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Giolitti e lo scandalo della Banca Romana PDF Stampa Segnala via mail questo articolo!
Luca Feola - lucafeola@lalente.net
lunedì 06 novembre 2006
Primi segni del corto circuito politica-finanza. E quanti legami con il presente...
Il circuito Politica-Finanza-Industria
Tra il 1889 ed il 1893 il fallimento di alcune importanti banche degenerò in una crisi su vasta scala della moralità politica, facendo fallire un Governo (Crispi) e mettendo a rischio l'ascesa politica appena abbozzata di Giolitti. La corruzione politica nella penisola italica non era un fenomeno recente, ma anzi aveva prosperato, specialmente al sud, fino al 1860 e continuò ad essere una pratica disinvolta anche nel successivo Regno d'Italia. La corruzione si esplicitava principalmente nel circuito perverso che legava insieme politica, affari e banche. Se i politici avevano bisogno di denaro per le proprie campagne elettorali, le banche e le aziende industriali mettevano loro a disposizione fondi, in questo modo non solo le banche non operavano secondo logica economica, investendo cioè le risorse nei migliori progetti, non solo si macchiavano di reati, ma si esponevano oltre modo verso il rischio di fallimento.
I maggiori fenomeni di corruzione vedono dunque al centro l'operato degli istituti di credito che nel 1889 entrano in crisi. La causa immediata era da ricercare nella follia edilizia, in quell'eccesso di finanziamenti concessi al settore edilizio, come per la costruzione dei nuovi uffici governativi a Firenze e Roma. La Banca Nazionale nel 1883 aumentò la sua circolazione cartacea dimezzando le sue riserve ad un terzo del totale, in virtù delle possibilità offerte dall'abolizione delle restrizioni sul credito appena varate da Crispi. Già all'inizio del 1889 le banche danno i primi segni di tracollo finanziario, di non essere in grado cioè di far fronte ai propri impegni ed alcune banche sospendono i pagamenti. Il presidente del Consiglio Crispi interviene ancora per persuadere alcuni istituti a salvare la Banca Tiberina, finanziatrice di diversi lavori pubblici, con un prestito di 45 mln di lire. Ma non è l'unica azione di, Crispi, anzi, egli interviene più e più volte generando un'ulteriore espansione del credito e dunque una spirale inflazionista cui tutti gli sforzi profusi dalla Banca Nazionale non poteva sostenere a lungo.
All'epoca, inoltre, ciascuna regione conservava il diritto di emissione e dunque aveva la possibilità di controllare il flusso di moneta. Il governatore della Banca Romana, una delle sei esistenti di quel tipo, era Tanlongo, persona dal passato assai poco limpido che aveva partecipato già a tentativi di corruzione verso il papato all'epoca di Cavour e che, sul finire degli anni 80, prova a coprire i vuoti di cassa generati dalla mal amministrazione emettendo biglietti falsi. Tali vuoti di cassa altro non erano che buchi dovuti a male amministrazione, ma assai più a irregolarità antieconomiche come i prestiti concessi a deputati e ministri senza interessi. In quegli anni le banche esercitano dunque una grandissima influenza sulla politica e la politica fornisce loro copertura. Il banco di Napoli, ad esempio, aveva contratto debiti per circa venti mln di lire molti dei quali a fronte di operazioni di corruzione politica. Quando i primi fallimenti bancari del 1889 affiorano, il Ministro Miceli promuove una commissione d'inchiesta privata presieduta dal senatore Alvisi incaricata di stabilire se e quali banche avessero una circolazione superiore a quella consentita per legge dalle loro riserve. La relazione, e le pesantissima irregolarità rilevate, non fu pubblicata a tutela di un imprecisato "interessa nazionale", ma al contrario viene diffusa una dichiarazione ufficiale nel vano tentativo di spegnere le polemiche.
