Il girotondo del papà più bello del mondo

«Non ho mai davvero conosciuto mio padre. Era sempre ubriaco».

Cristiano Ronaldo
è scoppiato in lacrime quando, durante un'intervista gli è stata mostrata
una clip inedita di suo padre, José Dinis Aveiro, morto a 52 anni a causa di un’insufficienza
epatica dovuta all’alcolismo.
Dinis era stato intervistato dalla tv norvegese prima degli Europei del 2004, un anno prima
di morire, e raccontava quanto fosse orgoglioso di suo figlio.
«Non ho mai visto quel video; è stato incredibile. Non pensavo di piangere (...) La cosa
che mi dispiace di più è che mio padre non ha mai visto quello che sono diventato».


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"Gli artisti come Raoul non moriranno mai rimarrà sempre vivo nella sua musica
e nelle sue canzoni che viaggiano nell'aria e continuano a esistere.... La sua
genuinità è il più grande valore morale che ha lasciato a noi figli".

Lo ha detto Mirko Casadei, il figlio di Raoul che dal padre ha ereditato la guida dell'orchestra


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“[Mio padre] non mi ha detto come vivere; ha vissuto
e mi ha fatto osservare come lo faceva.”

CLARENCE BUDINGTON KELLAND


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«Mi chiamo Juliette Gréco, e non ho mai avuto uno pseudonimo. Sono nata il 7 febbraio 1927 a Montpellier, la capitale della Linguadoca, in Provenza. Mia madre mi ha detto che quel giorno pioveva, e la pioggia favorisce la crescita di tutte le piante, anche quelle più velenose»
Il papà, còrso, era commissario di polizia:
“Non ricordo quasi niente di lui. Una volta mi ha quasi lasciata annegare. Avevo 4 o 5 anni. Eravamo su una spiaggia, lui stava tirando di scherma. Io non sapevo nuotare, sono entrata in acqua, la gente urlava. Lui non ha fatto nemmeno un passo per entrare. Era vestito molto elegante, e non ha voluto bagnarsi le scarpe


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Io credo che un genitore sia contento quando vede il figlio impegnato in qualcosa,
che torna da scuola e invece di buttarsi sul divano e non fare nulla dica che esce e
che va a suonare (non penso che siano in tanti a fare i compiti proprio tutti i giorni…).
I nostri genitori sono stati tra le nostre principali molle, ci hanno aiutato tanto e
amavano la musica in generale. Le playlist di mio padre: REM, Red Hot Chili Peppers,
Daniele Silvestri, Led Zeppelin…

(Damiano dei Maneskin)


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«La felicità.. Esiste, le dico.
– Dove?
– Senta. Da ragazzo mi lamentavo sempre con mio padre perché non avevo giocattoli.
Lui mi diceva: questo (si indica la testa) è il più grande giocattolo del creato, è qui il segreto della felicità….»

Charlie Chaplin, nel film Luci della ribalta


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Il discorso sull’amore

Quando meno te lo aspetti, la natura ha astuti metodi per trovare il tuo punto più debole.
Tu ricordati che sono qui. Adesso magari non vuoi provare niente, magari non vorrai mai
provare niente e, sai, magari non è con me che vorrai parlare di queste cose. Però prova
qualcosa, perché l’hai già provata. Senti, avete avuto una splendida amicizia, forse più
di un’amicizia, e io ti invidio. Al mio posto, un padre spererebbe che tutto questo svanisse,
pregherebbe che il figlio cadesse in piedi ma non sono quel tipo di padre.
Strappiamo via così tanto di noi per guarire in fretta dalle ferite che finiamo in bancarotta
già a trent’anni.
E abbiamo meno da offrire ogni volta che troviamo una persona nuova,
ma forzarsi a non provare niente per non provare qualcosa…che spreco... Come vivrai
saranno affari tuoi, però ricordati: il cuore e il corpo ci vengono dati soltanto una volta
e, in men che non si dica, il tuo cuore è consumato e, quanto al tuo corpo, a un certo
punto nessuno più lo guarda e ancor meno ci si avvicina. Tu adesso senti tristezza, dolore,
non ucciderli, al pari della gioia che hai provato

