il libro sul comodino

Recentemente ho riletto altro romanzo di Montalban "La solitudine del manager", sempre con protagonista l'investigatore privato Pepe Carvalho. Non lo ricordavo così pervaso di contenuti che, a questa lettura, mi sono sembrati fortemente politici (forse il più politico dei libri di Montalban, persino più de "Assassinio al Comitato Centrale", che al cospetto, dal punto di vista politico, pare più una commedia drammatica).
Ma d'altro canto, tra il 1977 e il 1981, ovvero negli anni immediatamente successivi alla morte di Franco avvenuta nel 1975, Montalban scrisse 4 romanzi con protagonista questo suo alter ego (Carvalho).
E in tutti (ma anche nella produzione dei restanti anni 80') ritornano gli interrogativi sul passato e sul presente.
Un presente - quello spagnolo dell'epoca - che viveva la c.d. "transizione democratica" concordata tra centri di potere e forze politiche di ogni colore, fossero state franchiste o costrette all'opposizione.
Il tutto con gli interrogativi, i vantaggi e le contraddizioni, che la situazione determinava.
 
Proseguendo nella riesumazione di Montalban e del suo investigatore catalano Pepe Carvalho, ho riletto "Gli uccelli di Bangkog" e "La rosa di Alessandria".
Vagamente spiazzante il primo, che vede il protagonista in prevalenza catapultato nella città asiatica del titolo dove si trova impegnato in una difficile, osteggiata e infruttuosa ricerca di una conoscente da cui aveva ricevuto un'accorata richiesta telefonica di aiuto. Nel contempo la fiera dell'inutilità si completa a Barcellona con la scelta autodistruttiva di un'altra coscienza semplice, ma sporcatasi quasi suo malgrado, che a inizio libro si trova a incrociare le strade del nostro investigatore.
Il secondo (dei 2 alla rilettura mi è piaciuto di più) per la prima volta vede la presenza di un coprotagonista di una certa importanza: un marinaio appena accennato in altri romanzi e di cui seguiamo molto più a fondo e dettagliatamente vicende e riflessioni nel bel mezzo di rotte e Paesi oceanici lontani (in Montalban queste ultime sono il motore più ancora che gli accadimenti), alternativamente a quelle che vedono impegnato l'investigatore privato nelle proprie terre spagnole. L'incrociarsi finale delle strade coincide con l'ennesima amarezza di una "giustizia" che lascia sempre qualche cosa - e talvolta non poco - di incompiuto.
 
Tra gli autori che apprezzo c'è anche Stephen King.
Ne ho letto molto. In corso di sistemazione mi è capitata tra le mani la raccolta "Quattro dopo mezzanotte". Quattro racconti/romanzi brevi di inizi anni 90
Uno di questi ha per certi versi una tematica fantascientifica (è presente una parte lontanamente horror, ma dato il tema del buco temporale che ingabbia i passeggeri di un aereo, mi pare consono definirlo tale).
Gli altri 3 sono invece incentrati su entità malvage, talvolta non immediatamente riconoscibili come tali, od oggetti "strani" che improvvisamente complicano la vita ai malcapitati che ne incrociano la strada.
King il male lo declina a modo suo, ovviamente sotto forme strane, inusuali e vieppiù rivolto a bearsi del dolore altrui (questa sorta di "vampiri empatici" che si nutrono della disperazione che creano, ritorna spesso nei suoi scritti).
Poi nel nel suo immaginario non mancano personaggi meschini, ipocriti - non poche le stoccate al puritanesimo americano - abbietti e talvolta financo crudeli, che vieppiù prescindono dal male ma talvolta vengono coinvolti da questo in un legame quasi simbiotico. Ma a far loro da contraltare ci sono i "buoni" (diciamo così), che non sempre sono vittime sacrificali come i protagonisti adolescenti di un film horror, tutt'altro; al caso, pur nella disperazione e paura, con fatica e tenacia, alla lunga danno del filo da torcere.
Storie a parte, di King a me piace la narrazione che non si appiattisce mai sul mero tema centrale.
Personalmente è uno di quegli autori che mi riconcilia col genere fantastico.
 