Nel 1982 viene nominato senatore Tanlongo (i senatori all'epoca erano di nomina regia) come compenso per i servigi resi solo pochi mesi prima che il deputato Colajanni, avendo recuperato il testo della relazione Alvisi, lo spedisse di fatto in carcere. Seppur il Governo riesce a seppellire di nuovo la questione, istituendo una commissione governativa in luogo di una parlamentare (presieduta da Finali), la sfiducia ormai era generale e veniva riflessa nei cattivi andamenti di industria ed edilizia non appena giungevano le notizie di direttori brutalmente assassinati (è il caso del Banco di Sicilia), o scomparsi (Banco di Napoli) oppure di banche come il Credito Mobiliare che fu costretto a sospendere i pagamenti, poiché alcuni investimenti speculativi avevano intaccato il capitale. Alla fine del 1893 Giolitti dovette consentire l'istituzione di una terza commissione, questa volta parlamentare, presieduta da Mordini ed incaricata di fare luce sulle implicazioni politiche emerse.
L'inchiesta del 1894 si concluse con una assoluzione degli imputati per evitare che l'inchiesta travolgesse uomini di spicco della politica italiana, i giudici, nella sentenza, denunciarono la sparizione di importanti documenti, necessari a provare la colpevolezza degli imputati. Il procedimento penale venne quindi archiviato senza emettere alcuna condanna.
Lo scandalo della Banca Romana
Una delle banche più esposte verso il boom edilizio fu la Banca Romana che aveva assecondato la speculazione oltre i limiti consentiti e si era ritrovata come e più delle altre con clienti insolventi. Per far fronte a questi problemi il direttore della banca Tanlongo aveva avviato una pratica che negli anni futuri avrebbe fatto illustri proseliti e riscosso grande successo: l'emissione di banconote illegali. La Banca Romana, quale banca di emissione, poteva coniare e quindi far circolare una quota di banconote che stabiliva il Parlamento del Regno. Già nel 1889 fu accertato che le "officine romane" eccedevano le quote stabilite e di fatti avevano emesso 25 milioni di banconote oltre il consentito. In concreto, la Banca Romana copriva ammanchi di cassa mettendo in circolazione nuove banconote clandestinamente. Ovvero, tali milioni di banconote clandestine erano banconote regolarmente in Inghilterra ma con impressi i numeri di serie di venti anni prima, quando l'Istituto faceva parte dello Stato Pontificio (adducendo come scusa la necessità della loro sostituzione in ragione del logorio fisico). In un secondo momento Tanlongo ed il capo-cassiere Lazzaroni le autenticavano in gran segreto stampandovi il timbro-firma del vecchio governatore pontificio ormai deceduto (che di solito firmava i biglietti a mano). Ma la Politica, allora, era intervenuta per insabbiare la vicenda, poiché in un modo o nell'altro erano diverse le personalità illustre coinvolte. La Banca Romana finanziava le campagne elettorali dei politici ed i politici chiudevano un occhio. Così tale pratica continuò, il bubbone finanziario crebbe fino a raggiungere dimensioni epidemiche e la Banca Romana, autorizzata a stampare 60 milioni di lire, alla fine del 1893 ne aveva stampato e messo in circolazione ben 113 milioni (come risultò al momento dell'ispezione). Lo scandalo scoppia trascinando l'istituto in una delle crisi bancarie e politiche più devastanti della storia italiana.
Una truffa complessa e faticosa quanto semplice da scoprire se vi fosse stata la volontà politica di effettuare controlli. Infatti, nonostante i libri contabili della Banca venissero sistematicamente e grossolanamente falsificati, anche la timida relazione Finali attesterà che il volume delle banconote in circolazione era circa il doppio del consentito e che cinquanta milioni erano stati perduti in speculazioni sbagliate, malversazione e corruzione. La commissione di inchiesta dell'93 in seguito accerterà anche un buco di cassa di 20 milioni. Di fronte al dilagare degli scandali il Governo prese due decisioni: la liquidazione della Banca Romana e la legge che istituiva dal 1° gennaio '94 la Banca d'Italia. Lazzaroni finì morto suicida, Tanlongo in carcere e Giolitti, che nel 1889 era ministro del Tesoro ed ora Primo Ministro, dovette rassegnare le dimissioni. A nulla valsero le pur pesanti omissioni, le sottrazioni di documenti e le manomissioni che fece o fece fare, Giolitti non riuscì a placare la verità delle accuse circa il silenzio mantenuto sui risultati dell'inchiesta del 1889 e soprattutto circa la corruzione che riguardava la sua persona (bustarelle, debiti verso la banca fino a venti volte il suo stipendio da presidente), la sua famiglia (prestiti congiunti) ed altri noti politici come Crispi.
