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DIRETTIVA GREEN SULLE CASE/ “Così immobili deprezzati e affitti più cari, il Governo intervenga”​

Pubblicazione: 22.01.2023 - int. Giorgio Spaziani Testa

“Occorre che il governo ottenga la flessibilità che spetta alla situazione immobiliare italiana. Anche le banche sono preoccupate” dice Spaziani Testa (Confedilizia)​


L’Italia sta cercando di far valere le sue ragioni, ma la direttiva green dell’Unione Europea sulle case continua a preoccupare i proprietari di immobili. Se non verrà modificata, chi ne possiede una dovrà adeguare entro il 2030 l’edificio perché ottenga la classe E di efficientamento energetico, per arrivare poi negli anni successivi a garantire le emissioni zero (entro il 2050), rendendo la casa in questione interamente compatibile con le nuove norme ambientali. Il problema è che tutto questo processo sarà molto dispendioso per i proprietari, mentre nel frattempo le case si deprezzeranno sul mercato.

“Quello che non possiamo accettare in questa direttiva – dice Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia – è che si parli di obbligo senza tenere conto della particolarità della situazione italiana”. La speranza è che Bruxelles tenga in considerazione le caratteristiche del patrimonio immobiliare italiano. La direttiva avrebbe un impatto immediato sul valore degli immobili e sugli affitti, tanto che anche le banche hanno espresso preoccupazioni per il depauperamento del patrimonio.

Presidente, in cosa consiste la peculiarità della situazione italiana? Di cosa l’Europa non sta tenendo conto?

Vorremmo avere maggiore flessibilità nell’applicazione di queste nuove norme, tenendo conto della situazione del nostro Paese. Occorre considerare la morfologia delle aree su cui insistono gli edifici, ma anche che il nostro patrimonio è datato, c’è una proprietà immobiliare diffusa e una forte componente condominiale.

C’è un patrimonio storico di cui bisogna tenere conto.

La situazione italiana è diversa rispetto a quella di altri Paesi dove possono abbattere e ricostruire edifici per adeguarli alle norme sull’efficientamento energetico. Qui abbiamo un patrimonio storico che va considerato. In alcuni casi rispettare l’edificio e contemporaneamente ottenere l’obiettivo delle emissioni zero potrebbe essere praticamente impossibile. L’obiettivo dell’efficientamento energetico è condivisibile ma bisogna tenere conto anche di questi aspetti. E in diversi casi potrebbe non essere possibile raggiungerlo.

Quali conseguenze avrà la direttiva sul valore delle case? E come può danneggiare la nostra economia?

Nel momento in cui questa direttiva, così com’è, dovesse entrare in vigore ed essere recepita dalla legislazione italiana, ci sarebbe un deprezzamento immediato degli immobili che non raggiungono le classi energetiche previste dall’Ue. In sede di vendita i proprietari si vedrebbero riconosciuto un valore anche molto inferiore poiché si tratterebbe di case sulle quali il nuovo proprietario dovrà investire programmando lavori per garantire la classe E entro il 2030, la classe D entro il 2033 e successivamente il raggiungimento delle emissioni zero.


Potrebbero esserci conseguenze anche sugli affitti?

Certo. La preoccupazione non riguarda solamente i singoli proprietari, ma anche, ad esempio, le banche, che vedrebbero deprezzato il loro patrimonio immobiliare. Le nuove regole, insomma, potrebbero avere un impatto su tutta l’economia. Anche sugli affitti: la previsione, per i proprietari, di lavori per l’adeguamento degli edifici ai livelli energetici richiesti, potrebbe comportare un aumento dei canoni.

Cosa vi aspettate adesso dall’Unione Europea? Ci sono margini per cambiare la direttiva garantendo maggiore flessibilità di applicazione?


Ci sono tre partiti italiani che sostengono il Governo e uno dell’opposizione che si stanno muovendo in sede europea per far sentire le ragioni dell’Italia. E non è un caso che recentemente nel Parlamento europeo il relatore che si occupa della direttiva abbia tenuto un discorso in italiano. Non so se si riuscirà a togliere l’obbligo, sarà difficile. Quello che vorremmo, comunque, sarebbe di ottenere un ampio margine di discrezionalità, di flessibilità, per garantire all’Italia di applicare la direttiva tenendo conto della peculiarità del suo territorio e del patrimonio immobiliare. I tempi per la discussione della direttiva sono stretti, ci sono appuntamenti a gennaio e a febbraio. Speriamo che venga riconosciuta una forte flessibilità nell’attuazione.

(Paolo Rossetti)

DIRETTIVA GREEN SULLE CASE/ "Così immobili deprezzati e affitti più cari, il Governo intervenga"
 

DIRETTIVA GREEN SULLE CASE/ Brancaccio (Ance): si può fare solo con fondi Ue e incentivi fiscali veri​

Pubblicazione: 13.01.2023 - int. Federica Brancaccio

Le nuove norme, di cui il Parlamento Ue parlerà a breve, interesseranno la maggior parte degli edifici italiani, che rischiano di perdere valore​


Case da ristrutturare per adeguarle ai parametri energetici stabiliti dall’Unione Europea. La direttiva green in arrivo da Bruxelles dovrebbe approdare il 24 gennaio in commissione Ambiente dell’europarlamento per poi essere votata entro marzo. Se andrà in porto, come sembra, per il 60% dei proprietari di case italiani sarà un bel problema.


Si troverebbero a dover sistemare i loro edifici, investendo per rispondere alle richieste europee, tenendo conto che il primo termine da rispettare è quello del 2030, non così lontano, entro il quale occorrerà garantire almeno la classe E. L’obiettivo vero, da raggiungere successivamente, è comunque quello delle emissioni zero. “Una direttiva che riguarda sicuramente la maggior parte del nostro patrimonio edilizio”, ci spiega Federica Brancaccio, presidente di Ance, l’associazione nazionale dei costruttori edili. Che chiede un tavolo di lavoro nel quale elaborare una strategia per far fronte alle norme che saranno varate dall’Unione Europea.

Quali saranno le conseguenze sull’Italia delle nuove regole stabilite dall’Ue?

Questa direttiva non è un fulmine a ciel sereno, sono anni che se ne parla. Anzi, in precedenza era molto più dura, perché si parlava di un passaggio minimo in classe D entro il 2027 per arrivare poi nel 2030 e nel 2050 a emissioni zero. In più, l’ipotesi di qualche tempo fa era addirittura che senza il raggiungimento di questi obiettivi non si sarebbe potuto né vendere, né locare immobili che non avessero queste caratteristiche energetiche. Ora bisogna considerare che l’Italia è un unicum assoluto in Europa per la proprietà molto frammentata degli immobili: gli italiani sono quelli che hanno la più alta percentuale di case di proprietà, mentre in altri Paesi sono magari di società che poi locano. Abbiamo una proprietà parcellizzata, ma anche il patrimonio residenziale più vetusto.

Come si può affrontare un intervento del genere? Ai privati si chiederebbe uno sforzo immane dal punto di vista economico.

La posizione dell’Ance è che tutto quello che riguarda i temi ambientali e la riduzione di emissioni non può che trovarci d’accordo. Ci vogliono, però, degli strumenti che mettano il Paese in condizione di intervenire su questo enorme patrimonio da efficientare sotto il profilo energetico. E qui torniamo al discorso che noi facciamo da mesi: la questione degli incentivi fiscali e dei bonus va affrontata in maniera seria e strutturale per rispondere anche alle esigenze sia dell’ambiente sia a quelle dettate dalla direttiva europea. È impossibile che nella condizione in cui versa l’Italia come patrimonio e proprietà parcellizzata tutto questo si possa fare con interventi obbligatori dei privati, senza aiuti. Ci vuole una politica di incentivi fiscali seria, strutturale e sostenibile, altrimenti questi obiettivi non li raggiungeremo. È chiaro poi che una direttiva del genere per le condizioni italiane crea un problema di choc di valori immobiliari, è abbastanza inevitabile.


Ovvero nel momento in cui viene varata la direttiva, prima di arrivare alla ristrutturazione, la casa che non rispetta certi parametri si deprezza.

Per questo occorre una politica industriale di settore che dia incentivi, un sostegno per questi interventi e che non cambi ogni mese. E visto che c’è un’esigenza dell’Europa direi anche la possibilità di utilizzare, parlandone con l’Ue, dei fondi europei. È necessario. Lo abbiamo visto con il bonus: finché non ci sono stati incentivi seri con la possibilità di monetizzare i crediti (cosa che oggi è diventata un disastro, anche se questo è un altro argomento) non sono partite le riqualificazioni dei condomini. Oggi che abbiamo un direttiva di questo genere bisogna pensare a degli strumenti seri e di lungo periodo, magari, appunto chiedendo anche la possibilità di utilizzare fondi europei.

Bisogna rendere strutturali interventi che finora sono stati a spot, temporanei?

Sì, occorre lavorare su questi strumenti perché anche i cambiamenti continui senza un obiettivo e senza strategia di lungo periodo non fanno bene nemmeno al sistema industriale. Occorre una programmazione. Da mesi diciamo che bisogna creare un tavolo per ragionare su strumenti pensati nell’ottica del raggiungimento di certi obiettivi, senza cambiare continuamente – bonus sì, bonus no -, evitando tutto quello a cui abbiamo assistito nell’ultimo anno.

Con il superbonus le norme cambiavano praticamente ogni mese.

