il mondo è cosi bello! perché distruggerlo? geopolitica, storia, analisi militari. niente è come sembra.

Siamo veramente arrivati alla frutta 😂

Roald Dahl books rewritten to remove language deemed offensive | Roald Dahl | The Guardian

IL SALTO DI QUALITA' DELLA CANCEL CULTURE: LA REVISIONE MATERIALE DEI TESTI

Vi faccio i miei auguri di buon inizio settimana con una novità proveniente dal fronte della cancel culture, della quale vengo a sapere grazie alla pagina di Caterina Bianchini.
Dapprima, abbiamo avuto le favole gender fluid al posto di quelle tradizionali nelle scuole inglesi e francesi.
Poi, abbiamo avuto autori messi all'indice nelle biblioteche inglesi e americane perché, come nel caso di George Orwell, avevano avuto un bisnonno coinvolto nello schiavismo.
A seguire, abbiamo assistito ai disclaimer di avvertimento per classici cinematografici recanti "espressioni razziste" come Via col Vento e Gli Aristogatti.
Dalla terra delle libertà che si trova oltreoceano, qualche tempo fa, abbiamo infine appreso della cancellazione dei poemi omerici dai programmi di alcune scuole in quanto ritenuti testi sessisti e razzisti.

Tutto questo, però, ancora non aveva chiamato in causa l'attività presso il Ministero della Verità svolta da Winston Smith nel romanzo 1984, ovvero il lavoro di revisione materiale di testi e foto del passato sulla base delle esigenze ideologico-propagandistiche del presente.
Quel salto di qualità, ebbene, adesso è stato fatto e, anche stavolta, è la Gran Bretagna a svolgere il ruolo di apripista.
I libri dell'autore inglese di narrativa per ragazzi Roald Dahl sono stati ri-pubblicati, alcuni mesi fa, con centinaia di modifiche al testo originale. La tipologia di modifiche riguarda l'eliminazione di parole riferibili al bodyshaming, come "brutto" o "grasso", nonché l'aggiunta di pistolotti ideologici non presenti nell'opera originale: in un passaggio in cui si parla di streghe calve, per esempio, un'aggiunta specifica che non c'è niente di male se una donna indossa una parrucca.

Se siamo potuti arrivare a questo, non è soltanto per il completo controllo ideologico sulle istituzioni scolastiche e sull'industria culturale attuato dagli estremisti dell'ideologia woke: a svolgere ruolo di supporto, è stato anche l'insieme dell'opinione pubblica di sinistra e gli opinion leader di quest'ultima.
Per anni, anche su questa pagina, gli esponenti della sinistra hanno negato l'esistenza del processo di cancel culture definendo ogni volta "caso isolato" le centinaia di episodi di questo tipo che venivano segnalati.
Col passare del tempo - divenuta ormai impossibile la negazione completa anche per via della rivendicazione politica della cancel culture che la sinistra americana ha nel frattempo preso a enunciare - i baldi progressisti si sono incaricati della giustificazione ideologica della cancellazione. Essi sono infatti arrivati a sostenere - proprio come il dirigente di parito O'Brien rivolgendosi a Winston in 1984 - che due più due fa cinque. Ovvero, essi sono arrivati a sostenere che la cancellazione delle forme culturali del passato non implica alcuna censura o delimitazione della libertà d'espressione.
Fra i tanti possibili esempi, va ricordata la presa di posizione del fumettista proveniente dai centri sociali e tanto amato dai giornali della famiglia Agnelli, vale a dire Zerocalcare. Con la tipica tonalità saputella ch'è indotta dal romanesco - ovvero tra un "bella zì" e l'altro - il nostro è arrivato a parlare di "dittatura immaginaria" al fine di deridere coloro che denunciano il fenomeno della cancel culture.

Anche per questo, tra opposizione popolare e area della sinistra nominalmente detta, non potrà esserci nel prossimo futuro null'altro che un conflitto politico integrale e scevro da ogni possibilità di mediazione.

Di Caterina Bianchini
 
Milley: né Russia né ucraina possono vincere

Nella nota pregressa abbiamo dato conto di una dialettica interna all’Impero, che vede i falchi anti-russi contrapporsi ai falchi anti-cinesi, con questi ultimi che vorrebbero chiudere la guerra ucraina per riorientare la politica estera Usa verso il contenimento della Cina.

La dialettica interna all’impero sta assumendo i toni di un conflitto aperto. Di qualche giorno fà l’intervista del Capo degli Stati Maggiori congiunti, generale Mark Milley, al Financial Times (1), nella quale ribadiva quanto aveva detto nel novembre scorso, cioè che nessuno dei due eserciti può vincere la guerra, da cui l’inevitabilità di aprire un negoziato.

L’intervista di Milley

Interessante sia il contenuto dell’intervista che altro a essa legato. Anzitutto il contenuto: Milley spiega che la Russia non può vincere perché non può “conquistare l’Ucraina. Ciò non succederà”. Il dettaglio è importante, perché la Russia ormai non mira più a controllare l’Ucraina, e in realtà non è mai stato quello l’obiettivo, ma a controllare il Donbass.

Così, implicitamente, Milley accede all’idea che il negoziato possa comprendere concessioni sul Donbass ai russi. Cosa che conferma nella risposta successiva, quando spiega che “è molto difficile che l’Ucraina cacci i russi da tutto il territorio”, aggiungendo che lo scenario che vede la vittoria totale di Kiev “richiederebbe essenzialmente il collasso dell’esercito russo”.

Cosa che sa perfettamente che è impossibile, perché vorrebbe dire l’incenerimento della stessa Russia, cosa che Mosca non permetterebbe (vedi alla voce testate atomiche).

Al di là del contenuto, è interessante anche notare che quando il generale aveva detto cose analoghe a novembre, successivamente aveva dovuto fare marcia indietro a causa delle pressioni dei falchi anti-russi. Il fatto che ieri abbia rilanciato quelle prospettive vuol dire che la sua posizione è più solida, ha forze che lo supportano.

Inoltre, è interessante notare che l’intervista è stata rilasciata al giornale della City di Londra, il Paese più ingaggiato nella guerra ucraina, come per inviare un messaggio all’alleato affinché moderi la sua aggressività.

Aggressività ieri rilanciata dal premier britannico Rishi Sunak che, in un summit congiunto con il presidente polacco Andrzey Duda, ha chiesto di accelerare l’invio di armi e di aerei Nato a Kiev. Giustamente, Dagospia ha titolato (2): “Londra e Varsavia scherzano con il fuoco”.

Nel summit i due si sono elogiati a vicenda per il “ruolo guida” assunto nel supporto all’Ucraina… ed è questo appunto il focus della vicenda: a fronte del conflitto interno Usa, Londra, con il supporto della subordinata Polonia, vuole assurgere a dominus del fronte anti-russo (ovviamente grazie alla sponda neocon).