“Chiamami col tuo nome“ di André Aciman


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Evald: Lo sai che io non voglio bambini, perciò sai che dovrai scegliere tra me e lui. La vita è una cosa assurda ed è bestiale mettere al mondo dei figli con la sciocca speranza che possano vivere meglio di noi. Io stesso fui un figlio indesiderato di un matrimonio che era la copia dell'inferno, figlio di chissà quale padre.
Marianne: Sei un vigliacco.
Evald: Sì, ne convengo, quando penso alla vita ho un senso di nausea e non voglio responsabilità che mi leghino ad essa più di quanto lo sia già. Parlo sul serio, e non si tratta di una forma di isterismo come forse hai sempre creduto.
Marianne: Quello che dici è male.
Evald: Il bene e il male non esistono, ma solo le necessità, e si vive secondo le proprie esigenze.
Marianne: E quali sarebbero?
Evald: Tu hai un dannato bisogno di sentirti viva, di vivere, di esistere in pieno e di creare la vita.
Marianne: E tu invece?
Evald: Io vorrei essere morto, completamente morto.

Il posto delle fragole, film svedese del 1957, regia di Ingmar Bergman.


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Mio Padre è un altro. Forse non l’ho mai conosciuto bene.
Era così diverso da me, per carattere, che l’ho sempre sentito distante. Svolgeva le funzioni di padre e
manteneva l’autorità che corrisponde al suo amore per l’ordine e per le regole. Ho sempre pensato che
questa dovesse essere la natura del padre. Si manifestava in alcuni principi generali e nel rispetto degli
orari, nella vita quotidiana, soprattutto; come per il pranzo e per la cena che prevedevano compostezza
e puntualità. Poi c’erano i principi, religiosi e umani. Il giovane ribelle che era in me, e poi rivoltoso, non
poteva che contrastarli o vederli come un mondo lontano, antico. Già prima del Sessantotto, la mia
generazione era quella delle inquietudini, manifestate dai cantanti: i Beatles, il ragazzo della via Gluck,
Patty Pravo. A segnare la nostra distanza ci fu anche il periodo terribile del collegio, anzi la decisione di
mio padre di mandarmi fuori casa per fortificare la mia educazione. Fu forse a partire di lì che siamo
diventati sconosciuti, pur conservando fermi affetti. Siamo sempre stati il padre e il figlio. Il collegamento
lo teneva mia madre. Ed era affinità, simpatia, complicità. Mia madre stava con me. Mio padre era il
passato, la storia, la tradizione. Ci univa, al di là delle idee, la passione per la letteratura. Lui me l’aveva
trasmessa, in un arcipelago fatto dei libri della BUR, entrati a Ro al momento stesso della mia nascita,
quindi tutti i classici possibili; ma anche di Céline, a lui suggerito, durante la guerra in Grecia, da Giorgio
Chiesura Corona; di Anatole France; di Giuseppe Berto, rivoluzionario nel linguaggio de Il male oscuro;
di Mario Tobino, con il suo Il figlio del farmacista (facile l’identificazione) e le poesie de L’asso di picche;
oltre agli scrittori letti a scuola e da lui mandati a memoria, in una sorprendente attualità: Carducci,
D’Annunzio, Pascoli, Dante, Leopardi. Il suo esempio mi influenzò e mi contagiò.
Ma sarebbe stato necessario
umanizzare il prodigio mnemotecnico di mio padre, lettore e amante dei poeti, con la passione e la fascinazione
di mio zio, Bruno Cavallini, letterato di professione. La poesia idolatrata da mio padre diventava in lui vita,
battaglia, spirito polemico. Foscolo, Leopardi, Ariosto tornavano presenti e vivi. L’amata letteratura si presentava
con due occhi e con due diverse interpretazioni, di mio padre e di mio zio. Mi era ben chiaro. Ma, per affinità,
io mi sentivo piuttosto figlio del secondo.
Tutto questo dura fino ai miei diciotto anni, e lì si ferma la nozione che
ho di mio padre, con tutto quello che avevo accolto e saputo da lui. Poi me ne andai di casa, con ritorni episodici;
e, in verità, solidarizzai con l’uomo in occasione di una furibonda e sproporzionata manifestazione di gelosia di
mia madre dopo la sua trasferta a Milano. Difesi la misurata e segreta trasgressione di mio padre, così lontana
dall’idea che avevo di lui, sempre impeccabile. Lo vedevo travolto, debole, sottoposto a un assedio incontenibile.
L’amore e l’affetto per il padre sono sempre stati forti e si sono confermati, nel corso degli anni e dei decenni.
Ma soltanto ora, dopo quarant’anni, scopro il padre che non conoscevo e della cui storia non ero stato, se non
episodicamente, curioso, per troppa diversità di carattere.