Certo, oltre al disastro che abbiamo oggi, con migliaia di imprese sull’orlo del fallimento oltre che condomini con i lavori lasciati a metà. L’importante, comunque, rispetto alla direttiva europea, è aprire un tavolo di confronto per capire quali sono gli argomenti migliori da sviluppare per affrontare il tema dell’efficientamento. Non possiamo dire di non essere d’accordo, sostenendo che vogliamo continuare ad avere edifici energivori. Non è questa la soluzione, non può essere un’opposizione strenua. La soluzione è di pensare di riqualificare il nostro patrimonio con regole certe e sostenibili. Occorre una strategia di lungo periodo, condivisa, altrimenti se non si fa niente, diventa un disastro: non efficienteremo energeticamente, ci sarà un crollo dei valori immobiliari e avremo pure le sanzioni dall’Europa.

Tra l’altro la normativa prevederebbe di raggiungere la classe E entro il 2030 e poi portare gli edifici in classe D entro il 2033 e tra il 2040 e il 2050 di diventare a zero emissioni. Quindi, in un certo senso, obbliga a una strategia.

Certo. Ripeto, è una cosa che è nell’aria da anni, non è che è stata messa sul tavolo improvvisamente. Ora occorre una strategia di lungo periodo.

(Paolo Rossetti )
DIRETTIVA GREEN SULLE CASE/ Brancaccio (Ance): si può fare solo con fondi Ue e incentivi fiscali veri
 
Il ritorno dell'Asse e la visita del Capo della Cia a Kiev | Piccole Note

A Ramstein inizia la quarta guerra mondiale, dopo la terza combattuta a freddo. Lo schema è alquanto semplice: costringere la Russia a dissanguarsi in Ucraina mentre si prepara uno scenario analogo per la Cina. Ma per creare uno scenario in stile ucraino nel Pacifico, che avrebbe caratteristiche diverse dal momento è essenziale la Marina, serve il Giappone.

Ricreare l’Asse​

Questo spiega l’importanza della recente visita del premier giapponese Fumio Kishida negli Usa, nel corso della quale Tokio si è consegnata alle richieste Usa sul contenimento di Pechino avviando una profonda ristrutturazione delle proprie forze in combinato disposto con quelle americane.

Allo stesso tempo, alla Germania viene chiesto di diventare la forza trainante del contenimento della Russia sul fronte europeo, anche qui in combinato disposto con le forze Usa.

Ed è questo il vero nodo che si cela dietro la controversia sull’invio dei Leopard 2 all’Ucraina, sulla quale la Germania sta tentando di frenare, spiegando che lo farà solo se gli Usa forniranno i loro Abrams, cosa che per ora Washington ha escluso (The Hill).

Bisticcio non da poco, dal momento che quelli teutonici sarebbero gli unici carri armati pesanti inviati a Kiev oltre ai 14 Challenger 2 britannici (poca cosa per ora), dal momento che gli altri carri in arrivo da vari Paesi sono poco più che veicoli corazzati, che potrebbero non bastare per l’agognata offensiva di primavera delle forze ucraine, punto focale dell’assise di Ramstein.

Il bisticcio potrebbe risolversi con un compromesso, cioè con il placet, esplicito o meno, di Berlino all’invio a Kiev dei Leopard comprati da Paesi terzi, tra cui la Polonia che spinge in tal senso, senza il quale tali veicoli non potrebbero essere trasferiti (così nei contratti). Ma sarà difficile per Sholz tenere il punto. Troppe e troppo forti le pressioni che sta ricevendo (resistenza analoga si ebbe per le pressioni Usa contro il Nord Stream 2 e si è visto com’è finita).

Nel caso di un cedimento di Berlino si concretizzerebbe lo schema che hanno in mente gli strateghi degli Stati Uniti che, consci di non poter combattere su due fronti, vogliono avvalersi della Germania e del Giappone come front runner del loro confronto con Russia e Cina.

Il fatto che tale schema abbia i suoi punti di forza sulle nazioni della defunta Asse (al netto della derelitta Italia), che tanto dolore ha causato al mondo, dovrebbe inquietare, ma così non è.

Come detto, il Cancelliere tedesco Olaf Sholz sta cercando in tutti i modi di resistere, dichiarando anche, come ha fatto a Davos, che occorre evitare una guerra tra Nato e Russia. Ma a far tentennare la Germania sull’invio dei Leopard 2 c’è anche un motivo strettamente commerciale, come spiega il sito MilitaryWar. La Germania è l’unico Paese d’Occidente oltre agli Stati Uniti a produrre carri armati pesanti. Leopard 2 tedeschi e Abrams americani sono ad oggi gli unici MBT (Main Battle Tank) occidentali sul mercato. Francia e Gran Bretagna che non ne producono di nuovi da anni.

Così, se Francia e Gran Bretagna non hanno niente da perdere, in termini pubblicitari, a inviare i loro armamenti a Kiev, la Germania sì, dal momento che, se le prestazioni dei mezzi risultassero al di sotto delle aspettative, perderebbero commesse, che sarebbero appannaggio degli Stati Uniti perché non corrono analoghi rischi risparmiando i loro Abrams. Certo, tale dettaglio non spiega tutta la controversia, ma aiuta a capirne i contorni.

Interessante, sulla controversia dei carri armati, anche un articolo di Ishaan Tharoor pubblicato dal Washington Post che, riferendo quanto accaduto nel Forum di Davos, titola: “Dategli carri armati!’: le élite di Davos si stringono attorno all’Ucraina“.

In realtà, tale esortazione, come si legge nell’articolo, è stata fatta dall’ex premier britannico Boris Johnson, il quale a Davos era seduto accanto a Fareed Zakaria, il cronista della Cnn che ha moderato l’apparizione (via etere) di Zelensky al Forum.

Ma, secondo Tharoor, Johnson ha parlato a nome di tutti i miliardari convenuti al convegno, che non a caso si è tenuto in concomitanza dell’assise Nato di Ramstein. Un combinato disposto che evidenzia chi vuole che questa guerra prosegua a oltranza.

Già, perché l’invio di armi a Kiev, a differenza di quanto affermano i suoi potenti sostenitori, non porterà alla sconfitta della Russia e alla liberazione dell’Ucraina, né quindi alla pace. Servirà solo a prolungare il conflitto.

Le guerre di logoramento e il viaggio a Kiev del Capo della Cia​

Tale prospettiva è spiegata, anche se in maniera asettica, da un articolo di Max Fisher pubblicato oggi sul New York Times, nel quale la guerra ucraina viene paragonata ad altre, attuali e del passato.

Dopo aver registrato che nessuna grande potenza ha condotto guerre su ampia scala – con impiego massivo di fanteria e armamenti – in tempi recenti, avendo condotto solo guerre ibride e tecnologiche, spiega che questo tipo di conflitti sono recentemente scoppiati solo tra Paesi non eccessivamente potenti (guerra Iran-Iraq; Armenia-Azerbaigian etc).

Tali guerre, al modo di quella ucraina, hanno preso la forma di guerre di logoramento e non sono mai terminate con un vincitore e uno sconfitto, ma, come la guerra di Corea, con uno stallo spesso decennale, in cui si alternano fasi “attive” a lunghi periodi di tregua.

Insomma, i trionfali proclami sulla vittoria ucraina servono a sollecitare un supporto esterno (politico, economico e militare), ma non hanno basi reali.

Inoltre, come registrato in questi “70 anni di conflitti”, lo schema delle guerre di logoramento “offre un’altra lezione: un eventuale cambiamento politico all’interno dei paesi [in guerra] raramente comporta quel tipo di svolta che gli osservatori sperano possa un giorno portare Mosca a ritirarsi. La decennale invasione sovietica dell’Afghanistan, ad esempio, si è solo aggravata con l’ascesa al potere del leader riformista Mikhail Gorbaciov, avvenuta nel 1985″.

Terza lezione dell’articolo: Stephanie Carvin, un’analista canadese ha scritto in un suo saggio: “Le armi possono aiutare ad arrivare a un cessate il fuoco, ma non possono creare da sole una pace stabilita e duratura”.

Il fatto che un articolo di questo genere sia stato pubblicato sul Nyt proprio mentre a Davos si afferma l’esatto contrario è alquanto interessante. Ma, per tornare a Davos e all’articolo del Wp dal titolo delirante che abbiamo citato in precedenza, ne riportiamo un cenno che, a una prima lettura, passa quasi inosservato.

Un cenno che riguarda la visita del Capo della Cia a Kiev… Così sul Wp: “William J. Burns si è recentemente recato a Kiev per incontrare Zelensky per informarlo sulle aspettative degli Stati Uniti per le prossime campagne militari contro la Russia e comunicare che, a un certo punto, potrebbe diventare più difficile conservare all’Ucraina l’attuale livello di assistenza”. Per questo, spiega il Wp, occorre forzare adesso. Cenno significativo, appunto.
 
gli educatori non dovrebbero intervenire senza informare i genitori a meno che non ci siano prove di abusi fisici a casa.

e' una scelta che dovrebbe prendere la famiglia e non le istituzioni federali.

e sta di fatto che la prassi scolastica affrettano il passaggio in maniera irrazionale e senza alcun tipo di rassicurazione da parte loro.

c'è un passo nell'articolo che solleva preoccupazione :

"( i genitori) non possono sollevare preoccupazioni senza essere completamente tagliati o avere la loro casa etichettata come "non sicura".

