Impariamo dai fallimenti

er patrizio

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L'idea è molto interessante.
Si parla spesso delle società che sfondano,delle start-up milionarie ma quasi MAI dei fallimenti,degli errori.

Invece credo sia davvero importante,perchè tramite un'opera di reverse engineering possiamo evitare quelli errori o quantomeno individuarli per evitare che buone idee finiscano male.

Inserisco questo articolo,ve lo ricordate il Segway?

Segway: tanto rumore per nulla (o quasi)

Segway: tanto rumore per nulla (o quasi)

Una storia incredibile quella del Segway.

Siamo nel 2001 quando sui media di tutto il mondo si inizia a diffondere la notizia dell’arrivo di qualcosa di straordinario ed unico, in grado di rivoluzionare il mondo.

Tra gli addetti ai lavori si parlava di un sistema rivoluzionario per i mezzi di trasporto, chiamato IT o Ginger.

L’inventore, Dean Kamer, affermava che “sarebbe stato per le automobili quello che automobili furoni per i cavalli”. Ricordo benissimo l’interesse che montò in quei lunghi mesi su questa invenzione.

Si arriva al 3 dicembre 2001 quando viene presentata “l’invenzione del secolo”, alla fine chiamato Segway, una traslitterazione dall’italiano “segue”. Obiettivo iniziale dichiarato? Vendere almeno 50 mila pezzi all’anno nel 2002.

Il Segway tecnicamente è un mezzo dotato di due ruote parallele, assicurate a una base su cui è montata un’asta che termina con un manubrio, e si mantiene in equilibrio grazie a un complesso sistema di giroscopi. Raggiunge i 20 km/h di velocità massima, funziona a batteria elettrica e ha una discreta autonomia.

Sicuramente è un mezzo innovativo ma… valeva veramente investire i 90 milioni di dollari che si vocifera siano serviti?

Dall’inizio delle vendite iniziano i mille problemi che hanno caratterizzato la storia del Segway, a mio avviso ascrivibili in toto ad una profonda mancanza di iniziale pianificazione.

Già nel 2002, ad inizio commercializzazione, iniziano i problemi legali. Per le autorità cittadine sorge il dubbio: in quale categoria collocare questo dispositivo di trasporto?
Può andare sui marciapiedi? E nelle aree pedonali? E’ più simile ad una bici o ad una moto?

Alcuni enti pubblici statunitensi fanno buona pubblicità al mezzo, come il servizio postale statunitense che affida alcuni modelli ai postini. La Disney ne acquista alcuni da inserire nei parchi a tema. A Novembre dello stesso anno inizia ad essere venduto anche su Amazon al prezzo di 4.950 dollari (non proprio un price entry level).

Nel 2003 un clamoroso autogol. Il presidente George W. Bush prova un Segway per la prima volta e… molti di noi ricorderanno l’immagine della sua caduta a terra.

Vi fidereste a spendere 5 mila dollari per qualcosa che fa cadere anche il presidente degli Stati Uniti?

Nel settembre 2003 il produttore richiama tutti i 6 mila pezzi già venduti (contro i 50 mila previsti) per un problema tecnico grave: quando il Segway era scarico faceva perdere l’equilibrio a chi lo guidava.

Nel 2004 finiscono i soldi ma Kamen riesce a raccogliere altri 31 milioni di dollari da nuovi investitori per continuare a cercare di lanciare la sua creatura ma le perdite sono ingenti.

Il periodo tra il 2004 e il 2006 è un periodo di numerosi tentativi di differenziazione dei modelli di Segway: per il golf, per le forze di polizia, per lunghe percorrenze. Le vendite aumentano un po’ ma siamo ancora ben lontani dai 50 mila pezzi previsti come previsione iniziale (siamo a circa 10mila pezzi l’anno).

Nel 2009 la costante crisi e l’incapacità di arrivare a creare utili, porta alla vendita della società al magnante inglese James Heselden, proprietario della Hesco, azienda che costruisce dispositivi per l’esercito.