Scontro aperto, dunque, con l’amministrazione americana. E con la povera Unione Europea, che oltre al giogo Usa si sta mettendo al collo anche il cappio insaponato per lei da Londra, che vede in questa contesa con Mosca un’occasione esistenziale… l’unico modo, secondo i suoi strateghi, per sopravvivere e rilanciarsi nell’era della post-Brexit.

La Crimea il ministro della Difesa ucraino

Non solo la contesa della Manica, l’amministrazione Usa deve fare i conti anche con la fortissima pressione neocon, fotografata in maniera plastica da una controversia recente.

In una conversazione via zoom di mercoledì con alcuni esperti, riporta Politico, Blinken ha affermato che attaccare la Crimea supera una linea rossa di Mosca, che potrebbe scatenare una risposta forte. Nel commentare la notizia, Dave DeCamp spiega che si tratta di un’inversione di tendenza rispetto a quanto “riferiva il New York Times il mese scorso, cioè che l’amministrazione [Usa] voleva aiutare l’Ucraina ad attaccare la penisola e non era preoccupata per l’escalation”.

Prospettiva rilanciata ieri dalle dichiarazioni incendiarie di Victoria Nuland al Carnegie Endowment for International Peace. Parlando di possibili attacchi ucraini alle installazioni militari in Crimea e di eventuali escalation conseguenti, il Sottosegretario di Stato Usa ha dichiarato che si tratta di “obiettivi legittimi e noi li sosteniamo” (3). Una netta contrapposizione, dunque, con Blinken.

La guerra ormai aperta nel cuore dell’impero ha nel destino del ministro della Difesa ucraino Oleksej Reznikov una partita importante, dal momento che l’amministrazione Usa lo voleva far fuori sostituendolo con il più fidato Kyrylo Budanov.

Una settimana fa Reznikov aveva annunciato le sue dimissioni, ma dopo il viaggio di Zelensky a Londra e la riunione dei ministri della Difesa Nato a Bruxelles di ieri, il ministro della Difesa ha dichiarato che il presidente lo vuole ancora al suo posto.

Peraltro, appare indicativo in tal senso un suo tweet: “È stato un onore per me essere invitato e partecipare alla sessione #DefMin del Consiglio Nord Atlantico”. Non si invita un dimissionario. Tradotto: la Nato vuole che resti…

Budanov avrebbe potuto spingere per chiudere il conflitto ed eventualmente sarebbe stato utile se si fosse resa necessaria una destituzione di Zelensky, cosa che il presidente ucraino deve aver subodorato.

La guerra e il Capitale

Interessante, però, anche il ruolo del Grande Capitale in questa partita. La scorsa settimana il presidente e amministratore delegato di JP Morgan, Jamie Dimon, si è recato a Kiev dove ha incontrato Zelensky.

Così Dimon: “Siamo orgogliosi del nostro sostegno di lunga data all’Ucraina e ci impegniamo a fare la nostra parte per risollevare il paese e la sua gente. Tutte le risorse di JPMorgan Chase sono disponibili per L’Ucraina mentre traccia il suo percorso di crescita postbellico“.

Dimon giunge a Kiev dopo che Zelensky ha già venduto quel che doveva a Blackrock, il più importante fondo di investimenti del mondo. E quando ormai anche Goldman Sachs et similia “sono già diventati parte del nostro mondo ucraino”, come ha dichiarato Zelensky durante la visita di Dimon.

Insomma, c’è una spinta a fare affari, sia speculando sulla guerra, come scrive American Conservative (4) da cui abbiamo tratto queste notizie, ma anche al di là dei carrarmatini.

La guerra, per gli squali della Finanza, rappresenta un’opportunità, ma potrebbe anche diventare un problema. Non per nulla Milley ha rilasciato la sua intervista al giornale della City, ansiosa di essere più coinvolta nel banchetto ucraino, sia nel corso del conflitto che nel dopoguerra.

Guerra aperta, dunque, tra le due fazioni dell’Impero. Vedremo. Resta che l’Ucraina del dopoguerra, quando questo inizierà, sarà ancora più di prima una proprietà privata delle banche e dei grandi fondi di investimento. Per il povero popolo ucraino non si prospetta un destino felice.

Note:

1) Subscribe to read | Financial Times

2) Subscribe to read | Financial Times

3) Russia accuses United States of inciting Ukraine to escalate the war

4) Russia accuses United States of inciting Ukraine to escalate the war

di Davide Malacaria

#TGP #USA #Russia #Ucraina

[Fonte: Milley: né Russia né ucraina possono vincere | Piccole Note]
 
fuck the treaty

Il principale elemento di novità comunicato da Vladimir Putin nell'atteso discorso all'Assemblea federale riguarda la sospensione ufficiale della partecipazione della Russia al trattato START.
L'accordo di riduzione degli arsenali nucleari era stato prorogato da quando Obama e Medvedev firmarono nel 2010 a Praga la sua versione più recente: New Start.
Già da mesi, tuttavia, era di fatto congelato vista la sospensione delle ispezioni internazionali.
Oggi, ad un anno esatto del riconoscimento da parte di Mosca dell'indipendenza delle Repubbliche del Donbass (data ufficiosa di inizio dell'offensiva militare su larga scala), Putin torna ad agitare lo spettro del nucleare, probabilmente in risposta ai discorsi occidentali riguardo la possibile fornitura a Kiev di armi a lunga gittata (le invierebbe il Regno Unito) capaci di colpire in modo massiccio il territorio che più di tutti abbiamo sempre ripetuto essere al centro della contesa: la Crimea.
Ma cosa prevede il trattato New Start (Strategic arms reduction treaty)?
È un accordo firmato dagli Stati Uniti e dalla Federazione russa l’8 aprile 2010, con l’obiettivo ridurre le testate nucleari. Il trattato è entrato in vigore nel 2011, ma con la proroga del 2021 resta in vigore fino al 2026. Per il raggiungimento dell’obiettivo, l’accordo impone una serie di limiti, in particolare sul numero di testate che i paesi possono dispiegare. Russia e Stati Uniti, nel dettaglio, possono rendere pronte al lancio immediato un massimo di 1550 testate nucleari (conteggiate in base al numero di bombardieri, anche se questi ultimi possono trasportare più di una testata).
In ogni caso, secondo gli Stati Uniti pare che la Russia si sia notevolmente avvicinata al tetto massimo, ma non è più possibile ottenere dei dati precisi senza le ispezioni internazionali. Gli analisti, comunque, non prevedono un’imminente minaccia nucleare delle armi strategiche, nonostante l’anno scorso le dichiarazioni di Putin abbiano suscitato un notevole allarme. Secondo Hans Kritesten, direttore del Nuclear information project presso la Federation of american scientist, le armi nucleari strategiche rappresentano un limite invalicabile. Della stessa opinione anche Aleksej Chadajev, un politologo che, sebbene apertamente sostenitore di Putin, ha dichiarato improbabile il ricorso all’arma nucleare. La minaccia più imponente sembra quindi poter essere accantonata per il momento, ma non si esclude comunque l’allarme nucleare.
La causa risiede nelle armi tattiche.
Nonostante le conseguenze siano decisamente più lievi se paragonate con gli effetti disastrosi del nucleare strategico, al momento la minaccia incombente è causata dal nucleare tattico. Le armi nucleari tattiche, che comunque provocano di certo contraccolpi non indifferenti, sono molto più probabili. Questo tipo di armi si basa essenzialmente sullo stesso meccanismo d’azione di quelle strategiche. Si tratta, infatti, di piccole bombe nucleari che per una potenza e un raggio d’azione ridotto, sono in compenso molto più difficili da controllare.
Per via della devastazione che potrebbero causare, le armi nucleari tattiche sono state ridotte in Europa circa a un centinaio, contro le 1.912 attribuite ai russi. Si tratta però di un dato approssimativo, poiché Mosca è estremamente riservata su questo punto.
Logicamente, i movimenti per trasportare e installare questo tipo di armi sarebbero comunque difficili da nascondere, perciò se l’Intelligence occidentale non ha rilevato dei rischi è perché fino ad ora non ce ne sono stati. Ed è anche la ragione per le esternazioni sempre più esplicite da parte di alcuni leader ucraini e occidentali circa i possibili attacchi alla Crimea.
Ora, sospendendo ufficialmente l'adesione già traballante al trattato, l'arsenale nucleare della Russia ritorna nell'ombra e Putin può ripristinare in senso ben più letterale il concetto di "deterrenza" nucleare.
In sostanza, se l’Occidente scopre le carte (parla dei jet, parla dei tank, parla dei missili a lungo raggio), Putin le copre, e le sue idee circa le possibili armi da usare nel peggiore degli scenari le conosce solo lui.