Vittorio Sgarbi​

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“Volevo dirti che sono stata bene questa sera”
«Mia figlia mi ha scritto una lettera. Bella come quando il vento apre una porta»
Il racconto di un padre che riceve il messaggio


E poi ecco la lettera, con quell’unica parola - “papà” - sulla busta, tanto dolce e impegnativa: invece di “papà”, ero incerto se leggere “Aiuto!”, “Ti adoro”, oppure “Sei un mostro insensibile”.
Ed era una lettera bellissima. Non perché ne uscissi particolarmente bene, ma perché riconosceva che, grazie alla lettera, lei era riuscita a esprimere quanto invece commozione o imbarazzo avrebbero frenato in un dialogo a tu per tu. Bella come quando arriva il vento e apre una porta.

Qualche giorno più tardi mi sono quindi ritrovato a pregare di saper ancora scrivere a mano, cercando una penna che mi soccorresse e che a metà ha ovviamente smesso di funzionare. Pensavo di risponderle sui singoli punti, poi si sono spalancati dimenticati o inesplorati territori del nostro microcosmo affettivo. M’invitavano a fantasticare.

Mia figlia ha ventitré anni. È la creatura amata che più di ogni altra attorno a me è stata silenziosa (o io sordo) negli anni. Che cosa potrei mai sperare di capire di lei, se non illudendomi che il suo cuore, le sue sensazioni siano ferme all’infanzia? Il padre di una figlia rompe volentieri l’orologio. La soluzione l’ha suggerita lei: con una lettera ha creato un personaggio. Di colpo, con la serietà romantica e definitiva della carta, è diventata più diretta, portando in salvo le emozioni dalle trappole della timidezza, della paura di essere ferita. E così anch’io dovevo trovare un personaggio per risponderle, abbandonando ciò che verrebbe semplice, immediato, quando io sono con lei.

Mia figlia non vive con me ma tra le due case c’è appena un semaforo o forse due. C’era bisogno di un francobollo? Sì, se fosse accanto a me, come potrei scriverle davvero, cosa mi obbligherebbe a concentrarmi e scegliere le parole con cura? È facile perdersi di vista, quando si è vicini. Ci sono luoghi che sfuggono all’istantaneità e alle abitudini: restano sotto la superficie, dove un padre e una figlia non hanno comunanza facile. E se esiste, non è fisica e collaudata quanto per una madre. (Si legga a proposito Brevemente risplendiamo sulla terra di Ocean Vuong, appena pubblicato da La nave di Teseo: «Ti sto scrivendo da un corpo che un tempo è stato il tuo». Uno sconvolgente romanzo epistolare tra figlio e madre).

Ora sono in attesa della prossima. Se io fossi in lei, alzerei l’asticella, scandagliando abissi con domande impossibili.
In che modo pensi che la separazione possa aver influito sulle mie scelte? Conosci i miei sogni? Capisci quando taccio per non farti male? Sapresti dirmi cosa non ti piace di me senza paura di ferirmi ma con parole buone? Puoi garantirmi che occuperò per sempre un posto fondamentale nel tuo cuore? Magari un po’ meno impossibili, ma spero che approfitti del taglio nella tela prodotto dalla lettera. Somiglia alla gravità. Due corpi che non ricordano di (o come) attrarsi e improvvisamente uno cade verso l’altro. La lettera è un ufficio complicazioni relazioni profonde di cui abbiamo bisogno.
“Sono stata bene questa sera”. Non era la prima volta che lo diceva, ma non ne ero mai stato così sicuro.