When Students Change Gender Identity, and Parents Don’t Know
 
Timeline of the Biden Documents Case: What We Know So Far

Details continue to emerge regarding the discovery of classified documentsfrom the Obama administration that had been improperly stored in locations associated with President Biden.
Here is what we know about how events unfolded, based on statements from Attorney General Merrick B. Garland, the White House and Mr. Biden’s personal lawyer:
Nov. 2: Mr. Biden’s lawyers discovered a “small number” of classified documents in what the White House has described as a locked closet for an office Mr. Biden had used at the Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement, a think tank in Washington. The administration said it reported this discovery to the National Archives that day.
Nov. 3: The National Archives retrieved the materials from the closet, according to the administration.
Nov. 4: Archives officials referred the matter to the Justice Department.
Nov. 10: The Justice Department informed Mr. Biden’s legal team that it had begun a preliminary inquiry into what happened, according to a timeline released by one of Mr. Biden’s lawyers.
Nov. 14: Mr. Garland selected John R. Lausch Jr., the U.S. attorney in Chicago, to conduct a preliminary assessment of the material to determine whether a special counsel was needed.
Dec. 20: Mr. Biden’s lawyers told Mr. Lausch that they had found a second set of classified documents in the garage of his house in Wilmington, Del., according to Mr. Garland. The administration separately said it “immediately” notified the Justice Department upon finding a “small number” of such files in a storage space in the garage.
Jan. 5: Mr. Lausch told Mr. Garland that a special counsel was warranted.
Jan. 9: CBS News reported on the existence of the documents found at the Penn Biden Center. The White House acknowledged the matter in a statement but made no reference to the documents found at the president’s home in Wilmington.
Jan. 10: Mr. Biden told reporters in Mexico City that he was “surprised” to learn in the fall that classified documents had been taken to his former office at the think tank, but he did not disclose that more documents had been found.
Jan. 11: NBC News reported that a second batch of classified records had been found, but without details like when and where. It would later become clear this was the batch found in the garage on Dec. 20. Mr. Biden’s aides searched his houses in Wilmington and Rehoboth Beach, Del., for any additional records, according to a timeline shared by one of Mr. Biden’s lawyers.
Jan. 12: The White House publicly acknowledged that documents had been found in Mr. Biden’s garage, along with one additional page with classified information that had been “discovered among stored materials in an adjacent room.” A search of the Biden home in Rehoboth Beach, Del., did not uncover any documents, the administration said. Mr. Garland announced he was appointing Robert K. Hur as special counsel to investigate.
Jan. 14: The White House issued a statement that five more pages of classified information had been discovered in the storage room adjacent to Mr. Biden’s garage hours after its statement on Jan. 12.
Jan. 21: Mr. Biden’s personal lawyer said in a statement that Justice Department investigators had seized more than half a dozen additional documents, some of which were classified, in a search of the president’s home in Wilmington, Del., on Jan. 20.
 
HO DECISO ( OVVIAMENTE NON LO TRADUCO IO, PERCHè SAREBBE UN LAVORO ARDUO, MA GOOGLE TRANSLATE ) CHE DA OGGI ANCHE LE NOTIZIE IN INGLESE O IN QUALSIASI ALTRA LINGUA SARANNO TRADOTTE IN ITALIANO.

QUINDI CI SARANNO ERRORI GRAMMATICALI , QUASI SICURAMENTE, PERCHé GOOGLE TRASLATE PER QUANTO NE SO TRADUCE I VERBI MA NON I TEMPI O I PHRASAL VERB ECC.... QUINDI CHIEDO SCUSA PER GLI ERRORI FUTURI.
 
Ultima modifica:
Orthodox Bishop Denounces Ukrainian Crimes at the UNSC

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Il vescovo ortodosso denuncia i crimini ucraini al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite​

La Chiesa ortodossa russa si è recata all'ONU per denunciare i crimini ucraini. In una riunione del Consiglio di sicurezza il 17 gennaio, invitata dalla rappresentanza diplomatica russa alle Nazioni Unite, un vescovo ortodosso legato al Patriarcato di Mosca ha commentato la situazione della Chiesa ortodossa in Ucraina di fronte alle persecuzioni imposte dal regime neonazista di Kiev. Questa è stata la prima volta che un rappresentante del clero ortodosso si è rivolto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

Il vescovo scelto per l'interazione era presidente del Dipartimento delle relazioni esterne della Chiesa del Patriarcato di Mosca, metropolita di Volokolamsk, Antonio. Ha chiarito a tutti i diplomatici del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che la Chiesa ortodossa sta attualmente vivendo una grave oppressione politica e religiosa sotto il governo ucraino. Il metropolita Anthony ha detto che i russi sono "estremamente preoccupati per le palesi violazioni dei diritti universali e costituzionali dei credenti ortodossi in Ucraina".

Il vescovo ha esposto alcuni dati scioccanti sulla realtà ucraina. A causa del divieto di ortodossa recentemente imposto dal regime di Zelensky, tredici vescovi ucraini furono effettivamente privati della propria cittadinanza ucraina. Con questa misura, i neonazisti intendono costringere il clero a smettere di disobbedire alle norme dittatoriali volte a vietare la Chiesa. Attualmente, i chierici ucraini stanno cercando di resistere alle imposizioni del regime, continuando a offrire servizi liturgici e proteggendo le tradizioni locali.

Tuttavia, se i vescovi continuano a perdere la cittadinanza, saranno certamente costretti all'esilio, il che complicherà ulteriormente la situazione per i credenti ortodossi in Ucraina. Il vescovo ha anche sottolineato che queste revoche della cittadinanza sono decretate irregolarmente, senza alcuna procedura legale che le legittimi, violando così la costituzione del paese.

Un altro dato da lui informato riguarda il processo di espropriazione della Chiesa russa. Il metropolita Anthony ha riferito nel suo discorso che solo l'anno scorso 129 chiese appartenenti al Patriarcato di Mosca sono state catturate dagli agenti del regime ucraino. Parte di queste chiese espropriate vengono poi utilizzate per scopi non religiosi, mentre altre vengono date alla setta ultranazionalista e non cannica chiamata "Patriarchato di Kiev", che è ampiamente sostenuta dalla Maidan Junta, in quanto adotta l'ideologia neonazista anti-russa dello stato ucraino. È importante ricordare che i credenti ortodossi ucraini sono canonicamente legati al Patriarcato di Mosca, quindi questi atti del regime di Kiev sono un attacco contro la religione del popolo ucraino stesso.

Il capo degli affari esteri della Chiesa russa ha anche sottolineato l'importanza di comprendere l'attuale situazione della Chiesa come una sorta di repressione politica di massa. Ha detto ai delegati del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che dall'anno scorso gli agenti della SBU (agenzia di intelligence ucraina) svolgono costantemente operazioni violente nelle chiese ortodosse, durante le quali il clero viene pubblicamente umiliato e i templi profanati. Ha paragonato l'oppressione subita oggi con quella dei primi anni dell'Unione Sovietica.

Questi recenti attacchi hanno avuto luogo ufficialmente, poiché lo stato ucraino ha avviato una campagna di divieti contro tutte le istituzioni legate alla Russia. Tuttavia, illegalmente, dal 2014 c'è stata una forte persecuzione contro la Chiesa ortodossa nelle regioni con una maggioranza di etnia russa. Le milizie neonaziste hanno distrutto i templi e ucciso il clero e i credenti nel Donbass durante le ostilità contro le forze di resistenza. Ci sono diverse foto e video che circolano su internet che mostrano l'oppressione a cui è stata sottoposta la Chiesa ortodossa in Ucraina.

Secondo il metropolita Antonio, poiché la Chiesa ortodossa è la fede maggioritaria sia dei russi che degli ucraini, può servire come base per un dialogo pacifico verso la fine delle ostilità. La recente iniziativa russa, respinta da Kiev, di stabilire un cessate il fuoco temporaneo durante il Natale ortodosso ne è un esempio. Tuttavia, dal momento in cui una delle parti inizia a opprimere deliberatamente la Chiesa, la possibilità di dialogo cessa. Pertanto, la società internazionale deve prestare attenzione alla situazione della Chiesa in Ucraina e chiedere cambiamenti nella posizione di Kiev.

Inoltre, le relazioni del vescovo dovrebbero generare discussioni anche nel mondo occidentale, poiché è inaccettabile che il regime che promuove la persecuzione etnica e religiosa continui a ricevere denaro e armi dall'Occidente. Sebbene la NATO abbia già chiarito più volte che non ha preoccupazioni umanitarie e che è disposta a fare qualsiasi cosa per "sconfiggere" la Russia, è importante che i costi di questa guerra siano noti all'opinione pubblica occidentale.

Discorso del presidente del DECR, il metropolita Anthony di Volokolamsk, alla riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite​

Il 17 gennaio 2023, il metropolita Anthony di Volokolamsk, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, ha pronunciato un discorso on-line alla riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Dear Sig. Presidente:


Vi ringrazio per l'opportunità di affrontare questo illustre incontro. La Chiesa ortodossa russa da sola e in collaborazione con altre chiese ortodosse, la Chiesa cattolica romana, le confessioni protestanti e i rappresentanti delle religioni tradizionali mondiali sta partecipando nel regno delle possibilità nella difesa dei diritti dei credenti religiosi di tutto il mondo, e dei cristiani in particolare. Attualmente siamo seriamente preoccupati per la flagrante violazione dei diritti umani e costituzionali dei cristiani ortodossi in Ucraina.