di Danile dell'Orco
 
LO SGUARDO ALTRUI
Nei rapporti con gli altri il fattore fondamentale per consentire l'instaurarsi di rapporti pacifici e di mutua comprensione è la capacità di mettersi nei panni altrui, di guardare il mondo circostante anche con gli occhi dell'altro, dalla sua prospettiva.
Non è un esercizio facile, ma è l'esercizio etico primario che sta alla base di tutte le etiche tradizionali come formula della reciprocità. Questa prassi è stata tuttavia progressivamente erosa nella cultura occidentale (in particolare americana). Non è sempre stato così, ma oggi lo sguardo occidentale è addestrato a concentrarsi su quali possano essere i lati da cui l'altro potrebbe avermi offeso, dal mio punto di vista, posto come ultima autorità.
Spostato sul piano della politica estera questo unilateralismo etico nell'opinione pubblica si esprime in forme di "imperialismo ingenuo", che farebbero tenerezza se non lasciassero dietro di sé una scia di morte e distruzione.
Ora, qualcuno ancora oggi continua a chiedersi: "Cosa mai avrà avuto da temere la Russia in Ucraina? E' chiaro che si tratta di un pretesto per invadere l'Europa." "E cosa mai avrà da temere la Cina per armarsi?" "E cosa mai avranno da temere l'Iran, o la Corea del Nord, o il Venezuela," ecc. ecc.?
Perché, giusto cielo, ci odiano tanto, noi che siamo manifestamente lo standard della civiltà e cavalleria?
Per approssimare una risposta può aiutarci soffermare un momento lo sguardo su alcuni dettagli.
Ad esempio.
Gli USA sono il paese al mondo maggiormente coinvolto in conflitti bellici nel corso della sua storia; e sono peraltro il paese con l'esercito di gran lunga più potente al mondo, spendendo da soli più della somma dei successivi 15 paesi più militarmente sviluppati al mondo (800 miliardi di dollari/anno per gli USA, contro i 293 della Cina, i 76 dell'India, i 65 della Russia, i 56 della Germania, ecc.; dati 2021).
Gli USA hanno inoltre fomentato sistematicamente un'infinità di colpi di stato verso governi sgraditi (spesso vantandosene post hoc).
E quando i regime changes non riescono in forma indiretta, nutrendo le proprie quinte colonne, si passa spesso allo stadio successivo, dell'intervento diretto.
Il canone, divenuto oramai classico, del'interventismo americano è infatti rappresentato da un'operazione in due tempi: in prima istanza si alimentano e finanziano le proteste (sempre sedicenti "democratiche") all'interno del paese X; in seconda istanza si utilizza come giustificazione ad intervenire il fatto di essere "invocati dalla minoranza oppressa nel paese X".
Questo giochino, sempre spalleggiato dai media a gettone, è uno schema universalmente noto e discusso ovunque, tranne in Occidente.
Qui da noi i probi raddrizzator di torti, Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo sotto l'ascella, sono invece sempre sinceramente stupiti di come ovunque la giungla extra-occidentale pulluli di malvagi oppressori, e di oppressi desiderosi di essere liberati da noi.
Se pensiamo che il segno distintivo del controllo militare imperialistico è la presenza di basi miltari al di fuori del proprio territorio, è utile ricordare che i paesi da noi descritti come proverbialmente aggressivi e guerrafondai (Russia, Cina, Iran, Corea del Nord) possiedono tutti assieme una manciata di basi militari extraterritoriali (6 la Russia, 4 la Cina, tutte in paesi loro prossimi). Gli USA da soli possiedono invece oltre 800 basi militari extraterritoriali, distribuite su tutti i continenti.
Infine, come impeccabilmente documentato da Daniele Ganser (ne "Le guerre illegali della NATO"), dopo la caduta dell'URSS, la Nato, non si è limitata ad espandersi massivamente, in particolare verso Est, ma è intervenuta ripetutamente con iniziative di aggressione verso paesi terzi (iniziative non difensive, in violazione della funzione originaria dell'alleanza).
Ed è per queste, e altre, ragioni che sarebbe utile smettere di continuare a scandalizzarci della pagliuzza nell'occhio altrui senza notare il trave nel nostro.
Da occidentali spiace dirlo, ma nonostante il profluvio di autoassoluzioni hollywoodiane, da tempo agli occhi del resto del mondo gli USA appaiano come il bullo del quartiere e la Nato come la sua gang.

-di Andrea Zhok-
 
Nucleare sì, nucleare no

Tra l’otto e il nove novembre del 1987, dopo una campagna referendaria dominata dal pauroso incidente di Černobyl’, la netta maggioranza degli italiani votò l’abrogazione di tre norme. I quesiti giravano sostanzialmente attorno alle centrali nucleari, riguardando la maniera di localizzare i futuri impianti, le compensazioni dovute ai comuni ospiti e la possibilità che Enel partecipasse ad accordi di gestione e costruzione all’estero. Ciò nonostante, la vittoria schiacciante del sì manifestò una scelta politica e democratica chiara, alla quale la classe dirigente diede seguito, senza elusioni. Il Partito Comunista Italiano ribaltò una lunga tradizione industrialista. La Democrazia Cristiana proseguì una lenta parabola. L’Italia spense tutte le sue centrali nucleari, avviando il decommissionamento più ampio e complesso mai tentato prima, quattro centrali e sette impianti contemporaneamente. Nel 2011, dopo l’incidente di Fukushima, un secondo referendum avrebbe confermato la decisione, aggredendo direttamente la possibilità di produrre. Conseguenze ad alta tensione.
A partire dalla Rivoluzione Industriale, la Modernità ha sviluppato un’accelerazione incredibile della propria traiettoria politica, sociale, economica, tecnica e scientifica, bruciando i combustibili fossili per ottenere energia, in quantità crescente, sempre più economica e sempre più “pregiata”. Dall’energia meccanica delle prime macchine a vapore alla versatile corrente elettrica, decisiva oggi. In ogni caso, la disponibilità di energia si manifesta quale elemento chiave della dinamica socio-economica. Continuità profonda risaltata dal momento attuale, specialmente in Europa. Dove, transizione ecologica e rinuncia agli idrocarburi russi agitano gli equilibri.

