Il liberista Giuliano Urbani: dovremo uscire dall'euro

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Sono stato a lungo possibilista, ma non ci sono alternative

Credo che questo Paese si possa rimettere in carreggiata solo con uno shock, anzi con una tranvata, come dicono a Roma. E cioè uscendo dall'euro». La conversazione con Giuliano Urbani, perugino, classe 1937, politologo stimato internazionalmente e non solo per essere stato allievo di Norberto Bobbio o per aver insegnato alla Cesare Alfieri di Firenze e alla Bocconi, era nata per parlare della Forza Italia in rifacimento ma plana presto sull'Italia in disfacimento.
Domanda.



Professore, ci vuole uno shock?

Risposta. Sono stato a lungo possibilista, mi sono augurato che non succedesse ma oggi non è questione di sperare o meno: è inevitabile. Almeno, speriamo che produca effetti sul Paese.

D. Del tipo?

R. Che gli Italiani si rendano conto, vedano che non è come si immaginavano, che ne prendano atto e cambino strada.

D. Su quali temi?

R. Su tutto e non solo giustizia ma come amministriamo il Paese, come trattiamo le imprese, come concepiamo il nostro rapporto con l'Europa e con il resto del mondo. Solo uno shock ci permetterà di scuoterci dal torpore di cui siamo preda e vittime.

D. Facciamo qualche esempio. Un liberale come lei immagino parlerà di spesa pubblica...

R. Esatto. Vediamo come l'abbiamo trattata. E non dico la sinistra, ché se non mi accusano di ridire le stesse cose. No, prendiamo in esame come si è mosso in questo campo il mio amico Giulio Tremonti.

D. Un tagliatore indefesso, direi.

R. Ecco Tremonti ha trattato la spesa pubblica come un socialdemocratico qualsiasi.

D. E cioè?

R. Con i tagli lineari. Ora dire che tutti gli enti pubblici, che i ministeri devono tagliare del 10% i loro bilanci significa che governo e ministero dell'Economia non sanno che cosa sia più urgente. E quando rinunci a dettare le priorità, succede che tutti i gatti sono bigi. Lo fai per non creare scontento sociale? Ne creerai dieci volte tanto in capo a pochi anni.

D. Come si immagina l'uscita dall'euro? Prima era un'idea neppure pronunciabile, oggi troviamo economisti come Alberto Bagnai che ne parlano a pié sospinto.

R. Vedo tre possibili scenari. Il primo è che l'euro non ce la faccia proprio a procedere così e ciascun paese pensa a stesso, ritornando alle proprie divise nazionali.

D. Ma immagina qualche evento che possa catalizzare? Una scadenza?

R. Non do molta importante all'evento accelerante, quando le cose si aggravante, può trattarsi della pallina di neve che diventa valanga. Insomma siamo al naso di Cleopatra di Blaise Pascal (che, se fosse stato più corto, non avrebbe fatto innamorare della regina né Marco Antonio né Cesare, ndr). La situazione economico-finanziaria è serissima: l'Europa non produce, arretra, ammassa scontento sociale.

D. Le altre evenienze?

R. Che qualche paese non ci stia e se ne vada...

D. I ricchi o i poveri?

R. Gli uni e gli altri, non è detto. I primi potrebbero aver paura di perdere i loro privilegi, i secondi potrebbero decidere che è meglio non seguire quella strada di austerità.

D. Terza ipotesi?

R. Un tentativo delle élite che, in un sopprassalto di consapevolezza, si inventino la diavoleria l'euro a due velocità. Non è una cosa che sta sulla luna, ci stanno lavorando, hanno un «piano B», ovviamente non lo tirano fuori.

D. E l'Italia sarebbe comunque nell'Europa a velocità più bassa.

R. Beh ma è chiaro. C'è raziocinante che pensi il contrario? Che cioè riusciremo a pagare 130% di deficit sul nostro Pil?

