gaglioffo
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https://www.bancaditalia.it/pubblic...re/integov2011/cf10_considerazioni_finali.pdf
Link diretto
Banca d'Italia
Considerazioni finali
Assemblea Ordinaria dei Partecipanti
Roma, 31 maggio 2011
anno 2010 - centodiciassettesimo esercizio
Questo è quello che potrebbe essere un governo Draghi e invece NON SARA' Draghi perché il parlamento pensa esattamente all'opposto
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Banca d'Italia
Considerazioni finali
Assemblea Ordinaria dei Partecipanti
Roma, 31 maggio 2011
anno 2010 - centodiciassettesimo esercizio
In Italia il disavanzo pubblico, prossimo quest’anno al 4 per cento del PIL,
è inferiore a quello medio dell’area dell’euro; nelle previsioni ufficiali scenderà
al di sotto del 3 per cento nel 2012. Il debito è tuttavia vicino al 120 per cento
del prodotto.
Appropriati sono l’obiettivo di pareggio del bilancio nel 2014 e l’intenzione
di anticipare a giugno la definizione della manovra correttiva per il 2013-14.
Grazie alle riforme previdenziali avviate dalla metà degli anni Novanta, a
un sistema bancario che non ha richiesto salvataggi pubblici, a una prudente
gestione della spesa durante la crisi, lo sforzo che ci è richiesto è minore che in
molti altri paesi avanzati.
Senza sacrificare la spesa in conto capitale oltre quanto già previsto nello
scenario tendenziale e senza aumentare le entrate, la spesa primaria corrente
dovrà però ancora contrarsi, di oltre il 5 per cento in termini reali nel triennio
2012-14, tornando, in rapporto al PIL, sul livello dell’inizio dello scorso
decennio.
Per ridurre la spesa in modo permanente e credibile non è consigliabile
procedere a tagli uniformi in tutte le voci: essi impedirebbero di allocare le
risorse dove sono più necessarie; sarebbero difficilmente sostenibili nel medio
periodo; penalizzerebbero le amministrazioni più virtuose. Una manovra cosiffatta inciderebbe sulla già debole ripresa dell’economia, fino a sottrarle circa
due punti di PIL in tre anni.
Occorre invece un’accorta articolazione della manovra, basata su un esame
di fondo del bilancio degli enti pubblici, voce per voce, commisurando gli stanziamenti agli obiettivi di oggi, indipendentemente dalla spesa del passato; affinando gli indicatori di efficienza dei diversi centri di servizio pubblico (uffici,
scuole, ospedali, tribunali) al fine di conseguire miglioramenti capillari nell’organizzazione e nel funzionamento delle strutture; proseguendo negli sforzi già
avviati per rendere più efficienti le amministrazioni pubbliche; impiegando
una parte dei risparmi così ottenuti in investimenti infrastrutturali.
Andrebbero inoltre ridotte in misura significativa le aliquote, elevate, sui
redditi dei lavoratori e delle imprese, compensando il minor gettito con ulteriori recuperi di evasione fiscale, in aggiunta a quelli, veramente apprezzabili,
che l’Amministrazione fiscale ha recentemente conseguito.
Una manovra tempestiva, strutturale, credibile agli occhi degli investitori internazionali, orientata a favore della crescita, potrebbe, anche
mediante una significativa riduzione dei premi al rischio che gravano sui
tassi d’interesse italiani, sostanzialmente limitare gli effetti negativi sul
quadro macroeconomico.
Il federalismo fiscale può aiutare, responsabilizzando tutti i livelli di
governo, imponendo rigidi vincoli di bilancio, avvicinando i cittadini alla
gestione degli affari pubblici. Due condizioni sono cruciali: che i nuovi
tributi locali siano compensati da tagli di quelli decisi centralmente e non vi
si sommino; che si preveda un serrato controllo di legalità sugli enti a cui il
decentramento affida ampie responsabilità di spesa.
Leggete e prendetene tuttiSe la produttività ristagna, la nostra economia non può crescere.
Il sistema produttivo perde competitività. Si aprono disavanzi crescenti
nella bilancia dei pagamenti correnti. Si inaridisce l’afflusso di investimenti
diretti: nel decennio sono entrati in Italia capitali per investimenti diretti pari
all’11 per cento del PIL, contro il 27 in Francia.
...
La nostra produttività ristagna perché il sistema non si è ancora bene
adattato alle nuove tecnologie, alla globalizzazione. Capirne le ragioni è stato
l’obiettivo di molta parte della ricerca svolta in Banca d’Italia negli ultimi anni.
Ne ho dato conto più volte, in primo luogo in questa sede. Le nostre analisi
chiamano in causa la struttura produttiva italiana, più frammentata e statica
di altre, e politiche pubbliche che non incoraggiano, spesso ostacolano, l’evoluzione di quella struttura.
Va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile: la
durata stimata dei processi ordinari in primo grado supera i 1.000 giorni e
colloca l’Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie stilate dalla
Banca Mondiale; l’incertezza che ne deriva è un fattore potente di attrito nel
funzionamento dell’economia, oltre che di ingiustizia. Nostre stime indicano
che la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia
civile potrebbe giungere a un punto percentuale.
Occorre proseguire nella riforma del nostro sistema di istruzione, già in
parte avviata, con l’obiettivo di innalzare i livelli di apprendimento, che sono
tra i più bassi nel mondo occidentale anche a parità di spesa per studente.
Troppo ampi restano i divari interni al Paese: tra Sud e Nord, tra scuole della
stessa area, anche nella scuola dell’obbligo. Nell’università è desiderabile una
maggiore concorrenza fra atenei, che porti a poli di eccellenza in grado di
competere nel mondo; è ancora basso nel confronto internazionale il numero
complessivo di laureati. Secondo valutazioni dell’OCSE, il distacco del
sistema educativo italiano dalle migliori pratiche mondiali potrebbe implicare
a lungo andare un minor tasso di crescita del PIL fino a un punto percentuale.
La concorrenza, radicata in molta parte dell’industria, stenta a propagarsi al settore dei servizi, specialmente quelli di pubblica utilità. Non si
auspicano privatizzazioni senza controllo, ma un sistema di concorrenza
regolata, in cui il cliente, il cittadino sia più protetto. La sfida della crescita
non può essere affrontata solo dalle imprese e dai lavoratori direttamente
esposti alla competizione internazionale, mentre rendite e vantaggi monopolistici in altri settori deprimono l’occupazione e minano la competitività
complessiva del Paese.
Questo è quello che potrebbe essere un governo Draghi e invece NON SARA' Draghi perché il parlamento pensa esattamente all'opposto