Difficile anticipare il futuro dei rapporti energetici con la Russia. E facile prevedere un lungo impegno contro il riscaldamento climatico, attraverso la sostituzione dei combustibili fossili con fonti pulite, nonché una forte elettrificazione, dai trasporti, all’economia digitale. Senza dubbio, l’energia elettrica troverà molti nuovi impieghi e occorrerà produrla a bassa impronta carbonica e quantità maggiore. Una congiuntura apparentemente favorevole all’industria della fissione nucleare, impegnata nel “salto” tecnologico verso i reattori di terza generazione, sviluppati secondo numerose tipologie, a cominciare dai francesi Epr (European Pressurized Reactor). Del resto, le centrali nucleari non emettono anidride carbonica e lavorano in maniera stabile, trascurando l’incidenza del combustibile sul prezzo finale del kilowatt ora: 5% per l’uranio, 67% per i fossili. L’Italia soffre le tendenze attuali in maniera particolare, la bolletta supera di quasi un terzo la media europea, la dipendenza dagli idrocarburi russi è forte e manca una quota nucleare. Così, l’esposizione a rischi di carenza e aumenti di costo, richiama la decisione del 1987.

Gianni Silvestrini – già ricercatore presso il Cnr, direttore generale del Ministero dell’Ambiente, presidente della società Exalto Energy&Innovation – sconsiglia un ritorno al nucleare italiano (Gianni Silvestrini, Che cosa è l’energia rinnovabile oggi, Milano, Edizioni Ambiente, 2022). Umberto Minopoli – già parlamentare, presidente del cda di Ansaldo Nucleare e dell’Associazione Nucleare Italiana – considera l’energia dell’atomo come irrinunciabile (Umberto Minopoli, Nucleare ritorno al futuro, Milano, Guerini e Associati, 2022). Due posizioni autorevoli. I titoli sono programmi. Innanzitutto, entrambe le analisi concordano su una fase declinante del nucleare, cominciata a partire dagli anni Ottanta. Anche l’Italia del 1987 era lontana dal terzo produttore al mondo di vent’anni prima, fermandosi al 4.6% di elettricità nucleare. Comunque, tra idrocarburi a basso costo (decisivi), avvento delle rinnovabili, fino agli incidenti di Three Mile Island, Černobyl’ e Fukushima, l’energia elettrica prodotta dalle centrali nucleari sulla quota globale è scivolata dal 18%, al 10% circa. O in Germania, dal 29.5% del 2000, all’11.4% del 2020. Nella tendenza di lungo periodo, i decommissionamenti hanno superato le nuove costruzioni. Verso una stagnazione nel periodo 1999-2020, con 104 reattori avviati e altrettanti chiusi.

D’altra parte, il nucleare civile è rimasto una realtà solida. Limitando l’analisi ai paesi avanzati, la quota elettrica nucleare è più alta, aggirandosi spesso attorno al 20%. Addirittura, la media dell’Unione Europea tocca il 28%, la regione del mondo che ospita più reattori. Per cui, chi non possiede centrali nucleari, finisce per importare la loro energia da quelle vicine, come nel caso italiano. Ma anche sull’urgenza di contrastare il riscaldamento climatico l’impegno è comune, affidando il compito di supplire la discontinuità di sole e vento: da una parte a batterie, sistemi di pompaggio (associati all’idroelettrico) e idrogeno verde, dall’altra proprio all’energia nucleare. La valutazione non è comune invece circa le questioni tecniche, legate alla gestione delle scorie e ai livelli di sicurezza nelle centrali. Temi approfonditi soprattutto nel pamphlet monografico di Minopoli. Così, il confronto più interessante riguarda i temi dell’opportunità economica e l’analisi di tendenza.


Il 21 dicembre 2021, dopo dodici anni di lavori, la centrale finlandese di terza generazione Epr, Olkilouto 3 ha iniziato a produrre energia elettrica per 1600 megawat, incrementando del 14% la capacità del paese, con il favore dell’opinione pubblica e l’indipendenza dal gas russo. Entro il 2040, la Francia ha annunciato sei centrali dello stesso tipo, altrettante la Polonia, due la Repubblica Ceca, una Slovenia, Bulgaria e Ungheria. Secondo Minopoli, potrebbero correre i primi passi del rinascimento nucleare. Secondo Silvestrini invece, l’eccezione finlandese conferma la regola: unica centrale europea da vent’anni, in fieri dal 2005, preventivo triplicato e problemi condivisi con la centrale francese di Flammanville, ascesa da 3.4 a 19 miliardi di euro, ancora incompleta. Quanto agli annunci, il rinascimento nucleare statunitense di George W. Bush è finito con la cancellazione della metà dei reattori previsti e il fallimento nel 2017 della Toshiba-Westinghouse. La ragione sarebbe economica. Negli ultimi dieci anni, i costi di manutenzione e costruzione delle centrali nucleari sono cresciuti del 33%, mentre quelli delle rinnovabili sono precipitati. Nel 2010, il governo britannico si accordò con l’azienda francese Edf (Électricité de France): un nuovo reattore Epr a Hinkley Point e un prezzo garantito indicizzato all’inflazione per l’energia elettrica, 123€ ogni megawatt ora. Oggi l’eolico offshore vende alla metà.

Il costo è una questione fondamentale. Minopoli raccomanda di confrontare l’economicità delle diverse produzioni energetiche con il metodo di calcolo lcoe (levelized cost of energy), comprensivo di capitale iniziale, combustibile, esercizio, finanziamento e durata dell’impianto. Allora l’energia nucleare sfiderebbe il primato solare, specialmente quando le licenze operative corrispondono alle reali possibilità tecniche degli impianti produttivi, tendenti agli ottant’anni. Problematici rimangono i tempi di esposizione finanziaria del costruttore, aggravati da rallentamenti e lievitazione dei costi, assieme all’enorme investimento iniziale. Tuttavia, la prima difficoltà risponde alla fase transitoria del passaggio alla terza generazione. Quanto alla seconda, Minopoli valuta positivamente l’accordo di prezzo garantito a Hinkley Point, come l’inserimento del nucleare nella Tassonomia Verde del Green Deal europeo, ovvero l’accesso a fondi pubblici. L’interpretazione di Silvestrini è diametralmente opposta. La ricerca continua di fondi pubblici svela la fragilità economica del nucleare. Nel 2020, gli investimenti globali nella produzione elettrica rinnovabile hanno segnato 256 miliardi di euro, diciassette volte quelli atomici; con un divario ancora più grande quanto a potenza installata, 287 contro 0.4 giga watt. Perfino gli Stati Uniti hanno fatto ricorso agli aiuti di stato, sei miliardi di dollari per evitare la chiusura dei rettori. Il nucleare resiste dove le fondamenta sono solide ma non conviene e non rinasce.