Per chi amasse le atmosfere a cavallo tra vari generi, consiglio "Il giocatore occulto" di Arturo Perez Reverte (titolo originale "L'assedio").
Romanzo dell'autore de "Il club Dumas" che appunto si colloca a cavallo tra lo storico (si svolge a Cadice durante l'assedio Napoleonico del 1811 e diverse trame riguardano militari e operazioni relative), il poliziesco (nella città assediata, un ispettore poco rispettabile indaga su brutali omicidi di giovani donne), il filosofico (dialoghi talvolta calati in una sorta di saudade alla spagnola) e l'avventuroso (contrabbandieri, imprenditori, capitani con patente corsara).
 
Hai ragione, è così. Il film di Truffaut è bellissimo e rende molto il libro (cosa rara nelle trasposizioni cinematografiche).

Gran libro anche 1984. Orwell ha fatto linguaggio corrente (male ahimè, se pensi al grande fratello televisivo).
Nonostante sia un grande classico distopico che conoscevo di fama, 1984 mi sono ritrovato a leggerlo soltanto in età avanzata.
Per quanto mi consideri piuttosto attrezzato, l'ho trovato un pugno allo stomaco per la sua naturale crudezza e per l'assenza di qualsivoglia barlume di redenzione.
Tra i tanti, in particolare è questo il passaggio che mi ha colpito (ricavabile dal libro "Teoria e prassi del collettivismo oligarchico" che il protagonista Winston si trova a leggere): "... il livello di istruzione della popolazione sta in effetti peggiorando: Ciò che le masse pensano o non pensano incontra la massima indifferenza. A loro può essere garantita la libertà intellettuale proprio perché non hanno intelletto."
Citazione sempreverde
 
Ultima modifica:
Ho terminato una raccolta di racconti di Thomas Ligotti ("Teatro Grottesco" del 2006).
Il Ligotti narratore l’avevo già approcciato in una sua raccolta dal titolo I canti di un sognatore morto del 1989 e a leggerlo ho percepito un notevole salto di qualità negli affreschi offerti. A grandi linee le atmosfere sono le stesse, ma in questo Teatro Grottesco mi sono apparse meno cupe, meno dark, diciamo piuttosto declinate al grigio-fumo. Nel marasma di vuoti esistenziali raccontati e di domande fatte per quanto inutili - e per quanto consapevoli della loro inutilià giacché prive di risposte certe e via discorrendo - ho anche percepito in alcuni dialoghi un qualche scampolo di sarcasmo (ma i puristi dell'autore potrebbero storcere il naso...).

Ok: va detto da subito che Ligotti come autore non è facilmente digeribile (per terminare il suo saggio “La cospirazione contro la razza umana” l’ho approcciato a spizzichi e bocconi e ci ho messo oltre un mese…); ma se si hanno buoni succhi gastrici e si gradisce di tanto in tanto l'aranciata amara, si scopre che sia sola, sia abbinata all'Aperol ha un suo perché.
Di certo quando scrive non pare voler sedurre, giacché lo si avverte con la mente in un altrove non ben definito, un po' come i suoi personaggi e i suoi luoghi, eppure a mio avviso involontariamente (o coscientemente) talcolta lo fa.
Giusto prenderlo a piccole dosi e nemmeno difficile farlo se ci si accosta con raccolte di racconti. Credo abbia ispirato qualche autore italiano: ad esempio Lucio Besana (co-sceneggiatore dell'originale horror italiano "Il nido" e di cui ho letto la raccolta "Storie della serie cremisi"), me lo ha fatto sovente tornare alla mente.
Come mi pare di aver già scritto altrove, Nick Pizzolato nel suo True Detective (solida serie thriller/poliziesca che consiglio vivamente) ha detto di aver preso spunto dalle atmosfere Ligottiane; e in effetti, soprattutto nei luoghi e in alcuni tratti di qualche personaggio, questi si ritrovano.
Personaggi, quelli letterari intendo, nei quali comunque personalmente non mi sono mai riuscito a immedesimare ne mi sono mai sentito rappresentato. Forse per via di quella sorta di distaccata rassegnazione oltre che accettata e apparentemente non patita predestinazione a una qualche sorta di metafisico disturbante, che me li ha sempre fatti percepire come soggetti estranei al mio piano temporale e al mio approccio esistenziale, ciononostante, appunto, perfettamente calati in quello fatto di nebbiosi grigi/scuri di questo autore.
 