Banca, industria, politica e "furbetti del quartierino"
Politici e personalità pubbliche di vario livello che beneficiano di ingenti somme di denaro per finanziare la propria ascesa al potere e le proprie carriere, membri del Governo che abusano della propria posizione per attingere illecitamente alla liquidità bancaria per addomesticare le elezioni, collusioni tra mondo della politica e mondo dell'industria e del giornalismo legate a doppio nodo al mondo dell'alta finanza ed ai salotti romani. Lo scandalo della Banca Romana comincia con investimenti in campo edilizio che si rivelarono fallimentari, si struttura in comportamenti fraudolenti coinvolgendo più soggetti che utilizzano ogni mezzo per scalare la vetta e manipolano l'informazione, trovano sponda in politici corrotti e banchieri facoltosi, ma alla fine l'epilogo è sempre il medesimo. Bancarotta fraudolenta di aziende insospettate, crack di importanti istituti di credito, intrighi di palazzo, di salotti e salottini in cui la politica disegnava e ridisegnava secondo convenienza la mappa del potere economico. Operazioni illegali a danno della collettività, eseguite in complicità con quanti avrebbero dovuto sorvegliare, scoraggiare e punire tali comportamenti.
In questi ultimi anni si è tornati a parlare di questo scandalo in relazione alle verità emerse dalle intercettazioni disposte dalla Magistratura a carico di alcuni soggetti e dalle inchieste condotte da alcuni giornali e personalità a vario titolo. Si tratta della vicenda derubricata come quella dei "furbetti del quartierino" ma in realtà si tratta di una vicenda molto più vasta che eccede i confini spaziali e temporali di quel caso. Tale tentativo riguardava le velleità di Fiorani, presidente di BPL, di formare una grande banca cattolica del nord, di Consorte, presidente di Unipol, di formare un polo banco-assicurativo per il mondo cooperativo effettuando una fusione tra Unipol e BNL, di Ricucci, immobiliarista, mosso da logiche non ancora chiarite, di scalare il Corriere della Sera mirando al cuore degli interessi dell'establishment. Tali soggetti erano mossi da queste grandi ambizioni e dalla convinzione che potessero essere raggiunti aldifuori delle regole sfruttando amicizie e complicità, ovvero componendo i loro desideri con quelli di altri attori. È in questo modo che, secondo i magistrati, in quelle vicende sono implicati politici che hanno coperto e sponsorizzato tali iniziative in cambio di denaro e favori di vario genere, industriali che attraverso quella rete di connivenze scalavano società, finanzieri come Gnutti che si adoperavano per compiere le spericolate acrobazie finanziarie necessarie ottenendo ricchi compensi ed il Governatore della Banca d'Italia Fazio che coltivava il sogno di poter esercitare poteri da monarca sul sistema creditizio (e non solo) italiano.
Sono passati più di cento anni, sono cambiate le modalità, ma lo schema resta sempre lo stesso, sintomatico di una situazione paradossale, di un sistema economico finanziario a digiuno di cultura della legalità e di mercato, di un comportamento della politica ancora piduistico e clientelare. Una stretta cerchia di clienti conniventi operano tramite una banca, utilizzando fondi che questa procura loro distogliendoli dai conti di altri clienti e falsificando i propri libri contabili con perizia e cura. Operazioni compiute utilizzando informazioni riservate, che se andate a buon fine registravano i ricavi direttamente sui conti correnti privilegiati, se fallivano le perdite venivano assorbite dalla banca. Tali operazioni erano orchestrate sempre secondo un piano preciso, sempre nella volontà di comporre un quadro nel quale i politici si inserivano quali beneficiari corrotti e facilitatori, in cui controllori come il Governatore sistematicamente occultavano documenti e favorivano alcuni soggetti a discapito di altri, in cui finanzieri si arricchivano in maniera tanto facile quanto era la loro spregiudicatezza ed in cui, infine, imprenditori orientavano le loro scelte industriali all'interno di tale cornice (1).