Così, tra tesi e antitesi, la sintesi interroga. I benefici di impronta carbonica, riparo dai picchi petroliferi e del gas, sicurezza e diversificazione energetica, valgano i rischi d’incidente, gestione delle scorie, economici e di competizione con altre tipologie d’investimento? A suo modo, potrebbe avere risposto il presidente francese Emmanuel Macron:

«Senza nucleare civile, non ci sarebbe la potenza atomica e senza la potenza militare atomica non ci sarebbe il nucleare civile».

Del resto la terza generazione assieme ai prossimi reattori smr (smal modular reactor), rappresenta anche uno strumento di proiezione geopolitica. Prima della guerra in Ucraina, Rosatom partecipava alla costruzione di ventitré centrali all’estero. Ma anche il futuro de piccoli reattori smr (da uno a 350 mega watt) è incerto. Stati Uniti (con forti investimenti della Silicon Valley), Francia, Russia, Cina e altri paesi hanno sviluppato diverse avveniristiche tipologie di rettore smr, con prospettive di mercato attorno al 2030. La Iea (International Energy Agency) conta settanta modelli in fase di sviluppo, venticinque dei quali in stadio avanzato. Dimensioni da container permetteranno di raggiungere i paesi poveri esclusi dalle grandi centrali, regioni disagiate o i nodi di rete, in modo da coordinarsi facilmente con l’intermittenza delle rinnovabili. La progettazione versatile permetterà di produrre anche idrogeno o calore per l’industria chimica e metallurgica. Condividendo la sicurezza della terza generazione.

Una prospettiva solida, per i sostenitori. Una bolletta ancora troppo salata per i critici, a meno di una produzione in serie spropositata e di una proliferazione inquietante, alla portata di paesi instabili. Le criticità che hanno impedito lo sbarco dei piccoli reattori navali – in mare dagli anni Cinquanta – avverserebbero anche gli smr. In conclusione, la fusione nucleare è una tecnologia complessa, le cui incognite s’inoltrano nella seconda metà del secolo. Intanto, la dinamica globale è difficile da prevedere anche per la fissione. La Germania ha programmato di ridurre le proprie emissioni climalteranti del 65% entro il 2030, assieme allo spegnimento dei suoi ultimi reattori entro il 2022. La guerra in Ucraina con la relativa crisi energetica ha rivisto la decisione, fissando una proroga fino all’aprile del 2023. La Repubblica Popolare Cinese ha obiettivi climatici ambiziosi ma programma la costruzione di nuove centrali, in modo da spingere la produzione elettrica nucleare dall’attuale 2%, verso il 10% del fabbisogno. Rinascimento nucleare o stagnazione? Le analisi divergono, come sull’opportunità che l’Italia vi partecipi.
 
Aerei italiani in Ucraina? Perché è (quasi) impossibile
Il quasi è riferito al virgolettato del Ministro degli Esteri Tajani. Perché in effetti è prematuro escludere oggi in modo perentorio qualcosa che potrebbe succedere in futuro.
Ma, ad oggi, le condizioni per far sì che quanto scritto da alcuni quotidiani non sia altro che un loro auspicio anziché una prospettiva reale (non è la prima vola) non ci sono.
I motivi sono di carattere politico e di carattere tecnico:
1) L'Italia ha fino ad ora fornito all'Ucraina aiuti militari importanti specie per l'aspetto difensivo, in ultimo il sistema Samp/T che comunque non si è ancora capito se sarà messo a disposizione della Slovacchia, e quest'ultima invierà il suo Patriot all'Ucraina, o se verrà mandato direttamente a Kiev. Questo perché quando si parla di invii si deve sempre tenere presente che "la lista dei desideri" richiede un coordinamento.
L'Italia, quindi, come altri Paesi Ue e Nato, mette a disposizione la sua dote all'alleanza che poi decide come utilizzarla.
La Meloni a Kiev anziché "aprire" ai caccia, ha chiuso, ma ha ammesso l'invio di altri sistemi difensivi come Spada e Skyguard. Entrambi utilizzano missili Aspide, ma i primi sono italiani quindi possono partire anche domani, i secondi necessitano del "permesso" degli svizzeri e dei tedeschi.
In tutti i casi, comunque, questi invii rientrano nella dialettica politica dell'Italia come Paese che sostiene la difesa dell'Ucraina perché "non è in guerra com la Russia". E visti gli equilibri sia interni al Parlamento che al governo non è un aspetto secondario;
2) Quali sarebbero i caccia italiani che i giornali pregano possano essere inviati a Kiev?
Si è parlato del Tornado e degli Amx, entrambi in attività ma in fase di dismissione.
La logica è proprio questa: siccome li dobbiamo buttare, tanto vale inviarli all'Ucraina.
Ma questa è una logica che vale per la differenziazione dell'immondizia, non per la guerra. Tornado e Amx sono un po' datati, ma il loro impiego massivo potrebbe comunque essere molto utile in uno scenario di guerra aerea.
Ma siccome è da escludere un invio di decine e decine di pezzi, siccome l'utilizzo specie dei Tornado richiede una preparazione che i piloti ucraini non hanno, e siccome nell'ottica del coordinamento di cui sopra è necessario nel caso standardizzare e sistematizzare le consegne anziché mandare a caso ciò che si ha (stesso dicasi per i tank), questa ipotesi tecnicamente parlando è ad oggi pura fantasia.
C'è poi da considerare un altro aspetto: il binomio Amx e Tornado in versione "combat" funziona e ha funzionato in scenari operativi come l'ultimo in cui è stato impiegato, la Libia.
Questo perché la guerra aerea prevede aspetti di impiego vicendevole dei jet in base alla loro tipologia. Amx è un aereo da attacco al suolo che, esattamente come un A-10 o come una controparte sovietica tipo il Su-25, funziona in situazione di superiorità aerea, che l'Ucraina non ha. Per ottenerla, servono gli aerei da combattimento/intercettori come gli F-16 o gli Eurofighter. Molti.
Questi ultimi, difatti, nel 2011 provvedevano al mantenimento della no-fly zone mentre Tornado e Amx sganciavano sulla Libia il secondo quantitativo di bombe in termini di tonnellaggio di tutta l'alleanza.
Ora, è evidente che il dibattito sui jet (che qui avevamo anticipato da mesi mentre tutti ridevano) sia ancora embrionale proprio perché bisognerebbe capire SERIAMENTE cosa mandare, come preparare chi dovrà pilotare i caccia e come implementare il tutto affinché sia davvero utile e non un inutile spreco.
In questo senso al momento un ruolo cruciale lo giocheranno gli inglesi, che sostengono di voler inviare a Kiev missili a lungo raggio (per colpire la Crimea) che vengono lanciati da un vettore specifico: l'Eurofighter.
Implicitamente, quindi, mandare quei missili presupporrebbe l'invio del caccia stesso.
Se lo facessero davvero a quel punto lo scenario diventerebbe molto molto diverso.
Poi ci sono i Paesi che a parole dicono di voler mandare gli F-16, come i Paesi Bassi.
È abbastanza scontato dire che l'addestramento dei piloti ucraini all'utilizzo di questi caccia sia già iniziato, e vista la larghissima diffusione di questo jet è assolutamente possibile nell'ottica della standardizzazione e del coordinamento che sarebbero i primi in assoluto a varcare il Rubicone, perché ce ne sono tanti e perché basta che un Paese sciolga le riserve e metta a disposizione i suoi per scatenare l'effetto bandwagon.
Inviare F-16 in buon numero e inviare Eurofighter renderebbe a quel punto uno scherzo (sempre dopo settimane se non mesi di addestramento) inviare anche i nostri Amx e magari i Tornado.
Sempre se il governo lo approva.
Ecco quindi spiegata la natura del "quasi" pronunciato da Tajani.
Ovviamente si parla di SCENARI IPOTETICI, non di AUSPICI come quello dell'articolo in foto.
Scenari che richiedono intanto moltissima attenzione perché in questo processo decisionale non sono comprese le "risposte" russe, e poi perché sono evoluzioni che richiedono molto tempo, molta preparazione (e molte altre cose che possono succcdere sul campo di battaglia e su quello diplomatico che possono cambiare tutto) e soprattutto un presupposto di base: cioè che l'Ucraina dovrebbe essere considerata ufficialmente e da tutti o quasi i membri della Nato e dell'Ue l'esercito "europeo" da sostenere senza se e senza ma.
È proprio su quest'ultimo aspetto che stanno lavorando a Bruxelles, con scene come il Consiglio europeo scorso, con i vertici di Ramstein, con gli andirivieni dei leader verso Kiev etc.
Ma siamo ancora nel campo delle ipotesi che, ribadisco, sono più volte alla "fidelizzazione" dei governi visto che molti non sono affatto convinti (Ungheria, Bulgaria, la stessa Francia) piuttosto che a una reale pianificazione del da farsi.
di Daniele Dell'Orco