È difficile sopravvalutare il potenziale di pacificazione della Chiesa e della religione nei conflitti interstatali e civili. Il cristianesimo ortodosso è stato una base spirituale e culturale comune della vita delle persone in Russia e Ucraina per molti secoli e potrebbe aiutare a ripristinare la comprensione reciproca in futuro. Tuttavia, la base stessa di tale dialogo è stata minata in Ucraina in questo momento dai tentativi delle autorità ucraine di distruggere la Chiesa ortodossa ucraina, che non è un'organizzazione politica, ma religiosa che unisce oltre 12.000 comunità e milioni di cittadini ucraini.

Il 1° dicembre 2022, il Consiglio nazionale di sicurezza e difesa dell'Ucraina ha preso una decisione che in realtà limita i diritti delle comunità della Chiesa ortodossa ucraina. L'organo esecutivo ha emesso istruzioni:

– redigere un disegno di legge “sull’impossibilità di attività in Ucraina di organizzazioni religiose affiliate a centri di influenza in Russia”. In realtà, questo significa il divieto della Chiesa ortodossa ucraina, anche se il suo centro di governo è a Kiev e non a Mosca ed è indipendente dalla Chiesa ortodossa russa nella sua amministrazione;

– intensificare le “misure” di controspionaggio delle forze speciali ucraine in relazione alla Chiesa ortodossa ucraina;

– privare la Chiesa ortodossa ucraina (UOC) del diritto di utilizzare edifici ecclesiastici situati sul territorio del più importante monastero storico – la Laura delle Grotte di Kiev;

– imporre le cosiddette sanzioni contro i ecclesiastici dell’UOC.

Lo stesso giorno, il presidente dell'Ucraina Volodymyr A. Zelensky ha affermato la decisione nel suo decreto. I suoi decreti emessi in seguito includono un elenco dei vescovi "sanzionato" della Chiesa ortodossa ucraina. Oltre a tutto il resto, le "sanzioni" significano la privazione del diritto di amministrare la proprietà nel territorio dell'Ucraina. Inoltre, i mass media ucraini riferiscono che alcuni vescovi della Chiesa ortodossa ucraina sono stati privati della cittadinanza ucraina con decreto del presidente Zelensky. Questo può essere usato per la loro espulsione forzata dal paese.

Mentre l'articolo 25 della Costituzione dell'Ucraina afferma: “Un cittadino ucraino non può essere privato della cittadinanza e del diritto di cambiare cittadinanza. Un cittadino ucraino non deve essere espulso dall'Ucraina”.

L'articolo 9 della Convenzione delle Nazioni Unite sulla riduzione dell'apolidia, a cui l'Ucraina ha aderito nel 2013, afferma: "Uno Stato contraente non può privare alcuna persona o gruppo di persone della loro nazionalità per motivi razziali, etnici, religiosi o politici".

Le liste di proscrizione dei vescovi e degli ecclesiastici ucraini sono emesse dal Consiglio di sicurezza nazionale e difesa dell'Ucraina senza procedure giudiziarie e investigative legali e senza la possibilità di impugnare la decisione. Le "sanzioni" e la privazione della cittadinanza vengono applicate esclusivamente contro i membri del clero di una confessione, mentre l'articolo 24 della Costituzione dell'Ucraina afferma che non ci saranno privilegi o restrizioni ai diritti dei cittadini ucraini basati su credenze religiose.

Pertanto, la privazione della cittadinanza delle figure religiose ucraine è una forma di repressione politica di massa che contravviene alla Costituzione dell'Ucraina e agli accordi internazionali adottati da questo stato. Violati in questo caso sono i diritti e le libertà la cui restrizione è vietata dalla Costituzione dell'Ucraina anche alle condizioni della legge marziale o di uno stato di emergenza.

Dall'ottobre 2022, il servizio di sicurezza ucraino ha svolto ricerche di massa nei monasteri e nelle comunità della Chiesa ortodossa ucraina in tutto il paese con il pretesto di "misure di controspionaggio". L'onore e la dignità degli ecclesiastici sono umiliati; i mass media fanno circolare false voci calunniose. I procedimenti penali sono stati avviati contro vescovi e ecclesiastici della Chiesa ortodossa ucraina sulla base di insididi e pretesti. Come negli anni di persecuzioni ateetiche in Unione Sovietica, sono irragionevolmente accusati di attività anti-statali. Spesso, vecchi giornali e riviste, libri di teologia e storia provenienti da biblioteche private delle vittime sono usati come prove incriminanti.

Le repressioni politiche contro i vescovi della Chiesa ortodossa ucraina sono diventate il culmine della politica religiosa repressiva delle autorità ucraine negli ultimi anni. L'obiettivo finale è il controllo totale della vita religiosa della società da parte degli organi di governo in violazione dell'articolo 35 della Costituzione dell'Ucraina sulla separazione della Chiesa dallo Stato.

Nel 2018, la cosiddetta “Chiesa ortodossa dell’Ucraina” è stata creata con un’attiva interferenza anticostituzionale dell’apparato statale e dei servizi speciali ucraini e con gravi violazioni della legge canonica ortodossa. Le ulteriori azioni delle autorità mirano a costringere le comunità della Chiesa ortodossa ucraina ad aderire alla nuova organizzazione religiosa che è stata creata dallo stato ucraino e rimane nelle sue buone grazie.

Nel 2019, le nuove norme della legislazione religiosa sono state introdotte in Ucraina per semplificare i sequestri degli edifici ecclesiastici attraverso riferimenti fasulli tra i residenti delle entità territoriali con la partecipazione degli estranei che possono essere armati e ignorare l'opinione dei membri delle comunità religiose di queste chiese. I sequestri sono accompagnati da falsificazione di documenti, palese violazioni della legge, conflitti e scontri di massa e pestaggio dei fedeli e del clero. Centoventinove edifici ecclesiastici della Chiesa ortodossa ucraina sono stati sequestrati nel 2022. La registrazione legale delle sue nuove comunità è stata completamente bloccata.

Nello stesso anno, fu approvata una legge sul cambiamento del nome della Chiesa ortodossa ucraina con un obiettivo facilmente riconoscibile di alienare la sua proprietà. La legge non era conforme alla Costituzione dell'Ucraina e un gruppo di deputati della Verkhovna Rada ha presentato una denuncia. La legge è stata sospesa in attesa dell'esame da parte della Corte costituzionale dell'Ucraina. Tuttavia, il mese scorso questa legge è entrata in vigore. Attualmente ci sono altri sette disegni di legge registrati nella Verkhovna Rada volti a limitare i diritti della Chiesa ortodossa ucraina o a sradicarlo. I legislatori non velano l'obiettivo dei loro progetti, che è quello di limitare i diritti delle comunità e dei fedeli della Chiesa ortodossa ucraina, di togliere con la forza le sue proprietà, privarla del suo nome storico e legale, proibirle di essere nominata ortodossa e, infine, di vietare le sue attività e sradicarla completamente nel territorio dell'Ucraina.

Sfidando il principio di separazione della Chiesa dallo Stato affermato dall'articolo 35 della Costituzione dell'Ucraina, le agenzie governative e i comuni ucraini stanno effettivamente vietando l'uso dei criteri teologici e canonici della chiesa interna nella valutazione di eventi e sviluppi legati alla religione e chiedono ufficialmente alle comunità della Chiesa ortodossa ucraina di unirsi ad altre organizzazioni religiose.

La sfrenata campagna di calunnia contro la Chiesa ortodossa ucraina viene condotta dai mass media ucraini con gli appelli a imporre un divieto assoluto sulle sue attività, a usare la pressione e la violenza contro i suoi rappresentanti, questo è un chiaro segno del linguaggio dell'odio. Questo tipo di copertura mediatica ha portato all'ondata di violenza contro i fedeli, tra cui molti casi di vandalismo e incendi dolosi agli edifici delle chiese, pestaggi degli ecclesiastici o persino tentati omicidi a volte durante i servizi divini.

Signor Presidente, stimati membri del Consiglio, a conclusione del mio discorso vorrei chiamarle per prestare attenzione alle azioni illegali delle autorità statali ucraine in relazione alla più grande confessione del paese, ai numerosi fatti della violazione dei diritti dei fedeli garantiti dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di tutte le forme di intolleranza e discriminazione basata sulla di libertà religiosa ad ogni essere umano.
 
Nebenzia: Ukraine Stands on the Brink of a Large-Scale Inter-Confessional Conflict Without Precedents in Modern European History

17012023n

Signor Presidente,

Abbiamo seguito da vicino il briefing del Vice Alto Commissario per i diritti umani, la signora Ilze Brands-Kheris. Vorrei sottolineare che la Federazione russa procede ancora dall'intesa che le questioni relative ai diritti umani non rientrano nelle competenze del Consiglio di sicurezza e devono essere affrontate presso organismi specializzati delle Nazioni Unite. Ciò che è all’ordine del giorno del Consiglio oggi non sono i diritti umani come argomento autonomo, ma un’altra serie di passi provocatori intrapresi dal regime di Kiev che rimandano le prospettive di una soluzione pacifica in Ucraina. Ecco perché abbiamo richiesto questa riunione nell'ambito del punto all'ordine del giorno "Miee alla pace e alla sicurezza internazionali".

Ringraziamo il metropolita Anthony, capo del dipartimento per le relazioni ecclesiastiche esterne del Patriarcato di Mosca, per aver fornito un resoconto dettagliato delle azioni repressive di Kiev contro la Chiesa ortodossa ucraina (UOC).