TOM SHARPE (1928-2013)
E' stato uno dissacrante e pungente scrittore
con all'attivo una dozzina di romanzi pervasi da sarcasmo e notevole verve umoristica. Inglese, ha vissuto a lungo in Sud Africa ai tempi dell'hapartaid e allontanato da quella nazione per attività antigovernative.
Lo lessi per la prima volta a metà degli anni 70 con il suo "Eva una bambola e il professore"; ricordo che mentre lo leggevo letteralmente mi uscivano le lacrime dagli occhi! (tanto da indurmi a procurarmi altri libri)
Protagonista è un mite e insoddisfatto professore di scuole serali alle prese con una vulcanica moglie (l'Eva del titolo), esuberante e piena di astruse e spesso mal digerite (subite...) iniziative.
Esasperato da questa situazione castrante... il professore medita di liberarsi della moglie e ... per farlo, approfitta di una temporanea assenza della consorte per inscenare una maldestra "prova" con una bambola acquistata in un sexy shop.
Ca va sans dire che una serie di sfortunati eventi, amplificati dall'impossibilità di comunicare, proiettano il nostro in una situazione grottesca... nella quale solo facendo riferimento al suo stoicismo potrà far fronte.
Si legge tutto d'un fiato e si ride (ovviamente va contestualizzato col fatto che all'epoca non c'erano cellulari per comunicare)
 
due parole su Leonardo Sciascia, sin qui molto trascurato. E sul suo "Il giorno della civetta", tra i migliori, insieme al Consiglio d'Egitto e a Todo modo, a mio parere.

Il libro, cioè Sciascia, osserva i siciliani, il loro essere isola nell'isola, per carattere. "Questo in loro è diventata una qualità, una peculiarità, un elemento distintivo del loro modo di essere. Si ama più tacere che parlare. Quasi che i lunghi silenzi davvero servano a fortificare il raro parlare. E quando si parla si sa essere precisi, affilati, acuti ed arguti." L'ironia, il paradosso, l'immagine balenante e sferzante in cui si assomma un giudizio, vi sono di casa. Ed immagino i discorsi che una volta si svolgevano nei circoli, nelle botteghe o dal barbiere. E', in buona sostanza questo, ritengo, il mondo che trova il capitano Bellodi quando, arrivato da Parma, prende il comando della caserma dei carabinieri nel paese ove è ambientato il romanzo. E' questo l'ambiente che, con la sua capacità d'introspezione ed il suo acume, lui riesce a comprendere e, nei casi di delitti mafiosi, a combattere. Combattere, oltre che con le armi della legalità, anche con quelle stesse della contraddizione e della sovrapposizione che sono tipiche della mafia, nel libro mafia rurale e dell'edilizia. E questa sua arguzia gli viene riconosciuta anche dal bieco e malvagio capofamiglia mafioso nel momento in cui questi, nella distinzione divenuta celebre, distinguendo la categoria umana in uomini, mezzi uomini, ominicchi e quacquaracquà, definisce il capitano Bellodi "un uomo". Il giorno della civetta, come tutti i romanzi di Sciascia, finisce con poche o nessuna rivelazione definitiva ed in fondo rappresenta una visione amara delle sorti degli uomini dell'isola.
Essendo nuovo del 3d, sto gradatamente rileggendo le pagine precedenti. Vi ho trovato accenni a diversi libri che ho letto, di vario genere.
Questo commento su Sciascia, su "Il giorno della civetta" lo riprendo perché mi è piaciuto molto.Avendo letto il romanzo, lo condivido in pieno
Di Sciascia cito anche "A ciascuno il suo". Sciascia scrive di sicilianità e di mafia, della sua capacità di andare a condizionare persone e istituzioni. Lo fa con una passione apparentemente distaccata ma solo perché amara e disillusa e nell'ineluttabilità dello stato di cose, non si perde in inutili piagnistei. Sciascia constata, amaramente e a volte ironicamente (memorabile la frase finale ""Laurana era un *******").
P.S.
Curioso e forse meno conosciuto di Sciascia, "Il consiglio di Egitto". Si narra di un imbroglio messo in piedi da un prete siciliano nella Palermo di fine 700, che fingendosi un esperto di arabo traduce, travisandola/trasformandola in trattato economico/politico, una semplice storia della vita di Maometto.
 