Nel 2010 il magnante inglese viene però trovato morto accanto ad un Segway, in fondo di un dirupo a un paio di centinaia di chilometri a nord di Londra, a causa di una caduta proprio mentre ne guidava uno.

Oggi il Segway è un mezzo usato prevalentemente da qualche forza di polizia e da piccole società turistiche che lo utilizzano per organizzare tour delle città (sigh!).

Ma quali sono stati a mio avviso gli errori e soprattutto le lezioni che si possono imparare?

1 – Creazione di aspettative troppo elevate: era stato definito come un’innovazione paragonabile all’avvento del PC o di Internet. Buone PR sono utili ma così è stato troppo e dannoso.

2 – Era un prodotto, non una soluzione. Funziona bene ma… dove parcheggiarlo? Dove caricare la batteria? Usarlo su strada o sui marciapiedi? A quale bisogno fornisce una risposta?

3 – Mancanza di programmazione. Molti dei problemi già visti prima non ci sarebbero stati se fosse stata effettuata una corretta analisi e programmazione.

4 – Assenza di un chiaro mercato di riferimento.

5 – E’ stata un’invenzione, non una innovazione. Gli inventori furono sorpresi di ricevere critiche dopo il lancio.

6 – Il problema tecnico del 2003 per cui la società richiamò tutti i pezzi venduti. Crollò la fiducia nel mezzo proprio quando sarebbe potuta esplodere (in positivo).

6 – Incapacità di gestire rapporti con le Autorita Pubbliche. Potrebbe rientrare nel punto 3, sulla mancanza di programmazione.

Le innovazioni di maggior successo richiedono sempre un certo grado di interazione, sperimentazione e collaborazione con un sistema che le supporti. E’ necessario individuare i targer user che hanno bisogno di quello che si sta creando. Anche e soprattutto se si tratta di un’invenzione radicale, che necessità di ottenere l’approvazione del mercato.

Senza la quale si fallisce, sempre ed inevitabilmente.

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Ora capisco meglio il motivo delle mie perplessità su molti degli esempi di start up che spesso si portano. Il motivo è questo:

5 – E’ stata un’invenzione, non una innovazione. Gli inventori furono sorpresi di ricevere critiche dopo il lancio.

Quando penso a una start up presumo sempre che alla base di questa ci sia una INVENZIONE.
Per questo resto deluso e perplesso quando mi si citano ad esempio di start up di successo aziende come Grom, che fanno semplicemente il gelato!!!
Sono terribilmente dispiaciuto per il segway, che sinceramente mi sembrava un apparecchietto fichissimo!!! E non capisco perché mai, stante l'insuccesso, dovrebbero al contrario aver successo le biciclette elettriche con la pedalata assistita che sono, al confronto, roba vecchia!
 
Nel 2003 un clamoroso autogol. Il presidente George W. Bush prova un Segway per la prima volta e… molti di noi ricorderanno l’immagine della sua caduta a terra.

Bush = famiglia di petrolieri
Caduta dal Segway = astuta mossa da lobbista

In ogni caso anch'io fino all'anno scorso ho tentato sempre nuove strade, ed ho sempre perso soldi. Ma ne sono contento, perchè quest'anno, forte delle esperienze passate, trovata la strada giusta non solo ho già recuperato le perdite, ma ho anche accantonato un guadagno interessante, tolto anche il TT che ho comprato!
 
molte start up (e aziende già avviate) falliscono perchè l'imprenditore si innamora della sua idea senza cercare alcun riscontro sul mercato.
ne vedo tanti che dicono: devo creare un mercato perchè la mia idea è utile!
secondo me è molto facile che si faccia male se decide di avviare l'impresa perchè il mercato lo si può anche creare ma ci vuole una capacità finanziaria degna di una google o Nestlè!!!
A parte gli errori nella implementazione, molte idee falliscono perchè sono grandiose solo nella testa dell'imprenditore e al resto delle persone (nella sua testa potenziali clienti) non dicono nulla.
 