Stabilire i confini di questo scandalo, come quello della banca romana, non è semplice, così come pure non lo è capire quali conseguenze sono state generate. Lo scandalo che vede nei processi a Fiorani, Consorte, Fazio e Ricucci il proprio epilogo somiglia molto a quello precedente, di circa cento anni prima. Ci sono denari creati artificialmente, c'è il salvataggio di banche (una anche "di partito"), ci sono finanziamenti illeciti a politici, ci sono istituzioni pubbliche etero-dirette, c'è abuso di potere, c'è un'industria che non sa affrontare le ragioni della sua crisi e intende risolverle aldifuori delle regole. In una paese malato cronico in quanto a cultura della legalità, ne è stata inserita una buona dose tramite l'iniezione di personalità della qualità di Mario Draghi e Padoa-Schippa. Ma il sistema collusivo rimane la palude in cui galleggiano insieme buone e cattive banche, il terreno in cui si confrontano la buona e la cattiva politica senza esclusione di colpi, lo scenario competitivo in cui troppo spesso la cattiva azienda scaccia quella buona. La lezione che ci viene dal passato è una buona lente da utilizzare per interpretare il presente. Purtroppo, la storia si ripete in contesti e tempi diversi ma spesso ripetendo lo stesso copione e determinando le stesse soluzioni. Come per lo scandalo delle Banca Romana fu tanto il polverone sollevato, l'indignazione apparente e le parole di condanna espresse da più parti quanto minimo il cambiamento effettivo, così forse anche in questa vicenda calato il sipario mediatico, varate terapie intensive per il malato cronico, trovato il capro espiatorio, al circuito tornerà la corrente e il sistema tornerà a girare come prima, alimentato dagli interessi degli stessi attori di sempre.
(1) Si leggano in paricolare:
http://www.repubblica.it/2006/a/sezioni/economia/banche35/fioraniaipm/fioraniaipm.html
http://www.repubblica.it/2006/a/sezioni/economia/banche35/pagato/pagato.html
Giolitti e lo scandalo della Banca Romana PDF Stampa Segnala via mail questo articolo!
Luca Feola - lucafeola@lalente.net
lunedì 06 novembre 2006
Primi segni del corto circuito politica-finanza. E quanti legami con il presente...
Il circuito Politica-Finanza-Industria
Tra il 1889 ed il 1893 il fallimento di alcune importanti banche degenerò in una crisi su vasta scala della moralità politica, facendo fallire un Governo (Crispi) e mettendo a rischio l'ascesa politica appena abbozzata di Giolitti. La corruzione politica nella penisola italica non era un fenomeno recente, ma anzi aveva prosperato, specialmente al sud, fino al 1860 e continuò ad essere una pratica disinvolta anche nel successivo Regno d'Italia. La corruzione si esplicitava principalmente nel circuito perverso che legava insieme politica, affari e banche. Se i politici avevano bisogno di denaro per le proprie campagne elettorali, le banche e le aziende industriali mettevano loro a disposizione fondi, in questo modo non solo le banche non operavano secondo logica economica, investendo cioè le risorse nei migliori progetti, non solo si macchiavano di reati, ma si esponevano oltre modo verso il rischio di fallimento.
I maggiori fenomeni di corruzione vedono dunque al centro l'operato degli istituti di credito che nel 1889 entrano in crisi. La causa immediata era da ricercare nella follia edilizia, in quell'eccesso di finanziamenti concessi al settore edilizio, come per la costruzione dei nuovi uffici governativi a Firenze e Roma. La Banca Nazionale nel 1883 aumentò la sua circolazione cartacea dimezzando le sue riserve ad un terzo del totale, in virtù delle possibilità offerte dall'abolizione delle restrizioni sul credito appena varate da Crispi. Già all'inizio del 1889 le banche danno i primi segni di tracollo finanziario, di non essere in grado cioè di far fronte ai propri impegni ed alcune banche sospendono i pagamenti. Il presidente del Consiglio Crispi interviene ancora per persuadere alcuni istituti a salvare la Banca Tiberina, finanziatrice di diversi lavori pubblici, con un prestito di 45 mln di lire. Ma non è l'unica azione di, Crispi, anzi, egli interviene più e più volte generando un'ulteriore espansione del credito e dunque una spirale inflazionista cui tutti gli sforzi profusi dalla Banca Nazionale non poteva sostenere a lungo.