Colleghi,

Scommetto che molti di voi si sono chiedi perché abbiamo convocato questa riunione per concentrarci sulla situazione interna in Ucraina. Sottolineo che non si tratta di interferire negli affari della chiesa, e non di questioni che sono esclusivamente ecclesiastiche. Il fatto è che i processi attualmente in corso in Ucraina hanno un impatto sulla pace e la sicurezza internazionali e influenzano direttamente le prospettive di instaurare la pace nel paese.

Come abbiamo detto durante la riunione del 13 gennaio, la formazione di un regime veramente autoritario e dispotico ha notevolmente accelerato in Ucraina ultimamente. Una campagna onnicomprensiva contro la dissidenza è in corso - da un divieto completo dell'opposizione all'arresto dei leader dell'opinione pubblica, alla cancellazione della libertà dei media e persino alla libertà di religione in quanto tale.

Dobbiamo renderci conto che questa repressione nello spazio pubblico e culturale ucraino si è manifestata non oggi e non nel febbraio dello scorso anno, ma molto prima. Da quando l'attuale regime è salito al potere nel 2014 dopo un'acquisizione incostituzionale, ha iniziato a annientare sistematicamente tutto ciò che credevano avesse anche un legame più remoto con la Russia. In un paese in cui la lingua russa è nativa della maggioranza della popolazione e che aveva trascorso secoli in unità culturale con la Russia, attuare tale politica intendeva letteralmente sradicare i pilastri fondamentali della società e diffondere un concetto innaturale dell'Ucraina come "anti-Russia". Va quindi notato che i russi costituiscono il secondo gruppo etnico più grande in Ucraina, al quale la Costituzione dell'Ucraina garantisce il libero sviluppo, l'uso e la protezione del russo e di altre lingue delle minoranze nazionali dell'Ucraina (articolo 10); che lo Stato promuove il consolidamento e lo sviluppo della nazione ucraina, la sua coscienza storica, tradizioni e cultura, nonché lo sviluppo dell'identità origine etnica e sociale, stato patrimoniale, luogo di residenza, caratteristiche linguistiche o di altro tipo (articolo 24); ai cittadini appartenenti a minoranze nazionali è garantito il diritto di ricevere l'istruzione nella loro lingua madre o di studiare la loro lingua madre negli istituti di istruzione statali e comunali e attraverso società culturali nazionali conformemente alla legge (articolo 53).

Le misure adottate dal regime di Kiev sono in contrasto con gli obblighi dell’Ucraina di proteggere i diritti di tutti i gruppi etnici derivanti da una serie di documenti internazionali. In particolare, il divieto di discriminazione delle minoranze nazionali e le garanzie del diritto all'istruzione, nonché il diritto di preservare la cultura e l'apprendimento delle lingue native sono sanciti in documenti quali la Convenzione internazionale del 1965 sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale; il Patto internazionale dei diritti civili e politici del 1966; la Convenzione dell'UNESCO contro la discriminazione nell'istruzione del 1960; Diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose e linguistiche; il documento del 1990 della riunione di Copenaghen della Conferenza sulla dimensione umana della CSCE. Almeno 13 leggi e decisioni approvate dal regime ucraino nel 2016-2022 contraddicono i suddetti obblighi dell'Ucraina derivanti dalla sua Costituzione o dai suoi trattati internazionali.

Ciò ha portato a un'ondata senza precedenti (anche per l'Ucraina) di russofobia che è stata istigata dalla cima dell'establishment ucraino. Nel settembre 2021 il presidente Zelensky ha offerto a tutti i residenti dell'Ucraina che si sono identificati come russi di lasciare il paese. Il segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale O.Danilov è arrivato a chiamare i russi "ratti" e "cani suini" e ha chiesto di cacciarli e sterminarli.

Signor Presidente,

Una volta che la Russia ha iniziato un'operazione militare speciale in Ucraina, la dittatura di Zelensky ha iniziato ad evolversi molto velocemente. Con il pretesto di combattere il separatismo e la "propaganda del Cremlino", c'è stata una diffusa persecuzione di oppositori politici, giornalisti e media indipendenti, nonché di membri di organizzazioni pubbliche nella lista nera dalle autorità.

Nel corso di pochi mesi, sono stati eliminati tutti i partiti di opposizione che hanno sostenuto la promozione di normali relazioni con la Russia. Nei territori controllati dal regime di Zelensky, le repressioni politiche di massa, le detenzioni di attivisti civili e difensori dei diritti sono in pieno svolgimento. Qualsiasi espressione di disaccordo con la posizione ufficiale è estirpata.

Così, l'attivista per i diritti ucraini E.Berezhnaya, che aveva trascorso 8 anni a studiare e documentare l'evoluzione del neonazismo in Ucraina e si è rivolto al Consiglio di sicurezza nel marzo dello scorso anno, è stato arrestato dai servizi speciali ucraini e rimane ancora in custodia con assurde accuse di tradimento statale. Abbiamo ripetutamente richiamato l’attenzione del Segretario generale e del Consiglio di sicurezza su questo caso eclatante. Chiediamo alla leadership delle Nazioni Unite di intervenire e aiutarla a liberarla. Siamo a conoscenza di centinaia di altri casi in cui le persone vengono perseguitate o arrestate non solo a causa di pubblicazioni o dichiarazioni che hanno fatto, ma anche a causa di denunce. O anche perché ascoltavano musica russa o leggevano i media russi. Quelle persone costituiscono il "pool di scambio" che ci viene offerto di scambiare per i PoW ucraini. Poiché molti militari ucraini diventano prigionieri, Kiev cerca di espandere il suo "pool di scambio" con tutti i mezzi possibili, compresi gli arresti a tutto campo tra la popolazione civile.

La "guerra agli occupanti" è servita come pretesto per le autorità ucraine per adottare una serie di leggi veramente draconiane, tra cui la legislazione sui "collaboratori", che consente di ritenere le persone responsabili anche per aver ricevuto assistenza umanitaria dalle autorità russe o per rifiutarsi di evacuare dai luoghi di residenza.

Lo spazio dei media ucraini è stato completamente ripulito da qualsiasi punto di vista alternativo. Nel dicembre 2022 V.Zelensky ha firmato la legge "Sui media" che ha trasferito tutti i mass media ucraini sotto il controllo statale. Il Consiglio nazionale della radiodiffusione televisiva e radiofonica dell'Ucraina è stato in grado di vietare i media online, sospendere la licenza dei media stampati e far sì che i fornitori di servizi Internet blocchino l'accesso a qualsiasi pubblicazione. Anche i media occidentali e la Federazione Internazionale dei Giornalisti hanno notato la natura autoritaria e discriminatoria di questa legge.

Signor Presidente,

La guerra al cristianesimo ortodosso canonico è un'altra traccia delle politiche repressive di Kiev. L'Ucraina è sull'orlo di un ampio conflitto interconfessionale, che non ha avuto precedenti nella storia europea moderna.

Sostenuti dai loro sponsor occidentali, le autorità ucraine hanno a lungo adottato un corso che cerca di minare la Chiesa ortodossa canonica dell'Ucraina. Come abbiamo sentito dal metropolita Anthony, ora la chiesa scismatica dell'Ucraina, creata artificialmente nel 2018 e resa completamente obbediente alle autorità, viene imposta con la forza al popolo ucraino. Questa è una joint venture di Kiev e degli Stati Uniti che non ha nulla a che fare con questioni di confessione.

Sulla base della legislazione discriminatoria, i siti di culto della Chiesa ortodossa ucraina vengono sequestrati e le sue comunità sono soggette a una chiusura legale ingiustificata che è mascherata da "transizioni volontarie" ad altre denominazioni. Tali misure vanno di pari passo con scontri di massa, percosse di fedeli e clero.

In tal modo i sacerdoti della cosiddetta Chiesa ortodossa dell'Ucraina nei loro cosiddetti "servizi liturgici" che assomigliano più alla campagna politica, non esitano a usare un linguaggio scismatico e odioso, parlano di "liberazione dei luoghi santi dalla prigionia russa" e "purificazione". Ricordiamo quali eventi mortali e tragici tali chiamate alla "purificazione" hanno portato in precedenza nella storia umana. L'Ucraina è solo un passo da una catastrofe religiosa interna fratricida. Tuttavia, il regime al potere aggiunge più carburante a questo incendio. Con le informazioni disponibili, al momento sono in preparazione una serie di ulteriori iniziative, che mirano a discriminare i comuni e i parrocchiani della Chiesa ortodossa ucraina, privando questa Chiesa del suo nome storico e legale e persino a eliminarla completamente.

Ulteriore pressione politica e amministrativa sulla Chiesa ortodossa ucraina è sostenuta da una campagna diffamatoria nei media ucraini, in cui partecipano attivamente politici e funzionari di alto livello. Così il 7 gennaio il capo del servizio statale dell'Ucraina per la politica etnica e la libertà di coscienza V.Yelensky ha definito l'esistenza della Chiesa ortodossa ucraina una "anomalia" che non dovrebbe avvenire in Ucraina. Il presidente della Verkhovna Rada dell'Ucraina R.Stefanchuk ha annunciato un nuovo progetto di legge contro l'UOC che dovrebbe aiutare a decidere "cosa dovremmo fare con qualche organizzazione religiosa che rappresenta una minaccia per la sicurezza nazionale dell'Ucraina".