D. In quel caso dovremmo fare come il Giappone, emettere moneta e cercare di controllare l'inflazione?

R. Più tardi lo faremo e più sarà difficile controllare la spinta inflattiva. In ogni caso non ci dà lezione solo Tokio. Gli Usa con la dottrina di Ben Bernanke hanno innaffiato il mondo di liquidità e non dimentichiamo che la Gran Bretagna, la cui economia non sta benissimo, stampa moneta e sta meglio di noi. Non è florida ma non patisce i problemi sociali che soffriamo noi.

D. In effetti la pace sociale in Europa pare un po' a rischio...

R. I problemi sociali generati da questa crisi ci faranno a pezzi, ci metteranno gli uni contro gli altri. Paradossale, in un'Unione nata per evitare un'altra guerra mondiale. Ma già sentiamo che i tedeschi sono contro gli italiani: non è un grande risultato.

D. Veniamo alla politica italiana. Si parla di rifare Forza Italia, di riprendere quella rivoluzione liberale, di cui lei è considerato l'ideologo, là dove era stata lasciata. Ha senso?

R. Il senso ce l'avrebbe oggi forse più di ieri ma mancano le condizioni purtroppo.

D. Vale a dire?

R. Manca l'Italia. Forza Italia era qualcosa nato per aggregare le forze positive del Paese, che si riconoscessero nei valori liberali. Oggi abbiamo una rappresentanza smagliata, liquefatta, contraddittoria, come peggio non potrebbe essere.

D. Antonio Martino ha detto, da queste colonne, che le condizioni ci sono perché l'Italia, come le elezioni di questi 20 anni hanno dimostrato, non è di sinistra.

R. È un luogo comune che si può coltivare con molta speranza e un po' di pigrizia. Che cosa sia l'Italia oggi, non lo sa davvero nessuno. Se fosse stata un paese a vocazione liberale, l'Italia non avrebbe votato Grillo in quella misura e non avrebbe fatto vincere Bersani alle primarie del centrosinistra ma le dico di più..

D. Prego...

R. Non avrebbe neppure fatto vincere quell'ammucchiata del centrodestra contro la sinistra nel 2008. A guardar bene sono gli stessi dati che smentiscono queste letture. E non è stato così mai, neppure nel 1948, dove sul fronte anticomunista, i liberali erano una minoranza.

D. Sulle sorti del nuovo movimento azzurro pare scettico...

R. Sperare di «riappattare» tutto al grido «Forza Italia» è fuori dalla storia.

D. È un giudizio che viene prima dei problemi giudiziari di Berlusconi, che non paiono più rimandabili?

R. Viene dopo anche se concorre ad aggravare la situazione naturalmente. Ovviamente che B. sia stata vittima di un'autentica congiura giudiziaria, a partire dal '94, con l'avviso di garanzia recapitatogli nel vertice di Napoli e proseguire con tutti le forzature illegali della giustizia, con la giustizia ingiusta diciamo, beh su questo non ci sono dubbi, però...

D. Però?

R. Non si deve scambiare la concausa per la causa principale. Politicamente non è questo il punto ma che oggi siamo società liquida e frammentatissima. In cerca di una soluzione politica a problemi enormi, che vanno dall'Europa alla disoccupazione giovanile.

D. Non è che un approdo ai liberali odierni non possa essere, paradossalmente, quel Renzi che si muove nel recinto del centrosinistra?

R. La risposta è sì, perché le simpatie sono spontanee e naturali. Poi però, che tutto questo sia adeguato alla sfida in atto, non mi pare: anche nel suo caso siamo lontani mille miglia, in presenza di tentavi contradditori. Renzi non basta. Credo davvero che il nostro Paese abbia bisogno di uno shock vero, come quello dell'euro che dicevo.

http://www.italiaoggi.it/giornali/d...ate=1&titolo=Urbani: dovremo uscire dall'euro
 
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