Bush = famiglia di petrolieri
Caduta dal Segway = astuta mossa da lobbista

Alla faccia del complottismo :D mica è una automobile ad acqua.

Il Segway è uscito poco dopo il crollo delle torri gemelle, mi sembra non se lo ricordi nessuno.
E dopo questo avvenimento il clima è cambiato e gli americani hanno avuto molta meno voglia di interessarsi a gadget sicuramente simpatici ma forse non troppo utili.
 
Torno a dire che il segway è una ficata!
Oltretutto il sistema giroscopico che lo tiene in equilibrio è qualcosa di realmente innovativo e di ingegneristicamente... sublime.
E come tutte le cose "ingegneristicamente sublimi" la gente normale non lo apprezza o non lo conosce perché neanche si pone il problema di come sia possibile che una piattaforma su 2 sole ruote possa rimanere parallela al terreno e non capovolgersi nell'avanzamento...
 
Articolo interessante

Perché 9 prodotti su 10 falliscono

Perché 9 prodotti su 10 falliscono – Introduzione all’approccio Running Lean

Ovvero: in che modo le aziende possono minimizzare i rischi e i costi prima di avventurarsi nella creazione e sviluppo di un nuovo prodotto che i clienti non vogliono.

9 prodotti, 9 startup su 10 falliscono. Questa è la realtà di cui dobbiamo prendere atto.

In questo articolo proviamo a capire perché ciò succede e come potremmo modificare il nostro modus operandi, alle luce delle recenti teorie di management imprenditoriale basate sull’approccio Lean Startup, dal nome del fortunato best seller di Eric Ries, tradotto in italiano da Rizzoli con il titolo di “Partire leggeri”.

Lean Startup è una sorta di rivoluzione copernicana, un nuovo modo di pensare e approcciare la creazione di impresa e la generazione di valore, valido e applicabile non solo alle startup ma a qualunque nuova idea e progetto imprenditoriale (es. la creazione di un nuovo prodotto o di una nuova Business Unit all’interno di una grande azienda).

Per avere successo con una startup che tipicamente lancia sul mercato un nuovo prodotto o servizio, anziché sviluppare un business plan tradizionale, bisogna trovare il modo per accelerare il processo di apprendimento e validazione della nostra idea da parte dei futuri clienti.

Il modo migliore è quindi di costruire un prototipo, con caratteristiche minime, e venderlo ad alcuni innovatori (i cosidetti early adopters, coloro che lo potranno adottare fin dalla prima ora).

Poi cambia, aggiusta le caratteristiche del prodotto in base ai commenti e riscontri che ottieni, anche giornalmente, ascolta le loro idee per realizzare versioni migliori, per raffinare la tua idea iniziale (measure).

Continua poi ad iterare il processo fino a quando non avrai ottenuto il prodotto che rispecchi esattamente i desiderata e i bisogni dei tuoi clienti.

L’approccio proposto da Ries si basa quindi su un modello iterativo, a circolo chiuso a tre stadi :
1) Costruisci un prodotto (build);

2) misura i dati (measure);

3) apprendi le idee dai commenti dei tuoi primi potenziali e futuri clienti (learn).

Il libro di Ries ha aperto un filone di management imprenditoriale molto importante, un vero e proprio movimento di pensiero (Lean StartUp Movement) ;

Oltre all’opera di Ries vi segnalo altri due libri degni di nota e assolutamente da leggere:

The Startups Owner Manual di Steve Blank
Running Lean di Ash Maurya

Alcuni miti da sfatare

Uno dei punti chiave è capire, come spiega bene Ash Maurya in Running Lean, perché gran parte dei nuovi prodotti falliscono.

Proviamo a sfatare alcuni miti.