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Ue, nasce la sottocommissione Salute. Vantaggi e rischi per le aziende italiane - Formiche.net

Tra Nutriscore, etichettatura e semafori, Gianluca Comin (Comin & Partners) e Luciano Stella (Must & Partners) spiegano come il nuovo organismo nato con l’obiettivo di difendere gli interessi dei consumatori potrebbe mettere a rischio alcune filiere produttive di eccellenza del nostro Paese, tra cui quella vitivinicola, dell’olio e dei formaggi

La scorsa settimana il Parlamento europeo ha ufficializzato l’istituzione di una sottocommissione parlamentare che si occuperà di Salute pubblica. L’obiettivo dichiarato è quello di irrobustire l’azione di Bruxelles su tematiche che, dopo la pandemia del Covid-19, sono divenute di stringente attualità. Sicuramente questa scelta risponde a un bisogno importante: un maggior livello di coordinamento a livello europeo sul tema della salute pubblica. Sono ancora ben salde nella nostra memoria le difficoltà per far fronte all’approvvigionamento di mascherine e vaccini. È utile quindi, l’istituzione di un corpo parlamentare che possa aiutare a velocizzare e coordinare meglio alcuni aspetti del processo decisionale europeo.
IL RISCHIO PER LE FILIERE AGROALIMENTARI ITALIANE

Occorre però sottolineare che, fra le materie che rientrano nelle deleghe di “salute pubblica”, ci sono anche aspetti e tematiche che possono far suonare un campanello d’allarme per il nostro Paese e la sua industria, dalla filiera agroalimentare a diversi settori produttivi, tra cui quello vitivinicolo, dell’olio e dei formaggi. È infatti inclusa – tra i raggi d’azione della nuova sottocommissione – la sfera che attiene agli aspetti salutari legati all’alimentazione. Torna quindi prepotentemente alla ribalta la battaglia che alcuni paesi dell’Europa stanno portando avanti da diversi anni sotto l’egida dell’etichetta a semaforo, conosciuta come “Nutriscore”. Diversi paesi europei hanno già adottato il sistema di etichettatura che prevede un “punteggio” dato agli alimenti, dai più salutari a quelli meno sani. L’obiettivo, nobile ma soggetto a interpretazioni, è quello di aiutare i consumatori nella scelta dei prodotti che acquistano quotidianamente.

NUTRISCORE: UN DANNO PER L’IMMAGINE DEI NOSTRI PRODOTTI
L’interpretazione, però, nasconde un rischio in cui possono finire molti prodotti del Made in Italyche sono un vanto del Paese. Che fare se l’olio italiano, i nostri formaggi, i nostri salumi finiscono dritti nel semaforo “giallo” o “rosso” del sistema di etichettatura? Cosa rispondere ai produttori di parmigiano il cui formaggio verrà classificato come troppo grasso e “rosso”? Che fare se la gran parte dei nostri prodotti verranno – agli occhi dei consumatori – etichettati (in senso letterale) come dannosi per la salute? Il rischio, concreto, è un danno d’immagine che fa il paio con il paradosso che i nostri stessi prodotti, quando volgarmente scopiazzati da altri paesi, possano invece ricevere un’etichettatura di un verde scintillante. Il nostro Paese corre il pericolo che i propri prodotti vengano declassati agli occhi dei consumatori stranieri minandone l’immagine e la credibilità. Un rischio ulteriore è che, per un processo di omologazione standard a livello europeo, l’etichettatura a semaforo venga implementata in futuro anche nel nostro Paese.
FONDAMENTALE PER LE AZIENDE EVITARE L’ETICHETTATURA A SEMAFORO

Per le nostre aziende sarà importante evitare che l’etichettatura a semaforo diventi uno standard accettato in tutta Europa. Il campanello d’allarme suona per diversi settori della filiera produttiva italiana, come quello della produzione di vini e spiriti, tabacco e altre eccellenze nazionali. Preoccupanti segnali in direzione di etichettature fuorvianti provengono da altri paesi europei, l’Irlanda tra queste. Dublino avrebbe in programma di etichettare vini e super alcolici con messaggi allarmistici che causerebbero un danno enorme all’export italiano. La portata di queste e altre iniziative può essere catastrofica per l’Italia: il rischio che si corre è quello di colpevolizzare un’intera filiera produttiva e portarla al collasso.
UNA PRIORITÀ PER LA NOSTRA ECONOMIA, VIGILARE E INTERVENIRE
Questa, e altre iniziative rischiano di demonizzare interi settori, dimenticando che le aziende sono fatte di persone, di famiglie e che contribuiscono in maniera decisiva allo sviluppo del Paese.
Per le nostra aziende e i settori produttivi sarà essenziale vigilare per poter intervenire tempestivamente. Così come sarà importante dotarsi dei migliori strumenti per far sentire la propria voce a livello europeo e per tutelare i lavoratori e l’economia del Paese.
 
pubblico, questo abominevole articolo, solo per far notare che anche la Sig.ra Meloni ( atlantista-falco) è una intransigente dalla mentalità USA....