Di recente mi è capitato di rileggere "Dio d'illusioni", romanzo d'esordio del 1992 di tal Donna Tartt, scritttice per nulla prolifica ma nel 2014 vincitrice del premio pulizer 2014 per, credo, il suo terzo e ultimo romanzo. Dio d'illusioni mi era capitato di leggerlo più o meno all'epoca dell'uscita e all'epoca in maniera del tutto casuale, nonostante pare fosse stato un caso letterario.
Qualche mese fa stavo leggendo un articolo a proposito delle università e il libro veniva citato. A onor del vero lo ricordavo poco ma sapevo di averlo; quindi l'ho riesumato.
In sintesi: ad alcuni anni di distanza, il protagonista narrante ripercorre le atmosfere e le dinamiche relazionali che ai tempi dell'università portarono lui ed altri studenti a uccidere un compagno di corso (non è uno spoiler: l'omicidio è narrato sin dalla seconda pagina).
Contesto molto prossimo a una ricercata banalità del male.
L'ho letto e riletto negli anni, interessata particolarmente allo sfondo della vicenda, l'ambiente molto di nicchia degli studenti di Classics delle più prestigiose università statunitensi.
Non ho letto il secondo lavoro della Tartt, ma ho accanto a me uno scaffale da cui occhieggia il terzo e, finora, ultimo, Il cardellino, del 2013, un malloppo di circa 900 pagine, che ho trovato molto particolare e del tutto diverso da Dio di illusioni.
 
L'ho letto e riletto negli anni, interessata particolarmente allo sfondo della vicenda, l'ambiente molto di nicchia degli studenti di Classics delle più prestigiose università statunitensi.
Non ho letto il secondo lavoro della Tartt, ma ho accanto a me uno scaffale da cui occhieggia il terzo e, finora, ultimo, Il cardellino, del 2013, un malloppo di circa 900 pagine, che ho trovato molto particolare e del tutto diverso da Dio di illusioni.
Ho curiosato la trama del film uscito nel 2019... In effetti mi pare tanta roba.
 
Pare che in Ucraina mandino al rogo i libri di autori russi e in Russia facciano altrettanto con quelli ucraini.
Alla banalità dell'idiozia non c'è mai fine. Fine, invece, dell'O.T.
Mi è venuto in mente "L'eterno marito" di Dostoevskij.
I personaggi di questo romanziere sono notoriamente individui con diverse tipologie di sofferenze interiori. Perennemente alle prese con una impari, non voluta, ma sotto certi versi ricercata, lotta con il passato, il presente (la quotidianità) e financo il futuro.
La storia de "L'eterno marito", di cui nel libro Dostoevskij da la sua narrazione per bocca di uno dei protagonisti, parte dal non tanto casuale incontro - successivamente curioso e cerebrale confronto e scontro mai dichiarato - di due soggetti: Vel’caninov, un signorotto prossimo, ma non dentro, all'alta società e sorta di malato immaginario e Pavel Pavlonic, antico conoscente presso cui Vel' aveva soggiornato 10 anni prima intrecciando una tresca con la moglie del precedente.
Il romanzo breve si dipana in una serie di incontri voluti/non voluti (quasi una sorta di ripetute sfide)tra i due pseudo antagonisti, i cui "segreti" passati sono sempre nell'aria ma non vengono mai manifestati palesemente men che meno l'un l'altro (né come accuse né come giustificazioni). Questo ingenera in entrambi, comiche forme di tormento e disturbo che Dostoevskij costruisce magistralmente.
Il finale ci porta avanti di un paio di anni e accenna un ennesimo loro casuale incontro dopo che i due si erano persi di vista; nel giro di un paio di pagine Dostoevskij. ripropone in toto le situazioni, gli antefatti e le atmosfere dell'intero romanzo
 
Tempo fa mi ero letto un paio di Chiara: "La stanza del vecovo" (altre atmosfere, altri tempi, altre convenzioni.... ma le pulsioni umane sono sempre le stesse) e "Il cappotto di Astrakan" (atmosfere e soprattutto retro-pensieri, per certi versi non dissimili da quelli de "La stanza del Vescovo").
La prosa di Chiara a mio avviso non è di altissimo livello: siamo dalle parti di un colloquiale al limite del ripetitivo e quasi sul confine del banale.... ma al contempo si percepisce l'assenza di particolari pretese, il che costituisce un grandissimo pregio.
Chiara aveva all'evidenza una sua visione della volatilità dell'animo umano e ci ha costruito storie semplici - ritengo in parte auto-briografiche dal punto di vista dei tratteggi - e persino abbastanza scontate, ma al tempo stesso complete e per questo capaci di elevarsi al di sopra della loro marcata o apparente linearità.
 