Il primo mito da sfatare è quello dell’imprenditore visionario; anche la strada di Steve Jobs, colui che più di tutti incarna l’archetipo dell’imprenditore visionario, che immagina, anticipa e interpreta con i suoi prodotti i bisogni e la domanda latente del consumatore, è costellata di errori e fallimenti.

A volte il prodotto è troppo visionario, arriva troppo presto per la capacità di comprensione da parte del mercato, ancora troppo acerbo per poterlo capire, altre volte invece arriva in ritardo e risulta già superato.

Il secondo mito da sfatare è quello che durante il suo sviluppo il prodotto trova da solo la sua strada; in realtà molti prodotti falliscono non perché sono mal congegnati o mal costruiti, ma perché non trovano un cliente e mercato giusto per il loro prodotto.

Se infatti consideriamo il processo tradizionale di sviluppo prodotto:

definizione dei requisiti;
sviluppo;
test di qualità;
rilascio sul mercato.

Solo nella prima fase (in parte) ma soprattutto nell’ultima ascoltiamo e coinvolgiamo il cliente solo quando il prodotto è ultimato ed è stato (o sta per essere) lanciato sul mercato.

Troppo tardi per poter intervenire, per correggere, per modificarne design e funzionalità.

Un punto chiave è allora quello di trovare il modo per chiedere e interfacciarsi con i nostri (futuri) clienti già in una prima fase, quella che Steve Blank chiama customer development, ossia lo sviluppo del cliente.

Non basta evidentemente chiedere ai clienti che prodotto desiderano, bisogna imparare ad ascoltare e sviluppare un modello. Bisogna uscire fuori dal palazzo, o dal garage, per andare a incontrare e a parlare con i nostri clienti, fin dalla prima fase, da quella dell’ideazione.

Non è il lavoro dei clienti sapere quale prodotto desiderano, diceva lo stesso Steve Jobs, è il tuo lavoro, il lavoro dell’imprenditore.
 
Torno a dire che il segway è una ficata!
Oltretutto il sistema giroscopico che lo tiene in equilibrio è qualcosa di realmente innovativo e di ingegneristicamente... sublime.
E come tutte le cose "ingegneristicamente sublimi" la gente normale non lo apprezza o non lo conosce perché neanche si pone il problema di come sia possibile che una piattaforma su 2 sole ruote possa rimanere parallela al terreno e non capovolgersi nell'avanzamento...

---> xò bastava mettere un terzo ruotino posteriore ed avevi un prodotto simile che costa un decimo...del resto deve solo trasportare una persona dal punto A al punto B...
 
---> xò bastava mettere un terzo ruotino posteriore ed avevi un prodotto simile che costa un decimo...del resto deve solo trasportare una persona dal punto A al punto B...

ahhh cercavo te, ma hai visto che dramma? :D

A COSA SERVE FASSINA? - IL VICEMINISTRO PRONTO ALLE DIMISSIONI: NESSUNO LO HA INTERPELLATO PER LA LEGGE DI STABILITÀ (PER LE LAMENTELE, CITOFONARE OLLI REHN)
A COSA SERVE FASSINA? - IL VICEMINISTRO PRONTO ALLE DIMISSIONI: NESSUNO LO HA INTERPELLATO

il genio non è stato interpellato, ma uffaaaaaaaaa voleva ridurre i salari, aveva un piano geniale, alzare le tasse, ah si non era neanche il suo :clap::clap::clap:

uniamoci al suo (tuo :bow:) dolore


ps chiedo umilmente pietà per l'ot ma era fondamentale
 
ahhh cercavo te, ma hai visto che dramma? :D

A COSA SERVE FASSINA? - IL VICEMINISTRO PRONTO ALLE DIMISSIONI: NESSUNO LO HA INTERPELLATO PER LA LEGGE DI STABILITÀ (PER LE LAMENTELE, CITOFONARE OLLI REHN)
A COSA SERVE FASSINA? - IL VICEMINISTRO PRONTO ALLE DIMISSIONI: NESSUNO LO HA INTERPELLATO

il genio non è stato interpellato, ma uffaaaaaaaaa voleva ridurre i salari, aveva un piano geniale, alzare le tasse, ah si non era neanche il suo :clap::clap::clap:

uniamoci al suo (tuo :bow:) dolore


ps chiedo umilmente pietà per l'ot ma era fondamentale

---> da quando ho parlato della evasione di sussistenza, non mi vogliono piu' bene...eppure mi sembrava una buona idea...forse un po' troppo comunista (che ovvove! pev noi vadical chic...) :'(
 
