault ed è anche un musical.
In Francia, la canzone è diventata presto molto popolare, con schiere di cuoche innamorate che si sono messe dietro ai fornelli per preparare
la «cake d’amour».

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Tempo di preparazione un quarto d’ora, grado di difficoltà minimo, risultato garantito:
così la cake d’amour è diventata un classico dei corsi di cucina parigini per principianti.

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Ecco gli ingredienti, per quattro persone:
3 uova, 180 grammi di farina, lievito,,250 grammi di zucchero, 75 grammi di burro, 120 grammi di fromage blanc (o jogurt greco), 2 limoni.


1)Separare i tuorli dagli albumi
2)Sbattere i tuorli con lo zucchero
3)Aggiungere il burro e il fromage blanc, e continuare a sbattere
4)Incorporare la farina, il lievito e la scorza di un limone grattugiata
5)Battere delicatamente gli albumi e incorporarli all’impasto
6)Versare l’impasto in uno stampo e lasciare in forno a 180 gradi per 50 minuti
7)Estrarre dal forno e lasciar raffreddare prima di servire

Il risultato in pratica è equivalente a una torta paradiso. Ma il vero ingrediente segreto da nascondere nell’impasto, come insegna la ricetta originale di Peau d’âne, è più impegnativo: un anello di fidanzamento.


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I macaron, piccoli biscotti rotondi e croccanti conosciuti in Italia fin dal Medioevo, a base di mandorle, zucchero e albume d’uovo
Il termine macaron deriva dall’italiano maccheroni, che a quei tempi indicava una sorta di gnocchi di pasta fresca. È evidente che lo si utilizza in riferimento alla forma, più che agli ingredienti: lo stesso La Varenne, nel suo Le cusinier François dice che i biscotti dovevano essere fatti “a forma di maccheroni”.
Larousse Gastronomique cita i macaron come dolci creati nel 1791 in un convento vicino Cormery, ma fonti più antiche fanno risalire il dolce alla Venezia del XVI secolo e sarebbe giunto in Francia grazie a Caterina de' Medici, la quale per un importante evento commissionò a un pasticciere italiano il dolce che portò con sé nel 1533, cioè quando sposò il Duca di Orleans Enrico II di Francia.
Nel 1830, i macaron venivano serviti due a due con l'aggiunta di marmellate, liquori e spezie.

Nel 1682, quando Dalloyou divenne la pasticceria ufficiale di Versailles, i macarons furono introdotti definitivamente alla corte di Versailles e divennero i dolcetti preferiti della regina Maria Antonietta, che li consumava abitualmente all’ora di merenda accompagnandoli con tè pregiati.


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