All'epoca, inoltre, ciascuna regione conservava il diritto di emissione e dunque aveva la possibilità di controllare il flusso di moneta. Il governatore della Banca Romana, una delle sei esistenti di quel tipo, era Tanlongo, persona dal passato assai poco limpido che aveva partecipato già a tentativi di corruzione verso il papato all'epoca di Cavour e che, sul finire degli anni 80, prova a coprire i vuoti di cassa generati dalla mal amministrazione emettendo biglietti falsi. Tali vuoti di cassa altro non erano che buchi dovuti a male amministrazione, ma assai più a irregolarità antieconomiche come i prestiti concessi a deputati e ministri senza interessi. In quegli anni le banche esercitano dunque una grandissima influenza sulla politica e la politica fornisce loro copertura. Il banco di Napoli, ad esempio, aveva contratto debiti per circa venti mln di lire molti dei quali a fronte di operazioni di corruzione politica. Quando i primi fallimenti bancari del 1889 affiorano, il Ministro Miceli promuove una commissione d'inchiesta privata presieduta dal senatore Alvisi incaricata di stabilire se e quali banche avessero una circolazione superiore a quella consentita per legge dalle loro riserve. La relazione, e le pesantissima irregolarità rilevate, non fu pubblicata a tutela di un imprecisato "interessa nazionale", ma al contrario viene diffusa una dichiarazione ufficiale nel vano tentativo di spegnere le polemiche.
Nel 1982 viene nominato senatore Tanlongo (i senatori all'epoca erano di nomina regia) come compenso per i servigi resi solo pochi mesi prima che il deputato Colajanni, avendo recuperato il testo della relazione Alvisi, lo spedisse di fatto in carcere. Seppur il Governo riesce a seppellire di nuovo la questione, istituendo una commissione governativa in luogo di una parlamentare (presieduta da Finali), la sfiducia ormai era generale e veniva riflessa nei cattivi andamenti di industria ed edilizia non appena giungevano le notizie di direttori brutalmente assassinati (è il caso del Banco di Sicilia), o scomparsi (Banco di Napoli) oppure di banche come il Credito Mobiliare che fu costretto a sospendere i pagamenti, poiché alcuni investimenti speculativi avevano intaccato il capitale. Alla fine del 1893 Giolitti dovette consentire l'istituzione di una terza commissione, questa volta parlamentare, presieduta da Mordini ed incaricata di fare luce sulle implicazioni politiche emerse.
L'inchiesta del 1894 si concluse con una assoluzione degli imputati per evitare che l'inchiesta travolgesse uomini di spicco della politica italiana, i giudici, nella sentenza, denunciarono la sparizione di importanti documenti, necessari a provare la colpevolezza degli imputati. Il procedimento penale venne quindi archiviato senza emettere alcuna condanna.
Lo scandalo della Banca Romana
Una delle banche più esposte verso il boom edilizio fu la Banca Romana che aveva assecondato la speculazione oltre i limiti consentiti e si era ritrovata come e più delle altre con clienti insolventi. Per far fronte a questi problemi il direttore della banca Tanlongo aveva avviato una pratica che negli anni futuri avrebbe fatto illustri proseliti e riscosso grande successo: l'emissione di banconote illegali. La Banca Romana, quale banca di emissione, poteva coniare e quindi far circolare una quota di banconote che stabiliva il Parlamento del Regno. Già nel 1889 fu accertato che le "officine romane" eccedevano le quote stabilite e di fatti avevano emesso 25 milioni di banconote oltre il consentito. In concreto, la Banca Romana copriva ammanchi di cassa mettendo in circolazione nuove banconote clandestinamente. Ovvero, tali milioni di banconote clandestine erano banconote regolarmente in Inghilterra ma con impressi i numeri di serie di venti anni prima, quando l'Istituto faceva parte dello Stato Pontificio (adducendo come scusa la necessità della loro sostituzione in ragione del logorio fisico). In un secondo momento Tanlongo ed il capo-cassiere Lazzaroni le autenticavano in gran segreto stampandovi il timbro-firma del vecchio governatore pontificio ormai deceduto (che di solito firmava i biglietti a mano). Ma la Politica, allora, era intervenuta per insabbiare la vicenda, poiché in un modo o nell'altro erano diverse le personalità illustre coinvolte. La Banca Romana finanziava le campagne elettorali dei politici ed i politici chiudevano un occhio. Così tale pratica continuò, il bubbone finanziario crebbe fino a raggiungere dimensioni epidemiche e la Banca Romana, autorizzata a stampare 60 milioni di lire, alla fine del 1893 ne aveva stampato e messo in circolazione ben 113 milioni (come risultò al momento dell'ispezione). Lo scandalo scoppia trascinando l'istituto in una delle crisi bancarie e politiche più devastanti della storia italiana.