---> xò bastava mettere un terzo ruotino posteriore ed avevi un prodotto simile che costa un decimo...del resto deve solo trasportare una persona dal punto A al punto B...

Se metti un ruotino dietro non ti capotti in caso di frenata brusca?
 
Se metti un ruotino dietro non ti capotti in caso di frenata brusca?

---> non necessariamente visto la maggiore base d'appoggio ed il baricentro arretrato...poi mica ho detto che devi rinunciare in toto al controllo della trazione ma solo rilassarlo per avere una soluzione piu' economica...
Del resto anche i pattini a rotelle in linea sono instabili eppure funzionano utilizzando un sistema di controllo trazione/stabilità vecchia di millenni...
Coi 10.000 euro che costa la segway ti ci compri una vera autovettura e/o 20 biciclette e/o un paio di buoni scooters
 
Alcuni enti pubblici statunitensi fanno buona pubblicità al mezzo, come il servizio postale statunitense che affida alcuni modelli ai postini. La Disney ne acquista alcuni da inserire nei parchi a tema. A Novembre dello stesso anno inizia ad essere venduto anche su Amazon al prezzo di 4.950 dollari (non proprio un price entry level).
---> xò bastava mettere un terzo ruotino posteriore ed avevi un prodotto simile che costa un decimo...del resto deve solo trasportare una persona dal punto A al punto B...
Appunto

Premetto che nn ho studiato economia e commercio, nn ho lauree, nè master....con il mio misero diploma sono culturamente di basso profilo

Tuttavia ritengo di aver un decente senso pratico :o:D

E il mio decente senso pratico resta allibito perchè nn trova motivi per pensare di commercializzare un prodotto che :
1)svolge una banale funzione di trasporto,
2) nn ti puoi sedere;
3) nn sei protetto dagli agenti atmosferici,
4)hai una velocità di crociera da bradipo (si va + veloci in bicicletta:rolleyes:)
5) se si scarica caschi pure per terra :rolleyes::rolleyes:

ad un prezzo di 5k $!!!!!!!:eek::eek:

Ma chi è il genio che lo compra????Ma dove sta la logica nel comprarlo rispetto ad un altro prodotto (mi viene in mente l'auto della renault elettrica biposto per esempio che usata ha un costo simile....)quindi l'errore sta semplicemente nel prezzo e pertanto a monte del progetto aver messo roba troppo costosta (giroscopi ecc ecc) in un affare del genere.

Prendiamo l'iphone o l'ipad invece costano parecchio, ma oltre ad un marchio che ormai è di moda per i *****tti, è un prodotto vincemente solo (almeno secondo me) perchè è sicuramente il top a livello grafico.:yes:

La grafica ovvero un alta definizione è senz'altro ciò che + viene gradito da un utentedel resto è il tramite per interfacciarsi quindi è molto importante avere una grafica appagante e la gente lo compra.

Apple ha due vantaggi la grafica e che si impalla di meno......(sicuramente nn da poco....)




In ogni caso anch'io fino all'anno scorso ho tentato sempre nuove strade, ed ho sempre perso soldi. Ma ne sono contento, perchè quest'anno, forte delle esperienze passate, trovata la strada giusta non solo ho già recuperato le perdite, ma ho anche accantonato un guadagno interessante, tolto anche il TT che ho comprato!

Evviva la sincerità, ma se ci dici cosa hai fatto per fare gain è + utile.