Lettera commovente di una figlia a suo padre

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Dalla lettera di Manfredi Borsellino al padre

Ho iniziato a piangere la morte di mio padre con lui accanto
mentre vegliavamo la salma di Falcone nella camera ardente allestita
all’interno del Palazzo di Giustizia.
Non potrò mai dimenticare che quel
giorno piangevo la scomparsa di un collega ed amico fraterno di mio
padre ma in realtà è come se con largo anticipo stessi già piangendo la
sua.

La mattina del 19 luglio, una domenica, mi alzai abbastanza tardi,
perlomeno rispetto all’orario in cui solitamente si alzava mio padre che
si alzava ogni giorno alle 5 del mattino per “fottere” il mondo con due
ore di anticipo.
Mio padre tentò di scuotermi dalla mia “loffia” domenicale tradendo un
certo desiderio di “fare strada” insieme, ma non ci riuscì. L’avremmo
raggiunto successivamente insieme agli zii ed a mia madre. Mia sorella
Lucia sarebbe stata impegnata tutto il giorno a ripassare una materia
universitaria di cui avrebbe dovuto sostenere il relativo esame il giorno
successivo a casa di una sua collega, mentre Fiammetta era in
Thailandia con amici di famiglia e sarebbe rientrata in Italia solo tre
giorni dopo la morte di suo padre.
Quell’ estate la villa dei nonni materni era rimasta chiusa. Ricordo una
bellissima giornata, quando arrivai mio padre si era appena allontanato
con la barchetta di un amico per quello che sarebbe stato l’ultimo
bagno nel “suo” mare e non posso dimenticare i ragazzi della sua
scorta, gli stessi di via D’Amelio, sulla spiaggia a seguire mio padre con
lo sguardo e a godersi quel sole e quel mare.
Anche il pranzo fu un momento piacevole per tutti.
Ricordo che in TV vi erano le immagini del Tour de France ma mio
padre, sebbene fosse un grande appassionato di ciclismo, dopo il
pranzo, decise di appisolarsi in una camera della nostra villa. In realtà
non dormì nemmeno un minuto, trovammo sul portacenere accanto al
letto un cumulo di cicche di sigarette che lasciava poco spazio
all’immaginazione.
Dopo mio padre raccolse i suoi effetti, compreso il costume da bagno
(restituitoci ancora bagnato dopo l’eccidio) e l’agenda rossa della quale
tanto si sarebbe parlato negli anni successivi, e dopo avere salutato
tutti si diresse verso la sua macchina.
Mia madre lo salutò sull’uscio, io l’accompagnai portandogli la borsa
sino alla macchina, sapevo che aveva l’appuntamento con mia nonna
per portarla dal cardiologo. Mi sorrise, gli sorrisi, sicuri entrambi che
di lì a poche ore ci saremmo ritrovati a casa a Palermo con gli zii.
Ho realizzato che mio padre non c’era più mentre quel pomeriggio
giocavo a ping pong e vidi passarmi accanto il volto funereo di mia
cugina Silvia, aveva appreso dell’attentato dalla radio. Sono salito sulla
moto di un amico d’infanzia che villeggia lì vicino ed a grande velocità
ci recammo in via D’Amelio.
Non vidi mio padre, o meglio i suoi “resti”.
Seppi successivamente che mia sorella Lucia, la stessa che
poche ore dopo la morte del padre avrebbe sostenuto un esame
universitario lasciando incredula la commissione, ci riferì che nostro
padre è morto sorridendo, sotto i suoi baffi affumicati dalla fuliggine
dell’esplosione ha intravisto il suo solito ghigno, il suo sorriso di
sempre
.


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Mi piace pensare che oggi sono quello che sono, ovverosia un dirigente
di polizia appassionato del suo lavoro che nel suo piccolo serve lo Stato
ed i propri concittadini come, in una dimensione ben più grande ed
importante, faceva suo padre, indipendentemente dall’evento
drammatico che mi sono trovato a vivere.
Ai miei figli, ancora troppo piccoli perché possa iniziare a parlargli del
nonno, vorrei farglielo conoscere proprio tramite i suoi insegnanti,
raccontandogli piccoli ma significativi episodi tramite i quali
trasmettergli i valori portanti della sua vita.
Caro papà, ogni sera prima di addormentarmi ti ringraziamo per il
dono più grande, il modo in cui ci hai insegnato a vivere.