Una truffa complessa e faticosa quanto semplice da scoprire se vi fosse stata la volontà politica di effettuare controlli. Infatti, nonostante i libri contabili della Banca venissero sistematicamente e grossolanamente falsificati, anche la timida relazione Finali attesterà che il volume delle banconote in circolazione era circa il doppio del consentito e che cinquanta milioni erano stati perduti in speculazioni sbagliate, malversazione e corruzione. La commissione di inchiesta dell'93 in seguito accerterà anche un buco di cassa di 20 milioni. Di fronte al dilagare degli scandali il Governo prese due decisioni: la liquidazione della Banca Romana e la legge che istituiva dal 1° gennaio '94 la Banca d'Italia. Lazzaroni finì morto suicida, Tanlongo in carcere e Giolitti, che nel 1889 era ministro del Tesoro ed ora Primo Ministro, dovette rassegnare le dimissioni. A nulla valsero le pur pesanti omissioni, le sottrazioni di documenti e le manomissioni che fece o fece fare, Giolitti non riuscì a placare la verità delle accuse circa il silenzio mantenuto sui risultati dell'inchiesta del 1889 e soprattutto circa la corruzione che riguardava la sua persona (bustarelle, debiti verso la banca fino a venti volte il suo stipendio da presidente), la sua famiglia (prestiti congiunti) ed altri noti politici come Crispi.
Banca, industria, politica e "furbetti del quartierino"
Politici e personalità pubbliche di vario livello che beneficiano di ingenti somme di denaro per finanziare la propria ascesa al potere e le proprie carriere, membri del Governo che abusano della propria posizione per attingere illecitamente alla liquidità bancaria per addomesticare le elezioni, collusioni tra mondo della politica e mondo dell'industria e del giornalismo legate a doppio nodo al mondo dell'alta finanza ed ai salotti romani. Lo scandalo della Banca Romana comincia con investimenti in campo edilizio che si rivelarono fallimentari, si struttura in comportamenti fraudolenti coinvolgendo più soggetti che utilizzano ogni mezzo per scalare la vetta e manipolano l'informazione, trovano sponda in politici corrotti e banchieri facoltosi, ma alla fine l'epilogo è sempre il medesimo. Bancarotta fraudolenta di aziende insospettate, crack di importanti istituti di credito, intrighi di palazzo, di salotti e salottini in cui la politica disegnava e ridisegnava secondo convenienza la mappa del potere economico. Operazioni illegali a danno della collettività, eseguite in complicità con quanti avrebbero dovuto sorvegliare, scoraggiare e punire tali comportamenti.