Cmq si può imparare sia dai fallimenti che dai successi.

Pensiamo alla Coca cola....un intruglio che doveva essere una sorta di medicina a cosa è diventata e perchè lo è diventata.
 
Ultima modifica:
Il blog ha attirato l'interesse dei quotidiani nazionali

La Stampa - Febbre da startup, si rischia la bolla “Otto su dieci falliscono in tre anni”

Febbre da startup, si rischia la bolla
“Otto su dieci falliscono in tre anni”


Un blogger italiano ha raccolto decine di casi di imprese chiuse:
È il tramonto di un modello?


Che ne è delle centinaia di startup finanziate ogni anno e di cui poi non si sa più nulla? Dove finiscono i milioni di euro o di dollari che investitori pubblici e privati riversano nelle idee geniali che vogliono replicare il successo di Google o Facebook? Se lo è chiesto Andrea Dusi, blogger e imprenditore veronese, che in appena cinque settimane ha creato il primo sito italiano dedicato alle startup fallite o che potrebbero fallire (e in cui si pronostica addirittura il crollo di Facebook). Su Start up Over l’elenco di aziende o idee apparentemente solide che di colpo spariscono dalla scena, sia in Italia che nel resto del mondo, mostra al pubblico l’altra faccia del mettersi in proprio: quella fatta di incubatori che si moltiplicano ma non sono in grado di avviare aziende, miliardari che si improvvisano investitori o business angels e regole poco chiare su come scremare le idee – migliaia – che ogni mese vengono date in pasto a eventi, conferenze ad hoc, week-end a tema. Persino la fondazione Mindthebridge, tra le più attive nel promuovere attività a favore di progetti innovativi, ha lanciato in questi giorni l’allarme: il mondo startup è a rischio bolla?

I fallimenti

«Tutti parlano di startup, di quanto sia entusiasmante mettersi in proprio, ma nessuno parla degli errori e dei fallimenti» spiega Dusi che è anche il fondatore di Wish days, l’azienda che ha messo esperienze e viaggi in cofanetti da vendere in libreria: un piccolo miracolo imprenditoriale nato nel 2006 e che oggi conta 120 dipendenti e 45 milioni di euro di fatturato. «Anche io ho fallito con la mia prima startup nel 2003 ma non è un buon motivo per non parlarne. Persino Kickstarter (tra le più note piattaforme di crowdfunding per idee imprenditoriali ndr) fa in modo di non mettere in evidenza i progetti che non ce l’hanno fatta: se si cerca su Google non compare niente nei primi risultati» a parte le denunce di utenti scontenti. Nel blog per ora sono riportati i casi più eclatanti, ma Dusi sostiene di aver raccolto in questi anni dettagli su almeno 1200 aziende innovative andate in fumo. Tra queste Catch Notes (app per prendere appunti, 9 milioni di dollari bruciati), Songbird (browser per musica digitale, 17 milioni di dollari bruciati), Wantful (startup che voleva fare business con la personalizzazione dei regali, 5 milioni e mezzo di dollari bruciati) ed esempi più illustri come Google Reader (della serie: anche i big possono fallire).

I dati per l’Italia

Secondo un recente studio pubblicato da Italia Startup (l’associazione di categoria delle neo-imprese italiane) nella Pensiola al momento ci sono 1227 imprese innovative, 113 startup hi-tech finanziate, 97 incubatori e acceleratori (64 pubblici e 33 privati), 32 investitori istituzionali (6 pubblici e 26 privati), 40 parchi scientifici e tecnologici (37 pubblici e 3 privati), 65 spazi di coworking e 33 competizioni dedicate alle startup. Numeri che però non descrivono le criticità del settore. Eppure il tasso di fallimento tra le neo aziende è molto alto. Circa l’80-85% non arriverebbe ai primi 3 o 5 anni di vita.