Il testo di Manfredi Borsellino è tratto dal volume “Era d’estate


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Scritta e interpretata da Eric Clapton, My Father’s Eyes è una canzone estratta dall’album del 1998 Pilgrim.

La canzone è ispirata dal fatto che Clapton non ha mai incontrato suo padre, morto nel 1985. Contiene inoltre riferimenti al figlio Conor, che aveva avuto con Lory Del Santo, morto all’età di quattro anni dopo essere caduto da una finestra di un appartamento.

In essa ho cercato di descrivere il parallelo tra guardare gli occhi di mio figlio, e gli occhi del padre che non ho mai conosciuto, attraverso la catena del nostro sangue, ha scritto nella propria autobiografia.




Come lo conoscerò?
Quando guardo negli occhi di mio padre
Gli occhi di mio padre
Quando guardo negli occhi di mio padre (guardo negli occhi di mio padre)
Gli occhi di mio padre
Poi la luce inizia a brillare
E sento quelle antiche ninne nanne
E mentre guardo crescere questa piantina
Sento il mio cuore iniziare a traboccare
Dove trovo le parole da dire?
Come gli insegno?
Cosa suoniamo?
A poco a poco, me ne sono reso conto
Ecco quando ne ho bisogno
È allora che ho bisogno degli occhi di mio padre
Gli occhi di mio padre
È allora che ho bisogno degli occhi di mio padre (guarda negli occhi di mio padre)
Gli occhi di mio padre (sì)
Quindi appare il bordo frastagliato
Attraverso le lontane nuvole di lacrime
Sono come un ponte che è stato spazzato via
Le mie fondamenta erano di argilla
Mentre la mia anima scivola giù per morire
Come potrei perderlo?
Cosa ho provato?
A poco a poco, me ne sono reso conto
Che era qui con me
E ho guardato negli occhi di mio padre


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Nino Manfredi è stato uno dei colossi del nostro cinema: Per Grazia Ricevuta, Nell'anno del signore, C'eravamo tanto amati, oltre alla partecipazione a serie tv, commedie teatrali e musicali, spot pubblicitari, fino alle frequenti esibizioni canore, che lo divertivano molto, come l’indimenticabile Tanto pe’ canta’ di Ettore Petrolini, a Sanremo.

Luca Manfredi ricorda che il padre, dovette lasciate l’Italia per una trasferta in America, motivo per cui lui ancora bambino venne affidato alle cure dello zio Alfio che viveva nel cuore di Taormina.

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Il rapporto con il padre era talora conflittuale, anche per i silenzi spesso serbati dall'artista. “Perché, per un certo periodo, quella è stata la mia casa tanto che, quando Nino venne a riprendermi, io di andare con lui non ne volli sapere. Mi aggrappai a zio Alfio chiamandolo ‘papà’. ‘Sono io tuo padre!’, mi zittì. Fu allora che presi le mie cose e mi convinsi ad andare con lui, ben sapendo, in cuor mio, che zio Alfio in quei mesi mi aveva dato più di Nino in cinque anni”.

«Abbiamo visto insieme tante volte il Pinocchio di Comencini in cui lui interpretava Geppetto. Papà per tanti anni non è stato un padre presente come lui. E quando c'era, era piuttosto severo con noi figli.

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Ma Luca aggiunge un aneddoto delicato "Una mattina venne da me per chiedermi cosa stavo facendo. Io gli dissi che stavo scrivendo una nuova fiction con Lino Banfi, Un posto tranquillo, su un vecchio frate cappuccino che scopriva di avere un figlio. Lui disse che era molto interessante e poi, prendendola un po’ alla larga, aggiunse: “Ma non hai un ruoletto pure per me?”. In quel momento, per la prima volta, mi fece tenerezza. E gli affidai il ruolo di un vecchio frate cieco».
 