Risorgimento e ricostruzione. Il glossario geopolitico di Meloni in Ucraina - Formiche.net

Il presidente del Consiglio ha parlato di forniture militari, di ricostruzione, ma anche di un elemento non misurabile, l’amore di patria: “Mi ha ricordato la nascita dello Stato italiano: un tempo si diceva che l’Italia fosse solo un’espressione geografica. Ma col Risorgimento ha dimostrato di essere una nazione. Qualcuno diceva che era facile piegare l’Ucraina. Ma avete dimostrato di essere una straordinaria nazione”


Sceglie di citare il Risorgimento italiano il premier Giorgia Meloni ricevuta dal presidenteVolodymyr Zelensky, a proposito di chi è stato disposto “a fare tutto ciò che va fatto per difendere la sua libertà, la sua sovranità e la sua identità”. La lotta ucraina come quella stagione in cui l’Italia dimostrò di essere una nazione. E ancora, nessun tentennamento da parte dell’Italia, che anzi “raddoppia” la densità del suo ruolo nella cornice euroatlantica con la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina prevista in aprile.
La visita del Presidente del Consiglio, poche ore dopo quella di Joe Biden, non solo conferma la direttrice di marcia imboccata, sin dall’inizio della guerra, da Fratelli d’Italia e dalla sua leader, ma si inserisce nella rete dei ragionamenti sul come affiancare il paese in questo secondo anno di conflitto.

Punto di partenza la granitica volontà italiana di assicurare a Kiev ogni genere di supporto militare, finanziario, civile “perché si creino le condizioni di un negoziato, chi sostiene anche militarmente l’Ucraina è chi lavora per la pace”. Due i temi fisiologicamente in cima alle priorità: le armi e la ricostruzione. Quando c’è un aggredito, ha detto Meloni, tutte le armi fornite sono difensive: “attualmente la fornitura di aerei non è sul tavolo”, anche se la decisione verrà semmai di concerto con i partner internazionali. Nel frattempo da un lato in Parlamento i partiti che fanno parte della maggioranza hanno votato tutti i pacchetti previsti e dall’altro con la Francia è stato fatto un lavoro per l’invio del sistema Samp-T. “Per noi è assolutamente una priorità difendere i cieli e la popolazione dell’Ucraina e ci siamo concentrati anche sullo sminamento”.

Pollice in su da Zelensky secondo cui la “leadership” di Giorgia Meloni permette all’Ucraina di ottenere “sistemi di difesa antiaerea importantissimi”, caratterizzati da “tecnologie di avanguardia”: le forniture italiane “servono a difendere le vite”.

In secondo luogo il macro tema della ricostruzione, con il know-how delle aziende italiane “pronto a essere messo a disposizione”, ha assicurato il premier. In questo senso sarebbe un segnale importante, ha aggiunto, che l’Expo tornasse in Europa. “Roma e Odessasono candidate per l’Expo 2030, dobbiamo provare a ragionare su come lavorare insieme, sarebbe un bel segnale europeo e di come crediamo che le cose andranno bene”.

Meloni, al netto dei tecnicismi su armi e geopolitica, ha mantenuto un approccio per così dire di “cuore” con il suo interlocutore quando ha detto che “l’amor di patria è qualcosa che nasce spontaneamente e non puoi fermare, noi dobbiamo ricordarci che la nazioni si fondano sulla dimensione dei sacrifici che si è disposti a compiere insieme e che si sono fatti insieme. Questo è un grande insegnamento che dà l’Ucraina oggi. Solo sulla verità e sulla giustizia si costruisce la pace“.


E ancora, ha garantito che Roma riconosce le legittime aspirazioni europee dell’Ucraina, “che si batte per difendere i valori europei di democrazia e libertà ed è un avamposto europeo, su questo intendiamo fare pienamente la nostra parte”. E che si prospetta un periodo di grande crescita e sviluppo, come negli anni che hanno fatto dell’Italia una grande potenza industriale: “io sono certa che negli anni a venire potremo parlare di un miracolo ucraino”.
Un passaggio sulla pace, dove serietà impone che “la comunità internazionale non accetta l’invasione di Stati sovrani, non accetta un mondo in cui è la forza a ridisegnare i confini fra gli Stati, in cui chi ritiene di essere militarmente più forte ritiene di avere il diritto di invadere suo vicino. Bisogna essere seri su questa materia”. Niente deve essere deciso senza l’Ucraina. E Roma lo ha ribadito.
 
esattamente, a parte la questione ebraica, ma il ragionamento di eradicazione russa è assolutamente vera.

Russian foreign minister says US plotting ‘final solution’ against Russia

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha detto mercoledì che gli Stati Uniti avevano riunito una coalizione di paesi europei per risolvere "la questione russa" nello stesso modo in cui Adolf Hitler aveva cercato una "soluzione finale" per sradicare gli ebrei europei.

Lavrov, che ha causato un furore internazionale l'anno scorso con osservazioni su Hitler, ha detto che Washington stava usando la stessa tattica di Napoleone e dei nazisti nel tentativo di soggiogare l'Europa per distruggere la Russia.

Usando l'Ucraina come proxy, ha detto, "stanno facendo la guerra contro il nostro paese con lo stesso compito: la "soluzione finale" della questione russa".

"Proprio come Hitler voleva una "soluzione finale" alla questione ebraica, ora, se si leggono i politici occidentali ... dicono chiaramente che la Russia deve subire una sconfitta strategica".
 
intanto la lobby israeliana ha aumentato i raid uccidendo almeno 170 persone di cui 30 bambini.....

Israel raids: Why are so many Palestinians being killed?

Solo nel gennaio 2023, almeno 29 palestinesi, tra cui cinque bambini, sono stati uccisi.

L'ONU ha affermato che il 2022 è stato l'anno più letale per i palestinesi dal 2006, ma il 2023 è già sulla buona strada per superarlo, se il numero di morti rimane allo stesso livello, e ora c'è il potenziale per una rivolta su vasta scala tra i palestinesi, in particolare sulla scia del nuovo governo di estrema destra israeliano, che è salito al potere
 
Zelenskiy plans to attend July NATO summit in Vilnius - Ukraine ambassador

VARSAVIA, 22 febbraio (Reuters) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy prevede di partecipare di persona a un vertice della NATO che si terrà a Vilnius a luglio, ha detto l'ambasciatore ucraino in Lituania al notiziario locale BNS.