In queste circostanze, comprendiamo la dichiarazione fatta sui social media, in cui l'UOC afferma di non aver mai chiesto alla Russia di convocare questa riunione e di non aver mai autorizzato a parlare a loro nome alle Nazioni Unite. Questo è vero. Nessuno dell'Ucraina della Chiesa ortodossa ucraina ci ha contattato con una tale richiesta, che tuttavia dimostra ancora una volta che l'UOC non è subordinata alla Russia, non importa quanto duramente il regime di Kiev cerchi di affermare il contrario. Comprendiamo che la dichiarazione menzionata è stata fatta perché la UOC non voleva ricevere un'altra accusa assurda di essere un "collaboratore" o di essere esposta all'oscurantismo e alle provocazioni delle autorità ucraine.

Permettetemi di chiederlo ai mecenati occidentali di Kiev che affermano di essere così preoccupati per i diritti umani e la libertà di coscienza. Per quanto tempo ignorerete ciò che Kiev ha fatto per incitare una crisi interconfessionale in Ucraina? E più in generale, per quanto tempo ignorerete la formazione di una dittatura spietata in quel paese? L'ultimo è retorico però. Non solo hai ignorato quei processi, ma li hai effettivamente incoraggiati negli ultimi decenni, e più specificamente negli ultimi anni. Ma cosa diresti se fossero prese tali misure nei tuoi paesi che chiami democrac? Ascritturare tutto ciò che fa Kiev come necessità di difendersi dalla Russia durante le ostilità non è un'opzione. Le tendenze che ho menzionato, vale a dire l'evoluzione dell'autoritarismo e della dittatura in Ucraina, sono iniziate molto prima dell'operazione militare speciale. Questi passi del regime di Kiev minacciano di avere implicazioni immediate per la pace e la sicurezza. La Russia, come abbiamo ripetutamente sottolineato, non ha l'obiettivo di eliminare l'Ucraina come stato, e non l'ha mai fatto. Tuttavia, non possiamo e non tollereremo il fatto che un'odiosa dittatura russofobica e anticristiana stia emergendo proprio a portata di mano.

Grazie.

Diritto di replica:

Colleghi,

Non commenterò il solito mantra di alcune delegazioni secondo cui qualsiasi cosa solleviamo in seno al Consiglio di sicurezza in merito all'Ucraina è disinformazione. Molti hanno menzionato la tragedia di Dnepropetrovsk, dove un missile ha distrutto una sezione di un edificio residenziale. I nostri colleghi occidentali hanno cercato di usare questa tragedia per travisare l'argomento che abbiamo proposto per questa sessione, dichiarandolo falso e indegno di discussione. Ma nessuno di voi ha parlato del vero background di quegli eventi, che erano stati forniti tra l'altro da funzionari ucraini.

Un missile russo che ha preso di mira un impianto infrastrutturale energetico è stato abbattuto dalla difesa aerea ucraina. Poiché il lanciatore di difesa aerea è stato posizionato in un quartiere residenziale contrario alle norme del diritto internazionale umanitario a cui tieni così tanto, il missile è caduto su un edificio residenziale. Il resto lo sai. Se le autorità ucraine avessero fatto l'orato del diritto internazionale umanitario, questa tragedia non sarebbe mai avvenuta. E la Russia non avrebbe avuto bisogno di prendere di mira un'infrastruttura a sostegno della capacità militare dell'Ucraina se la leadership ucraina avesse dimostrato la disponibilità a negoziare a condizioni realistiche che avrebbero permesso di sollevare le cause per cui l'operazione militare speciale era stata avviata.

Ci rammarichiamo che nessuno di voi abbia detto una parola di condanna di attacchi aerei quasi inarrestabili da parte delle forze armate ucraine contro Donetsk che uccidono anche persone. In questo caso, tuttavia, il regime di Kiev prende deliberatamente di mira quartieri residenziali dove non ci sono strutture militari. I residenti di Donetsk vi diranno di più in una riunione di Arria che riuniremo venerdì.

Grazie.

Statement by Permanent Representative Vassily Nebenzia at UNSC briefing on persecution of Orthodox Christianity by Ukrainian authorities
 
Mal d'Atlantico

A quasi un anno dall’invasione russa dell’Ucraina la NATO pensa in grande, ma le sue ambizioni globali si scontrano con le debolezze e le contraddizioni dei suoi membri.


L’avevamo lasciata in stato vegetativo, sospesa tra una vita che si prospettava menomata e una morte a metà tra il suicidio annunciato e l’eutanasia compassionevole. E invece, sfuggita contro ogni pronostico a quella che qualcuno diceva (e sperava) fosse una condizione terminale, la NATO può tirare un momentaneo sospiro di sollievo. Merito, si fa per dire, dell’invasione russa dell’Ucraina: coi paradigmi della sicurezza globale post-11 settembre stravolti dal conflitto, l’alleanza pare avviata a smaltire la sbornia controinsurrezionale degli ultimi vent’anni in favore di una visione militare e politica nuovamente orientata alla competizione aperta tra grandi potenze. Riprende così la controversa espansione del blocco atlantico, che si appresta ad allargare i propri confini alla Scandinavia con l’implicita certezza di poter presto annoverare nei suoi ranghi Kiev e Tbilisi, mentre l’Europa va timidamente incontro ad una prolungata stagione di riarmo.

Negli orizzonti futuri dell’alleanza non ci sono però soltanto Putin e il suo regime. Ben conscia che la crisi ucraina rappresenta un rimedio temporaneo ai molti mali che l’affliggono, da necessaria la NATO punta a rendersi indispensabile, inserendosi a gamba tesa nella sempre più intensa rivalità tra l’Occidente la Cina. Il Concetto Strategico 2030, documento programmatico pubblicato lo scorso ottobre, non fa mistero della crescente ostilità di Bruxelles nei confronti della Repubblica Popolare, indicata senza giri di parole come il principale competitor a lungo termine della coalizione euro-americana. Non a caso al summit di Madrid che ha fatto da cornice alla presentazione del libro bianco hanno preso parte, in via eccezionale, anche rappresentanti di Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Corea del Sud: per battere il Dragone bisogna entrare nella sua tana.

Ma il novello Sigfrido potrebbe avere la spada spuntata. Se è vero che lo scontro con Mosca ha restituito alla NATO almeno parte di un vigore che si aveva ragione di credere fosse perduto per sempre, immaginare un ritorno ai fasti della Guerra Fredda è a dir poco prematuro. Tre decenni di ridimensionamento hanno inevitabilmente blandito il potenziale dell’Organizzazione, costretta ora a fare i conti con un’emorragia di materiale bellico che la sua risicata base industriale fatica ad arrestare. Gli arsenali sono vuoti: venti Paesi membri su trenta avrebbero esaurito il proprio surplus, divorato dal buco nero ucraino, e i restanti si sono visti costretti a tagliare significativamente gli aiuti inviati alla nazione assediata. Perfino i munifici Stati Uniti sembrano non riuscire a sostenere l’enorme livello di attrito; tenuta presente la rilevante eccezione di una batteria lanciamissili Patriot, il grosso degli stanziamenti approvati dal Congresso a dicembre è destinato a procurare mezzi leggeri e altre voci d’inventario secondarie, segno inconfondibile di un affaticamento che va diventando cronico.

Scarseggiano su tutto le munizioni per l’artiglieria, unico strumento utile in assenza di un numero apprezzabile di assetti aerei per tentare di rompere l’impasse calata sul fronte dopo le offensive dello scorso autunno. Semplicemente la produzione non tiene il passo della domanda: basti pensare che l’intero output mensile americano di granate da 155mm, circa 15mila unità, è a malapena sufficiente per un giorno di combattimenti. Sebbene interessi anche gli apparati logistici del Cremlino, in Occidente il problema degli approvvigionamenti è acuito dalla persistente riluttanza delle aziende del settore ad investire in impianti che si teme cadrebbero in disuso una volta terminata la guerra; i colossi degli armamenti non sono disposti a rischiare senza garanzie concrete da parte di classi dirigenti ovunque poco inclini ad intestarsi un aumento delle spese militari in tempi di recessione serpeggiante.

Anche dove si è scelto di implementarli, questi nuovi stanziamenti rispondono sovente ad agende interne svincolate dagli obiettivi di più ampio respiro della NATO. È il caso del Regno Unito, per il quale il rafforzamento delle proprie capacità di proiezione rappresenta un trampolino di lancio per riaffermarsi come potenza di rango mondiale, e della Polonia, che scommette su un impressionante processo di riarmo (tra il 2012 e il 2022 Varsavia ha pressoché raddoppiato il budget militare, oggi pari al 5% del PIL) per sbilanciare l’Unione Europea a proprio vantaggio e scalzare il duo franco-tedesco dalla posizione privilegiata che vi occupa. Piani ambiziosi, che tuttavia potrebbero sfumare con sorprendente facilità. È infatti assai plausibile che il laburista Keir Starmer, probabile rimpiazzo del neopremier Rishi Sunak al numero 10 di Downing Street, riporti i finanziamenti allocati alle forze armate di Sua Maestà a livelli antebellici, mentre resta da vedere se e come il bilancio pubblico polacco riuscirà ad assorbire il repentino incremento del deficit causato dalle compere pazze di questo ultimo periodo; difficile comunque credere che si sia disposti a portare indefinitamente avanti una linea di policy così dispendiosa, men che meno in un’ottica di contenimento della Cina.