«Il fatto che un alto numero di start-up fallisca è assolutamente fisiologico e non è necessariamente un male», spiega Giuseppe Folonari, responsabile degli investimenti in H-Farm, uno degli incubatori più noti in Italia con 52 aziende finanziate e 7 successi imprenditoriali conclamati (sua l’agenzia di comunicazione H-Art rivenduta a più del doppio del valore). «In un mercato piccolo e in crescita come quello italiano, il rischio di fallire è più grande perché ha un impatto sulla fiducia e porta a un errore di spesa sul conto economico – continua Folonari – Non credo però sia corretto parlare di bolla startup: è vero sono aumentate le richieste, ma è aumentata anche la qualità dei progetti e poi perché si crei una bolla una dovrebbe esserci una pioggia di soldi che al momento non c’è».

I finanziamenti e il rischio bolla

Eppure i soldi sono pronti a piovere. Nonostante la crisi. Sempre secondo le stime di Italia Startup, solo alle aziende hi-tech sarebbero andati 112 milioni di euro nel 2012 e 110 milioni quest’anno. Senza contare le dotazioni dei fondi di private equity dedicati alle startup, realtà non numerosissime ma nemmeno irrilevanti. I più noti sono Innogest (80 milioni di euro), Principia (90 milioni di euro) e 360° Capital Partners (100 milioni) ma esiste un’intera costellazione di finanziatori privati e alternativi di cui al momento non esiste una mappatura completa. Per il segretario generale dell’Italian Business Angels Association, Tomaso Marzotto Caotorta, «il rischio bolla per gli investitori al momento non c’è». «Ciò che invece preoccupa è l’attività di selezione delle idee che meritano un finanziamento. La nostra associazione valuta ogni anno circa 350 proposte ma appena il 5% riesce ad ottenere il nostro supporto economico: servirebbe un sistema di scrematura già all’interno degli incubatori. Insomma, meno startup in giro ma di maggior qualità».

Pensiero condiviso anche da Michele Padovani, amministratore dell’incubatore privato Istarter (appena 9 aziende finanziate su 405 progetti analizzati). «Non credo sia un problema di capitali, che nel Paese sono presenti in abbondanza. Credo, invece, che questi vadano organizzati al meglio e messi nelle condizioni di raggiungere i progetti veramente meritevoli. Di recente l’ecosistema che ruota attorno al concetto di start-up ha fatto registrare un incremento degli attori così significativo da indurre a pensare che in questo abbia inciso anche una componente “modaiola”. Ma credo che nel prossimo futuro prevarrà la vecchia legge della natura per la quale solo i soggetti più forti sopravviveranno». Più concretezza e meno caos, dunque, eppure tutto fa pensare che nemmeno Darwin potrà smorzare il ritrovato entusiasmo degli aspiranti imprenditori italiani.
 
Startup, il blog che racconta i fallimenti.
"Si impara anche dagli insuccessi degli altri"


Si chiama Startupover, è curato da un imprenditore, Andrea Dusi, e racconta piccoli e grandi flop aziendali: da quello di Segway, il monopattino elettrico che "avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo dei trasporti", al salvataggio di Airbnb, il sito per affittare casa o stanze ai turisti a lungo a rischio chiusura. "L'obiettivo - spiega - è creare una cultura positiva del fallimento"

NON TUTTE ce la fanno. Anzi, la maggior parte chiude i battenti. "Game over". Negli Stati Uniti solo una startup su quattro resiste, cresce e genera profitti. A rivelarlo è una ricerca condotta su più di duemila compagnie da Shikhar Ghosh, professore ordinario dell'Harvard Business School. Siamo dinanzi a una selezione naturale. Che è anche un argomento quasi tabù. Soprattutto in Italia, dove lo slogan anticrisi è "non hai lavoro, crea la tua impresa". Certo, giusto. Se solo fosse così facile. Il fallimento? Una possibilità inconcepibile nel mondo hi-tech dove l'imperativo è vincere, non basta partecipare.

