IL REGNO DEL GIUSTO POSSIBILE

Verm & Solitair

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La questione da trattare è la dimensione di alcune clausole generali di stile anglosassone che troviamo nella disciplina regolamentare.

Con particolare riguardo al comportamento degli intermediari, le regole assumono un carattere assai elastico, con richiamo ai principi generali (ad esempio, principio di correttezza, che ritroviamo in varie norme anche del codice).

Si tratta, però, di dare delle risposte "possibili" all'applicazione di questi principi, che sembrano per la verità un po' vuoti. Chi può mai mettere in dubbio che un contraente deve comportarsi "bene"?

Quali sono allora, ci chiediamo, in concreto questi limiti posti dal legislatore al comportamento dell'intermediario, cominciando dalla EQUITA' (da cui il titolo, "il Regno del Giusto Possibile"). Andremo per gradi.

Si tratta di un primo Laboratorio di Applicazione (a secco" delle norme, in ordine alle quali sarà Vostra cura segnalarci le esperienze, da verificare in Laboratorio).
 
Innanzitutto, stabiliamo una prima griglia di partenza. Si tratta dei principi generali che ricaviamo dal codice civile, spesso trascurati da chi applica solo i regolamenti.

Di regola si dimentica il rilievo che ha la reticenza. Si potrebbe affermare che il contraente debole sia tenuto ad informarsi (ad esempio, della situazione patrimoniale della società) attraverso la lettura dell’ultimo bilancio di esercizio (principio di autoresponsabilità secondo cui il contraente negligente, in colpa nella cura dei propri interessi, non merita protezione). Ma non si può sanzionare la negligenza del contraente nella cura dei propri interessi, addossandogli tutte le conseguenze per non aver verificato la situazione contabile della società.

Possono infatti trovare applicazione i principi in tema di comportamento delle parti nella formazione del contratto (artt. 1337 e 1338 c.c.), in quanto contenuto ed estensione dei doveri di informazione devono in concreto desumersi dalla natura del contratto e dalla qualità dei contraenti.

Anche se l’equiparazione del silenzio a dichiarazione è di regola frutto di una norma di legge, il problema della rilevanza della reticenza, intesa come omessa comunicazione di una circostanza vera e rilevante per l’affare, al momento della formazione del contratto ruota intorno al quesito dell’esistenza di un obbligo di informare l’altro contraente. E si ritiene che sia rilevante ai fini della sussistenza del dolo anche la sola reticenza (cass., 4 aprile 1990, n. 2798), quando la stessa rappresenti una violazione intenzionale dell’obbligo generale di informazione.

Qualora ricorrano i presupposti ex artt. 1427 ss. c.c., è esperibile l’azione di annullamento per errore del patto (clausola, contratto ecc.)
 
Penso/credo che anche il principio della presupposizione possa trovare spazio!
 
Bene, spieghiamo cosa è la presupposizione.

Sostanzialmente si fa riferimento, con tale concetto, alla BASE NEGOZIALE anche se inespressa: ad esempio (classico) prendo in locazione il balcone della Piazza di Siena un determinato giorno per vedere il Palio. Nel contratto non è indicato che vi è una condizione inespressa, locazione sul presupposto che quel giorno si tenga il palio, ma intuibile (che si loca a fare un balcone in un determinato giorno a Siena?).

Di regola si ricorre alla condizione (sospensiva o risolutiva).

Si può fare anche riferimento alla causa del contratto (giustificazione).

Non vi tediamo sull'irrilevanza dei motivi.
 
Il nostro ordinamento, è bene chiarirlo subito, proprio in tema di contratti di investimento, non pressuppone una regola di proporzionalità di valore tra prestazione e controprestazione, ciascuno può acquistare per Lire 100.000 un bene che ne vale in realtà Lire 60.000 salvo il ricorso poi alla rescissione se ne ricorrono i presupposti). In sostanza, l'errore sul mero valore della cosa (non sul prezzo) non dà luogo ad annullamento. Si ha errore sul valore perchè si sbaglia l'apprezzamento della cosa, ma il principio è che ciascuno è libero di regolare i propri interessi e di assumersi i rischi di un'errata valutazione. L'errore sul prezzo si basa invece sul parametro di stima e se ne può tener conto ai fini dell'annullamento.

Badate che se l'oggetto del contratto sono le azioni, queste non possono essere scomposte nelle singole posizioni giuridiche che danno luogo (e sono "beni di secondo grado" rispetto al patrimonio sociale, ne parleremo più in là).
 
In base al principio di equità, il comportamento dell’operatore finanziario deve assolvere all’obbligo di equità in linea con l’art. 1374 per le obbligazioni contrattuali, il che vuol dire assicurare alla clientela la parità di trattamento.
Sul punto vedasi il regolamento Consob 11522/98, lett a) obbligo di operare in modo indipendente e coerente coi principi (sana e prudente gestione); lett. d) e lett. e), obbligo di operare con tempestività e obbligo di acquisizione di conoscenza adeguata su strumenti finanziari (diligenza ex art. 1176 c.c.); lett. c) obbligo di astenersi da comportamenti che avvantaggiano un cliente in luogo di un altro; lett. b) obbligo di rispettare le regole di funzionamento dei mercati (ancora espressione di diligenza).
 
Giusto un chiarimento di interesse generale. Il nostro ordinamento non stabilisce un criterio di equivalenza oggettiva delle prestazioni (acquisto a Euro 50 quanto vale in realtà 30), sempre che la volontà si sia perfettamente formata (a meno che, quindi, vi siano vizi genetici del negozio, che impongono nullità, annullabilità, rescissione).

Tuttavia, occorre una causa del negozio. Ecco che dinanzi a evidente sproporzione, viene in rilievo la nullità (importante in relazione ad alcune operazioni, per le quali va verificato anche questo aspetto).
 
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