Fatica a prendere piede pure l’adeguamento agli standard di spesa NATO della Germania, impantanata in un feroce dibattito su come impiegare i 100 miliardi di euro messi a disposizione dal Bundestag per ammodernare la trascuratissima Difesa teutonica. Introdurre sistemi d’arma all’avanguardia o assicurarsi quanto necessario ad impiegare quelli esistenti: cadute nel vuoto le richieste per un ulteriore aumento dei fondi, gli alti comandi e i loro corrispettivi civili si trovano a dover compiere una scelta prevedibilmente laboriosa. Preoccupa inoltre l’ambiguità dei tedeschi, dimostratisi in più occasioni restii a prestare pieno sostegno all’Ucraina in favore di un approccio diplomatico che consentisse loro di preservare gli importanti rapporti commerciali instaurati con la Federazione Russa. Per Berlino il mercantilismo è tanto una scelta quanto una necessità: lo sa bene Xi Jinping, che con l’acquisizione di una quota del porto di Amburgo può vantare un altro successo nell’incessante ricerca di teste di ponte europee per la sua monumentale Belt and Road Initiative.

L’avanzata della Nuova Via della Seta nel Vecchio Continente pone più di qualche dubbio rispetto alla professata fede atlantista di diversi Stati membri. Non fa eccezione l’Italia, a lungo terra di conquista dei danarosi magnati asiatici ora alle prese con due dossier — il porto di Trieste e la presenza di Huawei nel Paese— su cui pesano le simpatie filocinesi di alcuni elementi dell’attuale opposizione, Movimento Cinque Stelle in testa. Quella con Pechino è insomma una battaglia trasversale, e i nostri avversari l’hanno capito prima di noi. Forte di risorse apparentemente inesauribili, la Cina immagina di poter vincere senza sparare nemmeno un colpo; qualora poi si dovesse iniziare a sparare per davvero (i servizi USA prevedono un tentativo d’invasione di Taiwan già per il 2026), in un attimo l’Occidente si ritroverebbe impossibilitato a soddisfare anche i suoi più semplici bisogni manifatturieri.

Il collasso delle filiere seguito allo scoppio della pandemia COVID-19 ha messo a nudo questo tallone d’Achille. L’intero sistema economico internazionale poggia su un unico mercato, per giunta assoggettato al volere di una minuscola oligarchia politico-burocratica e, in definitiva, di un solo uomo; uno scossone può far crollare tutto. Battere la Cina richiede allora di mettere fine a questo fenomeno di accentramento: la questione del decoupling non è più procrastinabile. Un primo, importante passo verso la reindustrializzazione lo ha mosso il Giappone, che ancora sotto il governo del defunto Shinzo Abe aveva introdotto una serie d’incentivi con cui premiare le imprese nipponiche che avessero fatto ritorno in patria; tuttavia, il Sol Levante è un’eccezione nella compagine del G7, ancora incapace di resistere all’attrattiva esercitata dal lavoro a basso costo di cui la Cina è il principale bacino.

La barriera al nascente afflato autarchico è sì economica — rinunciare alla manodopera straniera avrebbe come effetto immediato un aumento notevole del costo finale della stragrande maggioranza dei beni di consumo — ma anche politica ed ideologica. La nostra dipendenza dall’Estremo Oriente è da ascrivere in buona misura alla decisione di lasciar entrare la RPC nell’Organizzazione Mondiale del Commercio nonostante non ne avesse i requisiti, a sua volta presa in ossequio alla nozione che l’apertura economica avrebbe convertito la leadership comunista alla democrazia. Il pronostico non si è avverato, e s’inizia anzi a rendersi conto che all’errore commesso si può rimediare soltanto abbandonando la globalizzazione, divenuta la principale arma del gigante autoritario. Inutile sottolineare che un simile cambiamento sarà lento, doloroso, e dall’esito incerto.

È presto per decretare se il confronto con la Cina è già perso; gli scenari possibili sono troppi, le variabili infinite. Di una cosa soltanto si può star certi: tra le ambizioni della NATO e la loro realizzazione c’è una distanza grande quanto un oceano, il Pacifico, che si prepara ad essere la scacchiera della prossima grande sfida per l’egemonia planetaria.
 
Carri armati Leopard all'Ucraina: chi ci guadagna?

L'esercito tedesco ha 320 carri armati Leopard 2 in suo possesso. Di varianti A5, A6 e A7, in vari stadi di condizione, di riparazione e di prontezza. Utilizzabili domani per la battaglia, molti meno. La Germania non ha più esemplari della serie precedente di Leopard 1, e nemmeno modelli Leopard 2 più vecchi come l'A4. La scorsa settimana il produttore di armi Rheinmetall ha dichiarato di avere 139 Leopard in magazzino, ma di questi solo 29 Leopard 2 sarebbero stati pronti per il combattimento nella primavera di quest'anno, e teoricamente sarebbero già impegnati in paesi terzi come parte di uno scambio di carri armati.

Cosa vuol dire?

Che ai Paesi del "blocco tedesco" in Europa dell'est era stato promesso già mesi fa un invio di Leopard in sostituzione dei T-72 sovietici mandati in Ucraina. Il problema è che i T-72 sono partiti, ma di sostituti neanche l'ombra. È il caso, ad esempio, della Repubblica Ceca che infatti non può, pur volendo, mandare i suoi Leopard.

Ma paradossalmemte vista la ricchezza, la Germania ha lo stesso problema. O manda carri agli alleati, o li manda all'Ucraina. L'industria tedesca al momento non può modernizzare rapidamente i vecchi carri armati, figuriamoci produrne di nuovi.
In questo stallo, entrerebbero in scena i soliti Stati Uniti, che possono inviare qualcuno dei loro Abrams per dimostrare buona volontà e spingere la Germania a dare i suoi Leopard, per poi offrire anche ai paesi europei i loro Abrams, visto che un numero significativo dei quali è disponibile nei magazzini di stoccaggio americani. A partire dal 2022, l'esercito Usa aveva 2.700 carri armati Abrams modernizzati operativi e circa 3.500 veicoli non modernizzati in deposito.

Poiché hanno annunciato l'imminente inizio della produzione del nuovo carro armato AbramsX, sul quale dovrebbe essere riattrezzato per intero l'esercito americano, l'idea di sgomberare i magazzini riversando in Ucraina prima, e in Europa poi, i loro Abrams sembra naturale. Con la differenza che se Kiev non li paga, gli altri sì.

I paesi che hanno adottato veicoli da combattimento americani diventerebbero inoltre legati agli Usa dalle consegne di pezzi di ricambio e munizioni dall'estero.
La Polonia, che i suoi Leopard li manderà, finiti quelli sarà l'acquirente naturale di Abrams, come già di altri armamenti made in Usa.

È molto interessante constatare, in questo quadro, l'incredibile pressione a cui è sottoposta la (ormai ex) locomotiva d'Europa: la Germania.

Per una potenza industriale, uno stallo del genere vuol dire o cedere alle pressioni e quindi perdere sovranità, o mantenere sovranità ma finire per essere considerata un anello debole della coalizione occidentale.
Per i tedeschi entrambi gli scenari sono da incubo.
Alla fine verrà privilegiato il primo.

Ma c'è un'altra cosa curiosa: Germania e Usa svilupparono negli anni 70 un memorandum comune per costruire i nuovi tank.

Poi gli americani andarono per fatti loro e produssero gli Abrams. Tecnicamente, i Leopard tedeschi sono migliori, ma Berlino ha imparato ex-post che anche nel 2023 le guerre si combattono con l'apparato industriale e col rapporto qualità/prezzo anziché con l'eccellenza.

300 Leopard impossibili da sostituire valgono meno di 300 Abrams che per il potenziale bellico illimitato americano sono uno scherzo.

di Daniele Dell'Orco

#TGP #Ucraina #Usa #Germania

Fonte:
 
FINALMENTE TORNATO IN ITALIA!

PURTROPPO CON IL LAVORO NON RIESCO SEMPRE A PUBBLICARE COME VORREI MA NEL FRATTEMPO ABBIAMO AVUTO NOTIZIE INTERESSANTI RIGUARDO AL FUTURO DEL NOSTRO PIANETA.

SIAMO ARRIVATI AD UN PUNTO SENZA Più RITORNO. ORMAI SI PUO SOLO ANDARE AVANTI.

INTANTO PUBBLICO UN VIDEO TRADOTTO IN ITLAIANO DI LAVROV.