"Quando si discute di startup, sembra siano tutte idee belle e destinate al successo. In realtà, non è affatto così: su 100 società attive negli Stati Uniti nel 2008, oggi ne sono rimaste solo due. Il tasso di fallimento si aggira intorno al 96 per cento", spiega Andrea Dusi, trentotto anni, veronese. Lui ha rotto il silenzio. Ha deciso di essere onesto. Di sfidare la moda e di aprire un blog, Startupover, dove raccontare di piccoli e grandi insuccessi. Storie di flop con le quali, in meno di un mese, ha già conquistato un piccolo esercito di "fan" sui social network. E in uscita c'è persino una versione in inglese. "L'obiettivo - spiega - è offrire spunti per imparare dalle sconfitte degli altri come dalle proprie. A mancare nel nostro Paese è una cultura del fallimento; in America se non sbagli almeno una volta non hai avuto alcuna lezione e gli investitori non si fidano di te. A fallire, inoltre, non è la persona ma il prodotto. Qui è diverso: sbagliare è un dramma personale".

La storia dei "perdenti" è strana, va a zig-zag. Si parte dal Segway, un monopattino elettrico che "avrebbe dovuto rivoluzionare il mondo dei trasporti". Una vera innovazione, almeno secondo i progettisti. È il maggio del 2001, quando l'inventore, Dean Kamer, lancia il prodotto. "Sarà per le macchine ciò che le automobili sono state per i cavalli", è la premessa. Si vocifera che siano novanta i milioni di dollari spesi. Ma il progetto non decolla: il prodotto costa troppo, cinquemila dollari, ed è poco affidabile. Nel 2003 l'autogol decisivo: l'ex presidente degli Usa, George W. Bush, prova un Segway e cade. Gli scatti, pubblicati sul web, fanno il giro del mondo. Un disastro d'immagine. Un'inversione di marcia salva invece Airbnb, sito nato nel 2008 a San Francisco per affittare stanze o case ai viaggiatori, a rischio chiusura nel 2009. L'idea è buona, ma ha poco successo, gli utenti sono stranamente diffidenti, fino a che gli ideatori non scoprono il motivo: le foto caricate sul portale. Sono scattate dagli stessi proprietari, spesso con i telefonini e, quindi, di bassa qualità. È bastato mandare nei posti un fotografo professionista, cambiare le immagini, perché l'azienda funzionasse. Tutta una questione di look. Certo, l'apparenza conta, ma conta anche come si usa. Nel 1998 Pets.com, società creata con l'obiettivo di vendere online prodotti per animali domestici, investe 25 milioni di dollari in pubblicità. Tra cui un famoso spot tv andato in onda durante il seguitissimo Super Bowl, la finale di football più attesa dagli statunitensi. Ma dietro il clamore mediatico c'è poca roba: a mancare è un reale piano d'impresa, una strategia, e dopo 268 giorni Pets.com chiude.

Un fallimento che dimostra come le cause dei fiaschi siano diverse, ma spesso prevedibili. Racconta Dusi: "Una delle più comuni è: promettere più di ciò che si è effettivamente in grado di fare. Poi c'è la mancanza di passione e dedizione. Spesso a chi mi chiede finanziamenti, domando: sei disposto a lavorare per tre anni sette giorni su sette senza ferie? Su dieci, solo cinque, di solito, rispondono sì. Fare una startup digitale non è più facile di creare una normale impresa. Solo che nell'ultimo caso la media di chi riesce a resistere è pari al 20 per cento, mentre nel primo al cinque". E lui lo sa bene. Alle spalle ha una sconfitta, un'azienda di t-shirt con una manica lunga, l'altra corta, ma anche una soddisfazione di nome "Wish days", impresa di regali con 120 dipendenti e 45 milioni di fatturato, che continua a crescere. Com'è lavorare in Italia? "Sicuramente più difficile. I motivi? Burocrazia, costi per le procedure d'avvio, tasse sugli utili e costo del lavoro. Però se si è bravi, ci si riesce anche qui".
 
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