Zelenskiy ha fatto solo due viaggi all'estero da quando la Russia ha invaso l'Ucraina quasi un anno fa - uno a Washington a dicembre e un altro a Londra, Parigi e Bruxelles a febbraio.

Al vertice di Vilnius dell'11-12 luglio parteciperanno la maggior parte dei leader dell'alleanza atlantica, ha affermato l'ufficio presidenziale lituano. Ciò include gli Stati Uniti Il presidente Joe Biden, che ha inaspettatamente visitato Kiev questa settimana.
 
Host India doesn't want G20 to discuss further Russia sanctions - sources

BENGALURU, 22 febbraio (Reuters) - L'India non vuole che il G20 discuta di ulteriori sanzioni contro la Russia per la sua invasione dell'Ucraina durante la presidenza di un anno del blocco di Nuova Delhi, hanno detto mercoledì sei alti funzionari indiani, in mezzo al dibattito su come descrivere il conflitto.

A margine di un incontro del G20 in India, i leader finanziari delle nazioni del Gruppo dei Sette (G7) si incontreranno il 23 febbraio, alla vigilia del primo anniversario dell'invasione, per discutere le misure contro la Russia, ha detto martedì il ministro delle finanze giapponese.

I funzionari, che sono direttamente coinvolti nella riunione del G20 di questa settimana dei ministri delle finanze e dei capi delle banche centrali, hanno affermato che l'impatto economico del conflitto sarebbe stato discusso, ma l'India non ha voluto prendere in considerazione ulteriori azioni contro la Russia.

"L'India non è desiderosa di discutere o sostenere ulteriori sanzioni contro la Russia durante il G20", ha detto uno dei funzionari. "Le sanzioni esistenti contro la Russia hanno avuto un impatto negativo sul mondo".

Un altro funzionario ha detto che le sanzioni non erano una questione del G20. "Il G20 è un forum economico per discutere di questioni di crescita".

I portavoce del governo indiano e dei ministeri delle finanze e degli esteri non hanno risposto immediatamente alle richieste di commento.

Mercoledì, il primo giorno di riunioni per redigere il comunicato del G20, i funzionari hanno lottato per trovare una parola accettabile per descrivere il conflitto Russia-Ucraina, hanno detto i delegati di almeno sette paesi presenti alle riunioni.

L'India ha cercato di formare un consenso sulle parole chiamandola una "crisi" o una "sfida" invece di una "guerra", hanno detto i funzionari, ma le discussioni si sono concluse senza una decisione.

Queste discussioni sono state rinnovate a giovedì quando gli Stati Uniti Il segretario al Tesoro Janet Yellen farà parte delle riunioni.

Ministro degli Esteri indiano S. Jaishankar ha precedentemente affermato che la guerra ha colpito in modo sproporzionato i paesi più poveri aumentando i prezzi del carburante e del cibo.

I vicini dell'India - Sri Lanka, Pakistan e Bangladesh - hanno tutti chiesto prestiti al Fondo monetario internazionale negli ultimi mesi per superare i problemi economici causati dalla pandemia e dalla guerra.

Stati Uniti Il vice segretario al Tesoro Wally Adeyemo ha detto martedì che Washington e i suoi alleati hanno pianificato nei prossimi giorni di imporre nuove sanzioni e controlli sulle esportazioni che avrebbero mirato all'acquisto da parte della Russia di beni a duplice uso come frigoriferi e microonde per garantire i semiconduttori necessari per il suo esercito.

Le sanzioni cercheranno anche di fare di più per arginare il trasbordo di petrolio e altre merci soggette a restrizioni attraverso i paesi limitrofi.

Inoltre, Adeyemo ha affermato che i funzionari di una coalizione di oltre 30 paesi avvertiranno le aziende, le istituzioni finanziarie e gli individui che ancora fanno affari con la Russia che devono affrontare sanzioni.

Il governo del primo ministro indiano Narendra Modi non ha criticato apertamente Mosca per l'invasione e ha invece chiesto il dialogo e la diplomazia per porre fine alla guerra. L'India ha anche aumentato notevolmente gli acquisti di petrolio dalla Russia, il suo più grande fornitore di hardware per la difesa.

Jaishankar ha detto questa settimana al partner di Reuters ANI che il rapporto dell'India con la Russia era stato "straordinariamente stabile ed è stato costante in tutte le turbolenze della politica globale".
 

ovviamente Pechino farà di tutto per non perdere l'alleanza acquisita con la Russia, anche se questo vorrebbe dire andare contro gli states. che come già sappiamo le tensioni Pechino-States sono molto alquanto tese. Quindi come sempre affermato, e continuerò a farlo, avremo da una parte Russia , Cina, India, e America del centro sud e dall'altra gli USA, UE e GB.

Putin says Xi to visit Russia, ties reaching 'new frontiers'

MOSCA, 22 febbraio (Reuters) - Il presidente Vladimir Putin ha detto mercoledì che il cinese Xi Jinping avrebbe visitato la Russia, dicendo che le relazioni hanno raggiunto "nuove frontiere" tra le preoccupazioni degli Stati Uniti che Pechino potrebbe fornire un sostegno materiale all'invasione dell'Ucraina.

Le forniture di armi cinesi alla Russia minaccerebbero una potenziale escalation della guerra in uno scontro tra Russia e Cina da una parte e l'Ucraina e l'alleanza militare della NATO guidata dagli Stati Uniti dall'altra.

XI E PUTIN

Per Xi, la Russia è ora più dipendente da Pechino che mai ed è un partner junior di una Cina riemergente, che già guida in molte tecnologie del 21° secolo.

Stati Uniti Il segretario di Stato Antony Blinken sabato ha avvertito Wang delle conseguenze se la Cina dovesse fornire sostegno materiale all'invasione russa dell'Ucraina.

Pechino ha negato di fornire sostegno militare alla Russia.

Dopo gli avvertimenti di Blinken, per i quali non ha fornito prove, la Cina ha detto che gli Stati Uniti non erano in grado di fare richieste.

"Non importa come cambia la situazione internazionale, la Cina è stata e rimane impegnata, insieme alla Russia, a compiere sforzi per preservare la tendenza positiva nello sviluppo delle relazioni tra le principali potenze", ha detto Wang a Lavrov.

Xi ha sostenuto Putin durante il conflitto in Ucraina, resistendo alla pressione occidentale per isolare Mosca. Il commercio cinese-russo è salito alle stelle dall'invasione dell'Ucraina e la Russia ha aumentato le esportazioni di petrolio verso i paesi asiatici, tra cui la Cina.
 
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Vedete chi ha occhi per vedere sapeva esattamene che cosa stava per accadere…
Stamani ho aperto Facebook, e grazie a lui , mi ha fatto ricordare un post di esattamente 9 anni prima del conflitto.
Anche se con qualche errore di analisi o forse no ?
 
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