In questi ultimi anni si è tornati a parlare di questo scandalo in relazione alle verità emerse dalle intercettazioni disposte dalla Magistratura a carico di alcuni soggetti e dalle inchieste condotte da alcuni giornali e personalità a vario titolo. Si tratta della vicenda derubricata come quella dei "furbetti del quartierino" ma in realtà si tratta di una vicenda molto più vasta che eccede i confini spaziali e temporali di quel caso. Tale tentativo riguardava le velleità di Fiorani, presidente di BPL, di formare una grande banca cattolica del nord, di Consorte, presidente di Unipol, di formare un polo banco-assicurativo per il mondo cooperativo effettuando una fusione tra Unipol e BNL, di Ricucci, immobiliarista, mosso da logiche non ancora chiarite, di scalare il Corriere della Sera mirando al cuore degli interessi dell'establishment. Tali soggetti erano mossi da queste grandi ambizioni e dalla convinzione che potessero essere raggiunti aldifuori delle regole sfruttando amicizie e complicità, ovvero componendo i loro desideri con quelli di altri attori. È in questo modo che, secondo i magistrati, in quelle vicende sono implicati politici che hanno coperto e sponsorizzato tali iniziative in cambio di denaro e favori di vario genere, industriali che attraverso quella rete di connivenze scalavano società, finanzieri come Gnutti che si adoperavano per compiere le spericolate acrobazie finanziarie necessarie ottenendo ricchi compensi ed il Governatore della Banca d'Italia Fazio che coltivava il sogno di poter esercitare poteri da monarca sul sistema creditizio (e non solo) italiano.
Sono passati più di cento anni, sono cambiate le modalità, ma lo schema resta sempre lo stesso, sintomatico di una situazione paradossale, di un sistema economico finanziario a digiuno di cultura della legalità e di mercato, di un comportamento della politica ancora piduistico e clientelare. Una stretta cerchia di clienti conniventi operano tramite una banca, utilizzando fondi che questa procura loro distogliendoli dai conti di altri clienti e falsificando i propri libri contabili con perizia e cura. Operazioni compiute utilizzando informazioni riservate, che se andate a buon fine registravano i ricavi direttamente sui conti correnti privilegiati, se fallivano le perdite venivano assorbite dalla banca. Tali operazioni erano orchestrate sempre secondo un piano preciso, sempre nella volontà di comporre un quadro nel quale i politici si inserivano quali beneficiari corrotti e facilitatori, in cui controllori come il Governatore sistematicamente occultavano documenti e favorivano alcuni soggetti a discapito di altri, in cui finanzieri si arricchivano in maniera tanto facile quanto era la loro spregiudicatezza ed in cui, infine, imprenditori orientavano le loro scelte industriali all'interno di tale cornice (1).
Stabilire i confini di questo scandalo, come quello della banca romana, non è semplice, così come pure non lo è capire quali conseguenze sono state generate. Lo scandalo che vede nei processi a Fiorani, Consorte, Fazio e Ricucci il proprio epilogo somiglia molto a quello precedente, di circa cento anni prima. Ci sono denari creati artificialmente, c'è il salvataggio di banche (una anche "di partito"), ci sono finanziamenti illeciti a politici, ci sono istituzioni pubbliche etero-dirette, c'è abuso di potere, c'è un'industria che non sa affrontare le ragioni della sua crisi e intende risolverle aldifuori delle regole. In una paese malato cronico in quanto a cultura della legalità, ne è stata inserita una buona dose tramite l'iniezione di personalità della qualità di Mario Draghi e Padoa-Schippa. Ma il sistema collusivo rimane la palude in cui galleggiano insieme buone e cattive banche, il terreno in cui si confrontano la buona e la cattiva politica senza esclusione di colpi, lo scenario competitivo in cui troppo spesso la cattiva azienda scaccia quella buona. La lezione che ci viene dal passato è una buona lente da utilizzare per interpretare il presente. Purtroppo, la storia si ripete in contesti e tempi diversi ma spesso ripetendo lo stesso copione e determinando le stesse soluzioni. Come per lo scandalo delle Banca Romana fu tanto il polverone sollevato, l'indignazione apparente e le parole di condanna espresse da più parti quanto minimo il cambiamento effettivo, così forse anche in questa vicenda calato il sipario mediatico, varate terapie intensive per il malato cronico, trovato il capro espiatorio, al circuito tornerà la corrente e il sistema tornerà a girare come prima, alimentato dagli interessi degli stessi attori di sempre.
(1) Si leggano in paricolare:
http://www.repubblica.it/2006/a/sezioni/economia/banche35/fioraniaipm/fioraniaipm.html
http://www.repubblica.it/2006/a/sezioni/economia/banche35/pagato/pagato.html