Io sono stata una bestia ferita, una bambina umiliata senza padre, una magra ragazzetta araba
che le compagne di scuola evitavano. Io sono ancora quella bambina, quella ragazzetta.
Anche se tutto va bene, è in me che tutto non va bene. Mi capita ancora di sentirmi in sottordine,
meno degli altri, mi viene istintivo chiedere scusa. Non mi sento mai all' altezza, chiusa nella
timidezza. Ma poi mi armo, mi viene fuori la forza di sempre, divento Sofia Loren e affronto il mondo"

SOFIA LOREN


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Jennifer Lopez: «L'opinione di mio padre è la più importante di tutte»

Jennifer Lopez è una delle protagoniste del mondo dello spettacolo da anni. Ha avuto successo nel mondo del cinema, della televisione e della musica, ma a quanto pare l'unica opinione che ha sempre fatto la differenza è quella del papà David: «Ho sempre sentito che era orgoglioso di me, sin da quando avevo 8, 9 anni e cominciavo a muovermi nel mondo della musica. Per lui non era importante quello che facevo, era semplicemente orgoglioso di me». Nei momenti difficili Jennifer ha sempre potuto contare sul sostegno del padre: «Mi ha sempre sostenuto, nonostante tutto quello che dovevo affrontare. Una volta mi ha detto "tra tutte le persone al mondo, ce n'è sempre una che ti ama sempre e che non chiede niente in cambio. Avrai sempre questo nella mia vita"».


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«La felicità non è un sentimento assoluto, noi proviamo solo momenti di felicità, “felicità a tratti”, come cantava Tonino Carotone. Certo, se pensi alla carriera, alla riuscita nel lavoro, ai figli meravigliosi, pensi di aver raggiunto la felicità. Ma non è così. Una volta ho fatto un viaggio con mio padre, c’era un caldo afoso, torrido e lui ferma la macchina nei pressi di Acireale e mi dice (accento siciliano): “C’è troppo caldo, ora ci fermiamo e ci facciamo il bagno?” E io: “Ma non si può, non abbiamo il costume”. “Non ti preoccupare ce lo facciamo con le mutande”. Questa sorta di trasgressione mi fece impazzire, ero piccolo, lui mi teneva per mano mi faceva girare in acqua. Ecco, in quel momento ho provato la felicità. Qualcosa del genere ho provato quest’estate con mia figlia Angelica, perché è sempre difficile avere un dialogo con un’adolescente. Io e lei da soli in scooter, poi siamo andati a fare un bagno, guardandoci negli occhi. Se ci penso mi commuovo».

FIORELLO


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«Il ricordo più bello della mia infanzia, avrò avuto cinque o sei anni, è la Befana della Guardia di Finanza, ci andavo mano nella mano con mio padre. Ogni anno il comandante della compagnia offriva regali ai figli dei finanzieri: era molto eccitante, non ci dormivo la notte, anche perché erano regali che, all’epoca, non ci saremmo potuto permettere. Era il momento più felice dell’anno, più di Natale. Che poi i regali erano sempre gli stessi: mi sono beccato per tre anni di fila la roulette (sarei dovuto diventare un giocatore d’azzardo) e poi per altri due “L’allegro chirurgo”.
Mio padre era l’artista di famiglia, era la nostra autoradio. Quando facevamo dei viaggi, e per viaggi s’intende Augusta-Letoianni, poco meno di 100 km, ma per noi era il Viaggio. Andavamo in vacanza nel paese natio di mio padre dove c’era la casetta della nonna e passavamo tutta l’estate là. Cantava tutte le canzoni di Modugno, deve aver influenzato Beppe. Lui cantava e mia madre gli ripeteva sempre “non camminare in mezzo, mettiti di lato”.

FIORELLO


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Andre Agassi, uno dei rovesci bimani più devastanti del circuito a cavallo fra gli anni '80 e i '90, vincitore di 60 titoli ATP e 8 slam.

