Cosa fare per l’Africa (e per noi)
The Economist Intelligence Unit stima che quest’anno l’Africa sarà la seconda area più dinamica del pianeta, con 12 tra le 20 nazioni a maggiore crescita economica. I Paesi della Comunità dell’Africa Orientale dovrebbero raggiungere tassi di sviluppo del 5-6% trainati dal settore dei servizi, come il commercio. I giganti americani delle carte di credito Visa e Mastercard si lanciano in acquisizioni di app digitali create da imprenditori africani: quasi mezzo miliardo di consumatori su quel continente pagano col telefonino, usando piattaforme tecnologiche lanciate da talenti locali. Questi dati contraddicono la narrazione dominante in Italia: che vede l’Africa solo come un epicentro di sciagure, sofferenze, ingiustizie, dilaniata tra Apocalisse climatica e «bomba migratoria».
La conferenza Italia-Africa con molti leader di quel continente in arrivo a Roma, e la presentazione del Piano Mattei, offrono l’occasione per un discorso più maturo, meno catastrofista e piagnucoloso. La Brookings Institution, autorevole think tank di Washington, ieri ha presentato il suo Foresight 2024 sull’Africa, impostandolo in chiave positiva. Sottolinea che «l’Africa ha il 30% di tutte le risorse naturali e minerarie necessarie per la transizione energetica del pianeta». Ricorda che è un continente giovane in un mondo che invecchia. Pur partendo da livelli bassi, i suoi consumatori sono tra quelli che vedono aumentare più velocemente il potere d’acquisto. Sono alcune delle ragioni per cui l’Africa è corteggiata da tutti, attira investimenti non solo dalla Cina ma da Stati Uniti, India, Arabia saudita, Turchia, per fortuna anche dall’Unione europea. Eppure anche di questo fenomeno abbondano a casa nostra le interpretazioni negative: in questa corsa all’Africa, confermata dal vertice di Roma, bisogna vedere a tutti i costi una «nuova colonizzazione»? Questa è una sindrome dell’Occidente contemporaneo, la versione aggiornata del vecchio eurocentrismo: vogliamo sentirci ancora l’ombelico del mondo, autoflagellandoci come colpevoli di tutte le calamità e sofferenze.