 
‼️
Sui tank
Come avevamo anticipato, i carri armati di produzione occidentale sono diventati una quarantina in breve tempo.
Ed è solo l'inizio perché nei prossimi mesi diventeranno 120/130.
Il riepilogo delle consegne attuali è il seguente:
Confermate:
🇬🇧
14 unità di Challenger 2
🇵🇱
14 unità di Leopard 2A4
🇩🇪
14 unità di Leopard 2A6
Accordo previsto e consegna in primavera:
🇵🇹
4 unità Leopard 2A6
🇪🇸
20-50 unità Leopard 2A4
🇺🇸
30 unità Abrams M1
🇳🇴
8 unità Leopard 2A4
🇫🇮
14 unità Leopard 2A4/6
In discussione:
🇳🇱
18 unità Leopard 2A6
🇩🇰
6 unità Leopard 2A5/7
In più, come da approfondimento scorso, ci saranno centinaia di Abrams americani che saranno diretti nei Paesi europei per "sbloccare" i loro Leopard e garantire una relativa copertura.
Dico relativa perché basta guardare il grafico in basso. Più che il dato della Russia (che non è reale perché il numero di tank effettivamente utili per la guerra è sensibilmente minore e anche tra questi la qualità non è eccelsa) quello che non può non saltare all'occhio è che solo un paese europeo figura tra i primi 25 al mondo per numero di carri armati in dotazione.
Ed è la Grecia, non certo una potenza continentale.
Ciò certifica che nel corso dei decenni la strategia di armamento Nato si è concentrata solo ed esclusivamente sull'aviazione e che l'Europa non voleva inviare tank a Kiev perché semplicemente non li ha. La pressione degli Usa è necessaria per sostituire i pochi carri armati europei con gli Abrams che non possono non diventare nel medio periodo il principale carro armato in Europa.
Inoltre, il grafico suggerisce che gli eserciti del Vecchio Continente in una guerra convenzionale possono solo fare da "service" per gli Stati Uniti.
Non hanno fanteria.
Non hanno tank.
Non hanno artiglieria.
Non hanno droni.
L'unica cosa a disposizione è l'aviazione che verrà comunque a breve anch'essa inserita nel dibattito per la fornitura all'Ucraina che, di fatto, è l'unico Paese in Europa in grado di fornire agli altri ciò che gli altri non hanno: i soldati.

di Daniele Dell'orco.
 
Lo scontro dialettico tra #crosetto e #Medvedev nasce dalla considerazione piuttosto tranciante del Ministro della Difesa che ha parlato di inizio di "Terza guerra mondiale" se i carri armati russi entrano a Kiev.

Una frase che francamente lì per lì non ho ben capito. Mi è stato d'aiuto però un lungo thread pubblicato su Twitter dall'account "Comandante Nebbia" la cui parte finale è stata ritwittata da Crosetto 4 giorni fa.
L'analisi, a cui suppongo si possa legare il ragionamento del Ministro che ha scatenato la reazione di Medvedev, è questa:
"In uno scenario di sconfitta ucraina, è necessario cercare di capire come l'occidente potrebbe gestire questa eventualità.
Probabilmente, se la guerra procedesse verso questo disastroso esito, sarebbe necessario dover affrontare un crollo progressivo dell'operatività ucraina.
Una grande parte di infrastrutture energetiche e attività produttive potrebbe andare distrutta oltre l'attuale già consistente aliquota e altre regioni cadere sotto il controllo russo, lasciando un'Ucraina Libera residuale molto debole e ampiamente sguarnita.
Di fronte a questa situazione di collasso imminente, NATO e EU avrebbero due scelte: lasciare che il destino ucraino si compia compromettendo in via definitiva le loro supposte capacità di deterrenza e facendo arrivare i carri russi fino ai confini europei oppure abbandonare ogni cautela e entrare in Ucraina per difenderla.
Entrambe le opzioni sono disastrose. La prima aprirebbe a una stagione di banditismo internazionale nel momento nel quale le canaglie prendessero atto che la polizia è tutta chiacchiere e distintivo.
La seconda comporterebbe conseguenze imprevedibili e incontrollabili.
Per questo, non nell'interesse dell'Ucraina, ma nel nostro stesso interesse, è molto meglio rinforzare le difese di Kiev che dover accettare una sua resa o, peggio, uno scontro diretto e finale con Mosca".
Non so a voi, ma a me, leggendolo, sono venute in mente molte obiezioni.
1) l'esistenza di un'Ucraina "molto debole e sguarnita" è a conti fatti uno degli obiettivi dichiarati dalla Russia. Perché, per contro, un'Ucraina molto forte e armata col supporto Nato ha portato proprio alla guerra attuale.
Pertanto, se l'Ucraina forte in orbita Nato non avrebbe dovuto costituire, secondo l’Occidente, motivo di preoccupazione per la Russia rendendo così "ingiustificabile" l'invasione, perché un'Ucraina debole dovrebbe essere un problema per l'Occidente? L'Occidente vuole un'Ucraina forte per cosa? Per minacciare la Russia? E allora non ha ragione a sentirsi minacciata?;
2) dicendo che sarebbe "disastroso" far arrivare i carri armati russi fino al confine dell'Europa si omette un piccolo dettaglio: i carri armati russi ai confini dell'Europa CI SONO GIÀ. In Bielorussia, ad esempio. O in Transnistria. O a Kaliningrand. Quante minacce di invasione contro Paesi Ue/Nato sono arrivati da queste realtà negli ultimi 30 anni? Se si fosse trovato il modo di impedire l'inizio di questa tragedia l’Occidente sarebbe stato più al sicuro certamente, ma ammettendo pure la capitolazione dell'Ucraina, in base a cosa l’Occidente sarebbe più a rischio di quanto, teoricamente, non lo sia già?;
3) parlare della dicotomia poliziotti del mondo/banditi in relazione al ruolo in politica estera dell'Occidente/Stati Uniti è un modo di affrontare la realtà già ampiamente condannato dalla storia.
L’Occidente non ha affatto impedito che i "banditi" talebani entrassero a Kabul.
L’Occidente non ha affatto impedito che Paesi come la Libia finissero davvero nelle mani dei banditi propriamente detti a quattro bracciate dalle nostre coste.
L’Occidente non ha affatto impedito che venissero perpetrate vergogne epocali contro popolazioni civili in diverse regioni del mondo, e talvolta le ha addirittura appoggiate.
Tutte queste cose sono successe e succedono.
Ma il mondo non è affatto finito.
In ultimo, allora, perché come dice il suddetto l'arrivo dei russi a Kiev dovrebbe essere impedito "nel nostro stesso interesse"?
Perché la grandissima obiezione principale a quel punto diventa: se le alleanze e gli accordi servono a qualcosa, allora l'Ucraina non fa parte della Nato e quindi non dovrebbe esistere nessuna "reazione automatica" nel caso in cui Kiev dovesse essere conquistata. Se invece la reazione è automatica, allora fattivamente è come le l’Ucraina fosse nella Nato. Dunque, se così è, perché la Nato combatte da un anno a distanza e non difende "i nostri interessi" direttamente già da ora senza aspettare la capitolazione dell'Ucraina?
Perché non è granché edificante lasciar intendere che le armi occidentali all'Ucraina debbano essere inviate per far sì che l'Ucraina combatta una guerra per noi, visto che fino a prova cotraria stanno morendo generazioni di ucraini.
Se l'Ucraina deve essere assistita perché è il "debole" nella contesa, allora la più grande alleanza militare della storia i deboli li dovrebbe difendere lei, non gli dovrebbe appaltare la propria difesa.
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di Daniele Dell'Orco
 

Stop di Lula a fornitura di munizioni da Brasile a Ucraina​

Preferisce mantenere posizione neutrale e non provocare Mosca​

- SAN PAOLO, 28 GEN - Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva (Pt) ha posto il veto alla fornitura di munizioni per i carri armati dal Brasile all'Ucraina.

Lula , secondo quanto riporta l'online della Folha di SP, preferisce mantenere una posizione neutralità ed evitare di provocare Mosca.


Il capo di stato ha negato inoltre di aver ricevuto una richiesta del governo tedesco in tal senso. Intanto oggi il cancelliere Scholz arriva in Argentina per la sua prima tappa di un viaggio che nei prossimi giorni lo porterà anche in Brasile e in Cile. L'incontro tra il cancelliere tedesco e il leader brasiliano è previsto per lunedì 30 gennaio..

Stop di Lula a fornitura di munizioni da Brasile a Ucraina - Ultima Ora
 

Scholz, non si arrivi ad una guerra fra la Russia e la Nato​

Vi prometto di tenere sempre presente la sicurezza della Germania”. È quello che il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, dice nel suo podcast del sabato, rivolgendosi ai concittadini preoccupati per gli sviluppi della situazione in Ucraina e il progressivo coinvolgimento della Germania. “Quello che percepisco, nei colloqui, agli eventi, quello che leggo nelle lettere e nelle mail, è che tante cittadine e tanti cittadini sono molto preoccupati. Auspicano naturalmente la pace in Europa e che la guerra non si avvicini, che il governo e il cancelliere mantengano i nervi saldi. E questa è esattamente la promessa che faccio loro”, dice il Bundeskanzler. “Abbiate fiducia nel governo! Abbiate fiducia in me! Prendiamo decisioni che sono sempre ponderate e concordate a livello internazionale”.

“Dall’inizio della guerra abbiamo tre principi guida. Primo: facciamo quello che è necessario per sostenere l’Ucraina, sul fronte umanitario, finanziario e delle armi. Secondo: evitiamo un’escalation. Non si deve arrivare a una guerra fra la Russia e la Nato. E terzo: la Germania non assumerà iniziative solitarie, ma si accorda in modo stretto con i partner, primo fra tutti gli Usa. Questo è il nostro modo di procedere”, dice Scholz. “È stato così per ogni decisione: quando si è trattato di decidere di consegnare i panzer obici, i sistemi di protezione antiaerea, i panzer leggeri e adesso con i tank. E così resterà - continua -. Il nostro obiettivo è chiaro: la Russia non deve riuscire nell’intento di spostare i confini con la violenza”. “Io vi prometto di considerare sempre la sicurezza della Germania. Ci sarà sempre intesa, ponderazione e coordinazione - la conclusione -. Questo è il principio del nostro governo. E questa per me è politica responsabile, nel tempo in cui così vicino a noi c’è una guerra così brutale”.
«Non si arrivi alla guerra fra Russia e NATO»
 
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