Suo padre Mike, ostinato amante del tennis, aveva l'ossessione di far diventare campione uno dei suoi figli. Ci aveva provato - con scarsi risultati - con Rita, Philly, Tam; il futuro campione, il più piccolo della nidiata, era la sua ultima speranza. Così fece familiarizzare il bimbo con la racchetta fin dalla culla (gliela legava anche al polso :rolleyes:), poi, presa una casa con un terreno abbastanza grande da costruirci un campo da tennis, dall'età di 4 anni cominciò ad allenarlo a pieno regime.


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La durezza delle sedute a cui lo sottopone rasenta fin da subito la tirannia. Tra le sue pazze idee anche il "drago", una macchina lanciapalle che martellava ogni giorno il figlio per allenarne l'istinto alla risposta. Andre nell'autobiografia racconta il sistema adottato: Papà dice che se colpisco 2500 palle al giorno, ne colpirò 17.500 alla settimana e quasi un milione in un anno. Crede nella matematica. I numeri, dice, non mentono. Un bambino che colpisce un milione di palle all'anno sarà imbattibile".

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La riflessione del campione divenuto adulto: "[«Si può essere felici e vincere?»] Io non ci sono riuscito. Pensavo troppo, anche se mio padre me lo proibiva. Non volevo giocare a tennis e quello sparapalline contro cui dovevo combattere, 2.500 al giorno, ha rovinato la mia infanzia.
Io sono cresciuto con le ossessioni e con le frustrazioni
, forse Federer sarà diverso. Ma fino a quando si sta nel fuoco non si sentono a fondo le scottature. Hai bisogno di allontanarti dall'azione per riuscire a sentire il suo respiro. Forse tra qualche anno anche Federer e quelli che sembrano vincere con calma ed equilibrio scriveranno i loro libri e verrà fuori tutta un'altra storia. È che io sono diventato famoso in fretta, ma ci ho messo molto a crescere
.“

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Mio padre tornava la sera
Ed era forte quando era in vena
Questo lo ricordo bene
Sì, questo lo ricordo bene
Mio padre era uno dei tanti
Ma era il mio eroe quando mi sorrideva
Vivevamo ancora insieme
Questo lo ricordo bene
E poi, non ricordo più
Dopo vent'anni dalla terra dei ricordi
Mi chiamano (mi chiamano)
Spaccando in due il silenzio
Con uno squillo del telefono
Ciao sono papà
Come va Gianluca?
Ma no che non sto male
Ma quando accadrà
Tu verrai o no al mio funerale
Tu verrai o no?
Ed io non ho parlato più
Ho tenuto tutto dentro
E ho messo giù
Poi ci ho pensato su
Sì, ci ho pensato su
Ciao papà o addio papà
Io ti perdono
Le mie lacrime sono sincere
Ma c'è chi non lo farà
Tu accettala la verità
E in mezzo a chi finge cordoglio
Sarò il tuo orgoglio
Perché chi ha troppa libertà
Non ha parole
Quando fa male ma male davvero
Sono coltelli che cadon dal cielo
Fan sanguinare anche l'uomo più duro
Anche se son cresciuto da solo
A modo mio
Sì e tu sai a modo mio
Ciao papà o addio papà
Questa canzone te la canto adesso
Perché tu sappia che ti amo lo stesso
E per il resto ognuno giudichi se stesso
Questa è l'unica legge
Che conosco e rispetto
Ti ricordi quando ti dicevo
Che la vita chiede i conti al passato
Proprio quando ti manca il fiato
E chi sa la verità
Mi dica perché faccio fatica a staccare le dita
Oh, a smettere di suonare
Quando la musica è finita
È questo che devo imparare da te
Forse non volevi o me lo hai insegnato?
Non fare accordi con i ricordi
Quando ti manca il fiato

"Quando ti manca il fiato", scritta insieme a Enrico Melozzi, è la canzone di Gianluca Grignani al Festival di Sanremo 2023. Il brano racconta il rapporto del cantautore milanese con suo padre, dell'esperienze personali e del rapporto con la morte instauratosi negli anni. Lo stesso Grignani ha ammesso la difficoltà di esporsi con un brano del genere sul palco dell'Ariston, con una canzone scritta tempo fa. Un blues che in un climax discendente racconta i dubbi del cantautore

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