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Mi sovvengo di un episodio.
Circa un anno fa, a marzo 2022, mi trovavo in una libreria nel centro di Milano.
Negli scaffali della sezione "attualità geopolitica", noto che in primo piano ci sono diversi libri che trattano la vicenda ucraina; confesso che provo una certa sorpresa per il "tempismo (santo cielo, mi dico, ma è passato un mese e già hanno scritto così tanto...?).
Ne prendo quindi uno dal titolo "In Dombass non si passa" pensando che tratti gli immediati fatti bellici in quella Regione... invece sotto il titolo leggo la chiosa "La resistenza antifascista alle porte dell'Europa" e scorrendolo scopro che è stato pubblicato nel 2018 e inneggia la resistenza delle milizie popolari separatiste in lotta contro l'esercito Ucraino.
Ne prendo quindi un altro dal titolo "Il conflitto RUSSO-UCRAINO Geopolitica del nuovo dis(ordine) mondiale".... e anche in questo caso scopro che è stato scritto nel 2015, dopo i fatti che nel 2014 portarono al cambio del governo.

Alla fine ho preso quest'ultimo scritto da tal Eugenio Di Rienzo (storico che conosco poco).
Dalle tesi sostenute (ripeto il libro è del 2015), si ricava che quanto ha preso il via nel febbraio del 2022 ha trovato origine in quegli ani passati in una sorta di di" cronaca di una guerra annunciata".
Tanto per intenderci, estrapolo dalla breve sinossi "...Sfidando la Russia nel suo cortile di casa l'Occidente ha dato il via a una crisi globale destinata a minare per i prossimi anni la possibilità di costruire un pacifico ordine mondiale".
Chissà se l'autore immaginava però una svolta tanto drammatica.
P.S.
Non intendevo entrare in merito alla liceità dei contenuti del libro....il tema suscita già roventi dibattiti in altre sezioni.... ma all'epoca, già prima dell'acquisto, di sicuro mi era risultato palese quanto poco sapessi di tutta la faccenda.
Penso che noi cittadini europei siamo semplici pedine di giochi e strategie ad ampio respiro e lungo termine, definiti e mossi altrove.
 
Mi si consenta un O.T.
Sulla complessità della crisi ucraina e sul fatto che ci siano molti più responsabili di quanti ne additi l'Occidente, non ho alcun dubbio.
Parimenti diffido
di certe implicazioni verbali a difesa dei valori europei e dell'identità cristiana, da parte di Putin o del patriarca Kirill.
Fine O.T.
Riletto un po' di Mann. Morte a Venezia (sai subito come andrà a finire); Tristano (sai subito come andrà a finire); Tonio Kroger (sai da subito dove andrà a parare).
I decadenti parlano, parlano, parlano.
 
"La ragazza del treno" di Paula Hawkins.
Nel 2015 quando uscì, divenne un best seller in USA e Gran Bretagna; l'anno successivo ne trassero anche un iflm (non l'ho visto).
Non male l'idea: nei suoi quotidiani viaggi in treno per andare al lavoro a Londra, una giovane donna in cris, idealizza la vita di una coppia che abita in una casa adiacente a una sosta del treno e che lei periodicamente intravede dal finestrino per qualche minuto.
Un giorno vede qualche cosa che modifica le sue percezioni e da il là alla trama a cavallo del thriller psicologico.
Che l'autrice abbia nel suo palm ares alcuni romanzi rosa, appare abbastanza evidente. Questo al di la della struttura del romanzo, fatto di capitoli intitolati esclusivamente alle protagoniste femminili, con uomini apparentemente a fare da contorno, ma a ben vedere motore scatenante di molte pulsioni.
Cherchez l'homme, mi venne da dire.
Non eccelso, ma a mio avviso abbastanza capace di conquistare l'attenzione.
 
Ho letto una raccolta di poesie di Antonia Pozzi, autrice milanese dei primi del 900, prematuramente suicida a 26 anni.
Il genere poesia non è proprio nelle mie corde, ma questa in partiicolare mi ha colpito:
"Dalla cornice di monti e di nubi
esorbita il gesto serale.
E s'erige la notte
ombra mia immensa:
ai ginocchi il gridio dei campanili,
a ignoti mari
protese le mie braccia nere
."
 
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